Liebster Award

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Salve amici,

oggi sono lieta di parlarvi del Liebster Award.

Di cosa si tratta?

Il Liebster Award è un premio che viene conferito da blogger ad altri blogger meritevoli, con lo scopo di farli conoscere nella rete e per far sì che a loro volta promuovano altri blog che li hanno colpiti.

Come prima cosa ringrazio Valentina del blog Valentina Reads per la nomination.

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Ecco le regole:

  • Ringraziare il blog che ti ha nominato.
  • Rispondere alle 10 domande.
  • Nominare altri 10 blog.
  • Porre 10 domande.
  • Comunicare la nomina ai 10 blog scelti.

Partiamo subito: domande e risposte!

Perché hai aperto un blog?

Mmm… non me lo ricordo quasi più. Ah, sì, in tutta sincerità: per pubblicizzare l’uscita dei miei libri. Solo che poi le cose sono cambiate: l’intento originario è passato in secondo piano man mano che cominciavo a condividere le mie passioni tramite questo “diario online”. E quindi ora sul blog parlo di arte, cultura, letteratura e storia in rubriche che mi vengono in mente all’improvviso, anche di notte.

Ci parli delle tue passioni?

Mi piace leggere, scrivere, fare ricerche storiche e osservare il cielo notturno. E anche se la sola cosa che deve necessariamente essere svolta di notte è osservare il cielo notturno con il telescopio, anche per le altre passioni tolgo tempo al sonno. Di giorno infatti lavoro e sono una mamma. Certe volte mi chiedo anch’io come faccio a fare tutte queste cose insieme. Comunque, dicevamo? Ah, già. Leggo montagne di libri sin da quando avevo 7-8 anni e quello fu lo stesso periodo in cui cominciai a scrivere storie illustrate (perché adoravo anche disegnare manga, solo che questo è passato in secondo piano col tempo). Amo i romanzi storici, d’altro canto un’altra delle mie grandi passioni è la storia, soprattutto quella europea della prima metà del Novecento, comprese le due guerre mondiali. E poi ho sempre amato tutto ciò che concerne l’astronomia (il fanciullesco sogno di diventare astronauta ha lasciato pesanti strascichi) per cui è un campo in cui mi piace dilettarmi.

Quanto pensi che i commenti e le interazioni siano utili per un blogger e in che modo?

I commenti e le interazioni sono molto importanti, del resto: se non avessimo voluto un confronto con gli altri avremmo scritto su un diario segreto e non su un blog pubblico. Confrontare le proprie idee con quelle altrui è, secondo me, una delle attività più elevate che riusciamo a fare a livello umano e sociale. Aiuta a crescere come persone, conoscerne altre e accettare le critiche.

Di cosa parli nel blog?

Recensisco i libri che leggo, parlo delle opere d’arte che mi colpiscono di più, di alcune importanti scoperte scientifiche e storiche, di celebrazioni internazionali, di avvenimenti storici, di film particolarmente meritevoli (sempre dal punto di vista storico >_<), di classici, poesia, dell’attuale situazionale editoriale in Italia… insomma, di tutto ciò che è arte, cultura, letteratura e storia. A volte in maniera confusa, lo ammetto, visto che le rubriche saltano fuori come funghi dopo la pioggia e non sono presentate con settimane d’anticipo e attenta pianificazione come avviene su altri blog… ma a me va bene così. La parte più importante è l’idea, a mettere ordine ci penso mentre la sviluppo e la condivido.

Hai creato un rapporto di amicizia con altri blogger? Vi siete mai conosciuti personalmente?

Ho instaurato un’amicizia con alcuni blogger, ma non ho avuto il piacere di incontrarne nessuno personalmente poiché la maggior parte vive lontano da me e considerando la mia vita super impegnata fare un viaggio di piacere è un’evenienza piuttosto rara. Comunque mai dire mai.

Come immagini il tuo blog tra due anni? Vorresti vederlo crescere/cambiare e in che modo?

Non ho idea di come sarà il mio blog tra due anni, forse con la barra delle rubriche ancora più affollata 😀 Mi piacerebbe sicuramente vederlo crescere a livello di contatti (e perché no, amicizie) ma cambiare forse no. Mi sta bene così.

La cosa che sai fare meglio?

