La tua visione diventa chiara solo quando guardi dentro il tuo cuore.

Chi guarda fuori, sogna. Chi guarda dentro, si sveglia.

Carl Gustav Jung

 

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L’ultima volta che ho visto Parigi – Lynn Sheene

Un altro libro Leggereditore.

 

L’ULTIMA VOLTA CHE HO VISTO PARIGI

Lynn Sheene

Leggereditore

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Trama

Claire ha un passato da nascondere, quello di una bambina cresciuta nella miseria più profonda. Ora si è conquistata un posto nella borghesia newyorchese, e l’eleganza, il lusso, la fama le spettano di diritto. Tuttavia, quando la sua identità fittizia viene minacciata, a Claire non resta che fuggire, e Parigi le sembra il luogo perfetto per ricominciare. Ciò che trova è una città sconvolta dai primi accenni del caos, dovuti all’imminente invasione tedesca. Il destino però è dalla sua parte, e quando comincia a lavorare in un negozio di fiori, dentro di lei si fa strada l’idea di una vita diversa. Claire si ritroverà a mettersi in gioco, e a collaborare con abili e caute mosse a una missione che, oltre a salvare vite umane, ridisegnerà l’essenza stessa della sua esistenza. Un’epoca che come poche è entrata a far parte dell’immaginario collettivo rivive attraverso gli occhi di un’eroina coraggiosa e disposta a rischiare fino in fondo per sé e per gli altri.

L’autrice

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Scrittrice americana, Lynn Sehene ha lavorato come consulente ambientale prima che si dedicasse alla letteratura. Con il suo primo romanzo, L’ultima volta che ho visto Parigi , ha raggiunto un notevole successo di vendite.

 

Recensione

Agli inizi degli anni Quaranta, Claire Harris Stone vive a New York assieme al marito Russell. Conduce una vita piena di lussi e occasioni frivole, accanto tuttavia a un uomo che non ama e che non la ama. D’improvviso però la sua ricca esistenza viene sconvolta dall’arrivo di una vecchia conoscenza, Von Richter, che fa sapere al marito Russell che in realtà Claire non è di nobile lignaggio. Claire, consapevole dell’importanza della questione per il marito e timorosa della sua reazione, lascia tutto in poche ore e parte alla volta di Parigi sognando le braccia del suo vecchio amante Laurent. Trova però qualcosa di molto diverso da ciò che si era aspettata, oltretutto la guerra avanza e sta per inghiottire la capitale francese. Claire si ritrova inconsapevolmente coinvolta negli affari della Resistenza.

Dunque amici, parto dal presupposto che la trama mi aveva da subito affascinata. Quando ho cominciato a leggere il libro però, più di un aspetto mi ha lasciata perplessa. Ad esempio lo stile dell’autrice, spesso confuso e rapido: da poche spiegazioni sui comportamenti dei protagonisti, dando l’impressione di ritrovarsi ad ascoltare la storia di qualcuno che l’autore conosce e il lettore per niente. Inoltre Claire nelle prime pagine è davvero insopportabile, una donnina dai modi fastidiosamente civettuoli.

E così per qualche giorno ho abbondato la lettura, il che non è da me. Poi mi sono decisa a dare una seconda chance a questo romanzo e l’ho ripreso. Ho fatto bene.

La personalità di Claire infatti, con l’avanzare delle pagine, viene dipinta in modo più profondo mostrando che in realtà è ben capace di adattarsi a una vita non ricca e di abbandonare i modi esasperatamente voluttuosi. Diviene altruista e coraggiosa.

Per quanto riguarda lo stile dell’autrice, quello no, non si lega mai perfettamente al modo in cui mi piace sentir narrare le storie. La storia procede in maniera confusa e con ampi salti temporali; i dialoghi con i membri della Resistenza è vero che sono roba scottante, a volte in codice, ma avrebbero dovuto essere più comprensibili per il lettore. Per quasi una buona metà la lettura mi ha annoiata; si ha l’impressione che venga dato spazio e risalto a scene in verità insulse. Tuttavia da metà libro le vicende iniziano a farsi più interessanti e i salti temporali diminuiscono, dando maggior senso e credibilità al tutto. L’amore anelato finalmente arriva e Claire dimostra particolare acume, altruismo e coraggio durante il precipitare degli eventi nella Parigi occupata dai nazisti.

Affascinante è la descrizione del periodo storico, della Parigi di un tempo, degli occupanti tedeschi, delle attività della Resistenza francese. In definitiva ne consiglio la lettura se piace il genere.

Valutazione:

3

Dear woman

Dear Woman,
sometimes you’ll just be too much woman.
Too smart,
too beautiful,
too strong.
Too much of something that makes a man feel like less of a man,
which will make you feel like you have to be less of a woman.
The biggest mistake you can make
is removing jewels from your crown
to make it easier for a man to carry.
When this happens, I need you to understand
you do not need a smaller crown—
you need a man with bigger hands.

Michael Reid

 

 

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Spose di guerra – Helen Bryan

Ciao a tutti!

Eccomi con la recensione di un genere di libri che io adoro.

 

 

SPOSE DI GUERRA

Helen Bryan

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Trama

Dopo aver devastato l’Europa, la seconda guerra mondiale minaccia di incendiare la Gran Bretagna. Nel sonnolento paesino inglese di Crowmarsh Priors la vita non è più quella di sempre: le case del villaggio ospitano gli sfollati da Londra, le incursioni aeree diventano un lugubre appuntamento notturno, la morsa del razionamento mette a dura prova ogni parvenza di dignità, mentre sempre più uomini partono per morire al fronte. E cinque giovani donne si legano in un’amicizia tanto profonda da travolgere la vita di ognuna. Alice Osbourne è la figlia giudiziosa del defunto vicario, Evangeline Fontaine una ragazza americana del profondo sud, Elsie Pigeon è fra i poveri di Londra che vedono nell’evacuazione l’opportunità per scampare a una vita di stenti, Tanni Zayman è una giovane ebrea in fuga dagli orrori d’Europa e Frances Falconleigh un’intraprendente debuttante con un padre deciso a segregarla in campagna, a distanza di sicurezza dalle tentazioni mondane. Intorno alle cinque ragazze, così diverse e provenienti da mondi apparentemente lontani tra loro, la guerra e le privazioni si fanno sempre più aspre, ma le avversità che potrebbero distruggere le loro vite finiscono per unirle indissolubilmente. Sostenendosi a vicenda per sconfiggere nemici spaventosi – la fame, le bombe, l’incubo di un’invasione nazista, un infame traditore – troveranno la forza interiore per aiutare se stesse e i loro amici. Quando, cinquant’anni più tardi, quattro di loro torneranno a Crowmarsh Priors per celebrare la Giornata della Vittoria ripresa in diretta televisiva nazionale, le telecamere renderanno pubblica la storia delle anziane signore che furono spose di guerra in un’epoca lontana. Ma la missione delle quattro amiche non è commemorare né ricordare: le spose di guerra sono tornate per vendicare la quinta amica che non può più essere con loro.

Recensione

Wow. Questo è uno di quei libri che non fanno annoiare mai, soprattutto gli appassionati di storia. Ed è uno di quelli che del periodo storico fornisce anche un ottimo spaccato sociale, nello specifico della condizione femminile, attraverso una narrazione ricca di dettagli ma avvincente.
Si tratta di un romanzo corale e di solito non amo questo genere di narrazione. Tuttavia i personaggi sono così ben descritti dal punto di vista umano, e le vicende di ognuno si incastrano in modo talmente naturale con quelle degli altri, che il tutto risulta arricchito e per nulla frammentato o mancante di passaggi o eventi, nonostante ci siano alle volte salti temporali anche importanti.
Le protagoniste sono donne di ogni età ed estrazione sociale e per ognuna di esse assistiamo dapprincipio ai drammi personali che lo scoppio della guerra provoca e in seguito ai tentativi di trovare un posto in un mondo a soqquadro o di un ruolo o di un luogo in cui affondare nuove radici.
Non mancano elementi di mistero e di spiritualità, anche tribale, nonché di passione e d’amore o, forse più importante tra gli altri, di amicizia. Un libro apprezzabile da diversi punti di vista e adatto a un pubblico di età diverse, nonché, a dispetto di quanto si possa credere, sia maschile che femminile.

 

Ho sceso, dandoti il braccio

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Ho sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di scale
e ora che non ci sei è il vuoto ad ogni gradino.
Anche così è stato breve il nostro lungo viaggio.
Il mio dura tuttora, né più mi occorrono
le coincidenze, le prenotazioni,
le trappole, gli scorni di chi crede
che la realtà sia quella che si vede.

Ho sceso milioni di scale dandoti il braccio
non già perché con quattr’occhi forse si vede di più.
Con te le ho scese perché sapevo che di noi due
le sole vere pupille, sebbene tanto offuscate,
erano le tue.

Eugenio Montale

 

 

Rita Hayworth e la redenzione di Shawshank

Ciao a tutti.Questa volta parliamo di un racconto di Stephen King che fa parte della raccolta Stagioni diverse.

 

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L’autore

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Stephen Edwin King (Portland, 21 settembre 1947) è uno scrittore, sceneggiatore, regista e attore statunitense, uno dei più celebri autori di letteratura fantastica, in particolare horror, dell’ultimo quarto del XX secolo.

Scrittore notoriamente prolifico, nel corso della sua fortunata carriera, iniziata nel 1974 con Carrie, ha pubblicato oltre ottanta opere, fra romanzi e antologie di racconti, entrate regolarmente nella classifica dei bestseller, vendendo complessivamente più di 500 milioni di copie.

Buona parte delle sue storie ha avuto trasposizioni cinematografiche o televisive, anche per mano di autori importanti quali Stanley Kubrick, John Carpenter, Brian De Palma, J. J. Abrams, David Cronenberg, Rob Reiner, Lawrence Kasdan, Frank Darabont, Taylor Hackford e George A. Romero. Pochi autori letterari – a parte William Shakespeare, Agatha Christie e Arthur Conan Doyle – hanno avuto un numero paragonabile di adattamenti.

A lungo sottostimato dalla critica letteraria, tanto da essere definito in maniera dispregiativa su Time Magazine «maestro della prosa post-alfabetizzata», a partire dagli anni novanta è cominciata una progressiva rivalutazione nei suoi confronti. Per il suo enorme successo popolare e per la straordinaria capacità di raccontare l’infanzia nei propri romanzi è stato paragonato a Charles Dickens, un paragone che lui stesso, nella prefazione a Il miglio verde, pubblicato a puntate alla maniera di Dickens, ha sostenuto essere più adeguato per autori come John Irving o Salman Rushdie.

Fa parte del gruppo musicale composto unicamente da scrittori chiamato Rock Bottom Remainders.

 

 

Recensione

 

Qui dentro siamo tutti innocenti.

Red

Il primo scritto di King che leggo, che ha tra l’altro ispirato il film Le ali della libertà (film del 1994 diretto Frank Darabont). Non ho mai letto di questo autore forse perché ho sempre prediletto gli storici e i classici. Da poco però ho ricevuto in dono una raccolta di racconti di King e mi ci sono avvicinata con entusiasmo.
Questo è un racconto particolare. Siamo nella prigione di Shawshank, nel Maine: la narrazione in prima persona è a opera di Red, un uomo finito in carcere per aver sabotato i freni dell’auto della moglie con lo scopo di intascare l’assicurazione. Nelle mura penitenziarie egli è noto come “colui che procura la roba”.
Red comincia a raccontare dal 1947, anno in cui arriva “nella felice famigliola” del carcere Andy Dufresne. Andy è stato condannato per l’omicidio di sua moglie e del di lei amante. Si dimostra, nella vita dura del carcere (descritta nei minimi particolari e tuttavia in maniera mai noiosa), di una calma quasi irreale, arguto e imperturbabile nell’avere a che fare con secondini o detenuti attaccabrighe. Andy ha la passione dei minerali e proprio quella lo porterà a fare amicizia con Red, al quale chiede di procurare un martelletto con cui modellare le pietruzze del cortile.
In questo racconto l’abilità dell’autore sta certamente nella scelta del punto di vista (Red racconta ciò che ha visto ma anche ciò che ha sentito e come, perfettamente in linea con le dinamiche sociali nelle carceri americane dell’epoca) e nel fatto che da un certo punto della storia, molte cose lette precedentemente su Andy comincino ad avere tutt’altro senso.
Il ritmo è piuttosto lento per una buona metà del racconto, allorché subisce una brusca accelerazione che fa salire le aspettative, la curiosità e l’ansia. Nello svelare la verità l’autore è veramente un maestro: per niente banale, con il carico adeguato di suspense e passaggi che sono colpi di genio.
Rita Hayworth, citata nel titolo e reincarnata nel racconto attraverso un poster appeso nella cella di Andy, rappresenta la sete di libertà, la speranza, la resilienza e la perseveranza.
Da non sottovalutare è la componente umana. I personaggi hanno uno spessore psicologico tale da sembrare reali, perfettamente credibili e ben calati nei ruoli creati per loro da un autore che non usa alcuna forzatura per far funzionare il tutto.
Un racconto che da spazio ai sentimenti umani più semplici, dalla paura al desiderio di vita, ma anche al perdono.
Lettura consigliata a chi già conosce King ma anche a chi vuole approcciarvisi per la prima volta.

Attesa

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Esci dalla statale a sinistra e
scendi giù dal colle. Arrivato
in fondo, gira ancora a sinistra.
Continua sempre a sinistra. La strada
arriva a un bivio. Ancora a sinistra.
C’è un torrente, sulla sinistra.
Prosegui. Poco prima
della fine della strada incroci
un’altra strada. Prendi quella
e nessun’altra. Altrimenti
ti rovinerai la vita
per sempre. C’è una casa di tronchi
con il tetto di tavole, a sinistra.
Non è quella che cerchi. È quella
appresso, subito dopo
una salita. La casa
dove gli alberi sono carichi
di frutta. Dove flox, forsizia e calendula
crescono rigogliose. È quella
la casa dove, in piedi sulla soglia,
c’è una donna
con il sole nei capelli. Quella
che è rimasta in attesa
fino ad ora.
La donna che ti ama.
L’unica che può dirti:
“Come mai ci hai messo tanto?”

Raymond Carver

Maus – Art Spiegelman

Buonasera!

Eccomi qui con la prima recensione di un fumetto. E che fumetto.

 

MAUS

Art Spiegelman

Einaudi

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Trama

La storia di una famiglia ebraica tra gli anni del dopoguerra e il presente, fra la Germania nazista e gli Stati Uniti. Un padre, scampato all’Olocausto, una madre che non c’è più da troppo tempo e un figlio che fa il cartoonist e cerca di trovare un ponte che lo leghi alla vicenda indicibile del padre e gli permetta di ristabilire un rapporto con il genitore anziano. Una storia familiare sullo sfondo della più immane tragedia del Novecento. Raccontato nella forma del fumetto dove gli ebrei sono topi e i nazisti gatti.

 

 

L’autore

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Spiegelman è stato uno dei fondatori della rivista di fumetti e grafica Raw, ed è tra gli artisti che hanno compilato e illustrato graficamente i lemmi del Futuro dizionario d’America (The Future Dictionary of America, pubblicato da McSweeney’s nel 2005). Ha pubblicato svariati lavori su riviste statunitensi come New York Times, Village Voice e The New Yorker. Di quest’ultimo tra il 1993 e il 2002 è stato anche art director e copertinista. In Italia le sue storie sono pubblicate dal settimanale Internazionale. Nel 1982 ha ricevuto il Premio Yellow Kid a Lucca comics. Attualmente insegna alla School of Visual Arts di New York.

 

 

Recensione

Maus è un fumetto particolare. Perché? Perché è quasi interamente autobiografico; i personaggi sono rappresentati sotto forma di animali diversi in base alla nazionalità; non c’è filtro riguardo agli orrori dell’Olocausto.
La narrazione si divide tra presente (Art, autore che intervista il padre Vladek sopravvissuto ad Auschwitz) e passato (la vita di Vladek durante la seconda guerra mondiale), e il passato in ulteriori due parti: la vita degli ebrei nei ghetti polacchi e poi nei campi di concentramento.
Le tavole sono in bianco e nero. L’abilità dell’autore sta nella grande capacità espressiva dei personaggi, nonostante essi abbiano sembianze animali (gli ebrei sono topi). Nulla è filtrato durante la rappresentazione, tutto è esattamente come doveva apparire agli occhi di Vladek: la desolazione dei ghetti e dei campi, i corpi nudi e scheletrici, le cataste di cadaveri.
Un fumetto che, quando si conclude, lascia una sensazione di incompletezza che fa desiderare di volerne ancora e ancora, come quando non si è ancora pronti a salutare un caro amico. Da leggere anche per chi non è lettore abituale di fumetti.

 

 

 

Valutazione:

5

 

 

Se questo è un uomo – Primo Levi

La persuasione che la vita ha uno scopo è radicata in ogni fibra di uomo, è una proprietà della sostanza umana. Gli uomini liberi danno a questo scopo molti nomi, e sulla sua natura molti pensano e discutono: ma per noi la questione è più semplice.

Oggi e qui, il nostro scopo è di arrivare a primavera.

SE QUESTO È UN UOMO

Primo Levi

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Primo Levi, reduce da Auschwitz, pubblicò “Se questo è un uomo” nel 1947. Einaudi lo accolse nel 1958 nei “Saggi” e da allora viene continuamente ristampato ed è stato tradotto in tutto il mondo. Testimonianza sconvolgente sull’inferno dei Lager, libro della dignità e dell’abiezione dell’uomo di fronte allo sterminio di massa, “Se questo è un uomo” è un capolavoro letterario di una misura, di una compostezza già classiche. È un’analisi fondamentale della composizione e della storia del Lager, ovvero dell’umiliazione, dell’offesa, della degradazione dell’uomo, prima ancora della sua soppressione nello sterminio.

L’autore

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Primo Levi (Torino 1919-1987) è stato un romanziere, saggista e poeta italiano. Studiò chimica all’Università di Torino dal 1939 al 1941 e successivamente, mentre lavorava come ricercatore chimico a Milano, decise di unirsi a un gruppo ebraico della Resistenza, formatosi in seguito all’intervento tedesco nel Nord d’Italia nel 1943.

Catturato e deportato nel campo di sterminio di Auschwitz-Birkenau, sopravvisse perché impiegato in attività di laboratorio. Riprese il suo lavoro come chimico industriale nel 1946, ma si ritirò nel 1974 per dedicarsi interamente alla scrittura. I profondi strascichi psicologici dell’internamento nel campo di sterminio furono probabilmente la causa del suo suicidio, avvenuto nel 1987.

L’esperienza nel lager

In un mondo, quello dei lager nazisti, in cui ogni cosa sembra sfuggire al controllo della ragione, soltanto l’impegno della memoria può contrastare il trionfo dell’assurdo e dell’orrore. È questo il senso della scrittura di Primo Levi, misurata, lucida e essenziale, priva di esagerazioni retoriche, fragile testimonianza di un ideale di civiltà e dignità umana.

Iniziata con la stesura di Se questo è un uomo, la vocazione letteraria di Primo Levi ha dimostrato uno spessore artistico ed intellettuale che non può essere semplicemente ridotto alla categoria della testimonianza episodica, come fu per molti tra gli scampati ai campi di sterminio nazisti. L’esperienza della deportazione rimase sempre centrale nelle opere di Levi, analizzata con lucidità di pensiero: la malvagità di cui l’uomo era stato capace non trovò in lui né un facile assolutore né un superbo inquisitore.

Opere

 

1947 Se questo è un uomo Racconto dei mesi di prigionia nel campo di concentramento di Auschwitz
1963 La tregua Racconto del viaggio di ritorno dalla Polonia in Italia dopo la liberazione del campo di concentramento di Auschwitz; premio Campiello
1966 Storie naturali Racconti
1971 Vizio di forma Racconti
1975 Il sistema periodico
L’ osteria di Brema
Racconti
Raccolta di poesie
1978 La chiave a stella Romanzo; premio Strega
1981 Lilit e altri racconti
La ricerca delle radici. Antologia personale
Racconti
Pagine scelte dagli autori più amati da Levi
1982 Se non ora, quando? Scritti sulla guerra e sull’ebraismo; premio Campiello; premio Viareggio
1984 Ad ora incerta Poesie
1985 L’ altrui mestiere Saggi e articoli
1986 I sommersi e i salvati Riflessioni sull’universo concentrazionario
1986 Racconti e saggi Raccolta
1997 L’ ultimo Natale di guerra Racconti scritti tra il 1977 e il 1987; postuma
2002 L’ asimmetria e la vita: articoli e saggi 1955-1987 Raccolta di articoli comparsi su giornali e riviste; postuma

 

 

Fonte: Encarta

 

Recensione

Avete mai letto di cosa accadeva all’interno dei campi di concentramento nazisti? A parte ciò che dicono i libri di storia, intendo, che riportano notizie impersonali e numeri stampati su una pagina. Avete mai immaginato cosa voleva dire “vivere” in uno di quei campi? Come si poteva cercare di sopravvivere nella speranza di liberazione? Ebbene, se non l’avete fatto – ma pure se l’avete fatto – vi consiglio di documentarvi leggendo “Se questo è un uomo”. Non si tratta di un noioso saggio, ma un racconto di ciò che Levi ha vissuto e subito prima e durante la prigionia: il viaggio in treno; la separazione crudele degli uomini dalle donne e dai bambini; i soprusi dei capi reparto; il lavoro in condizioni inumane; i tradimenti e gli stratagemmi per ottenere del pane o della zuppa in più; gli scambi in una sorta di “mercato nero” interno; la sorte dei compagni. Il tutto ricco in pensieri e riflessioni sulla dimensione di “uomo” degli uomini che lo circondavano e in generale.

Tutti scoprono, più o meno presto nella loro vita, che la felicità perfetta non è realizzabile, ma pochi si soffermano invece sulla considerazione opposta: che tale è anche una infelicità perfetta. I momenti che si oppongono alla realizzazione di entrambi i due stati-limite sono della stessa natura: conseguono dalla nostra condizione umana, che è nemica dell’infinito. Vi si oppone la nostra sempre insufficiente conoscenza del futuro; e questo si chiama, in un caso, speranza, e nell’altro, incertezza del domani. Vi si oppone la sicurezza della morte, che impone un limite a ogni gioia, ma anche a ogni dolore. Vi si oppongono le inevitabili cure materiali, che, come inquinano ogni felicità duratura, così distolgono assiduamente la nostra attenzione dalla sventura che ci sovrasta, e ne rendono frammentaria, e perciò sostenibile, la consapevolezza.

Uno scritto florido anche di richiami alle opere dantesche che, non paradossalmente, ben si adattano alle situazioni descritte. “Se questo è un uomo” scava lentamente ma ferocemente dentro l’anima, rivelandoci gli aspetti più crudi e assurdi di noi stessi e dell’essere umano, scoprendoci indifesi e increduli di fronte a tanto odio, a tanta meschinità, al modo in cui l’uomo può ridurre i suoi simili. Allora forse erano più evidenti nella realtà, soprattutto in una condizione di guerra che “scopre le carte” di ognuno di noi rivelandone la natura, oggi celate all’evidenza ma non meno probabili.

Pochi sono gli uomini che sanno andare a morte con dignità, e spesso non quelli che ti aspetteresti.

Valutazione:

5+

Cantando sulle ossa

C’è una vecchia che vive in un luogo nascosto che tutti conoscono ma pochi hanno visto, pare in attesa di chi si è perduto, di vagabondi e cercatori.
È circospetta, spesso pelosa, sempre grassa, e desidera evitare la compagnia. Emette suoni più animaleschi che umani. Dicono viva tra putride scarpate di granito nel territorio indiano di Tarahumara. Dicono sia sepolta vicino a un pozzo. Dicono sia stata vista in viaggio su un carro bruciato. L’hanno vista avviarsi al mercato di Oaxaca con strane fascine sulle spalle. In realtà nessuno l’ha mai vista. Ha molti nomi: la Huersera, la donna delle ossa; la Trapera, la raccoglitrice; la Loba, la Lupa.
L’unica occupazione della Loba è la raccolta delle ossa.
Raccoglie e conserva in particolare quelle che corrono il pericolo di andare perdute per il mondo.
La sua caverna è piena delle ossa delle più varie creature del deserto: il cervo, il crotalo, il corvo.
Ma si dice che la sua specialità siano i lupi.
Striscia e setaccia le montagne e i letti prosciugati dei fiumi, alla ricerca di ossa di lupo, e quando ha riunito un intero scheletro, quando l’ultimo osso è al suo posto e la bella scultura bianca della creatura sta di fronte a lei, allora siede accanto al fuoco e pensa a quale canzone cantare.
E quando è sicura si leva sulla creatura, solleva su di lei le braccia e comincia a cantare. Allora le costole e le ossa delle gambe cominciano a coprirsi di carne e le creature si ricoprono di pelo.
La Loba canta ancora, e quasi tutte le creature tornano alla vita. Con la coda ispida e forte che si rizza.
E ancora la Loba canta e il lupo comincia a respirare.
E ancora la Loba canta così profondamente che il fondo del deserto si scuote e vibra, e mentre lei canta il lupo apre gli occhi, balza in piedi e corre lontano giù per il canyon.
Qualcuno dice di averla vista correre trafitta da un raggio di sole o di luna che lo colpisce alla schiena e di averlo visto trasformarsi in una donna che ride e corre libera e scalza verso l’orizzonte.
Così si dice che se vagate nel deserto, ed è quasi l’ora del tramonto, e vi siete un po’ perduti, e siete stanchi, allora siete fortunati… perché forse la Loba può prendervi in simpatia e mostrarvi qualcosa… qualcosa dell’anima.

da Donne che corrono coi lupi – Clarissa Pinkola Estes

 

Le ossa. La Loba. Il canto. La rinascita. Dicono che bisogna toccare il fondo per risalire. Non lo so, io credo di esserci andata vicino. Ma l’importante, appunto, è risalire. Come saggiamente fa il personaggio descritto in questa leggenda, bisogna venire a contatto con le “ossa”, con l’essenza di se stessi, delle cose, diventare coscienti davvero, consapevoli, per poter prendere in mano la situazione e risalire, rinascere.

Chi seguiva questo blog un paio di anni fa, sapeva che era molto attivo e con diverse rubriche, curiosità, recensioni. Ho abbandonato poi all’improvviso perché la vita “reale” richiedeva che prendessi contatto con le mie ossa, che ripartissi da zero. E l’ho fatto. È stato doloroso, faticoso, e il percorso verso la totale libertà non è ancora finito, ma quello che già vedo adesso, il panorama che si ammira da quest’altezza, da questo sentiero in salita, è fantastico rispetto al baratro in cui, mio malgrado, mi sono ritrovata anni fa. E vale ogni lacrima, ogni goccia di sudore e sangue, ogni notte insonne e ogni digiuno. Rompere gli schemi, prendere ciò che ci spetta, ciò che vogliamo, lottando contro le convenzioni sociali, il mondo intero se necessario, regala infiniti attimi di sorpresa, di leggerezza, di bellezza.

Il blog dunque riprende pian piano la sua vita, anche se non so ancora bene verso quale direzione orientarlo visto che io sono cambiata, maturata profondamente. A presto, dunque!

 

 

Nascere non basta.
È per rinascere che siamo nati.
Ogni giorno.
(Pablo Neruda)

 

Arrivederci

Ciao amici,

come state?

Scrivo questo post oggi per salutarvi. Mi piace molto curare il blog e le sue diverse rubriche, purtroppo però devo prendermi qualche mese di pausa per problemi di natura personale. È un arrivederci, non un addio. Tornerò a scrivervi presto, forse in primavera. Nel frattempo non dimenticate di leggere qualche bel libro e guardare bei film, di cui magari parleremo insieme.

Un saluto a tutti, passate un buon inverno.

A presto!

Ilaria

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THE HYBRID’S LEGACY SAGA – Francesca Pace

Salve a tutti,

oggi parliamo di una saga fantasy scritta da una talentuosa scrittrice italiana, Francesca Pace.

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EMMA

Emma è una ragazza semplice dall’inconsapevole fascino magnetico. La sua vita tranquilla, al confine dell’invisibilità, verrà sconvolta da un cambiamento radicale ed improvviso che la catapulterà nel complesso e violento mondo di streghe e vampiri. Un’inaspettata e travagliata transizione ne muterà in modo definitivo la natura e l’essenza trasformandola in un essere sovrannaturale mai esistito prima. Quando la straordinaria ragazza, accompagnata dai suoi amici di sempre e da un nuovo e viscerale amore, si troverà ad affrontare con coraggio la sua nuova vita imparando ad amarla e ad amare se stessa come mai prima, scoprirà di possedere uno sconfinato ed incontrastabile potere. È, questa, una appassionante ed intensa storia di amicizia, fratellanza e amore.

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GABRIEL. IL SIGILLO DELLA TREDICESIMA RUNA

Il secondo capitolo della saga “THE HYBRID’S LEGACY SAGA”, scritta da Francesca pace, ci traghetta in un’atmosfera dark, sanguinaria e voluttuosa.

