Mio Dio, la vita è sì corta, si fa sera tanto presto che l’esser buono ed onesto è ormai di un’epoca morta. Marino Moretti

Cari followers, è passato un po’ di tempo dall’ultimo – e primo – articolo sulla letteratura italiana tra Ottocento e Novecento. Rieccomi qui oggi con Marino Moretti, un poeta-scrittore definito crepuscolare, dunque navighiamo ancora in territori letterari prossimi al mio amato Guido Gozzano. Alcuni diranno di non aver mai sentito parlare di Moretti e la cosa non mi stupisce giacché neanch’io l’ho incontrato durante il mio corso di studi. Trovo giusto non scrivere dei “soliti” e famosi poeti e narratori ma anzi dare spazio e nuova voce a coloro che non sono nominati in ogni classe di scuola superiore. Ho scelto Moretti perché, oltre alla poetica, ammiro il fatto che nel 1925 abbia firmato il Manifesto degli intellettuali antifascisti di Benedetto Croce.

Ecco, è piena la spica,
e la falce è nel pugno.
Il buon sole di giugno rallegra la fatica.
Or la canzone sale
dal campo del lavoro,
e si accompagna a un coro
stridulo di cicale.
E sale il canto anelo
dalle bocche lontane,
lodando, in terra, il pane
ed il buon Padre in cielo.

Marino Moretti, Giugno

La vita

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Marino Moretti (Cesenatico, 18 luglio 1885 – Cesenatico, 6 luglio 1979) frequentò a Ravenna l’istituto “Sant’Apollinare”, retto da religiosi, che poi abbandonò per scarsi profitti iscrivendosi al liceo-ginnasio “Vittorino da Feltre” di Bologna, dal quale però ne uscì senza licenzia ginnasiale.

Frequentò a Firenze la scuola di recitazione “Tommaso Salvini”, diretta da Luigi Rasi (vedi approfondimento in fondo all’articolo), dove conobbe Aldo Palazzeschi (vedi approfondimento in fondo all’articolo). Neanche in questo campo Moretti si dimostrò eccelso, sicché il Rasi gli consigliò di concentrarsi su una via prettamente letteraria.

Durante la prima guerra mondiale Moretti, non ritenuto idoneo al servizio militare, si arruola come infermiere. Lavorò per un’agenzia di stampa della Croce Rossa e collaborò con numerosi giornali, tra cui il Corriere della Sera. Contrario al fascismo firmò il Manifesto degli intellettuali antifascisti di Benedetto Croce.

Frattanto scrisse poesie, novelle, romanzi, pagine autobiografiche; vinse diversi premi letterari.

La poetica

I componimenti poetici di Moretti sono definite crepuscolari per quel tono grigio e uniforme, attraversato da una sbiadita ironia, che è caratteristico anche della sua opera in prosa. Nei romanzi e nelle novelle ambientati nei paesaggi perlopiù della provincia romagnola si muovono personaggi umili e sacrificati. Tre sono i tempi in cui può essere scandita la sua parabola poetica che, pur essendo dall’inizio contrassegnata da un risoluto antidannunzianesimo, registra il passaggio da una lirica intima, dai “buoni sentimenti” al ripudio reciso e infastidito di questa vena.
La distanza da D’Annunzio e Carducci accomunava Moretti all’amico Aldo Palazzeschi, da cui divergeva però per l’incapacità di lasciarsi coinvolgere nei movimenti e nelle correnti. Moretti restò sempre appartato, solitario, orgoglioso della sua solitudine. L’intransigenza morale dell’uomo si tradusse nella capacità coraggiosa di dire no alle lusinghe di un mondo di cui non condivideva i valori.

Le opere

Poesie

  • La serenata delle zanzare, 1905
  • Poesie scritte col lapis, 1910
  • Poesie di tutti i giorni, 1911
  • Il giardino dei frutti, 1915
  • Poesie, 1905-1914, 1919, raccolte e più tardi riordinate, con l’aggiunta di versi successivi, in Tutte le poesie, 1966

Romanzi e raccolte di novelle

  • Il sole del sabato (1916)
  • Guenda (1918)
  • La vice di Dio (1920, n. ed. 1931)
  • L’isola dell’amore (1920)
  • Né bella né brutta (1921)
  • I due fanciulli (1922, n. ed. 1962)
  • I puri di cuore (1923)
  • Il trono dei poveri (1928)
  • L’Andreana (1935)
  • Anna degli elefanti (1937, n. ed. 1963)
  • La vedova Fioravanti (1941)
  • Cento novelle (1943)
  • I coniugi Allori (1946)
  • Il fiocco verde (1948)
  • Uomini soli (1954)
  • La camera degli sposi (1958)

Ricordi

  • Mia madre(1923)
  • Il tempo felice (1929)
  • Via Laura (1931, n. ed. col titolo Il libro dei sorprendenti vent’anni, 1944)
  • Fantasie olandesi (1932)
  • Scrivere non è necessario (1938)
  • Pane in desco (1940)
  • L’odore del pane (1942)
  • I grilli di Pazzo Pazzi (1951)
  • Il libro degli amori (1960)

La mia opinione

Moretti ha in sé caratteristiche particolari che rendono i suoi scritti pregevolissimi da leggere. Si apprezza Moretti per la capacità di spogliare la realtà e mostrare, alle volte in maniera anche troppo cruda, come essa è veramente: vuota, inutile. Il tutto è stemperato da un senso d’ironia invitante e divertente che Moretti usa come “mantello” per i puri di cuore.