Mmm… giocare ai videogiochi? Ecco, in questo sono brava, e forse dovrei inserirlo tra le mie passioni nella domanda precedente, anche se non è esattamente al livello delle altre e forse non sarebbe sano indicarmi come una Dragon Age addicted. Seriamente: non lo so. Studiare? Sognare? Isolarmi dal mondo? >_< Si dovrebbe chiederlo a chi mi conosce.

Quanto tempo dedichi al tuo blog?

Ultimamente meno di quanto vorrei. Ho già detto che sono parecchio incasinata, per cui non lo ripeto (ops!). Mi piacerebbe riuscire a trovare più tempo per curarlo meglio.

Come nascono i tuoi post?

A parte quelli che riguardano le recensioni dei libri letti, che sono il naturale completamento del processo di lettura, appena un’idea mi si affaccia alla mente o se scopro che oggi è l’anniversario della nascita di un fisico, uno storico o la celebrazione di una scoperta… ecco, il mio post è pronto.

Un saluto a chi legge?

Grazie a chi si è affacciato in questo piccolo spazio culturale (a volte un po’ delirante) e ancor di più a chi segue le mie rubriche. Mi farebbe piacere ascoltare le vostre opinioni e le vostre critiche, sapete dove trovarmi. A presto!

Eccomi qua ora a comunicarvi i blog da me scelti:

Ed ecco, miei cari blogger nominati, le domande a cui dovrete rispondere:

  1. Un aggettivo che ti descrive?
  2. Da piccola, cosa avresti voluto fare da grande?
  3. Di cosa parla il tuo blog?
  4. Quali sono le tue passioni?
  5. Qual è il più bel libro che hai letto (uno solo)? Perché?
  6. Qual è secondo te l’elemento che non può assolutamente mancare in un buon romanzo?
  7. Un libro che non consiglieresti nemmeno al tuo peggior nemico?
  8. Qual è il tuo piatto preferito? E quello che invece detesti?
  9. Il tuo sogno nel cassetto?
  10. Un saluto per i tuoi followers?

 

Grazie a tutti! Stay tuned!

Jacques Korrigan a Brocéliande. Recensione + intervista agli autori

Quest’oggi vi parlo di una lettura particolarmente ricca che mi ha coinvolto molto. Inoltre gli autori hanno risposto alle mie domande ficcanaso, in quella che mi pare la più bella intervista pubblicata su questo blog. Apriamo l’articolo con un brano, consigliato direttamente dal protagonista del libro, che ci catapulta nelle atmosfere del romanzo.

Bran Vihan – An Hini A Garann, canzone tradizionale d’amore bretone. Flauto, chitarra e voce in un brano indimenticabile.

Jacques Korrigan a Brocéliande

Andrea Marinucci Foa – Manuela Leoni

ilmiolibro.it

 

copertina

 

Trama

Tre diverse organizzazioni si affollano e si combattono intorno alla leggendaria foresta di Brocéliande, quando la squadra di Jacques Korrigan giunge nella cittadina di Paimpont. Tra leggende arturiane, simposi di neurologia, avvistamenti alieni, folletti e creature mitologiche, antiche ricerche naziste sul paranormale, terroristi internazionali, agenti della CIA e investigatori del nuovo quartier generale dell’Interpol a Parigi, l’unica speranza di venire a capo dell’intrigo è affidarsi a uno studioso di cultura e mitologia celtica e alla sua squadra: un cacciatore africano, una ex agente dell’FBI dal grilletto facile, una coppia di informatici canadesi, una affascinante neurobiologa norvegese, un fisico quantistico convertito all’ufologia, una profiler con il dono dell’empatia, un paio di sbirri, un grosso gatto rosso poco disciplinato e, a capo di tutto, un anziano orientale appassionato di jazz.

Anteprima

Seguite questo link per leggere le prime pagine: Jacques Korrigan a Brocéliande

 

 

Recensione

All’inizio della lettura non ero certa di cosa aspettarmi, semplicemente perché non si tratta del genere che leggo di solito. Ma dopo una manciata di pagine, be’… non potevo più farne a meno.

Trovo sia un lavoro geniale. Geniale. L’approccio tecnologico e investigativo al paranormale ha il suo effetto. I personaggi sono numerosi e tutti credibili e sfoggiano un ventaglio di competenze specifiche a seconda del ruolo, il che lascia intendere le vaste conoscenze scientifiche, sociali e mitologiche degli autori del libro.