Gabriel è un ragazzo come ce ne sono molti. Scapestrato e superficiale, conosce fin troppo presto i dolori che un’esistenza umana porta con sé. Attraverso la sofferenza e la morte impara la caducità della vita e la fragilità dei sentimenti. In una Scozia di fine 1400, Gabriel sceglierà le tenebre e l’oscurità dell’immortalità. Sceglierà di diventare un vampiro. Sangue e morte ne accompagnano l’esistenza vissuta nell’inconsapevolezza e nell’ignoranza del suo dono. Un sigillo che ne cambierà radicalmente le sorti. Una vita, la sua, vissuta al limite con al fianco Andrew, suo fratello, che mai lo abbandonerà neanche quando tutto in lui sembrerà essere perduto. Una storia che abbraccia quasi sei secoli, ricca di cambiamenti e repentini mutamenti che porteranno ad un’intima trasformazione interiore che toccherà il culmine nell’incontro con Emma, l’amore della vita di Gabriel. Sarà proprio l’amore, il motore che muove ogni cosa, a rendergli salva la vita e soprattutto l’anima.

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VINCOLO DI SANGUE

Il terzo capitolo della saga “THE HYBRID’S LEGACY SAGA” è il romanzo di cambiamento, di crescita. Nulla è come sembra. Il dolore, la morte, la magia…ogni cosa che ruota intorno alla vita di Emma e dei suoi compagni sta per essere sovvertita da un potere arcano e misterioso che entrerà nelle loro vite in modo violento. Le alleanze cambieranno e la schiera di Danielle si arricchirà di uno spietato e quanto mai inaspettato alleato pronto a tutto per prendere la vita di Emma… Anche quando il cuore di Emma vacillerà, incapace di sopportare questa nuova, dolorosa ed impensabile verità, lei dovrà trovare la forza di compiere il proprio destino…dovrà mettere a tacere il suo cuore fin troppo umano e le proprie emozioni…dovrà confrontarsi con la parte peggiore di sè per cercare di salvare il suo mondo. Che ruolo avrà la Congrega dei Guardiani in questa nuova battaglia? L’intimo sentimento che lega i due immortali saprà salvarli? Potrà l’amore assoluto che Emma prova per Gabriel rendergli salva la vita…ancora una volta? Amore, tormento, paura…questi i sentimenti che accompagnano le giornate della bella ibrida che porterà a compimento il suo cambiamento, divenendo una donna forte e coraggiosa in grado di ripristinare gli equilibri del proprio mondo anche a dispetto di un potere maledetto che tenterà di condurla attraverso le tenebre fino al luogo suo piú oscuro.

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PATRICK, spin off

Questo spin off della serie THE HYBRID’S LEGACY SAGA è un racconto di presentazione che pur nella sua brevità descrive il momento in cui il soldatino Patrick è costretto a maturare e a prendere coscienza di chi è e di cosa potrà diventare.

Lui sa benissimo di essere un guardiano, si allena per questo, ma non ha mai incontrato veramente dei nemici efferati e crudeli come Danielle che sono la personificazione mostruosa del male stesso. L’episodio orrendo a cui assiste e di cui è vittima gli apre gli occhi. Da qui inizia il percorso che lo renderà il Patrick che abbiamo conosciuto in “Vincolo di sangue”.

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Perché è consigliato?

Perché Francesca Pace è una giovane scrittrice brava e intraprendente, e i suoi libri sono scritti in maniera accattivante. 😉 Che aspettate? Cliccate qui.

Buona lettura!

Il segreto del libro proibito – Karen Marie Moning

Ciao amici,

da voi è arrivato l’autunno vero e proprio? Finalmente!

E non c’è niente di meglio che dedicarsi alla lettura. Ogni tanto leggo libri un po’ più “leggeri” ed è il caso del libro di cui vi parlo oggi.

IL SEGRETO DEL LIBRO PROIBITO (FEVER)

Karen Marie Moning

Leggereditore

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Trama

Un libro proibito che viene dal passato. Una libreria, la porta verso un’altra verità. Un libraio misterioso e le sue ombre. Una donna e un destino legato a quello dell’umanità… Quando la sorella viene uccisa, Mac Lane è costretta a mettere in dubbio la sua stessa identità. Con un solo indizio, la ragazza parte per l’Irlanda, decisa a vederci chiaro. Da subito comprende che non si tratta di un semplice omicidio. Chi era realmente sua sorella? E perché ha provato a decifrare l’antichissimo Sinsar Dubh?

L’autrice

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Karen Marie Moning è una scrittrice americana, nata in Ohio. Dopo aver esercitato per anni la professione di medico legale, ha deciso di intraprendere la carriera dei suoi sogni: quella di scrittrice. Quattro manoscritti dopo, senza contare le decine di lavori part-time, Highlander: amori nel tempo è stato pubblicato da Bantam ed è stato nominato a due RITA Award. La sua fortunata serie sugli Highlander ha scalato le classifiche più prestigiose: New York Times, Usa Today, Publishers Weekly. I suoi romanzi hanno ricevuto diversi riconoscimenti ufficiali e sono stati pubblicati in numerosi paesi, fra i quali Germania, Francia, Inghilterra, Spagna.

Recensione

Ci troviamo davanti a un libro che non è collocabile in un genere netto e definito, ma che tuttavia riesce a mescolare in maniera soddisfacente i tratti principali dell’urban fantasy, del paranormal romance e del thriller.

La protagonista all’inizio è così frivola e superficiale che sono stata tentata di abbandonare la lettura. Tuttavia nel corso delle vicende matura un poco e acquista qualche buona qualità che la rende meno antipatica.

Alcune parti del testo sono troppo descrittive e lente, noiose, mentre altre coinvolgenti.

Uno dei pregi principali è lo stile dell’autrice: ironico e pungente, fa scappare più di una risata.

Al termine del libro ci ritroviamo con più domande che risposte, il che costringe a leggere il seguito.

In definitiva una lettura leggera ideale per accompagnare qualche pomeriggio di relax.

Valutazione:

4

Seija, Millennio di Fuoco – Cecilia Randall

Ciao amici!

Credo che ormai siate tutti tornati dalle ferie, eh? Non disperate, si può sempre leggere.

Io sono qui con una nuova recensione. Udite, udite: parliamo di un fantasy.

 

SEIJA – MILLENNIO DI FUOCO

Cecilia Randall

Mondadori

Seija

Trama

Baviera 1999 d.C. Mille anni sono trascorsi da quando il demoniaco popolo vaivar è apparso in Europa, muovendo dalle lande desolate oltre il Volga per reclamare il possesso delle terre abitate dagli umani e cambiare la Storia per sempre. Da allora una guerra infinita strazia il continente ormai condannato a un eterno medioevo, in cui i regni nati dalle ceneri dell’antico Sacro Impero sopravvivono a fatica tra alleanze precarie, rovesciamenti di fronte ed epidemie. I vaivar avanzano con armate di creature innaturali e spaventose, i manvar: la loro marcia procede inesorabile e sono giunti ormai nel cuore della Baviera. Ed è qui che troviamo Seija, giovane coraggiosa e tenace, l’erede di un’antica stirpe di guerrieri pagani, cacciati dalle terre di Kaleva proprio in seguito all’invasione dei vaivar. Adesso il suo popolo, decimato e nomade, sopravvive offrendo ai cristiani la propria abilità militare in cambio di cibo e di un luogo sicuro in cui piantare le tende. Seija è pronta alla lotta contro l’esercito vaivar comandato dal più grande nemico degli umani: Raivo, il Traditore dalla Mano Insanguinata, stratega temibile, condottiero spietato e unico uomo a essersi venduto anima e corpo ad Ananta, l’immortale regina dei vaivar, per farsi trasformare in un demone plurisecolare e sterminare quella che una volta era la sua specie. Ma quando Seija è costretta ad affrontare il Traditore nel pieno della battaglia, il fantasma di un antico segreto cambia per sempre il suo destino.

L’autrice

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Cecilia Randall, pseudonimo di Cecilia Randazzo, è una scrittrice italiana, autrice di romanzi fantasy e racconti. È conosciuta in particolar modo per la trilogia di Hyperversum. Nata a Modena, dopo aver frequentato il liceo linguistico si è laureata in Lingue e Letterature Straniere presentando una tesi sul Romanticismo tedesco e le sue influenze sulla cultura italiana dell’Ottocento. Dopo la laurea ha ottenuto un master in Comunicazione e Tecnologie dell’Informazione presso l’Università di Bologna. Lavora come grafico e web designer in un’azienda specializzata in servizi per il web e occasionalmente come illustratrice.

Nel dicembre 2006 ha pubblicato il romanzo Hyperversum, con il quale si è aggiudicata nel 2007 il Premio Letterario Nazionale Insula Romana (XXX edizione) per la sezione “Narrativa edita ragazzi”. Nell’ottobre 2007 è stato pubblicato il secondo romanzo della serie, Hyperversum – Il falco e il leone e il 14 gennaio 2009 il terzo romanzo, Hyperversum – Il cavaliere del tempo. Il 19 ottobre 2010 è stato pubblicato il romanzo Gens Arcana, ambientato nella Firenze rinascimentale di Lorenzo de’ Medici.

La scrittrice ha inoltre partecipato alla stesura delle antologie L’ombra del duomo e Mutazioni insieme ad altri scrittori, utilizzando il proprio vero nome. Nel 2009 ha dato alle stampe il racconto Angeli e uomini, nell’antologia Sanctuary.

Il 15 ottobre 2013 è stato pubblicato il romanzo Millennio di fuoco – Seija. Il secondo e ultimo romanzo della saga, Millennio di fuoco – Raivo, è stato pubblicato il 16 settembre 2014. Il 5 ottobre ha avuto un figlio che ha rinviato tutti i progetti futuri al 2015.

Recensione

Diciamolo subito (anche se chi mi segue da un po’ ne è già a conoscenza): il fantasy non è il mio genere preferito, tuttavia ultimamente sto apprezzando diversi libri del genere. Questo in particolare mi è stato consigliato da un’amica. Spesso apprezziamo le stesse letture, per cui l’ho comprato a occhi chiusi. Devo dire che è stata una scelta azzeccata.

La storia, che crea un universo parallelo in cui il medioevo si è protratto fino ai giorni nostri, è interessante e ben narrata. I personaggi sono realistici nonostante il contesto fantasioso. Le metafore utilizzate dall’autrice sono originali e funzionali, accattivanti. I punti di forza maggiori sono la straordinaria descrizione degli ambienti, che raccoglie tutti i cinque sensi e li esalta senza forzature, e l’ottima descrizione delle scene dinamiche, nonché una protagonista forte e carismatica ma profondamente umana.

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Valutazione:

5

La rosa selvatica – Jennifer Donnelly

Ciao a tutti amici,

l’estate è quasi finita ma se siete ancora sotto l’ombrellone non può mancare un bel libro.

 

LA ROSA SELVATICA

Jennifer Donnelly

Sonzogno

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Trama

Londra, 1914. In seguito al tragico incidente sulle vette del Kilimangiaro, l’anticonformista e caparbia scalatrice Willa Alden taglia i ponti con il proprio passato e con Seamus Finnegan, l’uomo che l’ha salvata e che a lei è unito dalla passione per le imprese più estreme. Eroe delle esplorazioni polari, Seamus cerca di rifarsi una vita a Londra, provando a dimenticare quella donna che l’aveva sedotto, mentre Willa si rifugia in un angolo remoto del Nepal da cui contemplare e fotografare le cime dell’Himalaya per la Royal Geographical Society. Finché un evento improvviso la richiama a Londra, una città in fibrillazione per le tensioni che precedono la Prima guerra mondiale, dove Max von Brandt – l’enigmatico alpinista tedesco conosciuto in Nepal da Willa – è riuscito ad affascinare i salotti dell’élite e a carpire i segreti dei più influenti uomini politici. L’inatteso incontro tra i tre darà inizio a una serie di avventure che li porterà di nuovo a viaggiare, persino in Egitto e Siria al fianco di Lawrence d’Arabia, in un vorticoso succedersi di colpi di scena e sentimenti che intrecceranno sempre più saldamente i loro destini. Esploratori, furfanti, criminali, spie e alta società. Le vette incontaminate dell’Everest, Londra e il deserto del Nord Africa.

L’autrice

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Jennifer Donnelly (16 Agosto 1963) è una scrittrice americana.

La Donnelly è nata a Port Chester, New York . I suoi bisnonni paterni emigrarono da Dublino, Irlanda allo stato di New York e si stabilirono nella Adirondack regione dove la nonna lavorava in un albergo sul Big Moose Lake. Ha frequentato l’università di Rochester, laureandosi in Letteratura Inglese e Storia europea.

Tornò a New York all’età di 25 anni. Il suo primo libro è stato pubblicato da Atheneum nel 2002: Humble Pie, un libro illustrato dall’illustratore veterano Stephen Gammell. Nello stesso anno ha anche pubblicato il suo primo romanzo, il prodotto di dieci anni di lavoro, I giorni del tè e delle rose (Thomas Dunne, 2002). Si tratta del primo libro di una trilogia; è ambientato nell’East End di Londra nel tardo 19 ° secolo, con legami con la storia di Jack lo Squartatore. Il secondo libro, Come una rosa d’inverno, prosegue il racconto, seguendo la famiglia Finnegan e i personaggi correlati da Londra all’Africa, alla California. Il terzo romanzo della serie, La rosa selvatica, segue i personaggi da Londra alla vigilia della prima guerra mondiale in Arabia nel 1918.

Il romanzo A Northern Light è il più grande successo di Donnelly fino a oggi. Si basa sull’omicidio di Grazia Brown nelle montagne Adirondack nel 1906. Nel 2004 A Northern Light ha vinto la Carnegie Medal per libri per bambini e giovani-adulti pubblicati in Gran Bretagna, in cui è stato intitolato A Light Gathering. Negli Stati Uniti ha vinto il Los Angeles Times Book Prize per la letteratura giovane.

Il suo secondo romanzo young adult, Revolution, è la storia di due adolescenti nell’attuale Brooklyn e a Parigi durante la Rivoluzione francese, le cui storie si intrecciano.

Donnelly attualmente vive a New York, Hudson Valley con il marito, la figlia e tre cani.

Recensione

Io AMO i libri come questo: i libri in cui la precisione dei dettagli storici è importante tanto quanto la storia narrata. L’attività di documentazione è stata senz’altro impegnativa ma ha dato frutti fantastici, perché l’autrice riesce a far respirare al lettore in maniera efficace atmosfere diverse del secondo decennio del Novecento: dall’uggiosa Londra alla vastità della regione dell’Everest, dalla confortevole campagna inglese al rovente deserto arabo.

La storia intreccia le vite di personaggi conosciuti nel primo e secondo libro della trilogia (che ho recensito rispettivamente qui e qui), personaggi a cui il lettore è ormai affezionato. Tuttavia se una persona che non ha letto i capitoli precedenti dovesse trovarsi tra le mani questo libro, potrebbe tranquillamente leggerlo, comprenderlo e apprezzarlo.

Certe volte, soprattutto verso metà libro, si ha l’impressione che ci sia un po’ troppa carne sul fuoco: una rete spionistica da sgominare, un omicidio su cui indagare, persone da proteggere, e poi bambini scambiati alla nascita, intrighi politici, tradimenti amorosi e molto altro, tuttavia man mano che si avanza nella lettura i nodi vengono al pettine e si sciolgono da soli senza forzature o intoppi nella trama. Inoltre secondo me, tra tutti i personaggi maschili della trilogia, Seamus Finnegan è il più riuscito, il migliore dal punto di vista umano, e nonostante i tradimenti il più onesto. La protagonista femminile invece, Willa Alden, è così tempestosa, indomita e indipendente da ricordare proprio una rosa selvatica.

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L’autrice è abile anche nel saltare le parti noiose dello sviluppo di una vicenda senza far apparire la narrazione mutilata e, al contrario, anche nel svelare dettagli che si riveleranno importanti ma che appaiono in scene apparentemente secondarie.

Un bel libro di spessore storico che non può mancare nella libreria di chi ha letto I giorni del tè e delle rose e Come una rosa d’inverno.

Valutazione:

5

La farfalla con le ali di cristallo – Demetrio Verbaro

Salve amici!

L’estate sta finendo e sta per arrivare l’autunno! Io amo l’autunno, e voi?

Oggi vi parlo del nuovo libro di un autore che conosciamo ormai bene qui sul blog: Demetrio Verbaro.

 

LA FARFALLA CON LE ALI DI CRISTALLO

Demetrio Verbaro

Lettere animate

 

Cattura

Trama

Il 3 marzo del 1520, il sacerdote azteco Ghetumal consegna al conquistadores spagnolo Hernan Cortes un libro sacro. Ghetumal l’aveva trovato qualche anno prima sotto la statua della dea della pioggia. Nessuno sa chi l’ha scritto, né quando. Nel libro c’è sia una profezia sul futuro: il 18 agosto del 2044 qualcosa sconvolgerà il mondo, e sia una mappa da decifrare per cambiare il corso degli eventi.
Los Angeles 2043. L’esploratore Matthew Lekos e lo studioso di storia Walden Green entrano in possesso del libro. Derisi dalla comunità scientifica per la loro ingenuità, sono gli unici a credere nella profezia e riescono a decifrare la mappa, cercando in tutti i modi di aiutare l’umanità.
La profezia sarà vera? Cosa succederà il 18 agosto del 2044?
In un susseguirsi di colpi di scena, tra svolte imprevedibili e pagine piene di suspence, il lettore arriverà all’incredibile finale.
Il romanzo è un thriller intimistico ambientato in un futuro prossimo, con uno stile diretto e ricco di pathos.

Recensione

Allora, partiamo dalla copertina: mi piace un sacco. Davvero ben fatta, accattivante.

Per quanto riguarda il libro devo dire che sono rimasta stupita dall’argomento, visto che i due libri precedenti dell’autore erano incentrati su tutt’altri temi (potete leggere le recensioni qui). Si tratta di una prova che egli supera egregiamente, poiché riesce a raccontare bene vicende movimentate, avventurose e misteriose. Certi passaggi risultano un po’ rapidi, tuttavia siamo di fronte a una storia dai buoni spunti.

I personaggi sono particolari, non quelli stereotipati che ci si aspetterebbe con una trama del genere. Quello che ho apprezzato di più è stato Walden Green, poiché è una persona più vera, più “viva” di quelle che lo circondano e vanta ideali che, per l’epoca in cui vive, lo collocano al di fuori della massa. In un’epoca in cui la tecnologia è parte integrante della vita quotidiana ancor più di quanto lo è oggi, la sua ritrosia a lasciarsi coinvolgere completamente dalla vita “online” è ammirevole.

Tra l’altro, il futuro in cui è ambientata la storia è un futuro prossimo che per innovazioni tecnologiche potrebbe essere assolutamente plausibile. Qui l’autore ha avuto secondo me un buon intuito.

Libro consigliato agli amanti del genere e non.

Valutazione:

4

Un’opera d’arte al mese #10 – Il Canal Grande verso il ponte di Rialto

Salve amici,

per l’appuntamento di agosto della rubrica Un’opera d’arte al mese ho scelto un paesaggio tutto italiano.

Titolo del dipinto

Il Canal Grande verso il ponte di Rialto

Artista

Canaletto

Anno di realizzazione

1730

Dimensioni

49 x 73 cm

Tecnica

Olio su tela

Dove si trova

Museum of Fine Arts, Houston, Texas.

Curiosità

Quando re Giorgio III acquistò la collezione di Joseph Smith, nel 1762, essa comprendeva molte delle maggiori opere del Canaletto che furono conservate nella Royal Collection. Oggi ancora molte appartengono alla famiglia reale.

Il dipinto

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La grande maggioranza delle opere del Canaletto era indirizzata al mercato dei turisti, e questo dipinto non fa eccezione. Molte vedute erano commissionate da ricchi turistiche volevano un ricordo della città.

Il Canal Grande è l’arteria principale di Venezia. Questo ampio corso d’acqua è una sorta di specchio per i magnifici edifici della città, e crea un panorama da favola. Canaletto cercava di catturare l’animazione della città per com’era veramente. In quest’opera possiamo vedere i biglietti della lotteria venduti da un bracchino sulla banchina, e i famosi gondolieri di Venezia alla ricerca di clienti. Sono vestiti con elaborati costumi, che in genere venivano indossati per una regata. Sul lato sinistro del dipinto di possono notare diversi palazzi: il Dolfin Manin, il Bembo e l’enorme Grimani, che è ora la sede della Corte d’Appello.

L’artista

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Canaletto era il soprannome di Giovanni Antonio Canal (Venezia 1697-1768), pittore italiano, famoso per le vedute di Venezia. La sua formazione artistica fu influenzata dall’attività del padre, scenografo di cultura barocca. Fu durante un viaggio a Roma compiuto al suo seguito (1719) che il giovane cominciò a dipingere paesaggi e vedute di rovine classiche, avvicinandosi a un genere pittorico che stava in quel momento conoscendo una crescente fortuna. Principali committenti erano i nobili inglesi impegnati nel Grand Tour, il lungo viaggio attraverso le principali città europee compiuto per perfezionare la propria istruzione: quadri dedicati a monumenti famosi e scorci caratteristici delle città italiane erano infatti richiesti come preziosi souvenir da riportare in patria.

LA PRIMA PRODUZIONE VENEZIANA

A Venezia il Canaletto perfezionò la sua arte e si affermò ben presto come uno dei più noti pittori di vedute: tra i soggetti più frequenti, il Canal Grande, San Marco, scene di regate e feste sull’acqua (come l’annuale Sposalizio del mare). La sua tecnica, innestata sulla tradizione coloristica e luministica veneziana (nella quale si distinguevano le figure di Marco Ricci e Luca Carlevarijs), si arricchì di una sicura conoscenza delle regole della prospettiva e di una cura per il particolare nitido e minuzioso, che egli derivò dai fiamminghi. L’evoluzione artistica del Canaletto è segnata da tappe abbastanza scandite. Nelle opere giovanili ricorrono colori scuri e saturi, con i quali vengono rese atmosfere umide, cieli bui, scene di imminente tempesta. La propensione per i contrasti chiaroscurali si nota del resto nella produzione di acqueforti, della quale famose furono la serie di 38 vedute eseguita nei primi anni Quaranta per il mercante d’arte Joseph Smith (ora a Windsor nelle Royal Collections) e le 24 vedute conservate nella collezione del duca di Bedford a Woburn Abbey. Le opere successive denotano invece uno stile pittorico più fluido e maturo, insieme a uno spostamento d’interesse verso la rappresentazione della piena luce solare e l’uso di colori brillanti. Ne sono splendidi esempi la Regata sul Canal Grande (1735-1741, National Gallery, Londra) e il Bacino di San Marco (1735-1740, Museum of Fine Arts, Boston).

LE OPERE LONDINESI

Nel 1746, quando la guerra di successione austriaca ridusse drasticamente l’afflusso di viaggiatori inglesi a Venezia, Canaletto si trasferì a Londra. In Inghilterra, dove rimase fino al 1755, dipinse vedute del Tamigi e della campagna, adattando felicemente la sua tecnica ai soggetti e alle atmosfere del paese. Appartengono al periodo inglese il Tamigi e la City dalla Richmond House e Whitehall e il Privy Garden (entrambi del 1746, Collezione Richmond e Gordon, Goodwood).

IL RITORNO A VENEZIA

Tornato a Venezia, Canaletto continuò a godere di un cospicuo successo e a ottenere importanti riconoscimenti (nel 1763 fu nominato membro dell’Accademia), anche se la produzione degli ultimi anni pare segnare una sorta di involuzione della sua arte, con toni approssimativi e una certa ripetitività di temi. La sua opera rimase comunque fondamentale sia per i contemporanei sia per le scuole pittoriche che seguirono: fu l’indiscusso capostipite del vedutismo veneto del Settecento e il suo influsso si risente fin nella pittura di paesaggio dell’Ottocento.

Curiosità

Nel dipinto Il ponte di Walton il Canaletto si è raffigurato nei panni dell’artista seduto sullo sgabello, intento a registrare fedelmente la scena e i personaggi di fronte a lui.

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L’ombra del peccato – Silvia Scibilia

Buongiorno a tutti!

Come va l’estate? Siete in vacanza o al lavoro? Fa caldo?

Io sono qui a presentarvi il libro di un’autrice emergente.

L’OMBRA DEL PECCATO

Silvia Scibilia

L'OMBRA DEL PECCATO

Trama

Quando Herman Autier abbandona l’Inghilterra, per cercare fortuna nella contea di Sicilia, vuole lasciarsi alle spalle il tradimento della sua famiglia e ricominciare una nuova vita. Herman possiede molte doti, è un cavaliere, un colto giurista e ha l’abilità di volgere a proprio vantaggio ogni esperienza senza rinunciare all’onore. È grazie a tali facoltà che Ruggero D’Altavilla gli affida una missione. Introdotto a casa di Baltasar Flores, un ricco mercante di libri, deve studiare i codici antichi presenti nella sua biblioteca. È lì che scopre il tesoro più grande del mercante, sua figlia Clara. I suoi sogni sembrano avverarsi. Una donna coraggiosa e colta da amare e una ricchezza senza pari da usare per i suoi fini. Ma l’ombra del peccato che ha avvelenato la sua esistenza nel castello natio lo insegue e sembra allontanarlo da Clara e dalla Sicilia per sempre. 

L’autrice

Silvia Scibilia è un’autrice siciliana di narrativa romantica di genere contemporaneo e storico. Tra le sue pubblicazioni Ghiacciolo con Nutella, Odio amare, Sogno proibito, 6 in stand-by, Notturno, Valzer, Preludio e Sinfonia.

Visita il suo blog, qui.

Recensione

Diciamo subito (e molti di voi lo sanno già) che sono un po’ pignola, soprattutto per quanto riguarda la lingua italiana e l’uso che se ne fa nei libri. Una storia buona infatti può perdere del tutto la sua validità se supportata da un registro linguistico inadeguato o ancor peggio se sono presenti errori grammaticali. Ne ho trovati a bizzeffe nei libri di molti grandi editori e la cosa lascia intendere quanta cura essi si prendano dei testi (posso dire che ormai sono più commerciali della Coca Cola?).

Questa premessa è per dirvi che, ciò che mi ha colpito subito nel libro di Silvia Scibilia è l’assoluta cura del linguaggio, la precisione dei termini, il registro linguistico ideale e non esiste errore di ortografia o grammatica. Leggere questo libro è piacevole perché non si incontrano quei fastidiosi ostacoli alla lettura a cui ho accennato sopra e questo per me è un grande pregio, ancor di più perché si tratta di un libro auto pubblicato.

Passiamo ora ad altri aspetti. La storia è ambientata alla fine dell’undicesimo secolo, il che è un territorio non troppo esplorato nei romanzi storici, che anzi spesso vengono ambientati nel diciottesimo e diciannovesimo secolo. L’ambientazione è pregevole e ben descritta e i particolari tendono a creare un’atmosfera realistica.

I protagonisti sono ben descritti: lui prestante, colto e con un po’ di sano egoismo, lei una ribelle per l’epoca, acculturata e ancora nubile.

A dispetto dell’introduzione lenta le vicende si sviluppano poi con il ritmo giusto.

In definitiva una bella storia, da non perdere per gli appassionati del genere.

Valutazione:

4

Trovate il libro su Amazon. Buona lettura!

Hodoeporicon – Andrea Micalone

Salve amici,

come va l’estate?

Sono qui oggi per presentarvi il libro di un bravo e giovane scrittore di cui vi ho già parlato in precedenza, qui  e qui.

Questo suo nuovo romanzo si discosta dal fantasy classico per approdare alla science fiction con tratti thriller.

 

HODOEPORICON

Andrea Micalone

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Trama

Romanzo finalista al “Premio Urania” della Mondadori Edizione 2012-2013

Barcellona, anno 2026.

Il viaggio nel tempo è entrato nelle modalità d’indagine della polizia. I cronoagenti, costretti a operare nel più stretto riserbo, sono tra noi e analizzano le vite di coloro che saranno assassinati in futuro.

Uno dei membri della Cronoforza Speciale, nome in codice “Tom Duval”, riceve l’incarico di investigare sul brutale omicidio di un anziano signore di origini italiane: Antonio Palmenti.

Duval, però, comprende subito che la vicenda lo coinvolge personalmente, poiché sul luogo del delitto trova la propria fede nuziale. È evidente che qualcuno vuole incastrarlo. Egli inizia così un viaggio a ritroso nel tempo per capire cosa lo lega alla vittima e a tutti i personaggi che vorticano in questa storia dai contorni poco chiari. I retroscena che sta per scoprire cambieranno per sempre la sua esistenza.

Un romanzo innovativo, che scorre all’indietro, partendo dal finale e conducendo il lettore in un cammino capovolto. I capitoli si muovono in un’inversione temporale che accompagna il viaggio del protagonista e che rende questo libro qualcosa di unico nel suo genere.

Perché è consigliato?

Andrea Micalone è abile nel descrivere vicende avvincenti e ambientazioni non comuni, che proiettano il lettore all’interno delle sue storie. Un libro, questo, particolare che sa offrire anche spunti di riflessione e sogni a occhi aperti.

Link utili

 

Buona lettura!

Un’opera d’arte al mese #9 – Fienagione a Éragny

Buongiorno a tutti,

eccoci con il nuovo appuntamento della rubrica Un’opera d’arte al mese. Con il dipinto di oggi, che ho scelto perché rievoca i lavori estivi nei campi, torniamo all’Impressionismo, la mia corrente artistica preferita.