Vi riporto alcuni dei suoi componimenti significativi.

A Cesena

Piove. È mercoledì. Sono a Cesena,
ospite della mia sorella sposa,
sposa da sei, da sette mesi appena.

Batte la pioggia il grigio borgo, lava
la faccia della casa senza posa,
schiuma a piè delle gronde come bava.

Tu mi sorridi. Io sono triste. E forse
triste è per te la pioggia cittadina,
il nuovo amore che non ti soccorse,

il sogno che non ti avvizzì, sorella
che guardi me con occhio che s’ostina
a dirmi bella la tua vita, bella,

bella! Oh bambina, o sorellina, o nuora,
o sposa, io vedo tuo marito, sento,
oggi, a chi dici mamma, a una signora;

so che quell’uomo è il suocero dabbene
che dopo il lauto pasto è sonnolente,
il babbo che ti vuole un po’ di bene…

« Mamma! » tu chiami, e le sorridi e vuoi
ch’io sia gentile, vuoi ch’io le sorrida,
che le parli dei miei viaggi, poi…

poi quando siamo soli (oh come piove!)
mi dici rauca di non so che sfida
corsa tra voi; e dici, dici dove,

quando, come, perché; ripeti ancora
quando, come, perché; chiedi consiglio
con un sorriso non più tuo, di nuora.

Parli d’una cognata quasi avara
che viene spesso per casa col figlio
e non sai se temerla o averla cara;

parli del nonno ch’è quasi al tramonto,
il nonno ricco, del tuo Dino, e dici:
« Vedrai, vedrai se lo terrò di conto »;

parli della città, delle signore
che già conosci, di giorni felici,
di libertà, d’amor proprio, d’amore.

Piove. È mercoledì. Sono a Cesena,
sono a Cesena e mia sorella è qui

tutta d’un uomo ch’io conosco appena.

tra nuova gente, nuove cure, nuove
tristezze, e a me parla… così,
senza dolcezza, mentre piove o spiove:

« La mamma nostra t’avrà detto che…
E poi si vede, ora si vede, e come!
sì, sono incinta… Troppo presto, ahimè!

Sai che non voglio balia? che ho speranza
d’allattarlo da me? Cerchiamo un nome…
Ho fortuna, è una buona gravidanza… »

Ancora parli, ancora parli, e guardi
le cose intorno. Piove. S’avvicina
l’ombra grigiastra. Suona l’ora. È tardi.

E l’anno scorso eri così bambina!

Valigie

Voglio cantare tutte l’ore grigie
in questa solitudine pensosa
mentre raduno ogni mia vecchia cosa
a riempir le mie vecchie valigie.

Oh le valigie, le compagne buone
dei poveri viaggi in terza classe
vecchie, sfiancate, fatte con qualche asse
sottile e con la tela e col cartone.

Le camicie van qui da questa parte,
quaggiù ai colletti cerco di far posto,
lì le cravatte e qua, quasi nascosto,
un manoscritto, e ancora libri e carte.

Ecco il pacchetto della mamma. Odora
vagamente di cacio e di salame.
Già, se avessi in viaggio ancora fame.
E questo libro e un altro, un altro ancora.

Dove vado? Non so. Ma mi sovviene
d’averla pur desiderata questa
partenza come, il piccolo, la festa
che col serraglio e con la giostra viene.

Dove vado? Non so. Ma pare a me ch’io debba
vivere senza scopo, allo sbaraglio;
e a tratti con l’inutile bagaglio
partir per i paesi della nebbia…

Mi mandi Via?

Io rubo, fornico, uccido,
faccio il mezzano e la spia:
ebbene? mi mandi via?
ti rido in faccia, ti rido.

La vita è breve ed è un gioco
che si perde troppo presto.
Mette conto essere onesto
(breve la vita) per poco?

Io rubo, uccido, fornico,
so tender bene i miei lacci:
e che per ciò? mi discacci?
Càlmati, càlmati, amico.

Mio Dio, la vita è sì corta,
si fa sera tanto presto
che l’esser buono ed onesto
è ormai di un’epoca morta.

Ci credi, sii sincero,
ci credi punto per punto
alle virtù di un defunto?
Se ci credo io? No davvero.

Essere onesto! ma è come
porre una foglia di fico
su un tondino d’ombelico:
eccesso di precauzione.

Essere onesto! Non oso
nemmeno pensarci. Onesto!
Finché nel mondo ci resto
non vo’ trovarlo noioso.