Una lettura che imprigiona il lettore, trascina in un mondo fatto di missioni segrete e antichi miti che camminano di pari passo con la realtà o meglio con la nostra realtà. Il collegamento con gli studi segreti delle SS sul paranormale è, secondo me, uno dei punti focali. Il ragionamento e la deduzione sono elementi importanti della narrazione: prendono il lettore per mano e lo portano alla scoperta del mondo che si apre davanti ai personaggi. Non mancano neanche uno spiccato senso dell’umorismo e una velata quanto apprezzata ironia.

Una lettura straordinaria, illuminante sotto molti punti di vista, sia che amiate la storia, il mistero, i polizieschi, la mitologia, con un valore aggiunto dato dalle interessanti note esplicative a fine libro.

Si tratta di un romanzo autoconclusivo ma la storia continua; per quanto mi riguarda non vedo l’ora di leggere il seguito delle avventure di Jacques Mevel.

Valutazione:

5

Intervista agli autori

 

Ciao Andrea, ciao Manuela. Benvenuti.

  • Mi fa molto piacere avervi entrambi qui sul mio blog, per cui entriamo subito in confidenza. Parlatemi un po’ di voi.

Manuela: ho 50 anni, tre figlie, una nipote e cinque gatti. Amo dipingere, suonare il violino – ma vorrei imparare a suonare anche il violoncello – leggere e scrivere storie. Mi piace cucinare e inventare piatti che mescolano le varie tradizioni.

Nella mia vita ho fatto l’arredatrice d’interni, la segretaria di redazione, l’editor e la content manager, ma la cosa che amo di più in assoluto è creare, veder nascere qualcosa dalle mie mani.

Andrea: siamo onorati di essere nel tuo blog, che seguiamo da tempo con grande attenzione. Io sono nato nel 1964 e ho interessi e professionalità sparsi in campi artistici, scientifici, tecnici e letterari. Ho fatto scavi archeologici, partecipato a spedizioni di paleontologia umana, contribuito ad allestire un museo, mi sono divertito con la fotografia naturalistica, ho praticato arti marziali, mi sono occupato di evoluzione, storia medievale, biochimica. Ho fatto l’editor e ho insegnato informatica. Per lavoro, produco progetti informatici e siti web, con particolare attenzione alla comunicazione e all’organizzazione. Insomma, anche se qualche volta gli amici mi definiscono (generosamente) poliedrico, in realtà sono dispersivo, ficcanaso ed intellettualmente inquieto. Amo la musica popolare, seguo la politica, sono impegnato nella difesa dell’ambiente e nell’estensione dei diritti civili. Sono un ebreo ateo con una forte simpatia per i culti politeisti.

  • Sapreste riconoscere il momento preciso in cui avete capito di amare la scrittura?

Andrea: sicuramente nel periodo della scuola media, ma il momento non lo ricordo. L’uomo è un animale narrante, ha bisogno di esprimersi, raccontare: si può fare in molti modi, con l’arte, la musica, il teatro ed il cinema, l’intrattenimento conviviale e la letteratura. Scrivere è una modalità espressiva particolarmente adatta a chi è molto timido e io ho sempre detestato trovarmi al centro dell’attenzione.

Manuela: non c’è un momento preciso: ho sempre amato scrivere. In pratica, da quando ho preso la penna in mano per la prima volta: i miei temi erano sempre molto apprezzati, mi piaceva utilizzare un linguaggio ricercato, ricco di sfumature. Mi piace l’atto dello scrivere, per me è un’espressione artistica, come suonare e dipingere, un modo di rappresentare quello che sento. Credo che sia per questo motivo che, quando scrivo, ho bisogno di carta e penna, preferibilmente stilografica; risponde al mio bisogno di concretezza.  Ovviamente una volta elaborato il pensiero trasferisco tutto sul PC e lavoro su quello.

  • Quando e perché avete cominciato a scrivere assieme?

Manuela: nel 1989, durante una lunga vacanza in Valtournenche dove la famiglia di Andrea aveva una bellissima casa che guardava sul Plateau Rosa. Abbiamo passato un mese e mezzo in quella casa, con gli amici che venivano ogni tanto a trovarci; quando eravamo soli ci mettevamo davanti al camino acceso ed elaboravamo storie fantastiche che scrivevamo su block notes comprati dal tabaccaio del paese. Li ho ancora tutti.