Titolo del dipinto

Fienagione a Éragny

Artista

Camille Pissarro

Anno di realizzazione

1901

Dimensioni

53 x 64 cm

Tecnica

Olio su tela

Dove si trova

The National Gallery of Canada

Curiosità

Pissarro fu l’unico artista a esporre i suoi dipinti in tutte le mostre impressioniste.

Il dipinto

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Nel 1884 Pissarro e la sua famiglia si trasferirono nei luoghi raffigurati in Fienagione a Éragny, sulle rive dell’Epte, un affluente della Senna. Quella zona si rivelò perfetta per catturare le bellissime scene di vita idilliaca campestre. Fu qui che il pittore visse fino alla fine dei suoi giorni.

L’artista

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Camille Pissarro (Saint-Thomas, Isole Vergini 1830 – Parigi 1903) fu un pittore impressionista francese originario delle Antille. A Parigi, dove studiò, entrò in contatto con il paesaggista Camille Corot e strinse amicizia con Monet, Renoir e Cézanne. Nel 1863, in rottura con l’accademismo ufficiale, espose al Salon des refusées a fianco di Jongkind, Manet e Whistler. Durante la guerra franco-prussiana (1870-71) si rifugiò in Inghilterra, dove si dedicò allo studio dell’arte, in particolare dei paesaggi di J.M.W. Turner.

Tra il 1874 e il 1896, dopo il ritorno in Francia, partecipò a tutte le mostre degli impressionisti, diventando il difensore dei giovani artisti, come Gauguin, Signac, Seurat. Tra le composizioni di questi anni, luminose e ben costruite, figurano Pontoise (1872, Louvre, Parigi) e I tetti rossi (1877, Musée d’Orsay, Parigi). Verso il 1885 sperimentò brevemente la tecnica del puntinismo, per poi tornare a uno stile impressionista più libero. Dedicò gli ultimi anni alle vedute di Parigi e di Rouen, tra cui si ricorda Place du Théâtre français (1898, Musée de Reims).

 

 

La corrente artistica

 

L’Impressionismo è una corrente artistica sviluppatasi in Francia nella seconda metà dell’Ottocento, nata dal rifiuto delle tradizioni pittoriche e scultorie contemporanee, a soggetto classico o sentimentale, e dello stile promosso dall’Accademia di belle arti di Parigi, tecnicamente meticoloso e incentrato sul lavoro in studio. Per estensione, il termine “impressionismo” è stato applicato anche a certa produzione musicale dell’inizio del XX secolo. Tra i principali pittori impressionisti si ricordano Edgar Degas, Claude Monet, Berthe Morisot, Camille Pissarro, Pierre-Auguste Renoir, Alfred Sisley e Jean-Frédéric Bazille.

I FONDAMENTI DELL’IMPRESSIONISMO

Tradizionalmente l’Accademia imponeva le direttive alle quali tutta l’arte francese avrebbe dovuto uniformarsi e allestiva le esposizioni del Salon di Parigi, organo ufficiale della promozione artistica e della formazione del gusto. Gli impressionisti rifiutarono questi dettami e queste costrizioni, preferendo ispirarsi alla natura e alla vita quotidiana piuttosto che alla classicità o alla storia aulica, e rigettando d’altra parte anche il sentimentalismo tardoromantico (vedi Romanticismo) allora in voga. Scelsero di lavorare all’aperto anziché in studio, interessandosi principalmente agli effetti della luce naturale.

Se la pratica accademica si fondava sull’accuratezza del disegno, la precisa descrizione dei dettagli, la perfetta definizione delle forme attraverso sfumature di colore e chiaroscuro, gli impressionisti, invece, elaborarono una tecnica pittorica in grado di riprodurre la percezione visiva del reale, nella quale i contorni non sono mai netti e i colori, colpiti dalla luce, appaiono vivi, spesso cangianti.

Il procedimento si fondava sulla stesura di brevi pennellate di pigmento puro, che giustapponevano perlopiù colori primari (rosso, giallo e blu), mettendoli in contrasto con i complementari (verde, viola, arancio ecc.): ne risultava un’immagine rozza e frammentaria se analizzata da vicino, ma straordinariamente efficace dalla consueta distanza d’osservazione, caratterizzata da una luminosità più accesa di quella solitamente prodotta mescolando i colori prima di applicarli alla tela.

FONTI: ENCARTA, CAPOLAVORI DELLA PITTURA

Tregua #3 è arrivato

Ciao amici!

Tanti di voi mi hanno chiesto più di una volta quando sarebbe uscito, ebbene: eccolo qui!

 

TREGUA #3 – LO STESSO SANGUE

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Primavera 1944. In fuga dopo quello che potrebbe essere classificato come omicidio, Elisa ed Enea lasciano in tutta fretta Martina Franca per riparare a Napoli, dove un misterioso e altolocato amico di Enea può offrire loro rifugio. Mentre il rapporto con lo stravagante pittore si fa involontariamente sempre più stretto, la ragazza è dolorosamente consapevole della vita che ha lasciato in sospeso e dell’uomo che ama, di cui purtroppo ha perso ogni traccia. Spinta dal senso del dovere, dall’amore e dalla volontà di sentirsi ancora viva, di essere utile al mondo, prende una decisione che la cambia per sempre e la spinge a entrare di forza nel cuore cruento e palpitante del conflitto mondiale, nonché nelle case e negli animi dei patrioti della grande Resistenza nell’Italia occupata dai nazisti.
Un viaggio negli aspetti più umani della guerra: la prima linea vista dai civili e i soprusi della libertà negata da un popolo straniero che fa da padrone, alla scoperta delle reazioni umane nei momenti più disperati e, ancora una volta, della forza dell’amore e della speranza.

Per chi non ha letto i libri precedenti ricordo che si tratta di una trilogia, e questo è l’ultimo.

Per festeggiare l’uscita di Tregua #3, il primo capitolo della saga Tregua #1 è disponibile in download gratuito e Tregua #2 costa solo 0,99 €. Mentre Tregua #3 è in offerta lancio a 1,99 €. Sono disponibili anche in versione cartacea.

Cosa aspettate? Approfittatene, condividete, invitate gli amici!

Qui sotto i link. Buona lettura a tutti, magari lasciatemi un commento su Amazon 😉

PS

Se qualcuno ha voglia di mettere mipiace su Facebook alla mia pagina autrice e alla pagina dedicata alla saga ve ne sarò grata 🙂

Mass Effect: Revelation – Drew Karpyshyn

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Salve amici,

come procede l’estate? Quali letture vi tengono compagnia sotto l’ombrellone?

Come per Il trono usurpato di David Gaider, ispirato alla saga di videogiochi Dragon Age, anche oggi vi parlo di un romanzo ispirato a una serie di videogiochi, Mass Effect.

 

MASS EFFECT: REVELATION

Drew Karpyshyn

Multiplayer Edizioni

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Trama

Ogni società progredita della galassia dipende dalla tecnologia dei Prothean, un’antica razza aliena scomparsa cinquantamila anni fa. Nel 2148, dopo la scoperta su Marte di un deposito contenente tecnologia Prothean, l’umanità è pronta ad affrontare la sua sfida più grande: la conquista del cosmo. Ai confini dello spazio colonizzato, il comandante dell’Alleanza ed eroe di guerra David Anderson indaga sui resti di una stazione di ricerca militare top secret: rovine fumanti disseminate di corpi senza vita e domande senza risposta. Chi ha attaccato quell’avamposto, e con quale obiettivo? Chi è Kahlee Sanders, la giovane scienziata misteriosamente scomparsa dalla base poche ore prima che i suoi colleghi fossero massacrati? Sanders è la prima sospettata, ma trovarla crea ad Anderson più problemi di quanti ne risolva. Costretto ad allearsi con un agente alieno di cui non può fidarsi e inseguito da un assassino implacabile, Anderson affronta sfide impossibili su mondi sconosciuti per portare alla luce una tremenda cospirazione. Certamente non riuscirà a sopravvivere per raccontare ciò che ha scoperto… o almeno questo è quello che credono i suoi nemici.

 

 

L’autore

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Drew Karpyshyn (Edmonton, 28 luglio 1971) è uno scrittore e autore di videogiochi canadese. Di origini ucraine, inizia la carriera come game designer dalla Wizards of the Coast, per poi essere assunto dalla BioWare, dove scrive background e sceneggiatura di Star Wars: Knights of the Old Republic ed è uno dei lead writers di Jade Empire. Collabora, inoltre, allo sviluppo di diversi giochi della saga di Baldur’s Gate. È autore di diversi romanzi ambientati nel mondo dei Forgotten Realms e di Guerre stellari. Ricopre il ruolo di lead writer dell’action RPG Mass Effect, di cui scrive anche una sorta di prequel (Mass Effect: Revelation) oltre ad un altro romanzo ambientato pochi mesi dopo gli eventi narrati nel videogioco (Mass Effect: Ascension). Collabora, con lo stesso incarico, anche al seguito Mass Effect 2 e al MMORPG Star Wars: The Old Republic.

 

Recensione

Ho scelto di leggere questo libro perché il videogioco mi ha appassionato molto, ma devo ammettere che mi ci sono approcciata senza grandi aspettative. La lettura invece si è rivelata una piacevole sorpresa.

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La storia rappresenta un prequel importante agli eventi di Mass Effect 1, è narrata con uno stile efficace e in maniera avvincente, mai noiosa. Credo tuttavia che il più grande punto di forza del libro sia il fatto che esso può essere tranquillamente letto anche senza aver giocato a Mass Effect, poiché le informazioni e le spiegazioni sull’universo, sulle politiche intergalattiche e sulle razze aliene sono presentate in maniera limpida e sono ben disciolte nella narrazione. Una bella lettura.

Valutazione:

5

Tutti pronti al Pluto fly-by

Salve amici,

oggi è una data storica!

Da ultima ruota del carro del Sistema Solare a protagonista indiscusso di discorsi, servizi e timeline della Rete: l’ora del riscatto di Plutone è finalmente arrivata. L’enigmatico pianeta nano scoperto 85 anni fa ha iniziato a svelare, negli ultimi giorni, il suo vero aspetto agli “occhi” della sonda New Horizons, che martedì 14 luglio, alle 13:49:57 ora italiana transiterà, dopo un viaggio di 5 miliardi di km, a soli 12.500 km dal corpo celeste. Le sue caratteristiche geologiche – soprattutto, le sue misteriose macchie scure – stanno accendendo le discussioni degli astronomi di tutto il mondo. (Fonte: Focus.it)

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Plutone

Plutone è un pianeta nano orbitante nelle regioni periferiche del sistema solare, con un’orbita eccentrica a cavallo dell’orbita di Nettuno; fu scoperto nel 1930 da Clyde Tombaugh e inizialmente classificato come il nono pianeta. Riclassificato come pianeta nano il 24 agosto 2006 e battezzato formalmente 134340 Pluto dalla UAI, Plutone è il secondo più massiccio pianeta nano del sistema solare, dopo Eris, e il decimo corpo celeste più massiccio che orbita direttamente attorno al Sole.

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Dopo la sua scoperta, il nuovo corpo celeste venne battezzato in onore di Plutone, divinità romana dell’oltretomba; le prime lettere del nome, PL, sono anche le iniziali dell’eminente astronomo Percival Lowell che per primo ne postulò l’esistenza. Il suo simbolo astronomico è il monogramma di Lowell (Pluto symbol.svg).

In virtù dei suoi parametri orbitali, Plutone è anche considerato un classico esempio di oggetto transnettuniano. Pur avendo la sua orbita il semiasse maggiore più lungo di quello dell’orbita di Nettuno, esso si avvicina al Sole più dello stesso Nettuno. Plutone è stato assunto quale elemento di riferimento della classe dei pianeti nani transnettuniani, denominati ufficialmente plutoidi dall’ Unione Astronomica Internazionale.

Plutone ha cinque satelliti conosciuti, il più massiccio e importante dei quali è certamente Caronte, scoperto nel 1978 e avente un raggio poco più della metà di quello di Plutone.

New Horizons

New Horizons è una sonda spaziale sviluppata dalla NASA per l’esplorazione di Plutone e del suo satellite Caronte. Il lancio è avvenuto il 19 gennaio 2006 dalla base di Cape Canaveral.

Con una velocità di 58 536 km/h (circa 16,26 km/s), raggiunta allo spegnimento del terzo stadio, è l’oggetto artificiale che ha raggiunto la velocità maggiore nel lasciare la Terra.

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Si prevede che raggiungerà Plutone il 14 luglio 2015 attorno alle 14:00 ora italiana.

La missione prevede che la sonda continui poi il viaggio nella fascia di Kuiper per inviare dati alla Terra sulla fascia. L’obiettivo primario è di studiare la geologia e la morfologia del pianeta nano Plutone e del suo satellite Caronte, creare una mappa della superficie dei due corpi celesti e analizzarne l’atmosfera. Altri obiettivi sono lo studio dell’atmosfera dei due corpi celesti al variare del tempo, l’analisi ad alta risoluzione di alcune zone di Plutone e Caronte, l’analisi della ionosfera e delle particelle cariche, la ricerca di atmosfera attorno a Caronte, lo studio dei quattro satelliti minori Stige, Notte, Cerbero e Idra, la ricerca di eventuali satelliti o anelli sconosciuti e possibilmente l’analisi di un ulteriore oggetto della fascia di Kuiper.

La sonda contiene una parte delle ceneri di Clyde Tombaugh, l’astronomo che nel 1930 scoprì Plutone.

Clyde Tombaugh

Clyde Tombaugh.

Clyde Tombaugh.

Clyde William Tombaugh (Streator, 4 febbraio 1906 – Las Cruces, 17 gennaio 1997) è stato un astronomo statunitense. È conosciuto soprattutto per la scoperta nel 1930 di Plutone, che venne considerato il nono pianeta del sistema solare. Oggi Plutone è stato riclassificato come pianeta nano.
Tombaugh nacque in Illinois, nel 1906, da una famiglia contadina. Appassionato di astronomia fin da ragazzo, si costruì da solo un telescopio per fare schizzi dei pianeti. Inviò poi gli schizzi a V.M. Slipher, direttore del Lowell Observatory di Flagstaff, in Arizona. Questi dovette rimanerne impressionato, perché offrì un posto all’Osservatorio a Tombaugh, che vi entrò nel 1929, abbandonando per sempre il mondo agricolo della sua famiglia di origine.
Percival Lowell, sulla base di presunte imperfezioni nelle previsioni dei moti di Urano e Nettuno, aveva previsto già nel 1905 la posizione di un eventuale nono pianeta. Per facilitarne l’individuazione, Tombaugh inventò una macchina che mostrava alternativamente le lastre fotografiche di una stessa zona del cielo scattate a distanza di alcune ore, per scoprire se qualcosa si era mosso rispetto allo sfondo delle stelle fisse. Era un lavoro impegnativo, perché ogni fotogramma di cielo conteneva migliaia di oggetti, dei tipi più vari. Si calcola che, alla fine, Tombaugh osservò circa 45 milioni di oggetti celesti[1]. Il 18 febbraio 1930, sei mesi dopo il suo arrivo all’Osservatorio Lowell, Tombaugh individuò Plutone.

Tombaugh stesso racconta così la scoperta di Plutone:

«Improvvisamente mi balzò agli occhi un oggetto di quindicesima magnitudine. – Eccolo – mi dissi. Un’emozione incredibile mi travolse: questa sarebbe stata una scoperta storica.
Mi diressi subito nell’ufficio del direttore. Cercando di controllarmi, entrai nell’ufficio ostentando indifferenza. – Dr. Slipher, ho trovato il suo Pianeta X.»
«Il Dottore sobbalzò dalla sedia, mostrando uno sguardo compiaciuto ma riservato.»
Risultò subito chiaro che Plutone era molto piccolo, forse troppo per perturbare a sufficienza l’orbita di Urano e Nettuno. Tombaugh continuò invano la ricerca del decimo pianeta.

Scoprì inoltre, a partire dal 1929, ben 14 asteroidi.

Il fly-by

Martedì 14 luglio, dopo un viaggio lungo 9 anni e mezzo e 5 miliardi di km, New Horizons sarà protagonista di uno storico fly-by di Plutone. Poiché un giorno su Plutone dura 6,4 giorni terrestri, possiamo dire che manca solo un giorno all’incontro tra la sonda e il pianeta nano.

Sarà un incontro fugace, una toccata e fuga in cui la sonda viaggerà a 49.600 km/h, arrivando a 12.500 km da Plutone.

Si tratterà di un passaggio ravvicinato e non di un ingresso nell’orbita del corpo celeste. La sonda è stata quindi progettata per raccogliere il maggior numero di dati nel breve periodo (meno di 24 ore) in cui Plutone apparirà relativamente vicino agli strumenti di New Horizons, per poi trasmettere queste informazioni al nostro pianeta.

Le foto di maggiore interesse scientifico saranno processate, spiegate e diffuse sul web. Ma si tratterà di una minima parte dei dati raccolti: solo l’1% delle informazioni relative al fly-by arriverà sulla Terra “in tempo reale”, nei giorni del passaggio ravvicinato.

Le altre saranno spedite sulla Terra in un periodo di 26 mesi a partire dal 14 settembre, con una velocità massima di download pari a circa 1,2 kilobit/sec (migliaia di volte più lenta di quella della vostra connessione di casa): quella consentita dalla rete di ricezione della la rete di ricezione NASA (DSN o Deep Space Network) a Terra, e dalle grandi distanze (in fin dei conti, nessuna missione spaziale ha mai raggiunto Plutone). (Fonte: Focus.it)

Vi lascio il link da cui seguire “in diretta” il fly-by: qui.

Buon volo!

Fonti: Wikipedia, Focus.it

LovemeLoveme – Fabio Marcheselli

Salve a tutti,

oggi parliamo del libro LovemeLoveme scritto da Fabio Marcheselli.

 

LOVEME LOVEME

Fabio Marcheselli

Lettere Animate

copertina

Trama

Alice, alias Lovemeloveme, ha diciassette anni e l’ingenuità di credere di poter vivere il suo primo amore come se fosse dentro una favola, nonostante la sua emotività sia intrappolata dentro un viaggio coast to coast tra paura di soffrire e voglia di amare.

Tomas alias De Mill Klein, invece, è leader indiscusso del “branco”, affascinante e cinico.

All’inizio tutto appare colorito e incasinato proprio come un murales, ma il loro amore è un amore scaleno che presto condurrà Alice in un vortice di dolore e a un epilogo in cui ogni aspettativa adolescenziale verrà spezzata.

La storia si sviluppa e si intreccia tra passato (ieri), in cui vengono narrate le dinamiche relazionali e i disagi dei protagonisti e presente (oggi), in cui le indagini fanno il loro corso attraverso le abilità dell’ispettore Anedonia e del suo collaboratore Vitale, agli antipodi oltre che per il nome, per intuito professionale e per elementi caratteriali.

L’autore

Fabio Marcheselli è nato e vive a Bologna. Psicologo forense è perito per il Tribunale di Bologna. Autore di pubblicazioni e contribuiti scientifici. LovemeLoveme è il suo primo romanzo.

Recensione

Premetto che il genere di questo romanzo (noir, con sfumature thriller) non rientra tra i miei preferiti ma ho voluto comunque leggerlo perché la trama mi incuriosiva.

Si tratta di un romanzo che esalta le percezioni: visive, sonore, fisiche in genere. L’aspetto visivo si nota sin da subito: moltissimi colori e forme spiccano e saltano agli occhi della mente. La musica è parte integrante della storia, sembra scandirne i ritmi e gli scenari, con una canzone adatta a ogni circostanza. Le sensazioni fisiche, soprattutto quelle negative, sono descritte in maniera vivida.

L’introspezione psicologica è buona e non prolissa, uno dei punti di forza del libro.

noir

Ho trovato bella l’ambientazione tutta italiana. I capitoli sono brevi e veloci e balzano tra passato e presente: sebbene dapprincipio possano sembrare disorientanti, contribuiscono invece a mantenere viva l’attenzione.

Lo stile è esuberante, vivo, e tuttavia in certe frasi appare un pochino forzato. Le tecniche di indagine sono descritte in maniera propria ma semplice, comprensibile anche ai profani, con la sicurezza di chi le conosce da professionista.

Nel finale qualcosa è lasciato in sospeso, mentre avrei preferito una soluzione degli eventi meno dispersiva. Inoltre mi sarebbe piaciuto vedere maggiormente approfonditi i personaggi dell’ispettore e del suo collaboratore.

In definitiva una storia che per certi versi fa riflettere e che lascia l’amaro in bocca come spesso fa la vita.

Valutazione:

4

Disponibile su tutti gli store online.

Un’opera d’arte al mese #8 – L’unione della terra con l’acqua

Ciao a tutti!

Eccoci qui con un nuovo appuntamento della rubrica Un’opera d’arte al mese (visto che se mi impegno riesco a non far scadere il mese? XD).

 

Titolo del dipinto

L’unione della terra con l’acqua

Artista

Peter Paul Rubens

Anno di realizzazione

1618

Dimensioni

222x 180 cm

Tecnica

Olio su tela

Dove si trova

Museo dell’Hermitage, San Pietroburgo, Russia

Curiosità

Nel dipinto la languida posa di Cibele, la dea della terra, si ispira a una statua dello scultore greco Prassitele, intitolata Satiro in riposo. Di sicuro Rubens vide una copia romana di quest’opera mentre si trovava in Italia. Lo scultore era famoso per le sue pose a S in cui il corpo si curva e la contempo di inclina, donando alla figura linee aggraziate, effetto difficile da rendere sul marmo.

Il dipinto

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In passato era normale ricorrere alla mitologia classica per rappresentare allegorie politiche o religiose. In questo caso si tratta di una sorta di storia d’amore, con Netturno e Cibele che si tengono per mano, a voler significare un’unione tra la città e il mare. I corpi delle due divinità, perfettamente simmetrici, rivolti l’uno verso l’altro in armonia, quasi attorcigliati tra loro, danno al dipinto un movimento a spirale. Si tratta di una scena felice e il messaggio è chiaro: la pace porta prosperità. Nella fattispecie Cibele rappresentava Antwerp, la città più importante delle Fiandre, e Nettuno rappresentava lo Sheldt, il fiume da cui Antwerp dipendeva per l’accesso al mare. Gli olandesi all’epoca avevano bloccato la strada: senza questo accesso, le fiandre non potevano commerciare e senza commercio la loro economia sarebbe andata in rovina.

L’opera venne venduta all’asta a Parigi nel 1775 a un prezzo relativamente basso a causa di controversie sulla sua autenticità. Il Museo dell’Hermitage, fondato nel 1746, acquistò l’opera sotto l’autorità di Paolo I, successore della madre Caterina la Grande nel 1796.

L’artista

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Peter Paul Rubens (Siegen, Vestfalia 1577 – Anversa 1640) fu un pittore fiammingo. Il suo stile contribuì a determinare gli aspetti più esuberanti, voluttuosi e vivaci della pittura barocca. Combinando la pennellata vigorosa, i colori luminosi e la luce della scuola veneziana con il vigore dell’arte di Michelangelo e il dinamismo formale della scultura ellenistica, Rubens creò uno stile vibrante, la cui forza emana dalla tensione tra lo spirito razionale e quello emozionale, tra il classico e il romantico. La sua opera influenzò artisti come Jean-Antoine Watteau, Eugène Delacroix e Pierre-Auguste Renoir.

Svolse l’apprendistato ad Anversa, presso Tobias Verhaecht, Adam van Noort e Otto van Veen, tre pittori fiamminghi minori, influenzati dal manierismo della scuola fiorentina e romana del XVI secolo. Nel 1598, all’età di ventuno anni, ottenne il rango di maestro pittore presso la gilda di San Luca di Anversa. In seguito, com’era costume per gli artisti nordeuropei del tempo, Rubens viaggiò in Italia, centro dell’arte europea nei due secoli precedenti. Giunto a Venezia nel 1600, fu particolarmente suggestionato dai dipinti di Tiziano, Paolo Veronese e Tintoretto; successivamente, nel periodo in cui visse a Roma, trasse ispirazione dalle opere di Michelangelo e di Raffaello, nonché dalle sculture greco-romane.

Rubens fu per circa nove anni presso Vincenzo Gonzaga, duca di Mantova, per il quale, oltre a eseguire opere originali (Adorazione dei pastori, 1608, San Filippo, Fermo), copiò alcuni dipinti rinascimentali della collezione privata e svolse funzioni diplomatiche presso Filippo III di Spagna. Durante il periodo italiano risentì dell’influenza delle prime opere barocche di Annibale Carracci e di Caravaggio, ed entrò in contatto con i principali intellettuali del tempo.

Nel 1609, tornato nelle Fiandre, Rubens, che in Italia aveva dato vita a una delle prime espressioni del barocco, divenne pittore di corte dell’arciduca Alberto, viceré dei Paesi Bassi. Per far fronte alle numerose commissioni creò una grande bottega, che svolse un ruolo fondamentale per la sua produzione e fu frequentata dai più insigni artisti dell’epoca. Rubens solitamente dipingeva lo schizzo iniziale ed eseguiva la parte finale dell’opera, lasciando ai collaboratori l’esecuzione delle fasi intermedie. Molte opere gli vennero commissionate dalla Chiesa fiamminga proprio per le emozionanti interpretazioni che sapeva dare degli eventi religiosi; gli esempi più significativi sono il Trittico dell’Erezione della Croce (1610-1611) e la Discesa dalla Croce (1611-1614), entrambi nella Cattedrale di Anversa. Tra il 1622 e il 1630 Rubens svolse numerose missioni diplomatiche. Durante una visita alla corte di Francia nel 1622, la regina Maria de’ Medici gli commissionò, per il Palazzo del Lussemburgo, una serie di 21 grandi dipinti allegorici ispirati alla propria vita, completati nel 1625: Storie di Maria de’ Medici (Louvre, Parigi).

Inviato a Madrid dal viceré dei Paesi Bassi tra il 1628 e il 1629, ricevette dal re di Spagna Filippo IV incarichi di corte e diverse commissioni, esercitando, con le sue opere, una forte influenza sul giovane Diego Velázquez. In occasione di una successiva missione a Londra fu nominato cavaliere da Carlo I, per il quale eseguì diversi dipinti e compose gli schizzi preparatori per il soffitto della Banqueting House a Whitehall Palace.

Nell’ultimo decennio della sua vita, trascorso nelle Fiandre, lavorò intensamente per gli Asburgo, oltre a ritrarre la famiglia e la campagna fiamminga. Di questo periodo sono i dipinti Giardino d’amore (1635, Prado, Madrid), Paesaggio con arcobaleno (1636, Alte Pinakothek, Monaco) e Ritratto di Hélène Fourment e di due suoi figli (1635-1638, Louvre).

Una delle sue ultime opere è il famoso Giudizio di Paride (1635-1637 ca., National Gallery, Londra). In quest’opera, dove Paride deve scegliere la più bella tra Era, Atena e Afrodite, la ricchezza della creazione è simboleggiata dalla sensualità delle tre dee e dal verdeggiante paesaggio dello sfondo. I colori lussureggianti, lo scintillio di luci e ombre, la pennellata sensuale e l’elegante composizione contribuiscono al significato della narrazione.

Curiosità

Rubens fu un artista incredibilmente prolifico in molti ambiti, tanto che si è rivelato molto difficile fare un elenco di tutte le sue opere. Il tentativo più recente di pubblicarle è iniziato nel 1968 ed è ancora in corso.

La corrente artistica

BAROCCO

Il barocco è stato lo stile dominante nell’arte e nell’architettura dei paesi europei e di alcune colonie delle Americhe nel periodo approssimativamente compreso tra il 1600 e il 1750. Manifestazioni del barocco sono presenti nell’arte di quasi tutte le nazioni europee, e particolarmente in Italia e in Spagna, così come negli insediamenti spagnoli e portoghesi delle Americhe. Il termine si riferisce anche a molta parte della letteratura, alla musica e alla danza prodotte nello stesso periodo.

Educazione di Giove, Jacob Jordaens.

Educazione di Giove.

IL CONTESTO E LE RAGIONI DI UNO STILE

Il XVII secolo segnò la nascita della scienza moderna e vide la progressiva espansione degli imperi coloniali europei. Questi cambiamenti influenzarono non poco lo sviluppo delle arti, al pari di altri grandi eventi storici, quali la Controriforma e il consolidamento degli stati nazionali a opera di grandi monarchi come Luigi XIV. Gli studi e la divulgazione degli scritti di Galileo spiegano la precisione quasi ‘matematica’ riscontrabile in molte opere figurative dell’epoca, così come l’affermazione del sistema copernicano, che priva l’uomo della centralità nell’universo riservatagli dal sistema tolemaico fino ad allora invalso, si tradusse nel trionfo della pittura di paesaggio, nella quale le presenze umane si riducono fino a scomparire. La fondazione delle colonie e il conseguente sviluppo di nuovi commerci indusse inoltre a descrivere numerosi luoghi e culture esotici fino ad allora sconosciuti.

Le controversie e i movimenti religiosi influenzarono profondamente l’arte barocca. La Chiesa cattolica divenne uno dei più convinti mecenati e la Controriforma contribuì alla nascita di un’arte emozionale, drammatica e naturalistica, dalla quale traspare una chiara volontà di divulgazione della fede.