Io rubo, fornico, uccido,
faccio il mezzano e la spia
e vendo l’anima mia
a un Mefistofele fido.

Ebbene? Mi mandi via?
Vado, fratello mio buono,
ma ti assicuro che sono
in ottima compagnia.

Rondini, o voi dove andate?

Rondini, o voi dove andate
che par che il cielo v’ingoi?
O amiche rondini, fate
fate ch’io venga con voi.

Rondini, io getterò via
tutto ciò che amai, tutto ciò
ch’è inutil peso, terrò
soltanto l’anima mia.

Rondini, è certo che poi
senza l’ombra d’un pensiero
sarò leggero leggero
come il vento, come voi.

E tu taci, anima mia.
Mentre che scema la luce
andiamo dove ci conduce
questo volo, andiamo via.

Ancor la rima

Ho la rima nel sangue.
Con la rima divengo un purosangue.
Ringiovanisco, sono come prima.
Perché siete anche voi contro la rima?
È lei che mi sostiene,
è lei che mi mantiene,
è a lei che voglio bene
è da lei che s’attende arguzia e stima.
Perché siete anche voi contro la rima?
È così intelligente,
è così intraprendente
è così sorprendente
è così divertente… e non è niente.
Perché siete anche voi contro la rima?
(Lo so, lo so da prima,
ch’io non merito allori né percosse:
la rima è la mia tosse.)
Letto stanotte, insonne,
un canto di pastor ch’erra nell’Asia
dopo il Sabato e il Passero,
dopo Consalvo e Aspasia,
riapprodando a care
recanatesi sponde.
E nel silenzio era tutto un cantare.
Ma ciò che in me cantava, e ancora canta,
era la rima in ale,
era fatale, cale, frale, male,
immortale, mortale
nel ritmo d’una notte quasi santa.
In fin di strofe, ale, ale,
è funesto a chi nasce il dì natale.

La rima è la mia tosse? E si ribella!
Ché se un perfetto gioco di parole
che s’immalinconiscono nel sole
oggi non ha per sé che disistima,
poeta senza rima
non è poeta vero, a volte, o spesso,
la rima è tutto come per me… adesso.

Approfondimenti

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Luigi Rasi (Ravenna, 1852 – Milano, 1918) è stato un attore, drammaturgo e storico italiano. Fu anche autore di commedie e di monologhi popolari, maestro di recitazione e storico del teatro. In qualità di traduttore ed erudito teatrale, venne chiamato a dirigere la Scuola di Recitazione di Firenze nel 1882 ove rimase fino alla morte.

La sua opera portò a un’evoluzione dei criteri di insegnamento, nella ricerca di una recitazione più spontanea e meno artificiosa. Diede alle stampe numerosi volumi di carattere critico-informativo sullo spettacolo. Nel corso della sua vita, raccolse una ricchissima biblioteca sullo spettacolo e collezionò documenti e cimeli legati alla storia del teatro.

Dopo la sua morte, la sua collezione fu acquistata dalla SIAE e andò a formare il nucleo originario della Biblioteca e Museo teatrale del Burcardo, a Roma, aperto al pubblico dal 1932.

 

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Aldo Palazzeschi è lo pseudonimo di Aldo Giurlani (Firenze 1885 – Roma 1974), poeta e narratore italiano. Partecipò all’esperienza futurista, pubblicando nel 1914 su “Lacerba” il manifesto Il controdolore, ma nello stesso anno abbandonò il movimento indirizzando a Marinetti un telegramma che Giuseppe Prezzolini pubblicò su “La Voce”. Anche l’esperienza crepuscolare lasciò traccia nella sua opera (Riflessi, 1908). Dal 1926 cominciò a collaborare al Corriere della Sera e nel 1957 l’Accademia dei Lincei gli assegnò il premio internazionale Feltrinelli per la letteratura. La sua produzione, segnata perlopiù da una vena ironica e dissacrante, dal gioco verbale, dall’inventiva che sviluppa all’estremo situazioni fantastiche o grottesche, è abbondante e variegata: una dozzina le raccolte di poesie (Cavalli bianchi, 1905; Lanterna, 1907; L’incendiario, 1910), numerosi racconti (Tutte le novelle, 1907) e romanzi; tra questi, Il codice di Perelà (1911) è una favola moderna con un omino di fumo come protagonista che anticipa la svagata e sarcastica assurdità surreale di personaggi come Il doge (1967) e Stefanino (1969). Se in opere come quelle scritte negli anni romani (I fratelli Cuccoli, 1948; Roma, 1953) lo scrittore sembra abbandonare la visione deformante della realtà che gli è propria, in quello che è considerato il suo miglior esito narrativo, Le sorelle Materassi (1934), ottiene un riuscito equilibrio fra la restituzione memoriale di un’epoca e una trama sottilmente dissacratoria.

Fonti: wikipedia, encarta, rai letteratura, treccani