Andrea: scrivere insieme è collegato ai ricordi più belli e intensi che abbiamo del nostro rapporto. E’ cominciato tutto lavorando sull’ambientazione di un ciclo fantasy che avevo iniziato io anni prima, elaborando il linguaggio, i costumi, addirittura le rune dei vari popoli. Poi siamo passati a scrivere un romanzo particolarmente drammatico che avevo già cominciato e che è ancora lì, solo abbozzato. Al nostro ritorno abbiamo iniziato un libro nuovo che fosse totalmente nostro, e ci siamo fermati a pagina 10, perché è arrivata la prima figlia.

  • Io non ho mai scritto un libro a quattro mani. Com’è, praticamente?

Andrea: una coppia di scrittori ha il vantaggio di rimanere sempre dentro la storia, di poter scambiare impressioni continuamente, di condividere qualsiasi spunto nel momento in cui viene in mente. Creare una storia insieme è un rapporto in qualche modo intimo, quindi viene meglio quando gli autori hanno familiarità, empatia. Tra amici o in coppia è più semplice, anche perché se si entra in competizione o in conflitto è un disastro. Poi, scrivere narrativa a quattro mani implica che due persone abbiano tempo disponibile e siano ispirate nello stesso momento. Ci vuole tanto tempo e tanta pazienza, ma secondo me ne vale la pena.

  • Nel vostro libro, per tutta la lunghezza della narrazione, non ho notato differenze di stile, dunque o i vostri stili sono molto simili oppure siete stati bravissimi a “fonderli” per crearne uno omogeneo. Però sono curiosa: ognuno di voi “gestiva” un certo numero di personaggi oppure, come creatori, eravate assolutamente intercambiabili?

Manuela: credo che ogni coppia di scrittori abbia un suo metodo per scrivere “a quattro mani”; essendo noi una coppia anche nella vita passiamo moltissimo tempo a discutere della trama, dei dettagli, dell’ambientazione, dei personaggi e di tutto quello che costituisce l’ossatura della storia, che a volte nel libro non compare, ma che invece deve essere molto chiaro a chi scrive per mantenere la coerenza di quanto viene raccontato. Disegniamo una time line su un foglio –al momento ce n’è una appesa nel nostro soggiorno per il secondo romanzo di Jacques Korrigan– dove tracciamo gli avvenimenti principali che vengono arricchiti con spunti, idee, ricerche da approfondire applicate con i post it in punti strategici. Poi quando tutto è chiaro, uno dei due scrive la primissima bozza che l’altro completa, quindi armonizziamo il tutto limando le differenze di stile più evidenti.

  • Parliamo nello specifico del libro. A chi dei due e come mai è venuta l’idea di creare una storia così particolare, che tocca diversi ambiti di conoscenza?

Andrea: è difficile dirlo. Probabilmente abbiamo raccolto spunti ed idee, poi ad un certo punto ci siamo resi conto di avere abbozzato qualcosa di nuovo. Doveva essere un racconto, poi con il numero crescente di personaggi e di spunti è diventato un romanzo e quindi una serie. La sfida era utilizzare diversi strumenti narrativi: la suspense dell’avventura e del giallo, la sorpresa finale della fantascienza, la meraviglia del fantasy. L’opera doveva avere un ritmo tutto suo e soprattutto doveva essere centrata sui personaggi.

  • Visti i ragionamenti di Hank e Kate, i due informatici presenti nel romanzo, uno di voi due è esperto di computer e sistemi di sicurezza, satelliti e tecnologia varia. Chi è l’hacker?

Andrea: per quello che riguarda Hank, sono io il responsabile. Ma per l’hacking e per la tecnica di marchingegni assortiti ci siamo attenuti poco al reale. Non è tecnicamente possibile fare quello che fa Hank, non in tempi così stretti, ma nei romanzi e nel cinema si fa abitualmente quindi i lettori se lo aspettano. Invece mi sono divertito con l’archivio “intelligente” del paranormale, il fatabase. Non solo è fattibile, ma saprei benissimo come farlo. Anzi, confesso che l’ho progettato sul serio.

Manuela: è decisamente Andrea!

  • Pure le modalità d’azione di servizi investigativi e servizi segreti sono descritte in maniera particolareggiata. Debbo desumere di stare parlando con uno 007 in incognito? Se no, ci sono delle fonti particolari per ciò che avete descritto oppure avete semplicemente raccolto informazioni qua e là?