Lo sfarzo, la volontà di stupire, il gusto per la sottigliezza e il paradosso portarono spesso nell’arte a una drammatizzazione delle situazioni e degli episodi e a un’esasperazione dei caratteri psicologici; quando tali tendenze non furono energicamente contrastate dall’opposta e altrettanto forte esigenza di ordine e solidità. Il mondo fu percepito come un teatro nel quale l’individuo, spinto ad agire secondo logica e razionalità tra evidenze sensibili, vive tuttavia con la consapevolezza che il proprio destino è riposto nella imperscrutabile grazia divina.

Martirio di San Lorenzo, Valentine de Boulogne.

Martirio di San Lorenzo, Valentine de Boulogne.

LE CARATTERISTICHE DELLO STILE BAROCCO

Movimento, energia e tensione sono fra le caratteristiche principali dell’arte barocca; forti contrasti di luce e ombra accentuano l’effetto drammatico di dipinti, sculture e opere architettoniche. Nei quadri, negli affreschi, nei rilievi e nelle statue barocche vi sono inoltre spesso elementi che suggeriscono una proiezione verso lo spazio circostante, indistinto e infinito, grazie anche a un’attenta resa volumetrica e prospettica. La tendenzanaturalistica è un’altra componente fondamentale dell’arte barocca; le figure umane ritratte non sono stereotipi, bensì individui, ognuno ben caratterizzato. Gli artisti di questo periodo erano affascinati dagli intimi meccanismi della mente e dalle convulse passioni dell’anima, che vollero ritrarre attraverso le caratteristiche fisiognomiche dei loro soggetti. Un senso di intensa spiritualità è presente in molte opere, in particolare nelle rappresentazioni di estasi, martiri o apparizioni miracolose, soprattutto a opera di artisti di paesi cattolici come l’Italia, la Spagna e la Francia. L’intensità, l’immediatezza, la cura per il dettaglio dell’arte barocca ne fanno tuttora uno degli stili più coinvolgenti per lo spettatore in tutto l’arco dell’arte occidentale.

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Abramo e i tre angeli, Domenico Guidobono

 

Fonti: Encarta, Wikipedia, Capolavori della pittura

Il profumo del sud – Linda Bertasi

Ciao amici,

oggi voglio presentarvi il romanzo storico di un’autrice emergente di cui avete già sentito parlare su questo blog: Linda Bertasi. Si tratta di una seconda edizione con contenuti inediti e la prefazione di Adele Vieri Castellano (autrice Leggereditore).

 

IL PROFUMO DEL SUD

Linda Bertasi

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Trama

Porto di Genova, 1858 – Venuta a conoscenza del suo scomodo passato, Anita Dalmasso decide di partire per il Nuovo Mondo. La traversata dell’Atlantico segnerà profondi mutamenti nella sua vita: l’incontro con l’affascinante uomo d’affari americano Justin Henderson e quello con Margherita Castaldo, liberale e impavida proprietaria terriera. Giunta a New York seguirà la nuova amica nella sua piantagione a Montgomery e qui sarà conquistata dalle bianche distese di cotone, dai profumi e dai colori del profondo Sud americano, con i suoi contrasti e le sue ingiustizie. Il destino avrà in serbo per lei non solo il rosso della passione, ma anche i travolgenti venti di guerra che si profilano all’orizzonte e che porteranno un’intera nazione alla guerra civile, sconvolgendo ancora una volta il corso della sua esistenza.

 

 

L’autrice

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LINDA BERTASI nasce nel 1978. Appassionata di storia e letteratura inglese, collabora con blog letterari, case editrici e web-magazine in qualità di redattrice e articolista. Gestisce personalmente  il suo blog ufficiale dove da ampio spazio agli emergenti con segnalazioni, interviste e recensioni GRATUITE.

Nel Gennaio 2010, pubblica il romance contemporaneo “Destino di un amore”, cui fa seguito nel Febbraio 2011 il paranormal-romance “Il rifugio – Un amore senza tempo”che le vale, nel 2012, la Medaglia d’Argento al XXIII Premio Letterario ‘Valle Senio’.

Nel Maggio 2013, pubblica il romanzo storico sentimentale “Il profumo del sud” che le vale la qualifica con merito di ‘Autore commendevole’ al VII Premio Letterario Europeo ‘Massa città fiabesca’. Sempre nel 2013, ha curato diverse prefazioni e dall’ottobre 2014 è membro dell’associazione EWWA  in qualità di socia ordinaria. Proprietaria di una piccola realtà commerciale nella provincia di Ferrara, vive assieme al marito e alla figlia.

QUALIFICA DI MERITO COME ‘AUTORE COMMENDEVOLE’ AL VII PREMIO LETTERARIO EUROPEO ‘MASSA CITTA’ FIABESCA DI MARMO E MARE’

La mia opinione

Un buon ritratto della guerra di secessione americana, con accenni anche alla piaga dello schiavismo, visto con gli occhi di una donna che, a discapito della propria considerazione di sé, è forte e intraprendente. Una lettura consigliata a chi ama il genere storico e romantico.

Per la recensione completa della prima edizione e l’intervista dello scorso anno all’autrice, cliccate qui.

Link utili

 

 

 

Bestseller inizialmente respinti #4 – Paulo Coelho

Eccomi qui con un nuovo appuntamento della rubrica Bestseller inizialmente respinti.
Oggi parliamo di un autore celebrato e conosciuto in tutto il mondo: Paulo Coelho.

Dopo aver venduto infatti solo 800 copie nella sua prima stampa, il titolo L’alchimista trova un nuovo editore e vende 75 milioni di copie.
Voi l’avete letto?

L’autore

paulo-coelho1Paulo Coelho (Rio de Janeiro 1947) è uno scrittore brasiliano, importante esponente della letteratura brasiliana. Dopo aver lavorato per il teatro e aver scritto i testi delle canzoni di alcuni importanti cantanti brasiliani, si dedicò al giornalismo. L’esordio letterario risale al 1987, anno in cui pubblicò Il cammino di Santiago, romanzo autobiografico che descrive l’esperienza del pellegrinaggio a Santiago de Compostela.
Seguirono L’alchimista (1988, premio Grinzane Cavour per la narrativa straniera nel 1996), Sulla sponda del fiume Piedra mi sono seduto e ho pianto (1994), Veronika decide di morire (1998), in cui sono rievocate le esperienze in ospedale psichiatrico dell’autore (che durante l’adolescenza subì tre ricoveri), Il diavolo e la signorina Prym (2000), il romanzo erotico Undici minuti (2003) e Lo Zahir (2005). Le opere di Coelho sono state tradotte in numerosi paesi e ovunque sono state accolte da un grande successo di pubblico, diventando dei best-seller.

Il libro

Lalchimista-copertina1Il romanzo L’alchimista racconta la vicenda del giovane pastore Santiago, sfruttando due temi sempreverdi della letteratura mondiale: il viaggio e il sogno. La fabula si snoda in un arco temporale di due anni mediante una narrazione molto intima e carica, che finisce col dare alla vicenda un senso molto più pregnante e, per certi versi, sacrale di quel che sembri: scopo apparente del viaggio, infatti, è – per il giovane Santiago – l’inseguimento di un sogno ricorrente, secondo il quale, ai piedi delle Piramidi, vi sarebbe un ricchissimo tesoro nascosto. In realtà, l’avventura che lo porterà dall’Andalusia – sua terra natale – fino sotto le Grandi Piramidi d’Egitto, finirà per rappresentare un insieme di durissimi banchi di prova, rappresentazione allegorica della crescita.
Tra i personaggi più importanti nell’economia del romanzo, vi è una strana figura che caratterizza alcune delle primissime pagine: il vecchio e saggio Re di Salem, Melchisede. La stranezza più grande di questo savio è il fatto che egli conosca a menadito qualsiasi dettaglio della vita di Santiago, anche se il ragazzo giurerebbe di non averlo mai visto prima. Il vecchio incita il ragazzo a vendere le sue pecore e ad intraprendere il viaggio e gli fa anche dono di Urim e Tummim (due pietre che indicano il cammino da compiere, poiché una indica il no e l’altra il sì), oltre a dispensargli una serie di utili consigli e splendidi aforismi che pervaderanno tutto il resto del romanzo.
La prima tappa di Santiago è Tangeri, la città-ponte verso l’Africa. Il giovane, molto ottimista e un po’ ingenuo, viene immediatamente derubato da un suo coetaneo di tutto il denaro che possiede ed è costretto a rimboccarsi subito le maniche per riguadagnarsi quanto perduto. Entra nella bottega di un Mercante di cristalli malinconico e sull’orlo del fallimento; nel volger di un anno, grazie al suo spirito d’iniziativa e anche ad una strana magia che lo accompagna in ogni dove, riesce a far diventare l’emporio uno dei più prosperi della città e a riprendere il suo cammino, forte di un bel gruzzolo e di un’esperienza nuova.
“Il giovane Santiago imparerà, o meglio, riconoscerà quel linguaggio simbolico e universale che gli permetterà di penetrare l’Anima del Mondo, ovvero l’unico in grado di cogliere e interpretare tutti quei “segnali” che l’universo invia a tutti coloro che desiderano con tutto il cuore realizzare la propria Leggenda Personale.”
Si unisce, quindi, ad una carovana diretta nel deserto, dove incontra un uomo di nazionalità inglese che, dopo aver passato la sua vita a studiare l’alchimia, ha intrapreso a sua volta un viaggio per incontrare un saggio Alchimista nell’oasi di El-Faiyûm. In realtà i fatti sono ben diversi e il protagonista si ritroverà a combattere e persino innamorarsi prima di raggiungere l’epilogo della storia.

Fonte: Encarta, Wikipedia

2 giugno: non solo sinonimo di scampagnate

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Ok, apro quest’articolo con un breve aneddoto.

Ho imparato il significato reale della festa del 2 giugno in prima media e da allora non l’ho più dimenticato. Il fatto è che non è stato un libro di storia a imprimermi nella mente ciò che ricordo ma la professoressa di italiano e storia che, picchiettando gli enormi anelli d’oro e gemme sulla cattedra, ripeteva incessantemente il significato della festa della Repubblica, e come si era storicamente arrivati a quel giorno. All’epoca devo dire che quel rumore ridondante e la voce squillante di lei non erano proprio accolti a braccia aperte, ma valutando la questione in seguito, devo riconoscere che il metodo della prof. ha funzionato.

Parliamo allora un po’ della festività del 2 giugno, e vale la pena farlo perché negli ultimi anni feste dal significato storico vengono spesso ricordate solo per il modo in cui occupiamo quel tempo libero: per esempio il 25 aprile e il 2 giugno sono associati più alle scampagnate che si usano fare che a ciò che successe in quelle date decenni fa.

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Le elezioni politiche italiane del 2 giugno 1946, furono le prime elezioni della storia italiana dopo il periodo di dittatura fascista, che aveva interessato il Paese nel ventennio precedente. Immaginate dunque, dopo vent’anni di dittatura e una guerra devastante appena conclusa, quanto la gente avesse non solo la voglia ma una vera e propria necessità di scrollarsi di dosso gli orrori e la mancanza di libertà patiti per così tanto tempo. Immaginate come si accostò alla possibilità di decidere finalmente del futuro del proprio Paese.

Si votò per l’elezione di un’Assemblea Costituente cui sarebbe stato affidato il compito di redigere la nuova carta costituzionale, come stabilito con il Decreto Legislativo Luogotenenziale n. 151 del 25 giugno 1944. Contemporaneamente si tenne un referendum istituzionale per la scelta fra Monarchia e Repubblica. Uno degli elementi più importanti fu il fatto che il Referendum fu a suffragio universale, votarono cioè gli uomini di tutti i ceti sociali e per la prima volta in Italia anche le donne. Una grande conquista soprattutto per quelle donne che avevano supportato la Resistenza o combattuto loro stesse al fianco dei partigiani e che in generale avevano patito gli ideali maschilisti del regime fascista.

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La Repubblica vinse il confronto con la Monarchia e l’Italia rinacque sotto nuove spoglie, quelle che conosciamo oggi (anche se nel corso degli anni si è un po’ perso il senso di ciò per cui combatterono i nostri nonni). Contemporaneamente la famiglia regnante, i Savoia, fu esiliata. Analizzando le azioni dell’ultimo re d’Italia durante l’avvento del fascismo (il re praticamente “consegnò” a Mussolini il governo del Paese e in seguito non fece molto per imporsi o rimediare al danno) non c’è da stupirsi che la scelta del popolo ricadde sulla Repubblica. Inoltre (e qui mi concedo il lusso di fare un po’ di ironia, ma non troppa) assistendo ora alle illuminanti apparizioni televisive e pubblicitarie (sob!) del principe Emanuele Filiberto di Savoia, direi che i nonni furono proprio saggi a togliere le redini del Paese ai Savoia.

In definitiva comunque auguro a voi tutti una serena festa della Repubblica facendo, perché no, una bella scampagnata, ma tenendo sempre a mente il retaggio di Paese e cittadini che ci portiamo dietro.

Un’opera d’arte al mese #7 – Il carro da fieno

Salve amici,

eccoci al nuovo appuntamento della rubrica Un’opera d’arte al mese. Vista l’estate imminente ho scelto un quadro capace di catapultare l’osservatore nell’atmosfera verdeggiante di un paesaggio campagnolo.

Titolo del dipinto

Il carro da fieno

Artista

John Constable

Anno di realizzazione

1821

Dimensioni

130 x 185 cm

Tecnica

Olio su tela

Dove si trova

National Gallery, Londra, Inghilterra

Curiosità

Sebbene Il carro da fieno evochi una scena pastorale del Suffolk, in realtà fu creato nello studio londinese di Constable. L’artista realizzò una serie di schizzi all’aperto di alcuni elementi della scena, che poi utilizzò nel suo studio per realizzare il dipinto finale.

Il dipinto

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Il carro da fieno rappresenta una scena agreste di grande calma, in cui è raffigurato un carro agricolo che attraversa un fiumiciattolo vicino al mulino di Flatford, nell’Inghilterra rurale; sulla sinistra vediamo il cottage di Willy Lott, che apparteneva al padre di Constable e dove l’artista è cresciuto. Dall’altra parte del fiume, in lontananza, sulla destra, si può notare un gruppo di falciatori di fieno. L’autore fece degli studi scientifici sulla formazione delle nuvole, per poterle rappresentare al meglio, ben consapevole che esse potevano esprimere in maniera precisa lo stato d’animo di un paesaggio.

Qualche curiosità

  • Il cane, il pescatore e la barca raffigurati nel dipinto Il carro da fieno esistono come schizzi separtati e appaiono spesso nelle altre opere di Constable.
  • La rappresentazione del paesaggio straordinariamente fresca spinse lo scrittore francese Stendhal a definirla lo specchio della natura.

L’artista

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John Constable (East Bergholt, Suffolk 1776 – Londra 1837) fu un pittore britannico, maestro della pittura paesaggistica di stile romantico. Dal 1799 frequentò la Royal Academy di Londra, dove apprese a dipingere copiando opere di Jacob van Ruisdael, Claude Lorrain e altri maestri. Nel 1802 espose i primi quadri di paesaggi; in seguito, studiando autonomamente la pittura e la vita rurale inglese, elaborò uno stile inconfondibilmente personale.

Si staccò dalla tradizione pittorica dell’arte inglese e olandese e cercò effetti di luce più naturali e brillanti attraverso l’uso del colore a macchie. Era affascinato dai riflessi dell’acqua e dai colori delle nuvole, e su questi soggetti realizzò molti studi. La maggior parte delle sue opere ritrae i luoghi in cui amava dipingere all’aria aperta, anche se solitamente terminava le tele in studio.

In Inghilterra l’opera di Constable cominciò a essere apprezzata solo molti anni dopo la sua morte, mentre in Francia, dove il suo famoso Carro di fieno (1821, National Gallery, Londra) era stato esposto a Parigi nel 1824, era molto stimata, in particolare dal pittore romantico Eugène Delacroix, dai pittori della scuola di Barbizon, che seguendo il suo esempio cominciarono a dipingere all’aria aperta, e dagli impressionisti, che come lui cercavano di catturare gli effetti della luce e che furono indirettamente influenzati dai suoi schizzi ad acquerello.

Tra le opere di Constable vanno ricordate Costruzione di barche presso il mulino di Flatford (1814-15, Victoria and Albert Museum, Londra), Il cavallo bianco (1819, Frick Collection, New York), Campo di grano (1826) e La cattedrale di Salisbury vista dai prati (1831), entrambe alla National Gallery di Londra. Alcuni dipinti precedentemente attribuiti a Constable sono in realtà opera del figlio Lionel.

La corrente artistica

Romanticismo (arte)

Movimento europeo e statunitense che coinvolse il mondo artistico e culturale in un periodo che spazia, molto approssimativamente, tra il 1800 e il 1850.

Per quanto non possa essere identificato con un singolo stile, con una tecnica particolare o un atteggiamento univoco da parte dei suoi esponenti, si può dire che il romanticismo fu in generale caratterizzato da un approccio soggettivo al fatto artistico, dall’intento di esprimere attraverso l’opera emozioni e sentimenti, attingendo a una vivida immaginazione o a una dimensione onirica e visionaria. Tanto l’arte classica e neoclassica, che dominò i decenni precedenti, appariva improntata a equilibrio e sobrietà, compiuta e lineare nelle forme e nelle composizioni, tanto quella romantica privilegiò rappresentazioni fortemente suggestive, in cui venivano trasposte sensazioni intense e inquietudini spirituali o mistiche.

Nella difficoltà di trovare una definizione univoca ed esaustiva, molti critici e artisti misero in luce di volta in volta gli aspetti che consideravano maggiormente caratterizzanti: lo scrittore tedesco E.T.A. Hoffmann, ad esempio, affermò che la vera essenza del romanticismo non era che “brama d’infinito”. Nella scelta dei soggetti, gli artisti romantici mostrarono una profonda attrazione per la natura, soprattutto per i suoi aspetti selvaggi e misteriosi; e in generale si rivolsero a soggetti esotici, malinconici o melodrammatici, atti a evocare terrore o emozioni violente, coinvolgenti.

Intorno alla metà del XIX secolo, la pittura romantica sembrò progressivamente abbandonare il fervore che l’aveva caratterizzata ai suoi esordi. Tra i risultati migliori del tardo romanticismo sono da ricordare i pacati paesaggi della francese scuola di Barbizon, della quale facevano parte, tra gli altri, Camille Corot e Théodore Rousseau. In Inghilterra, dopo il 1850 i preraffaelliti ripresero gli esperimenti figurativi dei Nazareni tedeschi, insieme ai loro stessi presupposti ideali: intento comune era riportare l’arte religiosa alla purezza e spontaneità medievale.

Fonti: Encarta, Wikipedia, Capolavori della lettura

L’arte della guerra – Sun Tzu

Ciao a tutti e buon inizio di settimana. Questa volta voglio proporvi la lettura non di un romanzo, ma di un saggio.

 

L’ARTE DELLA GUERRA

Sun Tzu

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 Composto in Cina ben 500 anni prima della nascita di Cristo, questa “Arte della guerra” rappresenta il più antico trattato di strategia militare. Il suo contenuto ha influenzato ampiamente nei secoli la filosofia orientale, e oggi questo testo viene utilizzato nelle scuole di management in tutto il mondo. Perché Sun Tzu non si limita a dare precetti per sconfiggere i nemici sul campo di battaglia. Ma ci insegna a gestire i conflitti in modo profondo e non distruttivo, perché anche nella nostra vita quotidiana “la miglior battaglia è quella che vinciamo senza combattere”.

Recensione

 

E così sii,

veloce come il vento,

lento come una foresta,

assali e devasta come il fuoco,

sii immobile come una montagna,

misterioso come lo yin,

rapido come il tuono.

 

“L’arte della guerra” è un saggio d’arte bellica scritto centinaia d’anni orsono da un grande generale orientale di nome Sun Wu. Il testo si presenta in righe brevi e concise, chiare e dal ritmo serrato che non danno spazio a tentennamenti. Sono descritte strategie sulle modalità d’attacco del nemico in diverse situazioni morfologiche, nonché le qualità che dovrebbe avere un buon generale, la maniera migliore di interagire con i propri soldati. All’epoca lo scritto fu redatto come manuale di guerra – difatti troviamo anche considerazioni su carri e cavalli, cose che certo non si usano più in guerra al giorno d’oggi – ma la sua valenza non è solo bellica. Interpretato non letteralmente, il saggio può essere adattato a centinaia di situazioni della vita reale quali il rapporto con il partner o la gestione delle relazioni lavorative; può essere preso come esempio per elaborare ottime strategie di marketing e aiutare a districarsi abilmente dalle più disparate vicende. Troviamo nelle parole del generale orientale un qualcosa di trascendentale che eleva il testo a una dimensione filosofica. Per questa ragione si presta bene alla lettura da parte di ogni genere di lettori con massime valide in passato quanto nel presente. E non è escluso che ufficiali odierni lo utilizzino per chiarirsi le idee su una strategia d’attacco. Certamente se un testo è sopravvissuto così splendidamente per centinaia di anni un valore l’avrà. Vi invito a leggerlo per scoprirlo e chissà che non vi aiuti nelle piccole guerre quotidiane.

Valutazione:

4

Approfondimenti

Chi era Sun Tzu?

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Sun Tzu è stato un generale e filosofo cinese, vissuto probabilmente fra il VI e il V secolo a.C.. A lui si attribuisce uno dei più importanti trattati di strategia militare di tutti i tempi, L’arte della guerra.

Il suo nome di nascita era Sun Wu, ma era conosciuto al di fuori della sua famiglia anche col nome di cortesia Changqing. Sun Tzu ha avuto un significativo impatto sulla storia cinese e asiatica, sia come autore dell’Arte della Guerra che attraverso le leggende. Tra il XIX e XX secolo il libro di Sun Tzu è cresciuto in popolarità nel mondo occidentale e ha trovato utilizzo in vari ambiti nella cultura sia asiatica che occidentale.

Sunzi è un appellativo che significa Maestro Sun. Il nome Sunzi è un titolo onorifico attribuito all’autore Sun Wu. Nel nome Sun Wu, il carattere 武 (Wu) è lo stesso presente in 武术 (wǔshù), arti marziali.

Secondo gli Annali delle primavere e degli autunni, Sunzi nacque nello stato Qi, nella Cina settentrionale, mentre secondo lo Shi Ji il suo luogo di nascita è nello stato di Wu. Entrambe le fonti tuttavia concordano sul fatto che visse durante il tardo Periodo delle primavere e degli autunni, cioè tra il 722 e il 481 a.C.
Secondo la tradizione, apparteneva all’aristocrazia minore, che aveva perso i suoi domini come risultato del consolidamento degli stati egemoni durante il Periodo delle primavere e degli autunni. Passato alle dipendenze del re dello stato di Wu come consigliere militare, verso la fine del VI secolo a.C., lo aiutò a portare a termine la conquista dello stato di Chu. In seguito alla presunta partecipazione ad un complotto venne evirato e mandato in esilio, dove scrisse il suo saggio. Il luogo della sua morte resta sconosciuto.

L’attribuzione dell’Arte della guerra a Sunzi è stata contestata da molti studiosi. Nel 1972 furono scoperti alcuni testi incisi su bambù nei pressi di Linyi, nello Shandong. Queste versioni, datate intorno al 134-118 a.C., hanno confermato l’esistenza a quell’epoca di molte parti dell’opera già note e hanno fatte conoscere nuove parti fino ad allora sconosciute.

Le due più note versioni cinesi dell’Arte della guerra erano state fino a quel momento la fonte delle traduzioni nelle altre lingue. Solo dopo le nuove scoperte archeologiche si è aggiunta una versione più completa, edita a Taipei. Questa versione è diventata la fonte delle traduzioni più recenti e complete.

Alcuni storici moderni hanno rilevato presunti anacronismi fra il periodo in cui tradizionalmente sarebbe vissuto Sunzi e la cultura militare del suo tempo; l’ampiezza delle armate menzionate nel testo e la loro organizzazione, gli accenni all’impiego della balestra, entrata in uso verso la fine del V secolo a.C., i riferimenti alla teoria dei Cinque Elementi e certi usi linguistici, secondo queste interpretazioni, sposterebbero la datazione dell’Arte della guerra tra il 400-320 a.C., nel Periodo dei regni combattenti.

 

Fonte: Wikipedia

Un perfetto sconosciuto – Lesley Lokko

Conoscete Lesley Lokko? La sua scrittura cattura e appassiona.

 

UN PERFETTO SCONOSCIUTO

Lesley Lokko

Mondadori

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Trama

Sam è davvero una donna speciale. Bella e con una carriera di avvocato all’apice del successo, si è lasciata alle spalle le difficoltà dell’adolescenza trasformandosi da brutto anatroccolo in cigno. Nonostante il denaro e il potere dati dalla sua posizione, è solitaria e sposata al suo lavoro, fino a quando a Marrakech, durante una breve vacanza strappata con fatica ai suoi molteplici impegni, incontra Nick. Tra i due scoppia una passione travolgente, al punto che Sam quasi non si riconosce più e cede alle avance di quello sconosciuto e affascinante militare di carriera, decidendo di andare a vivere con lui in una base britannica in Germania. Ben presto, però, si rende conto di non conoscere affatto l’uomo che ha seguito impulsivamente, stravolgendo per sempre la sua vita. Chi è davvero Nick? Il destino di Sam si intreccia fatalmente con quello di altre tre donne. Meaghan, sfuggita a un padre ignorante e violento, ha sposato un giovane ufficiale ed è disposta a vivere in un ambiente rigido e classista pur di poter restare accanto all’uomo che ama. Abby, moglie e madre perfetta, pronta a tutto per compiacere il marito, un alto esponente dell’esercito, rinuncia perfino a essere se stessa, finché la sua esistenza non viene minacciata da un terribile segreto. E infine Dani, una ragazzina in cerca di tenerezza e di protezione che in un bar di Freetown, in Sierra Leone, si imbatte nella persona sbagliata che le insegnerà tutto quanto può esserci di negativo e brutale nell’amore.

L’autrice

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Lesley Naa Norle Lokko (Scozia, 1964) è una scrittrice e architetto ghanese naturalizzata scozzese. Cresciuta in Africa, ha studiato negli Stati Uniti e in Inghilterra. Laureata in architettura, ha insegnato presso l’università di Città del Capo e vive tra Accra e Londra. I suoi libri sono ambientati in tre continenti, tra Africa, Europa (principalmente Inghilterra e Francia) e America.

Opere

  • Il mondo ai miei piedi (titolo originale “Sundowners”, 2004, trad. Jole Da Rin, Mondadori 2005)
  • Cieli di zafferano (titolo originale “Saffron Skies”, 2005, trad. Jole Da Rin, Mondadori 2006)
  • Cioccolato amaro (titolo originale “Bitter Chocolate”, trad. Cecilia Scerbanenco, Mondadori 2008)
  • Povera ragazza ricca (titolo originale “Rich Girl, Poor Girl”, 2009, trad. Roberta Scarabelli, Mondadori 2010)
  • L’estate francese (titolo originale “One Secret Summer”, 2010, trad. Roberta Scarabelli, Mondadori 2011)
  • Un perfetto sconosciuto (titolo originale “A Private Affair”, 2011, trad. Roberta Scarabelli, Mondadori 2012)
  • Una donna misteriosa (titolo originale “An Absolute Deception”, 2012, trad. Roberta Scarabelli, Mondadori 2013)

 

Recensione

Le vicende di questo appassionante romanzo spaziano dagli anni Novanta ai giorni nostri, muovendosi in diversi continenti. Le protagoniste sono quattro donne: Samantha, Meaghan, Abigail e Danielle.

Samantha è una donna che, lasciatasi alle spalle un’adolescenza triste e una famiglia mai contenta, prende finalmente in mano le redini della propria vita e diventa un avvocato di successo.

Meaghan con notevole forza di volontà si allontana da un padre violento e ricomincia la sua vita da zero.

Abigail, di buona educazione e buona famiglia, segue le orme materne con determinazione.

Danielle, tra le mille difficoltà della vita africana, si aggrappa agli uomini.

Sono tutte accomunate da relazioni più o meno felici con ufficiali dell’esercito; le prime tre si legheranno in un’amicizia profonda oscurata dalle mura ostili delle basi militari di tutto il mondo.

Lo stile della Lokko è semplice, privo di inutili fronzoli, efficace e trascinante. La lettura non stanca nonostante la lunghezza del romanzo, tutt’altro; l’interesse cresce sempre di più impedendo al lettore di staccarsi dalle pagine e, quando questo è inevitabile, continua ad attirarlo a sé per la curiosità di scoprire come si evolvono i fatti.

La cosa che fa impressione è la formidabile abilità dell’autrice di intrecciare vicende, personaggi e tempi molto diversi tra loro in un filo del tutto naturale. Difatti, nonostante i continui salti temporali, la storia non perde colpi, né ne risulta mutilata, acquistando all’opposto credibilità e profondità. Dopo le prime pagine che possono apparire un po’ disorientanti data la mole di personaggi presentati, si avverte la strana sensazione di conoscere fin troppo bene le quattro protagoniste, quasi fossero delle amiche comuni; ci si affeziona a loro senza neanche rendersene conto. Sono delle donne molto diverse, forti in caratteristiche diverse da quelle delle altre, originali e mai banali; i loro comportamenti vengono esposti in modo impeccabile, appaiono come gli unici possibili, accettabili, sebbene alle volte egoisti o codardi.