Andrea & Manuela: abbiamo utilizzato gli archetipi del genere, vecchi di decenni, adattandoli a una situazione attuale. Abbiamo ragionato un poco su cosa poteva cambiare con la fine della guerra fredda, con l’11 Settembre, con le guerre in Afghanistan e in Iraq, con le diverse amministrazioni Bush e Obama, con Guantanamo. Le nostre “fonti” si limitano a qualche fatto di cronaca, qualche romanzo e qualche film sulle spie: quello che abbiamo descritto può sembrare plausibile perché si accorda con degli stereotipi che sono ormai sedimentati, ma non abbiamo nessuna idea di come funzionino davvero i servizi segreti.

  • Parliamo degli altri tipi di competenze dei personaggi del romanzo, che non sono nemmeno slegati dagli argomenti delle ultime due domande. Storia, mitologia, etnologia, fisica, psicologia. Eravate già in possesso delle conoscenze necessarie oppure vi siete documentati proprio per scrivere il romanzo?

Manuela: per alcune materie non avevamo problemi, per altre, come la psicologia o la fisica quantistica, siamo ricorsi ad amici volenterosi ed esperti nel campo. La ricerca è comunque una costante del nostro modo di scrivere ed è alla base delle conoscenze sfoggiate dai nostri personaggi. Dietro alle loro competenze ci sono studi abbastanza approfonditi: abbiamo comprato e spulciato libri, siamo andati in biblioteca, abbiamo consultato esperti a cui poi abbiamo chiesto di verificare l’attendibilità di quanto avevamo prodotto. Volevamo scrivere un romanzo godibile da tutti, ma che non desse informazioni false o fuorvianti, che potesse incuriosire e magari spingere qualcuno ad appassionarsi delle materie trattate, ad approfondire certe tematiche.

  • Siete entrambi appassionati di cultura celtica?

Manuela: sono appassionata di culture “altre”, di storie e leggende, di religioni e di cucina. Credo che i popoli si svelino attraverso le storie che si tramandano e attraverso le loro tradizioni culinarie che raccontano la loro storia e quella dei territori su cui hanno vissuto.

Andrea: studio le culture antiche e mi affascinano quelle che sono molto antiche e molto vive al tempo stesso. La cultura celtica, specie in Francia e in Irlanda (ma anche nelle altre regioni) non ha seguito lo stesso destino di molte culture italiche: si è rinnovata, contaminata, mischiata, reinventata. Nella musica, nelle arti, nella letteratura. Non ha solo rielaborato i suoi miti e i suoi ritmi, li ha portati nella modernità. E’ un fenomeno che noi abbiamo confinato ad alcuni grandi, come De Andrè, Branduardi, Fo, senza un coinvolgimento di massa; amiamo le nostre tradizioni ma le teniamo su uno scaffale e le spolveriamo con cautela ogni tanto.

  • Per i diversi personaggi, le cui personalità sono varie e spesso contrastanti, vi siete ispirati a persone reali?

Manuela: alcuni dei nostri personaggi sono ispirati a persone reali, come Hank e Kate e le loro fantastiche dinamiche di coppia; la razionalità e il rigore scientifico di Ylsa, e l’aspetto del vecchio compagno di squadra di Jacques, il dottor Gherardi, soprannominato Phlox in onore del medico della serie di Star Trek “Enterprise”. Gli altri personaggi, invece, si sono presentati da soli e si sono imposti. Una curiosità: nel libro compaiono due persone realmente esistenti che sono personaggi che interpretano se stessi. Naturalmente a loro abbiamo chiesto il permesso.

  • Jean Jacques Mevel detto Korrigan è un personaggio straordinario, ricco in cultura, intelligenza e capacità d’adattamento. Come è nato?

Andrea: Jacques è nato come personaggio incompleto: l’idea era quella di renderlo efficiente all’interno di un gruppo e – perché no? – di una relazione sentimentale intensa. In parte coincide con l’archetipo dello studioso, un po’ arrogante ed egocentrico quando si parla delle sue “specialità” e un po’ insicuro per altri versanti. Essendo un giovane catapultato in una situazione avventurosa, lo abbiamo fornito di un po’ di senso pratico e di un carattere vendicativo. Altri dettagli su Jacques verranno rivelati in seguito, nei prossimi romanzi.

  • Senza svelare troppo per non rovinare la sorpresa a chi deve ancora leggere questo primo libro, diteci in anteprima qualcosa sul seguito.