Interessante anche la descrizione – mai noiosa ma perfettamente disciolta nella narrazione – delle attività militari viste dal punto di vista delle donne, delle mogli degli ufficiali, tra cui pure vige – in modo assodato ma tacito – una gerarchia.

Non potendo attribuire al romanzo uno spessore storico o documentaristico – caratteristiche che prediligo – non posso negare tuttavia che esso è un elogio allo spirito delle donne, così diverse tra loro in tutto il mondo, così simili per la capacità di rialzarsi, combattere battaglie silenziose, non fatte di fucili e pistole ma di forza di volontà e desiderio di riscatto, di giustizia. Chi sostenuta dalla famiglia, chi dalla famiglia ostacolata, chi sorretta da amici e lavoro; le protagoniste donano in modo indiretto una speranza a tutte coloro che per motivi diversi soffrono e subiscono soprusi. Mi è piaciuto molto e ne consiglio la lettura.

Valutazione:

5

La grande storia del tempo – Stephen W. Hawking

Se ci si trova più vicini alla superficie della Terra il tempo scorre più lentamente per via della maggiore intensità della gravità. Quanto più forte è il campo gravitazionale, tanto maggiore sarà questo effetto.

Salve amici, eccomi oggi con la recensione di un bel saggio scientifico.

LA GRANDE STORIA DEL TEMPO – Guida ai misteri del cosmo

Stephen W. Hawking

BUR

Cattura

Con “La grande storia del tempo”, Stephen Hawking, avvalendosi della collaborazione del fisico americano Leonard Mlodinow, ripresenta le proprie riflessioni sulle origini e il destino dell’universo già trattate nel libro “Dal big bang ai buchi neri” (1988). In questa edizione aggiornata e illustrata, oltre a far uso di un gran numero di esempi, diagrammi e illustrazioni esplicative, Hawking parla delle più recenti scoperte, dagli sviluppi della teoria delle superstringhe ai progressi nella ricerca di una teoria unificata della fisica. Inoltre discute in un capitolo interamente nuovo l’affascinante problema dei viaggi nel tempo e dei tunnel spazio-temporali.

Stephen W. Hawking

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Stephen William Hawking(Oxford 1942) è un fisico teorico britannico, noto soprattutto per i tentativi di unificazione della relatività con la teoria dei quanti e per i contributi alla cosmologia relativistica. Studiò presso lo University College di Oxford; era sua intenzione studiare matematica, ma non essendo la facoltà presente presso il College scelto dal padre, optò per la fisica. Ottenuto il dottorato presso l’Università di Cambridge, vi rimase come ricercatore, diventando Lucasian Professor of Mathematics nel 1979 – posizione già occupata da celeberrimi scienziati quali Isaac Barrow e Isaac Newton.

Gran parte del lavoro di Hawking riguarda i buchi neri; le sue ricerche nell’ambito della relatività generale avvalorano la teoria del Big Bang sull’origine dell’universo. Hawking ha ipotizzato che il Big Bang sia derivato da una singolarità iniziale dello spazio-tempo e che tale singolarità rappresenti una caratteristica di qualsiasi modello di universo in espansione.

Affetto da un grave handicap della parola e dei movimenti, dovuto a una malattia incurabile del sistema nervoso – la sclerosi laterale amiotrofica – Hawking è forse lo scienziato più conosciuto del nostro tempo; il suo libro Dal Big Bang ai buchi neri (1988), una chiara esposizione della sua teoria dell’universo, ha riscosso un enorme successo tra il pubblico non specializzato. Le sue ultime pubblicazioni di carattere divulgativo sono Buchi neri e universi neonati (1993) e The Nature of Space and Time (1996), un dibattito con il fisico matematico Roger Penrose.

Nel 2004 Hawking è intervenuto a sorpresa alla 17a Conferenza internazionale di Relatività Generale e Gravitazione, a Dublino, per annunciare la soluzione del cosiddetto paradosso dell’informazione (black hole information paradox). Nella sua teoria dei buchi neri, infatti, si ammetteva che questi giganteschi corpi celesti avessero un campo gravitazionale talmente intenso da non consentire l’allontanamento da esso di alcun tipo di “informazione”. John Preskill del Caltech (California Institute of Technology), ritenendo vero il contrario, aveva accettato nel 1997 una pubblica scommessa con Hawking; premio per il vincitore sarebbe stata un’enciclopedia, “da cui le informazioni possono uscire facilmente”. Con il suo intervento, Hawking pare ammettere di aver perso la scommessa, riaprendo così un capitolo importante della moderna astrofisica.

Fonte: Encarta

Recensione

Questo saggio di circa centosettanta pagine è un concentrato di teorie e spiegazioni sulle leggi che regolano lo spazio e di conseguenza anche il nostro mondo quotidiano. Dalla relatività allo spazio curvo, ai buchi neri, alla meccanica quantistica e molto altro: le grandi questioni dell’universo sono spiegate in maniera chiara, sostenuta tramite esempi e linguaggio semplici da comprendere per i profani. Quasi un discorso continuo, ininterrotto, che da una legge ci porta a un’altra senza che ce ne rendiamo conto e che non annoia, ma che anzi appassiona. Non ho mai letto un saggio scientifico più esauriente e allo stesso tempo chiaro e conciso. Da non perdere per chiunque voglia comprendere meglio il mondo che ci circonda, ma anche l’universo.

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Valutazione:

5

Un’opera d’arte al mese #6 – Il monte Snowdon da Llyn Nantlle

Buongiorno amici,
eccoci al nuovo appuntamento della rubrica Un’opera d’arte al mese. Quest’oggi parliamo di un dipinto di Richard Wilson, il primo grande paesaggista inglese.

Titolo del dipinto

Il monte Snowdon da Llyn Nantlle

Artista

Richard Wilson

Anno di realizzazione

1765

Dimensioni

101 x 127 cm

Tecnica
Olio su tela

Dove si trova

Walker Art Gallery, Liverpool, Inghilterra

Il dipinto

Richard_Wilson_-_View_of_Snowdon_from_Llyn_Nantlle_-_WGA25772 Il monte Snowdon da Llyn Nantlle fu dipinto per William Vaughn of Corsygedol, un ricco proprietario terriero. Il quadro rimase della famiglia Vaughn fino al 1930, quando fu venduto ai mercanti d’arte Agnew che a loro volta lo cedettero al Walker Art Gallery di Liverpool per 950 sterline.
In quest’opera si percepisce una sensazione di grande tranquillità, data dai toni tenui del colore e dell’armonia degli elementi che la compongono.
Grazie alla straordinaria abilità da paesaggista di Wilson, in questo dipinto – come in altri del genere dipinti dall’autore – ogni elemento naturale della scena è ritratto in modo non meramente realistico ma tale da creare un effetto visivo particolare. La bellezza dello Snowdon è disposta in modo da soddisfare l’occhio dell’artista, con un risultato incantevole e poetico.

L’artista

1979

Richard Wilson (Montgomeryshire, 1º agosto 1714 – Denbighshire, 15 maggio 1782) è stato un pittore gallese e uno dei membri fondatori della Royal Academy nel 1768. Wilson è stato descritto come “il pittore più meritorio che il Galles abbia mai prodotto e il primo ad apprezzare le possibilità estetiche del suo paese”. Wilson è considerato il padre della pittura di paesaggi in Gran Bretagna.
Wilson nacque a Penegoes (Montgomeryshire, nel Galles), figlio di un chierico appartenente ad un’antica e rispettata famiglia. Primo cugino di Charles Pratt, 1st Earl Camden.
Nel 1729 si spostò a Londra dove iniziò l’attività di pittore ritrattista sotto la guida di un artista misconosciuto: Thomas Wright. Dal 1750 al 1757 si recò in Italia e a Venezia, su consiglio di Francesco Zuccarelli, abbracciò la pittura paesaggistica; a Roma fu poi influenzato da Claude Lorrain e dal gruppo di paesaggisti d’oltralpe operanti in città.
Disegnando in Italia e dal 1757 in Inghilterra, fu il primo importante pittore britannico a dedicarsi principalmente ai panorami.
I suoi paesaggi influenzarono Constable e Turner. Nel 1768 fu uno dei membri fondatori della Royal Academy, Somerset House.
Wilson morì a Colomendy, nel Denbighshire, e fu sepolto nel camposanto della chiesa della Vergine Santa Maria di Mold, Flintshire.

Curiosità

Il successo gli diede alla testa, tanto che si guadagnò la reputazione di persona arrogante e perse molti ricchi clienti, cadendo in disgrazia. Un decennio più tardi la fondazione della Royal Academy, Wilson, ormai ridotto in povertà, finì per lavorarvi come bibliotecario.

Fonti: Encarta, Capolavori della pittura

La poesia del bianco e nero, l’impatto dei colori #7 – V-J Day

Ciao amici,

ecco per voi un articolo della rubrica La poesia del bianco e nero, l’impatto dei colori (no, non me ne ero dimenticata!).

Lo scatto ricolorato di oggi è il famosissimo bacio nel V-J day a Times Square: un marinaio americano che bacia una giovane donna, il 14 agosto 1945 a Times Square, subito dopo aver saputo che il Giappone era capitolato e la guerra finita.

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Fonte: Wired.it

La foto fu scattata dal noto Alfred Eisenstaedt e fu pubblicata sulla rivista “Life“. Nel corso degli anni molti si sono spacciati per i protagonisti della foto, ma solo qualche anno fa uno specialista di arte forense, Lois Gibson, stabilì con l’ausilio di metodologie scientifiche che il marinaio era Glenn McDuffie e l’infermiera Edith Shain.

Ma perché il bacio?

Glenn McDuffie racconta che, mentre era in metro, apprese della resa del Giappone. Era così felice che uscì dalla stazione e corse per strada: un’infermiera lo vide e gli sorrise, così lui si lanciò per abbracciarla e baciarla, senza dire una parola.

Così quel bacio improvviso tra sconosciuti divenne il simbolo della felicità e del sollievo di una generazione che si liberava dal peso della guerra.

Unconditional Surrender

La foto è diventata una statua di bronzo: alta 8 metri e pesante 13 tonnellate, la statua denominata “Unconditional Surrender” realizzata da Seward Johnson per il settantesimo anno dalla fine del conflitto fa bella mostra di sé davanti al museo del Memoriale di Caen, capoluogo del dipartimento del Calvados in Francia.

Chi era il fotografo?

Alfred Eisenstadt

Alfred Eisenstaedt (Dierschau 1898-1995) fu un fotografo statunitense di origine tedesca. Negli anni Venti, insieme a un gruppo di fotografi tedeschi (Erich Salomon, Felix H. Man e Martin Munkacsi), Eisenstaedt fu praticamente il fondatore del fotogiornalismo, collaborando con la Pacific and Atlantic Picture Agency che di lì a poco sarebbe diventata la Associated Press, una delle più importanti agenzie di stampa del mondo.

Emigrato negli Stati Uniti nel 1935, sviluppò presto il suo interesse per i reportage, lavorando per ‘Life’ fin dal primo numero nel novembre del 1936 e realizzando per questa rivista più di mille servizi in quarant’anni di attività. Con la sua Leica 35 mm ritrasse personalità di primo piano sulla scena politica e culturale mondiale, tra cui John Fitzgerald Kennedy, Winston Churchill, Albert Einstein, ma anche stelle del cinema come Marlene Dietrich, Marilyn Monroe, Sophia Loren. Immortalò avvenimenti storici cruciali, quali il primo incontro tra Adolf Hitler e Benito Mussolini nel 1933; fu a Hiroshima al seguito dell’imperatore Hirohito sui luoghi del bombardamento atomico.

Tra le sue foto più famose, si ricorda quella del marinaio che bacia una ragazza a Times Square il giorno della celebrazione della vittoria nella seconda guerra mondiale (V-J Day, Times Square, 1945). Il suo ultimo lavoro, 95 for 95, riunisce novantacinque immagini esposte in occasione del suo novantacinquesimo compleanno. Tra i numerosi riconoscimenti ricevuti da Eisenstaedt figurano la National Medal of the Arts, l’International Understanding Award for Outstanding Achievement, il Photographic Society of America Achievement Award.

Fonti: Encarta, Wikipedia, Wired

Il trono usurpato – David Gaider

Salve a tutti, eccomi con una nuova recensione.

Partiamo dal fatto che non amo il genere fantasy nella letteratura. Mi piace invece molto per quanto riguarda i videogiochi, così quando ho trovato un romanzo basato su Dragon Age: Origins (il mio videogioco preferito) mi sono detta che forse questo fantasy l’avrei apprezzato molto.

IL TRONO USURPATO

David Gaider

Multiplayer Edizioni

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Trama

Dopo che la madre, l’amata Regina Ribelle, è stata ingannata e uccisa dagli infidi nobili della sua corte, il giovane Maric diventa il capo di un’armata di ribelli nel tentativo di liberare il proprio popolo dal dominio di un tiranno straniero. I suoi compatrioti vivono nella paura, i suoi comandanti lo ritengono inesperto; i suoi unici alleati sono Loghain, un giovane e arrogante fuorilegge che gli ha salvato la vita, e Rowan, la splendida guerriera a lui promessa sin dalla nascita. Circondato da spie e traditori, Maric dovrà trovare il modo non solo per sopravvivere, ma anche per compiere il proprio destino: restituire la libertà a Ferelden e il trono usurpato alla propria discendenza.

L’autore

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David Gaider è uno scrittore e game designer canadese, lavora come sviluppatore di giochi Edmonton, Alberta, BioWare, dal 1999.
Gaider ha iniziato la sua vita professionale come fornitore per ristoranti e alberghi, mentre la progettazione del gioco era un hobby. Un amico di Gaider, Kalvin, cominciò a lavorare alla BioWare e suggerì il suo nome. Gaider ottenne il lavoro e, come primo incarico, gli fu dato il compito di fornire disegni per Baldur’s Gate 2. Egli ha scritto i personaggi HK-47, Jolee Bindo e Carth Onasi per Star Wars: Knights of the Old Republic, ed è stato scrittore per Neverwinter Nights: Hordes del Sottosuolo, su cui ha scritto sia Deekin e Valen Shadowbreath. Gaider è stato impostato come editorialista sul successore spirituale di Baldur’s Gate, Dragon Age: Origins, creando il mondo di Thedas in cui il gioco è ambientato. Ha scritto i personaggi di Zevran, Alistair, Cailan, Morrigan, Shale e Duncan, come le missioni “La natura della Bestia” e “Redcliffe”. Dopo il successo di Origins, Gaider anche scritto il suo prequel, The Stolen Throne e The Calling. Successivamente, Gaider ha scritto per Dragon Age II, dove ha avuto un contributo importante per la trama, creando i personaggi di Cassandra, Fenris, e Meredith, e scrisse il romanzo di follow-up, Asunder, che è stato pubblicato il 20 dicembre 2011. Nel 2012, Gaider ha pubblicato Dragon Age: The Silent Grove, una serie a fumetti pubblicata dalla Dark Horse Comics.

Recensione

Il trono usurpato racconta gli eventi che precedono la storia di Dragon Age: Origins. Siamo nel Ferelden alla fine dell’Era Benedetta, quando il principe Maric, ultimo reale del regno, cerca di riconquistare il trono strappatogli dagli invasori orlesiani.

Il fatto di esporre i fatti di gioventù di alcuni dei personaggi del videogioco (per esempio Loghain) è secondo me il punto forte del libro. Nel giovane Maric si ritrova molto del temperamento che poi avrà il figlio illegittimo Alistair nel videogioco.

L’ambientazione (Ferelden) e le vicende storiche (del Thedas in generale) mi hanno fatto apprezzare molto il libro; tra l’altro la narrazione ha un buon ritmo, né veloce né lento, e lo stile dell’autore (sceneggiatore di Dragon Age: Origins) è piacevole e fluido, capace di trasportare il lettore nel bel mezzo di una battaglia senza che se ne sia reso conto.

Un buon fantasy in generale, e un bellissimo libro che non può mancare nelle librerie degli appassionati gamer della saga di Dragon Age.

Valutazione:

5

Approfondimenti

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Dragon Age: Origins è un gioco di ruolo sviluppato da Bioware e distribuito da Electronic Arts. Pubblicato il 3 novembre 2009 per PC, XBox 360 e Playstation 3, è diventato disponibile anche per Mac OS X il 21 dicembre 2009 e costituisce il primo capitolo della saga Dragon Age.

Durante l’edizione 2004 dell’E3, Bioware ha annunciato lo sviluppo di un nuovo gioco intitolato Dragon Age. Il 10 luglio 2008 il nome è stato cambiato in Dragon Age: Origins. La versione del gioco per Playstation 3, inizialmente non prevista, è stata invece rilasciata insieme a quella per PC e XBox 360. Il titolo in questione è stato definito da Ray Muzyka come “il seguito spirituale di Baldur’s Gate”, gioco di ruolo realizzato da Bioware nel 1998[4]; l’ambientazione, i combattimenti e lo sviluppo del personaggio, tuttavia, sono stati creati ex novo dagli stessi sviluppatori e non presentano alcun legame né con i Forgotten Realms né con il sistema di regole di Dungeons & Dragons (salvo qualche velato riferimento a frasi e individui che compaiono nel su citato gioco).

Trama

Il gioco è ambientato nel Ferelden, una delle nazioni del vasto mondo di Thedas, nel pieno dell’invasione di temibili e sanguinarie creature note come Prole Oscura. Benché dimorino nelle Vie Profonde, un complesso sistema di gallerie sotterranee create dai nani, una volta ogni 200 anni (400 in questo caso) raggiungono la superficie, distruggendo tutto ciò che incontrano sul loro cammino. Questo evento prende il nome di Flagello.

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Le prime ore di gioco variano a seconda della razza e della classe scelta, caratteristiche che influenzano anche il modo in cui i personaggi si relazionano con il giocatore. Esistono sei diverse storie relative alle origini del protagonista; in ognuna di esse verrà infine scelto dal Custode Grigio Duncan come nuovo membro dell’Ordine. Per diventarlo il personaggio deve recarsi nelle Selve Korcari, insieme al Custode Grigio Alistair e altri due aspiranti membri dell’Ordine. Obiettivo della missione è recuperare 3 fiale di sangue della Prole Oscura e i trattati dei Custodi Grigi. Giunti sul luogo il gruppo incontra Morrigan, una Strega delle Selve. Questa afferma che i trattati dei Custodi Grigi, riguardanti l’alleanza fra i popoli contro la minaccia della Prole Oscura, sono in possesso di sua madre Flemeth. Morrigan conduce il gruppo in una capanna in mezzo alle Selve dove incontrano l’anziana signora, la quale consegna i trattati alle reclute. Tornati da Duncan, viene quindi effettuate il rituale dell’Unione, che consiste nel far bere a ciascuna delle reclute il sangue raccolto. Alla prova sopravvive solo il protagonista, e viene quindi ufficialmente riconosciuto come un Custode Grigio. Si tiene quindi una grande battaglia contro un esercito di Prole Oscura giunta all’accampamento dell’esercito re e dei Custodi Grigi, che viene persa da quest’ultimi quando Teyrn Loghain, padre della regina e quindi suocero di re Cailan, fa ritirare la sua armata anziché intervenire in aiuto del re come precedentemente convenuto. Il protagonista e Alistair riescono a salvarsi solo grazie all’intervento di Flemeth, che trasformatasi in un corvo gigante li trae in salvo. Risvegliatisi, gli ultimi due Custodi Grigi decidono subito di partire in viaggio accompagnati da Morrigan per chiedere, sfruttando i trattati, quanto più aiuto possibile in tutto il Ferelden, sia per contrastare Loghain, che nel frattempo ha usurpato il trono del re, che per combattere il Flagello.

Personaggi

Mabari

Dog_imageAnimale simile ad un grosso cane. I mabari sono noti segugi da guerra che rispondono soltanto agli ordini impartiti dal padrone; altre persone che tentino di farlo rischiano persino di essere uccisi. Se il giocatore veste i panni dell’umano nobile, sarà il primo membro del gruppo che incontrerete; diversamente, sarà possibile arruolarlo svolgendo un’apposita missione a Ostagar.

Alistair

NPC-AlistairUno degli ultimi due Custodi Grigi rimasti nel Ferelden. È stato cresciuto dall’Arle di Redcliffe, Eamon, e poi mandato a forza in un monastero dall’Arlessa, consorte dell’Arle, per mettere a tacere le voci secondo cui il giovane era un figlio bastardo. Alistair da allora non li vide più, e poco prima di prendere i voti come Templare, verrà portato via da Duncan che, invocando il diritto di coscrizione, lo farà diventare un Custode Grigio. Con l’avanzare della trama si scoprirà che Alistair è in realtà membro della famiglia reale, nonché fratello del defunto Re Cailan. La storia d’amore con Alistair è possibile con un personaggio femminile di qualsiasi razza.

Morrigan

Morrigan_profileFiglia della famigerata Strega delle Selve Flemeth, Morrigan è un’incantatrice arrogante e cinica che tiene molto al suo aspetto, sebbene cerchi di non farlo notare. È una mutaforma, possiede cioè l’abilità di assumere forme animali. Ha trascorso tutta la sua vita nelle Selve, una vita che lei stessa definisce solitaria e che non le ha consentito di coltivare relazioni sociali. Il ritrovamento del grimorio di Flemeth le consentirà di scoprire che la madre riesce a vivere per interi secoli prendendo possesso dei corpi delle figlie, ragion per cui chiederà al protagonista di ucciderla. La storia d’amore con Morrigan è possibile con un personaggio maschile di qualsiasi razza.

Leliana

2586048-lelianaLeliana è un’asserente della Chiesa: condivide lo stile di vita, gli ideali e i dogmi dei suoi fratelli e sorelle pur non avendo preso i voti. Si dice determinata ad aiutare il protagonista a porre fine al Flagello in virtù di una misteriosa visione mandatale dal Creatore. Quando il rapporto con il Custode Grigio diventerà più profondo, la giovane spiegherà di aver scelto la vita nel monastero per scappare da Marjolane, una spia di Orlais destinata a ricomparire con prepotenza nella vita della ragazza. La storia d’amore con Leliana è possibile con personaggi di entrambi i sessi e di qualsiasi razza.

Sten

Sten2Sten è un Qunari, razza proveniente dai territori del Nord. Spiega di essere giunto nel Ferelden per ordine del suo generale, il quale gli ha chiesto di trovare la risposta alla domanda “Cos’è il Flagello?”. Poco dopo il suo arrivo verrà però condannato alla prigionia per aver sterminato la famiglia di contadini che gli aveva salvato la vita. Il giocatore ha la possibilità di liberarlo (dimodoché cerchi la redenzione combattendo la Prole Oscura) oppure lasciarlo al proprio destino.

Wynne

soundtrack-dragon-age-pc-game-77361Wynne è un’anziana maga che insegna ai nuovi arrivati alla Torre del Circolo come servirsi della magia senza pericoli. Partecipa con fierezza alla battaglia di Ostagar, riuscendo a salvarsi malgrado la catastrofica sconfitta. Non appena il giocatore si reca alle sponde del Lago Calenhad, scoprirà che la Torre è caduta nelle mani degli abomini e che Wynne è intenzionata a porre fine a questa minaccia. Eliminato Uldred, il responsabile dei disordini, offrirà i propri servigi al Custode.

Zevran

Zevran-Arainai-dragon-age-origins-30432884-1011-574Zevran è un discendente degli elfi Dalish ed un membro dei Corvi di Antiva, una società di assassini con ramificazioni in numerosissime regioni. Questi gli propongono di uccidere il protagonista su richiesta di Arle Howe, forte del benestare di Loghain. Sconfiggendolo dopo l’agguato, il giocatore potrà decidere se ucciderlo o accettare la sua proposta di alleanza. Per quanto possa sembrare cinico e malizioso in ogni suo discorso, l’elfo ha avuto un’infanzia durissima in quanto orfano di entrambi i genitori: la madre, una prostituta di Antiva, è morta dandolo alla luce, mentre il padre, un taglialegna, è scomparso a causa di una malattia. È stato quindi cresciuto dai Corvi di Antiva, imparando ogni segreto nell’arte dell’assassinio. La storia d’amore con Zevran è possibile con personaggi di entrambi i sessi e di qualsiasi razza.

Oghren

20100402_1318451Oghren è un nano della città di Orzammar. Aiuterà il giocatore ad inoltrarsi nelle Vie Profonde per trovare la moglie Branka, partita alla ricerca dell’Incudine del Vuoto, un antico manufatto creato dal Campione Caridin per forgiare Golem (usando le anime di volontari e non). Il protagonista potrà scegliere se preservare l’Incudine o distruggerla. In entrambi i casi, Oghren offrirà al Custode Grigio la propria lama per sconfiggere il male che minaccia Ferelden, abbandonando pertanto Orzammar. Dopo un iniziale periodo di adattamento alla superficie, ne scoprirà la bellezza, le particolarità ma soprattutto la qualità della birra, da lui assunta costantemente in grande quantità.

Shale

ShalePortrait--article_imageShale è un golem reclutabile soltanto dopo aver scaricato il DLC “Il prigioniero di Pietra”. Il suo precedente padrone, Wilhem, la portò sulla superificie dopo averla rinvenuta casualmente nelle Vie Profonde; da allora la impiegò come servitore personale, sino a quando la situazione non divenne talmente insopportabile che Shale uccise Wilhem. Subito dopo però si bloccò, incapace di muoversi e di proferire parola. L’incontro con un mercante di nome Felix consentirà al giocatore di dirigersi verso Honnleath, città dove il golem giace ancora immobile.

Loghain

tumblr_nf11usMHn41t2dxlro1_500Teyrn Loghain, padre di Anora e quindi suocero di Cailan, è il cattivo per almeno 2/3 della storia. Successivamente all’incontro dei popoli, il giocatore può scegliere di giustiziarlo (e quindi non diventerà mai più un personaggio del gruppo), o fargli compiere l’iniziazione, avendo una vendetta comunque adeguata. Non passandola, infatti, perirebbe e passandola sarebbe “condannato” a diventare un Grey Warden e ad aiutare il protagonista (questa è l’argomentazione posta da Anora per convincere il giocatore, risparmiandolo può essere scelto come sacrificio contro l’arcidemone, se si prende questa decisione morirà e sarà considerato un eroe insieme al personaggio principale che però rimarrà in vita.). Risparmiandolo, però, scatenerete la furia di Alistair, che desiderava vederlo morto più di ogni altra cosa (d’altronde Loghain è la causa della morte del fratello Cailan e del mentore Duncan), che indipendentemente dalle vostre mosse e risposte per convincerlo a restare abbandonerà il gruppo.

Fonti: Wikipedia

Un’opera d’arte al mese #5: La stella

Buongiorno amici,

per la rubrica Un’opera d’arte al mese, questo mese parliamo del dipinto La stella di uno dei pittori che preferisco: Edgar Degas.

Titolo del dipinto

La stella

Artista

Edgar Degas

Anno di realizzazione

Tra il 1876 e il 1877

Dimensioni

60 x 43 cm

Tecnica

Pastello su carta

Dove si trova

Musée d’Orsay, Parigi, Francia

Curiosità

Esistono numerosi titoli per questo dipinto, anche se il più conosciuto è La stella. Gli altri sono: La danzatrice sul palco, Prima ballerina e, semplicemente, Balletto.

Il dipinto

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Sotto i riflettori di un palcoscenico, la prima ballerina esegue il pas seul. Edgar Degas osserva e coglie questo momento. La bellezza di questa immagine femminile risalta ancora di più per il modo in cui l’artista contrappone l’azione principale ai colori pesanti e vividi dello sfondo.

La ballerina fluttua con leggiadria, ancorata al suolo per mezzo della delicata gamba flessa. I suoi occhi sono messi nell’ombra dalle luci del palcoscenico. La scena è ripresa da un’angolazione obliqua e dall’alto, come se l’osservatore si trovasse a teatro. Il pesante sfondo, il quadrante vuoto del palco e l’angolazione particolare danno maggiore energia al movimento del soggetto.

Per quanto riguarda la tecnica, Degas utilizza i pastelli. Con essi egli era in grado di applicare il colore velocemente e con efficacia, aggiungendo contemporaneamente linee e toni. La leggerezza data dal bianco della ballerina contrasta con i tratti vibranti, le macchie e le ombre nei fondali del palco. Questa zona, che a prima vista appare confusa, a un’attenta osservazione mostra la figura di un gentiluomo che attende dietro le quinte e le punte bianche delle scarpette di altre ballerine che attendono di entrare in scena.

L’autore

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Edgar Degas (Parigi 1834-1917) fu un pittore e scultore francese. La sua formazione artistica si compì presso un allievo del pittore neoclassico Jean-Auguste-Dominique Ingres, dal quale apprese la tecnica del disegno, determinante poi per tutta la sua opera; frequentò inoltre l’Ecole des Beaux-Arts e compì un importante viaggio di studio in Italia.

Dopo i primi dipinti di soggetto storico approdò a una pittura nuova e personale con l’olio La famiglia Bellelli (1862, Louvre, Parigi), nel quale la compostezza e la monumentalità classica delle figure si accompagnano alla descrizione realistica di una situazione e di un ambiente familiare.

Sebbene sia di solito considerato un impressionista e abbia contribuito con le sue tele a ben sette mostre del gruppo (a partire dal 1874), Degas mantenne posizioni artistiche indipendenti: ad esempio, nella preferenza accordata al lavoro in studio rispetto al “plein air” e nel disinteresse per la luce naturale. Fatta eccezione per le opere ispirate al mondo dell’ippica (All’ippodromo, 1869-1872, Louvre, Parigi), i suoi quadri riproducono perlopiù interni: teatri, caffè (L’assenzio, 1876, Musée d’Orsay, Parigi), bordelli.

Attento osservatore dell’umanità (predilesse i soggetti femminili), nei suoi studi e ritratti di ballerine (La scuola di danza, 1874, Louvre, Parigi; L’étoile o La danzatrice in scena, 1878, Musée d’Orsay, Parigi), modiste, lavandaie, stiratrici (Due stiratrici, 1884, Louvre, Parigi), donne intente alla toilette quotidiana (Donna nella tinozza che si spugna la nuca, 1886, Musée d’Orsay, Parigi) cercò di rappresentare pose e atteggiamenti spontanei, quasi immagini fugacemente rubate alla realtà.

Lo studio delle stampe giapponesi, introdotte a Parigi dall’incisore Braquemond, gli suggerì visuali inconsuete e composizioni asimmetriche, con le figure raggruppate ai margini della tela: come in Donna con crisantemi (1865, Metropolitan Museum of Art, New York), quadro dominato dal grande mazzo di fiori al centro, che quasi fa dimenticare la figura femminile relegata in un angolo.

Negli anni Ottanta, in seguito all’indebolimento della vista, Degas si dedicò sempre più al pastello e alla scultura, tecniche che consentono stili espressivi non vincolati alla precisione rappresentativa, senza perdere in impatto emotivo. Nei pastelli ricorrono composizioni semplici, con poche figure, che si affidano, per eloquenza ed espressività, a colori e gesti (Dopo il bagno, donna che si asciuga la nuca, 1898 ca., Musée d’Orsay, Parigi).

Le sculture rendono il movimento e la fisicità dei soggetti nella loro immediatezza: nel bronzo Ballerina di quattordici anni (1880, Musée d’Orsay, Parigi), lo scrupolo di riproduzione realistica si traduce, oltre che nella resa “istantanea” di un atteggiamento e un’espressione naturali, nella presenza inedita di vero tulle per il tutù e di un vero nastro di raso annodato sulla treccia dei capelli.

La corrente artistica

L’Impressionismo è una corrente artistica sviluppatasi in Francia nella seconda metà dell’Ottocento, nata dal rifiuto delle tradizioni pittoriche e scultorie contemporanee, a soggetto classico o sentimentale, e dello stile promosso dall’Accademia di belle arti di Parigi, tecnicamente meticoloso e incentrato sul lavoro in studio. Per estensione, il termine “impressionismo” è stato applicato anche a certa produzione musicale dell’inizio del XX secolo. Tra i principali pittori impressionisti si ricordano Edgar Degas, Claude Monet, Berthe Morisot, Camille Pissarro, Pierre-Auguste Renoir, Alfred Sisley e Jean-Frédéric Bazille.

I FONDAMENTI DELL’IMPRESSIONISMO

Tradizionalmente l’Accademia imponeva le direttive alle quali tutta l’arte francese avrebbe dovuto uniformarsi e allestiva le esposizioni del Salon di Parigi, organo ufficiale della promozione artistica e della formazione del gusto. Gli impressionisti rifiutarono questi dettami e queste costrizioni, preferendo ispirarsi alla natura e alla vita quotidiana piuttosto che alla classicità o alla storia aulica, e rigettando d’altra parte anche il sentimentalismo tardoromantico (vedi Romanticismo) allora in voga. Scelsero di lavorare all’aperto anziché in studio, interessandosi principalmente agli effetti della luce naturale.

Se la pratica accademica si fondava sull’accuratezza del disegno, la precisa descrizione dei dettagli, la perfetta definizione delle forme attraverso sfumature di colore e chiaroscuro, gli impressionisti, invece, elaborarono una tecnica pittorica in grado di riprodurre la percezione visiva del reale, nella quale i contorni non sono mai netti e i colori, colpiti dalla luce, appaiono vivi, spesso cangianti.

Il procedimento si fondava sulla stesura di brevi pennellate di pigmento puro, che giustapponevano perlopiù colori primari (rosso, giallo e blu), mettendoli in contrasto con i complementari (verde, viola, arancio ecc.): ne risultava un’immagine rozza e frammentaria se analizzata da vicino, ma straordinariamente efficace dalla consueta distanza d’osservazione, caratterizzata da una luminosità più accesa di quella solitamente prodotta mescolando i colori prima di applicarli alla tela.

FONTI: ENCARTA, CAPOLAVORI DELLA PITTURA

Suite francese – Irène Némirovsky

Salve amici,

in occasione dell’uscita del film Suite francese, vi propongo la lettura del romanzo a cui è ispirato.

SUITE FRANCESE

Irène Némirovsky

Cattura

Trama

“Suite francese”, pubblicato postumo nel 2004, è l’ultimo romanzo di Irene Némirovsky, nata a Kiev nel 1903, emigrata a Parigi nel 1919, morta ad Auschwitz nel 1942. È un affresco spietato, in diretta, della disfatta francese nel giugno 1940 e dell’occupazione tedesca, in cui le tragedie della Storia si intrecciano alla vita quotidiana e ai destini individuali. È un caleidoscopio inesauribile di comportamenti condizionati dalla paura, dal sordido egoismo, dalla viltà, dall’indifferenza, dagli istinti di sopravvivenza e di sopraffazione, dall’ordinaria crudeltà, dall’ansia di amore. Con lucida indignazione ma anche con passione, Némirovsky mette a nudo le dinamiche profonde dell’esistenza umana di fronte alla prova della guerra. Perché è nei momenti di crisi che si arriva davvero, a conoscere gli altri, specchio di noi stessi. Prefazione e traduzione di Lanfranco Binni.

Recensione

Come sapete la Némirovsky è un’autrice che apprezzo molto (l’ho presentata qui) e mi fa sempre piacere leggere uno dei suoi libri.

In Suite francese non c’è solo una storia. In realtà si tratta dei primi due movimenti di quello che avrebbe dovuto essere un poema composto da cinque parti (Tempesta di giugno, Dolce, Prigionia, Battaglie, La Pace). L’autrice infatti dopo aver terminato Tempesta di giugno e Dolce viene arrestata e internata ad Auschwitz, dove muore.

Nel primo movimento, Tempesta di giugno, la Némirovsky descrive il momento del grande esodo da Parigi poco prima dell’invasione tedesca: è il caos.

Il modo in cui l’autrice intreccia vite e storie, esperienze e tragedie, è una delle sue più grandi abilità. La descrizione di dettagli e scene è così vivida e abbondante (ma non pesante) che le pagine fanno vivere al lettore l’atmosfera delle vicende, fanno letteralmente respirare l’aria che respirano i personaggi, sentire sulla pelle le stesse sensazioni. La Némirovsky è maestra nella descrizione della propria epoca attraverso un occhio critico e pungente, che mostra in maniera cruda ma non crudele le contrapposizioni di classe e le battaglie interne di ogni individuo. Storie di coraggio, dolore, passione e lotta, che trascende gli standard di genere e offre il ritratto reale di un’epoca e più generazioni, in maniera individuale ma anche collettiva.

Nel secondo movimento, Dolce, l’autrice pone l’accento su un aspetto più intimo della vita umana sebbene non tralasci mai il contesto: l’amore, la passione tra uomo e donna. Non lascia stupiti il fatto che, nel momento in cui inizia la storia d’amore che ci aspettavamo (quella tanto pubblicizzata dalla quarta e dal trailer del film) non ci si rende nemmeno conto di essere stati trasportati fin lì, perché ormai si era un tutt’uno con l’universo di personaggi creati dall’autrice, con ogni piccolo e grande dramma di ciascuno di essi. Le emozioni e le attenzioni tra i due protagonisti hanno i toni lievi, come pastelli, delle storie d’amore d’altri tempi senza perdere nulla in romanticismo e passione.

È un vero peccato che le altre parti del poema non siano state scritte, difatti non sapremo mai l’epilogo di alcune vicende presentate in Tempesta di giugno e Dolce. In ogni caso gli scritti della Némirovsky meritano sempre.

Valutazione:

4

Per quanto riguarda il film non l’ho ancora visto, ma lo farò sicuramente. Ecco il trailer:

La fidanzata inopportuna – Natasha Solomons

Salve amici, questa volta condivido con voi la mia opinione su un libro che ho trovato quasi per caso ma che è stato una vera rivelazione.

LA FIDANZATA INOPPORTUNA

Natasha Solomons

Frassinelli

 

La fidanzata inopportuna

 

Trama

È la primavera del 1938 quando Elise Landau arriva a Tyneford House, sulla costa del Dorset. È in fuga dall’Austria, e dal nazismo ormai al potere. Tra le stanze in penombra dell’antica dimora inglese, dove prende servizio come cameriera, solo un filo di perle della madre, indossato sotto la divisa, le ricorda la vita scintillante di Vienna, e l’ambiente vivace e mondano della ricca borghesia ebraica cui appartiene. Aggrappata al ricordo, e a un’immagine di se stessa che non c’è più, Elise vaga come uno spettro in una casa dove non ha un posto: a disagio con il resto della servitù, subalterna al padrone l’affascinante vedovo Christopher Rivers -, la giovane donna impara presto a dimenticare il passato, o a nasconderlo. Finché un giorno a Tyneford House giunge Kit, il figlio di Mr Rivers. Tra lui ed Elise sboccia un amore limpido e intenso, e la vita sembra tornare piena di gioia. Ma la guerra sta per raggiungere l’Inghilterra, pronta a spazzare via le certezze di tutti, incurante dei destini dei singoli. Kit viene chiamato al fronte e i due giovani amanti sono costretti a separarsi, senza sapere cosa ne sarà del loro futuro. Perché il mondo come lo conoscevano è sul punto di cambiare irrimediabilmente: ed Elise sarà costretta, per sopravvivere, a cambiare anche lei. A diventare un’altra. Imparando che, nel corso di una vita, si può essere più di una persona. E, forse, si può amare più di una volta.

L’autrice

Nat Sol

Natasha Solomons è nata nel 1980. Vive nel Dorset. Il suo primo lavoro, a nove anni, fu la pastorella, badando a un gregge sulla collina Bulbarrow. Da allora, ha lavorato come sceneggiatrice con il marito, e insieme stanno attualmente lavorando all’adattamento cinematografico del suo primo romanzo, Un perfetto gentiluomo, selezionato per il Galaxy Book Award.  Il suo secondo libro, La fidanzata inopportuna, esamina l’impatto della guerra su un villaggio nel Dorset e in particolare sui suoi abitanti.

Recensione

Lo guardai con aria di sfida. Lo sfidai a ricambiare il mio sguardo. Lo sfidai a dirlo, a dire la cosa che ci avrebbe salvati entrambi. Lui mi si avvicinò.

«Non tutti quelli che ti amano sono morti.»

Elise Landau è una giovane ebrea benestante che abita a Vienna. La sua vita è scandita da eventi mondani e la condivide con la sorella maggiore Margot, la madre Anna, famosa cantante lirica, e il padre Julian, apprezzato romanziere. La quotidianità perfetta di Elise viene però infranta nella primavera del 1938 quando, dopo l’Anschluss, le leggi razziste minacciano di rovinare per sempre la vita della sua famiglia. Margot parte per l’America con il fidanzato, Anna e Julian restano a Vienna in attesa del visto d’uscita mentre Elise viene mandata in Inghilterra, dove viene assunta come cameriera nella residenza di un gentiluomo presso Tyneford. È questa la sorte che spetta ai nobili ebrei: diventare servitù per le famiglie straniere altolocate.

Elise si adatta controvoglia alla sua nuova vita, a lavorare a testa bassa e a sopportare il nuovo comportamento riservatole. Non riesce però a entrare a tutti gli effetti nella cerchia della servitù di Tyneford House. Colta dallo sconforto, si aggrappa a ciò che ha di più caro della sua vecchia vita: la viola che suonava quand’era bambina e in cui suo padre ha nascosto un romanzo ancora inedito in modo che Elise lo portasse fuori dal Terzo Reich.

Nella vita di Elise entrano due uomini importanti: Mr Christopher Rivers, il gentiluomo suo datore di lavoro, affascinante quarantenne, e Kit Rivers, figlio di Mr Rivers, un uomo-bambino anticonformista e bellissimo. Con ognuno di loro stringe un legame diverso ma comunque indissolubile che cambia la sua situazione a Tyneford House. I brevi attimi di felicità però non hanno fatto i conti con la guerra che, incurante di tutto, arriva anche lì a stravolgere ogni cosa.

Un romanzo che rapisce il lettore e lo catapulta in un mondo che non c’è più. Un romanzo che mostra l’altra faccia della guerra, quella indiretta, quella della sofferenza di coloro che rimangono a casa, lontani dal conflitto. Oltre all’amore romantico e platonico, in questo libro troviamo anche la toccante storia di una ragazza ebrea che compie un viaggio alla scoperta di una nuova sé. Indimenticabili i personaggi di Kit e Christopher Rivers, due modi opposti di essere uomini, due modi opposti di vedere la vita e di agire.
La scrittura della Solomons è assolutamente piacevole e spesso poetica, armonica, soprattutto nella descrizione dei paesaggi, dell’alternarsi delle stagioni sulle colline e sulla baia di Tyneford.

Un unico appunto: nella traduzione italiana hanno stravolto il titolo. Da The novel in the viola (Il romanzo nella viola), molto poetico e con legami con la storia, è stato trasformato in La fidanzata inopportuna. Manovra commerciale?

In definitiva un libro che consiglio davvero di leggere.

 Valutazione:

5

Approfondimenti

Anschluss

Annessione dell’Austria da parte della Germania nazista proclamata ufficialmente il 15 marzo del 1938; realizzava il progetto di Hitler di unificare sotto il Terzo Reich tutti i tedeschi europei.

Le clausole del trattato di Versailles (1919) e del trattato di Saint-Germain (1919) vietavano espressamente l’unione tra i due paesi, e ancora nel 1931 la Francia pose il veto a un progetto di unione doganale austro-tedesca. La situazione precipitò dopo l’avvento al potere di Hitler in Germania. Simpatizzanti nazisti riprovarono a destabilizzare l’Austria, tentando il Putsch del luglio 1934 che portò all’assassinio del cancelliere austriaco Engelbert Dollfuss, ma il tentativo fallì per l’opposizione di Francia, Gran Bretagna e Italia.

A partire dal 1937 Hitler esercitò pesanti pressioni militari, politiche e diplomatiche sul nuovo cancelliere, Kurt von Schuschnigg, che finirono col determinarne le dimissioni in favore del nazista austriaco Arthur Seyss-Inquart (11 marzo 1938). Il giorno seguente truppe e forze di polizia tedesche entrarono nel territorio austriaco su espresso invito di Seyss-Inquart, e il 14 marzo Hitler fece trionfalmente ingresso a Vienna dove, il giorno dopo, proclamò l’Anschluss (termine tedesco che significa appunto “congiungimento”, “annessione”). L’atto fu confermato dal plebiscito del 10 aprile 1938, con il quale l’Austria divenne la provincia tedesca della Marca Orientale (Ostmark).

Considerata vitale per gli interessi dei popoli germanici, l'annessione ("Anschluss") dell'Austria venne tentata da Adolf Hitler una prima volta nel 1934, fallendo per l'opposizione di Gran Bretagna, Francia e Italia. Quattro anni dopo, rafforzato il suo potere e ottenuto il consenso di Mussolini, Hitler piegò le deboli resistenze dell'Austria, unendola al Reich. Annunciata ufficialmente il 15 marzo 1938, l'annessione venne accolta con favore dalla maggioranza degli austriaci e ratificata con un referendum il 10 aprile seguente. Nella foto, un reparto dell'esercito tedesco attraversa la frontiera austriaca il 12 marzo 1938.

Considerata vitale per gli interessi dei popoli germanici, l’annessione (“Anschluss”) dell’Austria venne tentata da Adolf Hitler una prima volta nel 1934, fallendo per l’opposizione di Gran Bretagna, Francia e Italia. Quattro anni dopo, rafforzato il suo potere e ottenuto il consenso di Mussolini, Hitler piegò le deboli resistenze dell’Austria, unendola al Reich. Annunciata ufficialmente il 15 marzo 1938, l’annessione venne accolta con favore dalla maggioranza degli austriaci e ratificata con un referendum il 10 aprile seguente. Nella foto, un reparto dell’esercito tedesco attraversa la frontiera austriaca il 12 marzo 1938.

 

Fonte: Encarta

Liebster Award

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Salve amici,

oggi sono lieta di parlarvi del Liebster Award.

Di cosa si tratta?

Il Liebster Award è un premio che viene conferito da blogger ad altri blogger meritevoli, con lo scopo di farli conoscere nella rete e per far sì che a loro volta promuovano altri blog che li hanno colpiti.

Come prima cosa ringrazio Valentina del blog Valentina Reads per la nomination.

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Ecco le regole:

  • Ringraziare il blog che ti ha nominato.
  • Rispondere alle 10 domande.
  • Nominare altri 10 blog.
  • Porre 10 domande.
  • Comunicare la nomina ai 10 blog scelti.

Partiamo subito: domande e risposte!

Perché hai aperto un blog?

Mmm… non me lo ricordo quasi più. Ah, sì, in tutta sincerità: per pubblicizzare l’uscita dei miei libri. Solo che poi le cose sono cambiate: l’intento originario è passato in secondo piano man mano che cominciavo a condividere le mie passioni tramite questo “diario online”. E quindi ora sul blog parlo di arte, cultura, letteratura e storia in rubriche che mi vengono in mente all’improvviso, anche di notte.

Ci parli delle tue passioni?

Mi piace leggere, scrivere, fare ricerche storiche e osservare il cielo notturno. E anche se la sola cosa che deve necessariamente essere svolta di notte è osservare il cielo notturno con il telescopio, anche per le altre passioni tolgo tempo al sonno. Di giorno infatti lavoro e sono una mamma. Certe volte mi chiedo anch’io come faccio a fare tutte queste cose insieme. Comunque, dicevamo? Ah, già. Leggo montagne di libri sin da quando avevo 7-8 anni e quello fu lo stesso periodo in cui cominciai a scrivere storie illustrate (perché adoravo anche disegnare manga, solo che questo è passato in secondo piano col tempo). Amo i romanzi storici, d’altro canto un’altra delle mie grandi passioni è la storia, soprattutto quella europea della prima metà del Novecento, comprese le due guerre mondiali. E poi ho sempre amato tutto ciò che concerne l’astronomia (il fanciullesco sogno di diventare astronauta ha lasciato pesanti strascichi) per cui è un campo in cui mi piace dilettarmi.

Quanto pensi che i commenti e le interazioni siano utili per un blogger e in che modo?

I commenti e le interazioni sono molto importanti, del resto: se non avessimo voluto un confronto con gli altri avremmo scritto su un diario segreto e non su un blog pubblico. Confrontare le proprie idee con quelle altrui è, secondo me, una delle attività più elevate che riusciamo a fare a livello umano e sociale. Aiuta a crescere come persone, conoscerne altre e accettare le critiche.

Di cosa parli nel blog?

Recensisco i libri che leggo, parlo delle opere d’arte che mi colpiscono di più, di alcune importanti scoperte scientifiche e storiche, di celebrazioni internazionali, di avvenimenti storici, di film particolarmente meritevoli (sempre dal punto di vista storico >_<), di classici, poesia, dell’attuale situazionale editoriale in Italia… insomma, di tutto ciò che è arte, cultura, letteratura e storia. A volte in maniera confusa, lo ammetto, visto che le rubriche saltano fuori come funghi dopo la pioggia e non sono presentate con settimane d’anticipo e attenta pianificazione come avviene su altri blog… ma a me va bene così. La parte più importante è l’idea, a mettere ordine ci penso mentre la sviluppo e la condivido.

Hai creato un rapporto di amicizia con altri blogger? Vi siete mai conosciuti personalmente?

Ho instaurato un’amicizia con alcuni blogger, ma non ho avuto il piacere di incontrarne nessuno personalmente poiché la maggior parte vive lontano da me e considerando la mia vita super impegnata fare un viaggio di piacere è un’evenienza piuttosto rara. Comunque mai dire mai.

Come immagini il tuo blog tra due anni? Vorresti vederlo crescere/cambiare e in che modo?

Non ho idea di come sarà il mio blog tra due anni, forse con la barra delle rubriche ancora più affollata 😀 Mi piacerebbe sicuramente vederlo crescere a livello di contatti (e perché no, amicizie) ma cambiare forse no. Mi sta bene così.

La cosa che sai fare meglio?

Mmm… giocare ai videogiochi? Ecco, in questo sono brava, e forse dovrei inserirlo tra le mie passioni nella domanda precedente, anche se non è esattamente al livello delle altre e forse non sarebbe sano indicarmi come una Dragon Age addicted. Seriamente: non lo so. Studiare? Sognare? Isolarmi dal mondo? >_< Si dovrebbe chiederlo a chi mi conosce.

Quanto tempo dedichi al tuo blog?

Ultimamente meno di quanto vorrei. Ho già detto che sono parecchio incasinata, per cui non lo ripeto (ops!). Mi piacerebbe riuscire a trovare più tempo per curarlo meglio.

Come nascono i tuoi post?

A parte quelli che riguardano le recensioni dei libri letti, che sono il naturale completamento del processo di lettura, appena un’idea mi si affaccia alla mente o se scopro che oggi è l’anniversario della nascita di un fisico, uno storico o la celebrazione di una scoperta… ecco, il mio post è pronto.

Un saluto a chi legge?

Grazie a chi si è affacciato in questo piccolo spazio culturale (a volte un po’ delirante) e ancor di più a chi segue le mie rubriche. Mi farebbe piacere ascoltare le vostre opinioni e le vostre critiche, sapete dove trovarmi. A presto!

Eccomi qua ora a comunicarvi i blog da me scelti:

Ed ecco, miei cari blogger nominati, le domande a cui dovrete rispondere:

  1. Un aggettivo che ti descrive?
  2. Da piccola, cosa avresti voluto fare da grande?
  3. Di cosa parla il tuo blog?
  4. Quali sono le tue passioni?
  5. Qual è il più bel libro che hai letto (uno solo)? Perché?
  6. Qual è secondo te l’elemento che non può assolutamente mancare in un buon romanzo?
  7. Un libro che non consiglieresti nemmeno al tuo peggior nemico?
  8. Qual è il tuo piatto preferito? E quello che invece detesti?
  9. Il tuo sogno nel cassetto?
  10. Un saluto per i tuoi followers?

 

Grazie a tutti! Stay tuned!

Un’opera d’arte al mese #4: La Gioconda

Ciao a tutti.

Oggi parliamo di nuovo d’arte con la rubrica Un’opera d’arte al mese. Questa volta sotto i riflettori c’è La Gioconda, dipinto celeberrimo.

 

 

Titolo del dipinto

La Gioconda

Artista

Leonardo da Vinci

Anno di realizzazione

Tra il 1502 e il 1506

Dimensioni

77 x 53 cm

Tecnica

Olio su legno di pioppo

Dove si trova

Museo del Louvre a Parigi, Francia

Curiosità

La Gioconda non è assicurata, poiché inestimabile. Appartiene allo Stato francese che è anche il suo assicuratore.

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Il dipinto

 

Esso raffigura una donna seduta, con indosso gli abiti fiorentini dell’epoca, su uno sfondo di montagne immaginario. Lo sguardo realistico della Gioconda e il suo sorriso enigmatico suscitano curiosità da secoli. Alcuni storici ritengono che la donna indossi abiti da lutto, il che spiegherebbe il velo di tristezza nel suo sorriso.

Ma chi era davvero Monna Lisa?

Un commerciante fiorentino commissionò a Leonardo un ritratto della moglie Lisa Gherardini, per festeggiare la nascita del terzo figlio. L’artista cominciò a lavorare sul quadro intorno al 1502 e, sebbene fosse già terminato dopo quattro anni, continuò a lavorarci per tutta la vita cambiando alcuni dettagli.

Il metodo di Leonardo ha disorientato a lungo gli storici dell’arte. Alcune analisi hanno dimostrato che l’artista ha usato delle pennellate minuscole per creare profondità con il tratteggio incrociato dei tocchi di pennello. Probabilmente egli ha fatto uso di una lente di ingrandimento durante il lavoro. Sul volto della Gioconda ci sono ben trenta strati di colore. Sfumando i colori con una tecnica propria della sua pittura, lo sfumato, Leonardo è riuscito a dare l’impressione di una donna reale, viva.

 

Curiosità

Utilizzando uno scanner sofisticato alcuni ricercatori canadesi sono riusciti a realizzare una radiografia del dipinto e hanno scoperto che la Gioconda originariamente aveva i capelli legati in una crocchia. Questo elemento si discosta molto dalla posa attuale in cui i capelli ricadono sulle spalle: una pettinatura usata dalle donne di facili costumi e certo non adatta a definire la devota Lisa Gherardini, moglie del committente.

 

 

L’autore

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Leonardo da Vinci (Vinci, Firenze 1452 – Castello di Cloux, Amboise 1519) fu un pittore, scultore, architetto, ingegnere e scienziato italiano, fu uno degli artefici del Rinascimento. L’amore per la conoscenza e la ricerca segnarono profondamente la sua produzione artistica e scientifica. Le innovazioni che portò nella pittura influenzarono l’arte italiana per oltre un secolo e i suoi studi scientifici, soprattutto di anatomia, ottica e idraulica, anticiparono molte conquiste della scienza moderna.

Leonardo era figlio naturale del notaio Piero di Antonio, che si preoccupò di dargli un’ottima educazione, anche musicale. Verso il 1469 entrò nella bottega del pittore e scultore allora più famoso di Firenze, Andrea del Verrocchio, grazie al quale acquisì una vasta esperienza, sia come pittore di pale d’altare e quadri su tavola, sia come ideatore di sculture in marmo e bronzo.

Nel 1472 era già iscritto alla Compagnia di San Luca, la corporazione dei pittori fiorentini, ma la collaborazione con il Verrocchio proseguì almeno fino al 1476. Nel celebre Battesimo di Cristo (1475-1478, Uffizi, Firenze), attribuito al Verrocchio e a un altro pittore, forse Sandro Botticelli, si riconosce la mano di Leonardo in alcuni rifacimenti del paesaggio e nell’angelo inginocchiato a sinistra.

Nel 1478 Leonardo aprì una propria bottega e ricevette alcune importanti commissioni. I monaci di San Donato a Scopeto (Firenze) lo incaricarono di dipingere un’Adorazione dei Magi (oggi agli Uffizi), iniziata nel 1481 e mai terminata. Altre opere giovanili sono il ritratto di Ginevra Benci (1474 ca., National Gallery, Washington), l’Annunciazione degli Uffizi (1472-1475; ne esiste anche una seconda versione, più tarda, al Louvre), la Madonna Benois (1478 ca., Ermitage, San Pietroburgo), la Madonna del garofano (1478-1480, Alte Pinakothek, Monaco) e il San Girolamo (1481 ca., Pinacoteca Vaticana, Roma), anch’esso incompiuto.

Intorno al 1482 Leonardo entrò al servizio di Ludovico il Moro, duca di Milano, dopo avergli scritto una celebre lettera in cui offriva la sua opera per costruire forti, ponti e macchine da guerra, oltre che per dipingere e scolpire. Prese parte come ingegnere alle campagne militari del duca e progettò anche numerosi apparati per feste e celebrazioni. Inoltre collaborò con il noto matematico Luca Pacioli al famoso trattato di estetica De divina proportione (1509), nel quale è esposta la teoria della sezione aurea.

Dal 1495 al 1497 fu impegnato in un’opera d’importanza capitale per la storia della pittura, l’Ultima Cena, affrescata su una parete del refettorio del convento di Santa Maria delle Grazie a Milano.

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Nel 1502, in qualità di ingegnere militare, Leonardo entrò al servizio di Cesare Borgia, duca di Romagna e figlio del papa Alessandro VI, che per diversi mesi seguì in Romagna e in Umbria. Nella primavera del 1503 tornò a Firenze, dove ricevette la commissione di un grande affresco raffigurante la Battaglia di Anghiari per il Salone dei Cinquecento a Palazzo Vecchio. L’opera non fu mai terminata, tuttavia Leonardo eseguì il cartone, che fu studiato dai maggiori artisti fino al Settecento, quando andò distrutto.

Risalgono agli ultimi anni il dipinto Sant’Anna, la Madonna, il Bambino e san Giovannino (1501-1510 ca., Louvre, Parigi), per il quale aveva già eseguito un cartone nel 1498 ca. (National Gallery, Londra), e la seconda versione della Vergine delle rocce (realizzata con collaboratori; 1506 ca. – 1508, National Gallery, Londra). Tra il 1514 e il 1516 soggiornò a Roma, sotto la protezione del cardinale Giuliano de’ Medici, e si dedicò soprattutto agli esperimenti scientifici. Dal 1517 visse in Francia al servizio del re Francesco I.

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Lo sapevi?

“Uomo universale”, sperimentatore a tutto campo dello scibile umano, Leonardo non poteva non cimentarsi anche in campo letterario. Tra i numerosi scritti di carattere tecnico e scientifico si trovano infatti, non organizzati razionalmente, ma sparsi tra le varie carte, anche testi prosastici di intento narrativo, come le Facezie, alcune Favole, una sorta di Bestiario, oltre a molteplici annotazioni varie. Tutta la produzione scritta di Leonardo è in volgare, giacché lui stesso si definisce, in una pagina del Codice Atlantico, “omo sanza lettere”, ovvero non conoscitore del latino.

Le Favole, in particolare, rivelano nella loro densa brevità espressiva un intenso significato moraleggiante, che lascia intravedere il fondamentale pessimismo leonardesco riguardo alla felicità dell’essenza della natura umana. Le fonti di questi testi derivano dalla tradizione favolistica popolare come anche dalla diretta e curiosa osservazione della realtà.

 

 

La corrente artistica

Il Rinascimento è il periodo della storia dell’arte compreso tra il XV e il XVI secolo, corrispondente allo sviluppo del Rinascimento inteso come più ampia categoria storiografica. Interessò gli ambiti della pittura, della scultura e dell’architettura e le arti cosiddette minori. I principi base di questa “rinascita”, descritta e celebrata da Giorgio Vasari nelle sue Vite (1550), furono il ritorno alle forme classiche dell’arte romana antica, l’adozione di un metodo “sperimentale” nello studio della natura e la concezione dell’individuo come misura e centro dell’universo.

Pittori, scultori e architetti si avvalsero per la prima volta di ricerche di anatomia, ottica, matematica e geometria, trasponendone i risultati nella loro arte. La più rilevante novità consistette nell’elaborazione della prospettiva matematica (o lineare), un metodo di descrizione figurativa del reale che consente di correlare tutte le parti della composizione artistica entro rapporti e proporzioni reciproche, all’apparenza perfettamente rispondenti alla visione effettiva.

La nascita di Venere, Botticelli.

La nascita di Venere, Botticelli.

Gli artisti rinascimentali, come i navigatori e gli esploratori loro contemporanei, furono mossi da spirito d’avventura e desiderio di conoscenza: iniziarono a pensare alla loro opera come a un osservatorio privilegiato sul mondo, che doveva dunque essere raffigurato con rigore realistico. Così, ad esempio, la rappresentazione del paesaggio, incentrata nella pittura precedente sulla precisa descrizione di singoli elementi (alberi, fiori, piante, animali, costruzioni) considerati a sé stanti, diede luogo a vedute articolate ma armoniche, in cui oggetti e personaggi sono coordinati tra loro dalle leggi della prospettiva. Tipica figura di artista-scienziato fu Leonardo da Vinci, che come Cristoforo Colombo scoprì, attraverso le sue opere, mondi ancora inesplorati. Nelle arti plastiche e figurative, i soggetti furono spesso tratti dalla mitologia classica e dalla tradizione giudaico-cristiana; non di rado, tuttavia, vennero raffigurati anche eventi storici.

La fine del Quattrocento e i primi anni del Cinquecento furono dominati dalle figure di Leonardo e Michelangelo. A Firenze, nel 1501 Michelangelo iniziava a scolpire il marmoreo David (1501-1504, Accademia, Firenze), che divenne presto riferimento ineludibile per tutta la scultura posteriore. Nella tradizione iconografica, il David era sempre stato raffigurato nel momento dell’azione; Michelangelo decise invece di rappresentare l’attimo precedente il lancio della pietra, sottolineando così la decisione, la scelta. Analoga attenzione alle pieghe della psicologia umana fu all’origine, anche se all’interno di un contesto completamente diverso, dell’affresco dell’Ultima cena (1495-1497, Santa Maria delle Grazie, Milano) di Leonardo, in cui viene colto lo stupore degli apostoli nell’attimo immediatamente successivo all’annuncio di Cristo che uno degli apostoli lo avrebbe tradito.

Con l’ascesa al soglio pontificio di Giulio II (1503), Roma divenne il più importante centro dell’arte e dell’architettura rinascimentali. Alla corte papale lavorarono, tra gli altri, Bramante, Michelangelo e Raffaello. Bramante fu autore di un progetto per la nuova Basilica di San Pietro (1506 ca.), da costruire sulle vestigia dell’antica basilica costantiniana, in cui prevedeva pianta a croce greca (con i bracci della stessa lunghezza) dominata da una cupola centrale.

Dopo la morte di Bramante nel 1514, il dibattito sull’opportunità di adottare la pianta centrale per la chiesa più grande della cristianità vide coinvolti i più importanti architetti dell’epoca: Raffaello, Baldassarre Peruzzi, Antonio da Sangallo il Giovane e Michelangelo. Fu quest’ultimo a imporsi infine, con un progetto che riprendeva l’idea originaria di Bramante. Per quanto concerne l’architettura privata, episodio importante fu villa Farnesina a Roma (1509-1511), costruita da Peruzzi per la famiglia Chigi: l’edificio divenne il tipo più diffuso di villa suburbana.

La Vergine delle rocce, Leonardo da Vinci.

La Vergine delle rocce, Leonardo da Vinci.

Nato a Urbino e formatosi nella bottega del Perugino, Raffaello giunse a Roma nel 1508, lo stesso anno in cui Michelangelo iniziava gli affreschi della Cappella Sistina. Architetto e pittore, Raffaello fu incaricato di realizzare le decorazioni delle Stanze di Giulio II, nei Palazzi Vaticani. Conosciuti in tutto il mondo sono i suoi affreschi per la Stanza della Segnatura: la Disputa del Sacramento, ricca di riferimenti teologici sul sacramento dell’Eucaristia, e La scuola di Atene, caratterizzata da una calibratissima composizione, che si sviluppa attorno alle due figure di Platone e Aristotele.

Lontano dalla capitale continuava intanto la grande tradizione della pittura veneta. Dalla lezione di Giorgione, maestro del colore dal tratto gentile e delicato, prese avvio l’arte di Tiziano. La pennellata fluida, l’armonia della composizione e la classica serenità delle figure (evidenti ad esempio in L’Amor sacro e l’Amor profano, 1515 ca., Galleria Borghese, Roma) sono i segni distintivi della sua pittura. Tiziano eseguì anche molti ritratti, che divennero presto modelli indiscussi del genere, per tutto il secolo e per buona parte del successivo. La tradizione veneziana proseguì per tutto il Cinquecento con altri grandi artisti: Lorenzo Lotto, Veronese e Tintoretto.

A Parma fiorì il genio del Correggio, il cui nome è legato agli splendidi cicli di affreschi della cosiddetta Camera della Badessa (1519, refettorio del Convento di San Paolo), alla decorazione della chiesa di San Giovanni Evangelista (1520-1523) e di parte della cupola del Duomo (1526-1530). Pittore capace di grande efficacia espressiva, rivelò un’approfondita conoscenza della pittura romana che rielaborò in uno stile fortemente originale. La ricchezza di temi e soggetti delle sue opere, generalmente attinti alla mitologia classica, i mossi giochi di luce, gli scorci prospettici impostati su sorprendenti punti di fuga preludono al rifiuto dell’equilibrio dei canoni della classicità, e aprono la strada ai linguaggi più lirici e decorativi tipici del manierismo.

Il sacco di Roma del 1527 da parte delle truppe di Carlo V provocò la fuga dalla città di numerosi artisti e architetti, tra cui Giulio Romano e Sansovino. Il primo si stabilì a Mantova, dove Federico Gonzaga gli commissionò la costruzione e la decorazione di Palazzo Te (iniziate a partire dal 1527): gli affreschi che impreziosiscono le sale del palazzo rappresentano per molti aspetti un momento di transizione verso il manierismo.

Sansovino si trasferì invece a Venezia, introducendo il linguaggio classico nell’architettura della città lagunare: a lui si devono importanti edifici in piazza San Marco (Zecca, 1536-1548; Loggetta, 1537-1540; Libreria Marciana, 1537-1554) e alcuni palazzi sul Canal Grande (Palazzo Correr, 1561). Il ritorno alle forme classiche, studiate con rigore filologico, impronta tutta l’opera di Andrea Palladio. I suoi edifici civili a Vicenza (il Palazzo della Ragione, detto anche Basilica Palladiana, 1549; il Teatro Olimpico, iniziato nel 1580 e terminato da Vincenzo Scamozzi) e le ville (Villa Barbaro a Maser, 1555-1560; La Malcontenta, presso Mira, 1560) divennero modelli archetipici di uno stile, il “palladiano”, che nei secoli successivi si diffuse in tutto il mondo.

 

Cappella Sistina, Roma.

Cappella Sistina, Roma.

Fonti: Capolavori della pittura, Wikipedia, Encarta

Accadde oggi: nel 1745 nasce Alessandro Volta

Buongiorno a tutti!

Oggi ricordiamo il 270° anniversario della nascita di Alessandro Volta, famoso fisico il cui volto era presente sulla vecchia buona banconota da diecimila lire.

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Alessandro Volta

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Alessandro Volta (Como 1745-1827) fu un fisico italiano, da cui prese il nome l’unità di misura della differenza di potenziale elettrico, il volt. Di nobile famiglia, Volta ricevette un’educazione umanistica, ma cominciò sin dalla prima giovinezza a compiere esperimenti scientifici. Divenuto professore di fisica alla Scuola Reale di Como nel 1774, l’anno seguente progettò l’elettroforo, un apparecchio che generava cariche di elettricità statica. Dal 1776 al 1777 si dedicò alla chimica, studiando l’elettricità nell’atmosfera e conducendo esperimenti per provocare l’accensione dei gas mediante una scintilla elettrica contenuta in un recipiente chiuso. Nel 1779 divenne professore di fisica sperimentale all’Università di Pavia, di cui divenne rettore nel 1785. Volta si dedicò in quell’epoca soprattutto allo studio dei gas, identificando il metano, ma nel contempo proseguì le sue ricerche sull’elettricità introducendo la nozione di ‘tensione elettrica’.

In questo dipinto conservato presso il Museo di Storia della Scienza di Firenze, il fisico Alessandro Volta è rappresentato mentre illustra all'Accademia Francese la pila da lui stesso costruita. Tale apparecchio, costituito da lastre di ferro e zinco alternate e immerse in una soluzione salina, rappresentò una importante scoperta nello studio dei fenomeni elettrici.

In questo dipinto conservato presso il Museo di Storia della Scienza di Firenze, il fisico Alessandro Volta è rappresentato mentre illustra all’Accademia Francese la pila da lui stesso costruita. Tale apparecchio, costituito da lastre di ferro e zinco alternate e immerse in una soluzione salina, rappresentò una importante scoperta nello studio dei fenomeni elettrici.

Nel corso di una disputa sull’origine dei fenomeni elettrici intrattenuta con l’abate Luigi Galvani, lo scienziato mise a punto la cosiddetta ‘pila di Volta’, una sorta di antenata della batteria elettrica, composta di una serie di piastre di ferro e zinco alternate con pezzi di stoffa imbevuti di una soluzione salina, che produceva un flusso di elettricità costante. In onore delle sue ricerche nel campo dell’elettricità, Napoleone lo nominò conte nel 1801.

 

 

Approfondimenti

Pile e accumulatori

Le pile sono dispositivi elettrochimici capaci di trasformare energia chimica in energia elettrica. Sono utilizzati come generatori di elettricità, ad esempio per alimentare strumenti meccanici o elettronici quali registratori, apparecchi radio e orologi o per avviare l’impianto elettrico delle automobili.

Le pile propriamente dette sono irreversibili, in quanto soggette a esaurimento: dopo la trasformazione dell’energia chimica in energia elettrica, infatti, i componenti di tipo chimico non possono essere riportati nella loro condizione originaria. Gli accumulatori, invece, sono reversibili: facendo fluire corrente elettrica in senso opposto a quello del normale funzionamento, infatti, il sistema chimico può essere riportato allo stato iniziale.

Il primo modello di pila elettrica fu ideato e costruito da Alessandro Volta nel 1800. Era sostanzialmente una successione di elementi voltaici impilati (da cui il nome di pila), ciascuno dei quali costituito da un disco di zinco, uno di rame e da un panno imbevuto di acqua acidulata. L’alternanza di conduttori di prima e di seconda specie (metalli e soluzioni elettrolitiche) garantiva l’insorgenza di una differenza di potenziale ai capi della pila, in accordo con le leggi di Volta e l’Effetto Volta.

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Effetto Volta

L’Effetto Volta è un fenomeno fisico che consiste nell’insorgenza di una differenza di potenziale elettrico in corrispondenza della giunzione tra due conduttori diversi posti a contatto. L’effetto prende il nome dello scienziato italiano Alessandro Volta, che lo osservò e lo descrisse intorno al 1800.

La spiegazione fisica dell’effetto Volta coinvolge il concetto di lavoro di estrazione: come è noto, per estrarre un elettrone da un metallo è necessario fornire dall’esterno un valore minimo di energia, specifico per il particolare metallo considerato. Quando vengono posti a contatto due metalli con lavoro di estrazione diverso, gli elettroni di conduzione del metallo con lavoro di estrazione minore tendono a passare nel metallo adiacente. Si viene così a creare uno squilibrio tra le cariche dei due metalli, e quindi una differenza di potenziale. Quantitativamente, questa differenza di potenziale risulta pari alla differenza (espressa in volt) tra i valori del lavoro di estrazione per i due metalli considerati. Così, in corrispondenza della giunzione tra un filo di zinco (lavoro di estrazione = 3,4 eV) e un filo di rame (lavoro di estrazione pari = 4,4 eV), la differenza di potenziale che insorge per effetto Volta è di 1 V.

Leggi di Volta

Alessandro Volta formalizzò le sue scoperte enunciando tre leggi empiriche: la prima afferma appunto che, ponendo a contatto due metalli diversi mantenuti alla stessa temperatura, si ottiene una differenza di potenziale elettrico che non dipende dall’area di contatto e dalla geometria dei due metalli, ma solo dalla loro natura chimica.

La seconda legge estende il ragionamento al caso di un contatto tra più metalli in serie: in questo caso, la differenza di potenziale ai capi della serie di conduttori dipende soltanto dalla natura chimica dei due metalli estremi e non viene minimamente influenzata dalla presenza degli altri metalli intermedi; così, se i due metalli estremi sono della stessa natura, la differenza di potenziale ai capi della catena di conduttori è nulla.

La terza legge completa il quadro prendendo in considerazione anche conduttori diversi dai metalli, come le soluzioni elettrolitiche: secondo questa legge, ai capi di una serie di conduttori che inizi e finisca con lo stesso metallo, insorge una differenza di potenziale soltanto se nella serie è compreso anche un conduttore di tipo elettrolitico.

 

Fonte: Encarta, Wikipedia

 

 

L’armadio dei vestiti dimenticati – Riikka Pulkkinen

Quest’oggi vi presento un libro che mi aveva incantata per titolo, quarta e copertina. Un inganno.

 

L’ARMADIO DEI VESTITI DIMENTICATI

Riikka Pulkkinen

Garzanti

l'armadio dei vestiti dimenticati

Trama

La stanza è invasa dalla polvere e dalla luce. Sono passati anni, ma a casa della nonna Elsa non è cambiato nulla: la bambola, il cavallo a dondolo e poi il vecchio armadio. Ad Anna, sua nipote, basta aprirlo per tornare di colpo bambina, quando insieme alla nonna giocava a vestirsi da grande. Gli abiti ci sono ancora tutti e Anna li riconosce; stoffe che sanno di festa e di risate. Eppure c’è un vestito che la giovane non ricorda: ha la gonna ampia e un nastro alto in vita. Uno stile molto diverso da quello della nonna. Anna lo prova. Basta quel semplice gesto perché il suo mondo cambi per sempre. Quando sua nonna la vede con quell’abito, bella come non mai, capisce che è giunto il momento sfuggito tanto a lungo. Ora che le rimangono pochi giorni di vita, non può più mentire. Lo deve a sé stessa ma anche a sua nipote, deve dirle la verità. Deve confessare a chi appartiene quell’abito, deve pronunciare quel nome taciuto da anni, Eeva. Un nome che Anna non conosce. Il nome di una donna dimenticata nel silenzio, di cui non esistono nemmeno fotografie. Un nome che affonda le radici in un segreto forse incomprensibile. Spetta ad Anna capirlo. Ma per farlo deve tornare indietro a un tempo antico, a una storia di perdono, di tradimento e di bugie. Ma soprattutto alla storia di un amore unico come quelli che lega indissolubilmente una madre e una figlia, nel bene e nel male. Un amore in cui tutto, a volte, può essere perdonato.

L’autrice

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Riikka Pulkkinen (nata l’8 luglio 1980 a Tampere) è una scrittrice finlandese. Il suo primo libro è stato pubblicato nel 2006 ed è stato nominato per premio letterario Helsingin Sanomat. Il secondo romanzo (L’armadio dei vestiti dimenticati) è apparso nel 2010 e ha guadagnato l’attenzione internazionale.

Recensione

Ci troviamo in Finlandia. Elsa è un’anziana signora dal piglio energico, diventata famosa in gioventù per i suoi studi psicologici sui bambini. È sposata con Martti, uno stravagante artista. La loro figlia Eleonoora si ritrova spiazzata quando viene a sapere che alla madre rimangono poche settimane di vita. Soffoca la sofferenza in favore di un’efficace organizzazione della vita quotidiana, aiutata dalle figlie Maria e Anna. Proprio a quest’ultima, durante un’esplorazione nell’armadio dei vecchi vestiti, nonna Elsa racconta la storia del tradimento che il nonno Martti ha operato nei suoi confronti con una donna di nome Eeva. Da qui comincia un’altalena di narrazione presente/passato e cambio di punti di vista, a volte stancante.

Il motivo principale per cui assegno una bassa valutazione a questo romanzo è lo stile. Non mi è piaciuto per niente; il modo di raccontare le cose è assolutamente “sbagliato” se così si può definire, sebbene sia una scelta del tutto personale dell’autrice. Dico sbagliato perché, nonostante la storia non sia nulla di speciale, sarebbe potuta apparire più accattivante e intrigante se raccontata in tutt’altra maniera.

Eeva narra la sua storia in prima persona, tuttavia appare come il racconto di qualcuno estraneo ai fatti, non coinvolto davvero come invece vuol far credere dalle continue metafore – che vogliono essere poetiche – inserite nelle righe. A ogni segno di avvicinamento a Elsa o a Martti, Eeva svela subito ogni mistero con frasi del tipo: “Quel giorno Elsa fu cordiale, ancora non sapeva che mi avrebbe detestata”, oppure “Avrei amato quella caratteristica di Martti quando avremmo fatto l’amore”. Quindi già sappiamo cosa accadrà; la curiosità va scemando e la voglia di leggere pure supportata da una narrazione del genere; la narrazione è confusa dall’inserimento di lunghissimi ricordi tra le frasi dei dialoghi. Si è costretti a tornare indietro a leggere l’ultima battuta per riprendere il filo interrotto da qualcosa che non c’entra nulla. Oltretutto – e questa è una cosa che reputo oltremodo assurda – nonostante Eeva parli in prima persona, è misteriosamente in grado di leggere i pensieri degli altri. Durante del tempo trascorso assieme a Martti racconta: “mi immagina nuda, pensa a com’ero a casa mia, con gli amici, ecc.”. Ma come fa a saperlo? Il tutto intriso di profonda – e stucchevole a un certo punto – malinconia.

Valutazione:

1

Korogocho – Alex Zanotelli

Ciao a tutti!

Oggi vi parlo di un libro-inchiesta da cui ho preso molte notizie per la mia tesi di laurea.

 

KOROGOCHO

Alex Zanotelli

Feltrinelli

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Le prese di posizione di padre Alex Zanotelli sulla Chiesa e, ancor più, su temi di carattere sociale, politico, economico, e gli incontri pubblici cui prende parte, sempre affollatissimi, hanno fatto dell’ex direttore di “Nigrizia” un leader spirituale. Dall’esperienza di “Nigrizia”, appunto, dove condusse inchieste sulla malacooperazione e sui traffici illeciti di armi, a quella di “pellegrino sulle strade d’Italia”, questo volume ripercorre, lontano da ogni autocelebrazione, il cammino di una delle figure più rappresentative della cultura cattolica contemporanea.

L’autore

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Padre Alessandro Zanotelli, più noto come Alex Zanotelli (Livo, 26 agosto 1938), è un religioso, presbitero e missionario italiano, facente parte della comunità missionaria dei Comboniani. È l’ispiratore e il fondatore di diversi movimenti italiani tesi a creare condizioni di pace e di giustizia solidale.

Il 23 settembre 2013 gli viene conferita la laurea honoris causa in Giurisprudenza presso il Dipartimento Jonico in “Sistemi giuridici ed economici del Mediterraneo: società, ambiente, culture» dell’Università degli Studi di Bari Aldo Moro. È direttore, sin dalle origini, della rivista nonviolenta fondata da don Tonino Bello, Mosaico di Pace.

Recensione

Un giorno una donna si accorse che stava accadendo qualcosa sul ciglio del dirupo che sovrasta il laghetto che divide Korogocho dalla discarica. Una ragazzina tentava di trascinare con sé il fratellino per gettarsi assieme a lui nell’acqua. Ma cosa c’è di talmente mostruoso, demoniaco nel mondo, da spingere due bambini al suicidio, proprio nel momento in cui dovrebbero aprirsi alla bellezza della vita!

 

Alex Zanotelli è un frate comboniano che dopo il lavoro nel giornale “Nigrizia” decide di andare in missione in Africa, precisamente a Nairobi, capitale del Kenya. Oltre la metà degli abitanti è costretta a vivere nell’1,5% del territorio totale della città. Sono i baraccati. Inoltre questa terra non appartiene a loro, ma al governo che può andare quando vuole a spianare le baracche e spingere altrove i poveri. La maggior parte delle persone non possiede nemmeno la baracca dove vive e paga l’affitto.
Alex Zanotelli è stato uno dei primi missionari ad avventurarsi nella vita crudele delle baraccopoli. Sceglie Korogocho e vi entra il 14 gennaio 1990. In questo libro traspare tutto il suo stupore per un mondo inospitale e crudele oltre ogni immaginazione. La sua testimonianza è una delle più importanti per comprendere le situazioni estreme di povertà in cui versano le baraccopoli. Non vi è alcun servizio: le fogne sono a cielo aperto mentre l’acqua non arriva direttamente alle baracche, ma è portata con tubi dalle fontane dalle quali viene venduta un tanto al secchio.
«È un fatto risaputo che l’acqua per riempire le piscine delle tante ville di Nairobi costa molto meno dell’acqua che si beve nelle baraccopoli. Ma tutto questo non è avvertito come un problema da chi detiene il potere. Basti pensare che nelle mappe catastali le baraccopoli non esistono.»
La gente cerca di vivere come può. Troviamo baby prostitute che partono in sciami dalla baraccopoli per riversarsi nei locali notturni frequentati dai turisti, nonché streetchildren che commettono piccole rapine e furti e sniffano una sorta di colla per non avvertire la fame. Manca l’istruzione; vi è la grande piaga dell’AIDS, difatti un buon cinquanta percento degli abitanti delle baraccopoli è sieropositivo; la convivenza non è affatto facile poiché molti si ubriacano per sopportare le sofferenze. E questo non fa altro che portare altre sofferenze, in un circolo vizioso. Gran parte della violenza che nasce nella comunità viene sfogata sul corpo della donna che diventa costantemente vittima di abusi anche di massa.
Il frate si inserisce a fatica in un ambiente come questo nel quale regna la diffidenza nei confronti dei bianchi e si impegna ad entrare in contatto profondo con queste persone. Tenta di creare inoltre diverse iniziative per portare reddito ai baraccati come delle cooperative di commercio equo e solidale o corsi per parrucchiere.
Un libro vivo, pulsante, animato dai racconti delle numerose vite e tragedie incontrate nell’inferno dei poveri. Un libro che colpisce e travolge l’anima come uno tsunami.

Valutazione:

5

Un’opera d’arte al mese #3: Il viandante sul mare di nebbia

Terzo appuntamento con la nostra rubrica artistica. Chi ha perso i primi due articoli, li trova rispettivamente qui (Lo stagno delle ninfee) e qui (La colazione dei canottieri).

Oggi parliamo di un dipinto che è stato scelto come copertina del romanzo Cime tempestose di Emily Brönte nell’edizione Einaudi (se siete interessati alla mia recensione del suddetto romanzo, la trovate qui).

 

Titolo del dipinto

Il viandante sul mare di nebbia

Artista

Caspar David Friedrich

Anno di realizzazione

1818

Dimensioni

98 x 74 cm

Tecnica

Olio su tela

Dove si trova

Hamburger Kunsthalle, Amburgo, Germania

Curiosità

Negli anni Quaranta alcuni registi di Hollywood, tra cui Walt Disney, trassero ispirazione dai dipinti drammatici di Friedrich per i propri film. Ritenevano che i paesaggi dell’artista evocassero molti dei sentimenti che cercavano di trasmettere: soggezione, stupore e spiritualità; il contrasto tra individuo e infinito; il ciclo della vita e del tempo.

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Il dipinto

Il viandante sul mare di nebbia  raffigura un paesaggio di estrema bellezza e drammaticità. Una figura solitaria è in piedi su un precipizio aggettante su montagne coperte di nebbia. La vista è mozzafiato grazie alla mescolanza luminescente di tenui blu, grigi, viola e gialli sopra un manto mutevole di nebbia. La sensazione di isolamento del viandante è accentuata dalla visuale posteriore della sua figura, sebbene essa sia il centro verso cui converge ogni elemento del dipinto.

L’anima dell’opera è, nonostante la maestosità, malinconica, come del resto molti dipinti di Friedrich. Numerosi critici hanno attribuito questo sentimento persistente nell’artista alle perdite subite da lui durante l’infanzia.

 

L’artista

The Painter Caspar David Friedrich (1774-1840) (oil on canvas)

Caspar David Friedrich (Greifswald 1774 – Dresda 1840) fu un pittore tedesco. Importante rappresentante del romanticismo, fu autore di grandiosi paesaggi e di marine che rivelano non solo un’attenta osservazione della natura, ma anche un’intenzione allegorica.

Dopo gli studi all’Accademia di Copenaghen, nel 1798 si stabilì a Dresda, dove aderì a un circolo artistico e letterario permeato di ideali romantici. I suoi disegni giovanili, a matita e seppia, dal tratto preciso, ritraggono scenari che diventeranno ricorrenti nella sua produzione: spiagge sassose, distese piatte e brulle, catene montuose che si susseguono a perdita d’occhio, alberi che si innalzano verso il cielo. Gradatamente tuttavia Friedrich abbandonò la precisione documentaristica delle prime opere a favore di una maggiore efficacia comunicativa, trasferendo nel paesaggio naturale emozioni e sensazioni.

Tra i dipinti a olio, La Croce sulle montagne (1807 ca., Gemäldegalerie, Dresda) è esempio significativo del suo stile maturo, e costituisce un’ardita innovazione rispetto alla pittura religiosa tradizionale. Secondo quanto rivela lo stesso Friedrich in alcuni scritti, tutti gli elementi di questa composizione hanno significati simbolici: i colori freddi e acidi, la luce chiara e i profili secchi, tutto concorre a suggerire la sensazione di malinconia, isolamento e impotenza che investe l’uomo di fronte alle forze minacciose della natura. Simili elementi si ritrovano in altri suoi dipinti, considerati tipici esempi del romanticismo tedesco figurativo, come Il viandante sul mare di nebbia (1818) e il Naufragio della ‘Speranza’ (1823-24). Docente all’Accademia di Dresda, Friedrich influenzò grandemente i giovani pittori romantici tedeschi.

 

La corrente artistica

Il Romanticismo fu un movimento europeo e statunitense che coinvolse il mondo artistico e culturale in un periodo che spazia, molto approssimativamente, tra il 1800 e il 1850.

Per quanto non possa essere identificato con un singolo stile, con una tecnica particolare o un atteggiamento univoco da parte dei suoi esponenti, si può dire che il romanticismo fu in generale caratterizzato da un approccio soggettivo al fatto artistico, dall’intento di esprimere attraverso l’opera emozioni e sentimenti, attingendo a una vivida immaginazione o a una dimensione onirica e visionaria. Tanto l’arte classica e neoclassica, che dominò i decenni precedenti, appariva improntata a equilibrio e sobrietà, compiuta e lineare nelle forme e nelle composizioni, tanto quella romantica privilegiò rappresentazioni fortemente suggestive, in cui venivano trasposte sensazioni intense e inquietudini spirituali o mistiche.

Nella difficoltà di trovare una definizione univoca ed esaustiva, molti critici e artisti misero in luce di volta in volta gli aspetti che consideravano maggiormente caratterizzanti: lo scrittore tedesco E.T.A. Hoffmann, ad esempio, affermò che la vera essenza del romanticismo non era che “brama d’infinito”. Nella scelta dei soggetti, gli artisti romantici mostrarono una profonda attrazione per la natura, soprattutto per i suoi aspetti selvaggi e misteriosi; e in generale si rivolsero a soggetti esotici, malinconici o melodrammatici, atti a evocare terrore o emozioni violente, coinvolgenti.

Fonti: Capolavori della pittura, Encarta

Tutto ciò che sono – Anna Funder

Amici, oggi vi parlo di un libro dall’argomento “impegnativo”, ossia la storia di giovani donne e uomini membri della Resistenza antinazista (eh sì, perché esisteva!).

 

TUTTO CIÒ CHE SONO

Anna Funder

Feltrinelli

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Trama

“Tutto ciò che sono” è il romanzo di quattro giovani irriducibili che hanno rischiato la vita per allertare il mondo sul pericolo rappresentato da Hitler. Ruth, i cui ricordi hanno la potenza del sogno, Ernst, il leader-artista, la coscienza di un’epoca, Hans, fragile e combattuto, e soprattutto Dora, Dora Fabian, un’affascinantissima eroina della Resistenza antinazista, fino a oggi del tutto sconosciuta, una donna moderna, libera e consapevole, così coraggiosa da non riuscire a salvare se stessa. La loro storia è l’emblema della lotta per la libertà di amare, di vivere, di immaginarsi un futuro. Un romanzo di amore, sacrificio e tradimento, una storia incalzante, tragicamente vera, attenta ai dettagli, profondamente intrisa di paura, tristezza, rabbia e ricordi avvolti dalla nostalgia.

L’autrice

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La scrittura di Anna Funder ha ricevuto numerosi riconoscimenti e premi. I suoi saggi e articoli di approfondimento sono apparsi in numerose pubblicazioni. Ha girato come un oratore pubblico. La Funder è laureata presso la University of Technology, Sydney. Nel 2011 è stata nominata al Consiglio della letteratura Australia Council for the Arts. Tutto ciò che sono è stato pubblicato dapprincipio nel Regno Unito e in Australia; è stato rilasciato a febbraio 2012 negli Stati Uniti e in Italia. Anna Funder attualmente risiede a Park Slope, Brooklyn.

Recensione

Il grande vantaggio dei nazisti è che nessuno, né la polizia né i nostri amici, crederà che qualcuno sia capace di fare quello di cui abbiamo le prove.

Questa è la storia di Ruth, Dora, Hans, Ernst, narrata in ricordi che si alternano al presente vissuto da Ruth (modo di narrare questo che in realtà non mi piace tantissimo).

Ruth è una donna mite e calma, a volte invisibile; Dora un’eroina moderna, sensuale e combattiva; Hans l’uomo di successo bello e sicuro di sé; Ernst lo scrittore tormentato e platonico.

Persone molto diverse – e realmente esistite – che in comune hanno un grande desiderio: abbattere il nazismo. Il nazismo e tutte le conseguenze che esso porta: negazione di libertà, violenza, menzogna, persecuzione ingiusta, manipolazione delle masse. I protagonisti sono costretti dal potere sempre maggiore del regime e della polizia segreta a fuggire dai territori sotto il dominio tedesco, rifugiandosi in Inghilterra da dove sperano di poter diffondere notizie sul nazismo, di modo che il mondo apra gli occhi sulle intenzioni di Hitler. Purtroppo però, la vita degli esiliati non è semplice e nessuno da loro credito, anzi si ritrovano spesso a doversi nascondere dalle indagini dei nazisti infiltrati nella polizia inglese. Tutto questo li porterà a compiere atti di coraggio, rischiare la vita e persino dubitare della loro amicizia e sincerità.

I temi trattati sono estremamente importanti, tuttavia sento di dover avanzare perlomeno una critica.

Nonostante la scrittura sia fluida, a volte l’autrice si perde in descrizioni troppo dettagliate che – seppur rendano bene l’atmosfera del tempo – a volte annoiano il lettore e rallentano il ritmo della storia, che in ogni caso non è estremamente avvincente, come una tipica spy story.

In definitiva un libro consigliato agli amanti della storia. Indimenticabili e profondamente riflessive alcune considerazioni di Ernst che mi hanno fatto venir voglia di andare a scovare alcuni suoi scritti (dato che è uno scrittore realmente esistito, Ernst Toller).

 Valutazione:

4

 

 

Approfondimenti

Il movimento antinazista

Ad esclusione dell’attentato contro Hitler del 20 luglio 1944, e dei tentativi precedenti ad opera degli stessi congiurati, si può dire che la resistenza in Germania ebbe quasi esclusivamente un carattere non violento.

Isolate azioni di propaganda politica ed intellettuale antinazista si ebbero negli anni precedenti il conflitto, già a partire dai primi anni del regime ed in particolare dal 1938, con l’evidenziarsi della politica pericolosamente aggressiva di Hitler e dell’antisemitismo sempre più violentemente attivo.
Alle parole di sapore antinazista, la cui diffusione andò incontro a difficoltà crescenti, durante gli anni di guerra, soprattutto dal 1942-43, quando la guerra aveva ormai preso un corso assai negativo per la Germania, l’opposizione al regime si manifestò anche con la resistenza passiva, ad esempio lavorando seguendo ritmi estremamente lenti o con piccolissimi sabotaggi simulati da incidenti o cose simili. Fu coinvolta una percentuale relativamente bassa della popolazione attiva, ma si tratta comunque di svariate decine di migliaia (ma si tratta di un numero difficilmente stimabile) le persone che si opposero al regime nazista in questo modo – creando sì qualche fastidio o ritardo nella produzione, ma assolutamente insignificante se confrontato con i problemi causati al Reich dai bombardamenti alleati.

Fonte: storia.archeologia.com

 

Ernst Toller

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Ernst Toller (Szamocin, 1º dicembre 1893 – New York, 22 marzo 1939) è stato un drammaturgo e rivoluzionario tedesco.

Di origine ebraica ed appartenente a una famiglia di commercianti, studiò in Polonia per poi completare gli studi all’Università di Grenoble, in Francia.

Lo scoppio della prima guerra mondiale lo vide impegnarsi come volontario per la difesa della madrepatria tedesca: l’esperienza del fronte lo mutò, però, sensibilmente, spingendolo su posizioni pacifiste. Congedatosi nel 1916 a causa di una malattia, terminò gli studi universitari presso la Università Ludwig Maximilian di Monaco. A Monaco frequentò con interesse alcuni salotti letterari borghesi. Fece amicizia con Thomas Mann, Arthur Kutscher e Rainer Maria Rilke.

Il 1918, con la sua adesione al Partito Socialdemocratico Indipendente, segnò una svolta nella vita di Toller, che dichiaratamente si schierò su posizioni comuniste, rivoluzionarie e al contempo pacifiste. Proprio La svolta intitolò il suo primo dramma. Impegnatosi politicamente, appoggiò nel 1918 il crollo della monarchia in Baviera. Fu lui assieme a Gustav Landauer e Erich Mühsam il 9 aprile 1919 a proclamare la Repubblica dei consigli Räterepublik. Sebbene pacifista fu incaricato di formare una armata rossa. Nella Repubblica dei consigli bavarese ricoprì per un periodo la carica di presidente del consiglio centrale, scontando poi, al momento della repressione, cinque anni di carcere a Niederschönenfeld

L’esperienza mise a dura prova i suoi ideali di pacifismo e non violenza: la produzione letteraria di Toller mise allora in evidenza la lacerazione esistente tra l'”uomo etico”, portatore di ideali di alta umanità e “uomo politico”, portatore invece dell’ideale di massa che calpesta gli ideali ed i bisogni individuali. A questo conflitto è dedicato Uomo massa del 1919 che rielabora il tragico destino di Sarah Sonja Rabinowitz. In carcere approfondì la conoscenza dei componenti della classe operaia, esperienza che gli fu d’aiuto per meglio comprendere quanto di agiografico vi fosse nella descrizione del proletariato da parte degli intellettuali. Tali nozioni vennero riversate nel dramma I distruttori di macchine del 1920-1921, in chiaro riferimento ai moti luddisti.

Date le posizioni marxiste espresse in alcuni dei suoi ultimi lavori come Spegnete i fuochi o Il giorno del proletariato.

Perseguitato dai nazisti per le sue posizioni politiche e per la sua religione, emigrò dapprima in Inghilterra e poi negli Stati Uniti d’America, dove si suicidò in un albergo di New York il 22 maggio 1939, dopo aver amaramente constatato di aver perso la vena poetica e creativa.

Fonte: Wikipedia

A un passo dalla vita – Thomas Melis

Salve amici e buon anno!

Quali sono i vostri propositi per i 365 giorni che ci attendono? Penso che sia un bene prefiggersi degli obiettivi, anche di vita quotidiana, in modo da avere la spinta per fare sempre meglio e crescere come persone. Dunque, buon lavoro 🙂

Inauguriamo il 2015 con la segnalazione del libro di un autore emergente.

 

A UN PASSO DALLA VITA

Thomas Melis

Lettere Animate

Cover - A un passo dalla vita - Thomas Melis

Trama

È una Firenze fredda, notturna e mai nominata quella che fa da palcoscenico alla storia di Calisto e dei suoi sodali, il Secco e Tamagotchi. La città è segnata dalla crisi globale, dietro l’opulenza pattinata del glorioso centro storico si nasconde la miseria dei quartieri periferici. Calisto è intelligente, ambizioso, arriva dal Meridione con un piano in mente e non ha intenzione di trasformarsi in una statistica sul mondo del precariato. Vuole tutto: tutto quello che la vita può offrire. Vuole lasciarsi alle spalle lo squallore della periferia – gli spacciatori albanesi, la prostituzione, il degrado, i rave illegali –, per conquistare lo scintillio delle bottiglie di champagne che innaffiano i privè del Nabucco e del Platinum, i due locali fashion più in voga della città. Calisto vuole tutto e sa come vincere la partita: diventando un pezzo da novanta del narcotraffico.
Cupamente, nella rappresentazione di un dramma collettivo della “generazione perduta”, schiava di un sistema socioeconomico degenere e illusa dalle favole di una televisione grottesca, si snoda questa storia di ingiustizie e tradimenti, ma anche di amicizie e amori forti tragicamente condannati. Perché il male non arriva mai per caso e la vita non dimentica mai nulla, non perdona mai nessuno.

L’autore

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Thomas Melis è nato a Tortolì, in Sardegna, nel 1980. Ha studiato presso le Università di Firenze e Bologna concludendo il suo percorso accademico nell’anno 2008. Nella vita si occupa di progettazione su fondi comunitari e consulenza aziendale per lo sviluppo. Ha collaborato con diverse riviste on line, dedicandosi alle analisi degli scenari internazionali e della politica interna. “A un passo dalla vita” è il romanzo con il quale esordisce per Lettere Animate Editore.

Perché è consigliato?

Perché si tratta di una bella lettura. La scrittura di Thomas Melis è attenta, consapevole: la narrazione spazia dall’utilizzo di un vocabolario ricco, variegato, a passaggi più veloci e ironici. Un realistico ritratto di una città e di una generazione, con tutti i problemi che le caratterizzano.

 

Buona lettura!

Un’opera d’arte al mese #2: La colazione dei canottieri

Salve amici,

oggi vi auguro buon Natale con il secondo appuntamento della rubrica Un’opera d’arte al mese. Ho scelto per l’occasione un quadro che trasmette l’allegria dei conviti e delle atmosfere di festa. Chi ha perso il primo appuntamento (Lo stagno delle ninfee di Monet) e l’introduzione alla rubrica, trova tutto qui.

 

Titolo del dipinto

La colazione dei canottieri

Artista

Pierre-Auguste Renoir

Anno di realizzazione

1881

Dimensioni

130 x 173 cm

Tecnica

Olio su tela

Dove si trova

Phillips Collection, Washington, D.C.

Curiosità

La ragazza che nel quadro è seduta al tavolo e gioca con il cane è Aline Charigot, conosciuta da Renoir nel 1880. Sebbene lui avesse vent’anni più di lei nel 1890 i due si sposarono e negli anni successivi ebbero tre figli. Uno di questi, Jean, divenne uno dei più grandi registi di tutti i tempi.

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Il dipinto

Il dipinto del movimento impressionista che meglio esprime la joie de vivre, è probabilmente La colazione dei canottieri. L’opera raffigura la gaia scena di un gruppo di amici che si godono il giorno libero in compagnia. Il dipinto accosta alcuni elementi del nuovo stile di vita parigino: l’allegria delle domeniche estive unita alla mescolanza di classi sociali diverse in armonia tra loro. Sono presenti infatti una cucitrice, un’attrice, un collezionista aristocratico, due canottieri e un uomo ricco che, così insieme, sembrano rappresentare l’ideale francese di libertà, uguaglianza e fraternità.

La colazione dei canottieri è l’opera successiva a un’altra, Ballo al Moulin de la Galette. Quest’ultima fu realizzata due anni prima secondo il vero stile impressionista: sul luogo, all’aria aperta e con pennellate molto veloci. La delusione per la pittura all’aria aperta e le pesanti critiche ricevute indussero Renoir a modificare leggermente il proprio stile. La colazione dei canottieri infatti è stata dipinta all’interno e le figure sono tracciate in maniera più decisa.

 

 

L’autore

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Pierre-Auguste Renoir (Limoges 1841 – Cagnes-sur-Mer 1919), pittore francese, tra le figure principali del movimento impressionista. Nato da padre sarto e madre operaia, si formò come decoratore a Parigi, dove la famiglia si era trasferita, occupandosi dapprima di porcellane, quindi di ventagli e tessuti.

Nel 1862 si iscrisse all’Ecole des Beaux-Arts, seguendo i corsi del pittore svizzero Charles Gleyre; presso lo studio di quest’ultimo conobbe Claude Monet, che insieme a Gustave Courbet esercitò una profonda influenza sui suoi esordi pittorici. Negli anni seguenti strinse amicizia con Alfred Sisley, Frédéric Bazille, Camille Pissarro, ed entrò in contatto con importanti esponenti del mondo culturale parigino quali Zola, Huysmans, Baudelaire, Nadar. Studiò con impegno e passione i maestri del passato, copiando le loro opere al Louvre (predilesse Fragonard, Boucher, Watteau, maestri della luce e dell’uso sensuale del colore), e guardò con interesse ai grandi contemporanei, in particolare a Eugène Delacroix e a Jean-Auguste-Dominique Ingres.

GLI ESORDI

Accolto per la prima volta al Salon nel 1864 con Esmeralda che danza, opera non lontana dai canoni accademici, passò presto a una più decisa sperimentazione pittorica, dipingendo en plein air nella foresta di Fontainebleau insieme agli amici che più tardi saranno riconosciuti come impressionisti. La prima testimonianza significativa di questa ricerca pittorica è La locanda di Mère Anthony, una scena d’interno, nella quale si ravvisa il modello di Courbet e Diaz de la Peña; seguirono i paesaggi e i soggetti all’aperto sui quali si cimentava insieme a Monet, come La Grenouillère (1869, in tre versioni: Nationalmuseum, Stoccolma; collezione Reinhart, Winterthur; Museo Puškin, Mosca) e Vele ad Argenteuil (1874, Museum of Art, Portland).

Nel 1874 Renoir partecipò alla prima mostra della neonata Société Anonyme des artistes, peintres, sculpteurs, graveurs, allestita nello studio del fotografo Nadar, insieme a Monet, Degas, Sisley, Cézanne, Morisot, Boudin, Pissarro; mostra che passò alla storia come la prima esposizione degli impressionisti; tra le sue tele spiccava Il palco, conservato presso le Courtauld Institute Galleries di Londra. L’esposizione inaugurò il periodo delle sue opere più celebri, tra cui Le Moulin de la Galette (1876, Musée d’Orsay, Parigi), eseguita en plein air, straordinaria per i vibranti effetti di luce che definiscono il movimento del ballo e la vivacità della folla.

IMPRESSIONISMO E TRADIZIONE

Parallelamente alla sua produzione impressionista, Renoir continuò a praticare una pittura per molti versi più tradizionale, nella quale un ruolo fondamentale è ancora riservato alla linea e al disegno, pur non disgiunti da una sapiente sperimentazione sul colore. Grande successo riscosse il pittore presso la borghesia parigina con il genere del ritratto: tra le tele più celebri, vanno ricordate Madame Georges Charpentier con i figli (1878, Metropolitan Museum of Art, New York) e Jeanne Samary (1879, Musée d’Orsay), entrambe ammesse ai Salon ufficiali.

Gli anni Ottanta, inaugurati con la famosa Colazione dei canottieri (1880-81, Philips Collection, New York), furono per Renoir anni di viaggi, di scoperte e di conferme. Fu in Algeria e poi in Italia, dove rimase folgorato dall’eleganza e dall’equilibrio di Raffaello. Quindi nel 1887 terminò la tela Le grandi bagnanti (1884-1887, Museum of Art, Philadelphia), accolta all’esposizione internazionale di Georges Petit: eseguita in studio, l’opera segna la netta presa di distanza dalla tecnica impressionista, proponendo un deciso recupero della linea, del contorno preciso, della forma classicheggiante riletta in chiave decorativa. Nel 1892 la grande retrospettiva delle opere di Renoir organizzata da Durand-Ruel attestava l’enorme riconoscimento di cui ormai godeva l’artista.

Negli ultimi vent’anni della sua vita, Renoir, colpito dall’artrite, continuò comunque a dipingere facendosi legare il pennello alla mano. La sua ricerca stilistica proseguì instancabilmente, alternando una tendenza idealizzante, in cui si avverte il richiamo a Ingres (espressa soprattutto nei nudi), a un appassionato studio sul colore, nel quale un ruolo fondamentale ebbe la riflessione su Tiziano. Le ultime Bagnanti (1918-19, Musée d’Orsay, Parigi) sono considerate, per resa plastica e attenzione alla materia cromatica, un’anticipazione del filone “classico” del Novecento, di cui furono interpreti, tra gli altri, Pablo Picasso e Giorgio de Chirico.

La corrente artistica

L’Impressionismo è una corrente artistica sviluppatasi in Francia nella seconda metà dell’Ottocento, nata dal rifiuto delle tradizioni pittoriche e scultorie contemporanee, a soggetto classico o sentimentale, e dello stile promosso dall’Accademia di belle arti di Parigi, tecnicamente meticoloso e incentrato sul lavoro in studio. Per estensione, il termine “impressionismo” è stato applicato anche a certa produzione musicale dell’inizio del XX secolo. Tra i principali pittori impressionisti si ricordano Edgar Degas, Claude Monet, Berthe Morisot, Camille Pissarro, Pierre-Auguste Renoir, Alfred Sisley e Jean-Frédéric Bazille.

I FONDAMENTI DELL’IMPRESSIONISMO

Tradizionalmente l’Accademia imponeva le direttive alle quali tutta l’arte francese avrebbe dovuto uniformarsi e allestiva le esposizioni del Salon di Parigi, organo ufficiale della promozione artistica e della formazione del gusto. Gli impressionisti rifiutarono questi dettami e queste costrizioni, preferendo ispirarsi alla natura e alla vita quotidiana piuttosto che alla classicità o alla storia aulica, e rigettando d’altra parte anche il sentimentalismo tardoromantico (vedi Romanticismo) allora in voga. Scelsero di lavorare all’aperto anziché in studio, interessandosi principalmente agli effetti della luce naturale.

Se la pratica accademica si fondava sull’accuratezza del disegno, la precisa descrizione dei dettagli, la perfetta definizione delle forme attraverso sfumature di colore e chiaroscuro, gli impressionisti, invece, elaborarono una tecnica pittorica in grado di riprodurre la percezione visiva del reale, nella quale i contorni non sono mai netti e i colori, colpiti dalla luce, appaiono vivi, spesso cangianti.

Il procedimento si fondava sulla stesura di brevi pennellate di pigmento puro, che giustapponevano perlopiù colori primari (rosso, giallo e blu), mettendoli in contrasto con i complementari (verde, viola, arancio ecc.): ne risultava un’immagine rozza e frammentaria se analizzata da vicino, ma straordinariamente efficace dalla consueta distanza d’osservazione, caratterizzata da una luminosità più accesa di quella solitamente prodotta mescolando i colori prima di applicarli alla tela.

FONTI: ENCARTA, CAPOLAVORI DELLA PITTURA

I signori dei primordi – Andrea Micalone

Cari amici,

in questo weekend quasi natalizio torno a parlarvi di un autore che abbiamo conosciuto tempo fa in un articolo dedicato al primo volume della sua saga. Sto parlando di Andrea Micalone e potete leggere l’articolo in questione qui. Ora vi presento quindi il secondo volume della stessa serie.

 

IL TRAMONTO DELLA LUNA: I SIGNORI DEI PRIMORDI

Andrea Micalone

Self  publishing

I Signori Dei Primordi Copertina

Trama

Dopo i drammatici avvenimenti accaduti durante l’Assemblea degli Alti Patti, il Norrendal deve adesso affrontare i temibili eserciti comandati dalla misteriosa “Mente”. Enestar ed Ellendar dovranno perciò recarsi alla Gatierf Edria, la Fortezza delle Terre Oscure, per difendere quell’ultimo baluardo che separa la civiltà dal suo annientamento. Nel frattempo Airalos affronterà le remote terre orientali, dove pare che regnino ancora i “Signori dei Primordi”.

 

Perché è consigliato?

Dopo l’affascinante esordio Il tramonto della luna: Le origini della notte, Andrea Micalone torna a incantarci con un’avventura dai risvolti magici ancora più oscuri e torbidi rispetto alla precedente. Legami e amicizie tra i personaggi conosciuti nel primo libro sono messi ora in discussione in maniera profonda. L’avventura e l’azione sono i pilastri su cui poggia l’intera narrazione.

Ideale per chi ama il genere fantasy ma anche per chi vuole avvicinarvisi per la prima volta.

Link utili

 

Buona lettura!

L’amore ai tempi del colera – Gabriel García Márquez

Gabriel García Márquez è scomparso da poco ma ha lasciato il segno nella letteratura mondiale. Commentiamo uno dei suoi libri.

 

L’AMORE AI TEMPI DEL COLERA

Gabriel García Márquez

Mondadori

AmoreColera

Trama

Per cinquantun anni, nove mesi e quattro giorni Fiorentino Ariza ha perseverato nel suo amore per Fermina Daza, la più bella ragazza dei Caraibi, senza mai vacillare davanti a nulla, resistendo alle minacce del padre di lei e senza perdere le speranze neppure di fronte al matrimonio d’amore di Fermina con il dottor Urbino. Un eterno incrollabile sentimento che Fiorentino continua a nutrire contro ogni possibilità fino all’inattesa, quasi incredibile, felice conclusione. Una storia d’amore e di speranza con la quale, per una volta, Gabriel García Márquez abbandona la sua abituale inquietudine e il suo continuo impegno di denuncia sociale per raccontare un’epopea di passione e di ottimismo. Un romanzo atipico da cui emergono il gusto intenso per una narrazione corposa e fiabesca, le colorate descrizioni dell’assolato Caribe e della sua gente. Un affresco nel quale, non senza ironia, si dipana mezzo secolo di storia, di vita, di mode e abitudini, aggiungendo una nuova folla di protagonisti a una tra le più straordinarie gallerie di personaggi della letteratura contemporanea.

 

L’autore

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Gabriel José de la Concordia García Márquez, soprannominato Gabo (Aracataca, 6 marzo 1927 – Città del Messico, 17 aprile 2014), è stato uno scrittore, giornalista e saggista colombiano, insignito del Premio Nobel per la letteratura nel 1982.

Tra i maggiori scrittori in lingua spagnola, García Márquez è considerato il maggior esponente del cosiddetto realismo magico, la cui opera ha fortemente contribuito a rilanciare l’interesse per la letteratura latinoamericana.

Dotato di uno stile scorrevole, ricco e costantemente pervaso di un’amara ironia, i suoi romanzi sono caratterizzati da articolate strutture narrative, con frequenti intrecci fra realtà e fantasia, fra storia e leggenda, con la presenza di molteplici piani di lettura, anche allegorici, e con un uso sapiente di prolessi ed analessi.

Il suo romanzo più famoso, Cent’anni di solitudine, è stato votato, durante il IV Congresso internazionale della Lingua Spagnola, tenutosi a Cartagena nel marzo del 2007, come seconda opera in lingua spagnola più importante mai scritta, preceduta solo da Don Chisciotte della Mancia di Miguel de Cervantes.

Lo stile letterario e le tematiche

Gabriel García Márquez fu uno dei quattro scrittori latinoamericani coinvolti per primi nel boom letterario latinoamericano degli anni Sessanta e Settanta; gli altri tre autori erano il peruviano Mario Vargas Llosa, l’argentino Julio Cortázar e il messicano Carlos Fuentes (ad essi è da aggiungersi la figura discostata di Jorge Luis Borges). Sarà Cent’anni di solitudine il romanzo che gli porterà fama internazionale di romanziere del movimento magico-realista della letteratura latinoamericana, che influenzerà gli scrittori di periodi successivi, come Paulo Coelho e Isabel Allende. Egli appartiene alla generazione che recuperò la narrativa fantastica del romanticismo, come quella di E.T.A. Hoffmann, e il romance europeo, lo stile dei poemi lirici, epici e mitologici che andavano di moda fino all’alba del romanzo moderno nel XVIII secolo, quando la particolare mescolanza di reale e invenzione venne relegata nella letteratura del romanzo gotico o in altri sottogeneri.

Come una metaforica e critica interpretazione della storia colombiana, dalla fondazione allo Stato contemporaneo, Cent’anni di solitudine riporta diversi miti e leggende locali attraverso la storia della famiglia Buendía, che per il loro spirito avventuroso si collocano entro le cause decisive degli eventi storici della Colombia — come le polemiche del XIX secolo a favore e contro la riforma politica liberale di uno stile di vita coloniale; l’arrivo della ferrovia in una regione montuosa; la Guerra dei mille giorni (Guerra de los Mil Días, 1899–1902); l’egemonia economica della United Fruit Company (“Compagnia bananiera” nel libro); il cinema; l’automobile; e il massacro militare dei lavoratori in sciopero come politica di relazioni fra governo e manodopera. La ripetitività del tempo e dei fatti è appunto il grande tema del romanzo, un tema in cui l’autore riconosce la caratteristica della vita colombiana e attraverso cui vediamo delinearsi altri elementi: l’utilizzo di un “realismo magico” che mostra un microcosmo arcano in cui la linea di demarcazione fra vivi e morti non è più così nitida e in cui ai vivi è dato il dono tragico della chiaroveggenza, il tutto con un messaggio cinicamente drammatico di fondo, di decadenza, nostalgia del passato e titanismo combattivo di personaggi talvolta eroici ma votati alla sconfitta. Su questa linea, dopo un inizio nella letteratura realistica di stile hemingwayano, proseguirà tutta l’opera di García Márquez (tranne gli scritti prettamente autobiografici), in equilibrio tra l’allegoria, il reale e il mito, influenzato dalle tematiche surreali di Franz Kafka e dal simbolismo. Lo stile presenta notevoli intrecci, digressioni, prolessi e analessi, con l’uso di frasi quasi poetiche nella prosa, un linguaggio ricercato e prosaico alternato a seconda del personaggio, e lo svolgimento di storie “corali” e parallele. Il narratore è spesso esterno e onnisciente, cioè conosce già gli avvenimenti futuri.

Recensione

Avevo più volte sentito nominare questo libro che ormai è entrato ufficialmente tra i più famosi libri mai scritti. Mi sono accostata alle pagine con vivo interesse.
Questo libro è stato capace di mostrarmi vivamente dinanzi agli occhi le atmosfere calde e variegate di un’isola caraibica alla fine dell’Ottocento e all’inizio del Novecento. Gabriel Garcia Marquez descrive con maestria e poesia, armonia, ogni strada, ogni palazzo, ogni carrozza, ogni giardino, ogni nave nonché il mare. Questa caratteristica – assieme a poche altre quali la descrizione approfondita dei personaggi principali e le ricche informazioni sulle pratiche quotidiane del tempo – è stata quella che mi è piaciuta maggiormente e per la quale “L’amore ai tempi del colera” merita di essere letto.

Lo stile è una delle maggiori qualità dell’autore: non so spiegare in cosa sia particolare, di preciso, ma leggendo ci si ritrova a pensare “Ovvio che questo è un premio Nobel”.

Ad ogni modo l’interesse per la storia è andato perdendosi pagina per pagina. Nonostante infatti la storia sia verosimile, non ho trovato nulla dell’amore epico e tanto decantato. Anche se ha la forza di resistere tra alti e bassi per più di cinquant’anni si tratta di un ossessivo amore platonico, provato tra l’altro solo da Florentino Ariza. Fermina Daza, dal canto suo, dopo l’iniziale innamoramento decide all’improvviso che non vuole più aver nulla a che fare con il suo fidanzato officioso. Questi inizia così una vita votata a lei che ben presto cadrà nella perdizione sessuale. Fermina dal canto suo lo dimentica troppo facilmente sposando il dottor Urbino. Altra cosa che ha svelato ogni curiosità, è il capitolo principale che parte dalla fine della storia, spiegandone in poche pagine l’evoluzione che poi sarà ciò che riempirà prolissamente tutti i capitoli successivi. D’altro canto la quarta di copertina svela sin da subito che ci sarà un lieto fine.
Ripeto: dinanzi all’innegabile e straordinaria maestria letteraria dell’autore che finora mi è sembrato il più abile scrittore io abbia mai letto, troviamo una scarsità di trama e di passione. Si tratta comunque di un buon libro.

Valutazione:

4

 

Dal libro è stato tratto un film la cui visione, come la lettura del testo, risulta un po’ impegnativa.