Manuela: Seguendo il filo delle ricerche delle Ahnenerbe di Himmler, trovate nel primo romanzo, i nostri eroi si recheranno nella regione del Midi – Pyrénées, dove naturalmente si imbatteranno in un altro interessante caso misterioso. La zona è ricca di avvenimenti storici che possono agevolmente legarsi alla nostra trama, quindi al momento siamo parecchio impegnati con le ricerche. Gli elementi folkloristici e mitologici riguarderanno l’Occitania e non più la Bretagna, sebbene abbiano sempre un filo conduttore comune. Stavamo anche pensando di trovare una ragazza a Barnes.

Andrea: finiremo con l’aprire una agenzia di viaggi del mistero.

  • Parliamo di editoria. Il vostro libro è stato auto pubblicato ed è disponibile sul sito ilmiolibro. Perché questa scelta?

Andrea & Manuela: la scelta della piattaforma ilmiolibro è stata strategica: dovevamo capire se il nostro romanzo si reggeva in piedi. Dovevamo farlo leggere a un po’ di persone, vedere se raggiungeva i giovani, se le varie sperimentazioni funzionavano, quindi partire alla ricerca di un editore. Ilmiolibro ha una buona qualità di stampa, anche se ha un sito e un meccanismo di vendita assolutamente inadeguato. Noi non contavamo di vendere tante copie, bensì di comprendere se – a giudizio dei lettori – avevamo per le mani un libro vero e proprio, quindi di valutarne le possibilità. Ora siamo alla ricerca di un editore tradizionale e probabilmente faremo anche qualche tentativo nel vasto mercato americano e magari in quello francese.

  • Cosa ne pensate dell’attuale situazione editoriale italiana? Secondo voi c’è differenza con la situazione negli altri Paesi? Se sì, perché?

Andrea: credo che la situazione all’estero segua le stesse dinamiche dell’Italia, in quella che è un’epoca di crisi economica e di grandi cambiamenti nel mercato. In fasi come questa è difficile prevedere come andrà a finire, quindi si assiste a strategie e comportamenti di ogni tipo. In Italia poi il mercato è molto ristretto e particolarmente chiuso, i canali tradizionali di distribuzione, di comunicazione, di pubblicità sono pochi e riservati sempre agli stessi editori, i quali generalmente non rischiano e non sperimentano. In più abbiamo una classe di governo che non si interessa alle nuove opportunità e che tiene incomprensibilmente alta l’IVA sugli ebook, non riesce a introdurre i nuovi strumenti nelle scuole e sembra lavorare più per i grandi editori che non per il settore editoriale. Il problema è generale e in Italia si nota di più.

  • Oltre alla saga di Jacques Korrigan avete altri progetti in cantiere? A quattro mani oppure no?

Andrea: abbiamo parecchi progetti aperti: un insieme di racconti fantasy, sword & sorcery, che vogliamo pubblicare con Amazon in volumi da 100-120 pagine, soprattutto per farci conoscere un poco. Poi abbiamo sempre i 5-6 romanzi iniziati e mai finiti e un paio di spunti nuovi tutti da sviluppare. Non abbiamo tempo per seguire tutte le idee che ci vengono in mente, ma cerchiamo sempre di appuntarcele per il futuro. Ormai il nostro sistema di scrittura a quattro mani è talmente perfezionato che lo adottiamo automaticamente, quindi firmeremo tutto in coppia. Fanno eccezione le mie storie demenziali come L’Oscura Forfora delle Tenebre, che sono nate per scherzo e che non verranno mai pubblicate, alcune cose saggistiche e un romanzo distopico che sto scrivendo con mia madre. Sono io ad essere dispersivo, mentre Manuela cerca di spingermi a finire i lavori aperti.

Grazie per la disponibilità e in bocca al lupo per tutti i vostri lavori.

Grazie infinite a te per l’ospitalità e per le domande articolate ed interessanti che ci hai posto.

Ora, amici, vi lascio l’indirizzo del sito del libro, dove potrete trovare informazioni e curiosità:

La Caccia, di Stefania Bernardo. Recensione e intervista all’autrice.

Amici, augurandovi un buon inizio d’anno nuovo – dico buon inizio perché se il resto dell’anno sarà buono o meno non dipenderà solo dal caso ma anche da noi stessi 😉 -, vi parlo dell’ultimo libro letto nel 2013. Il libro sotto i riflettori è La Caccia, seguito de La Stella di Giada che ho amato molto e recensito qui.

 

 

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Trama

Caraibi 1722.
Un ritornello senza senso si è infilato nella mente di Scarlett come un tarlo. Una vera e propria ossessione per cui è disposta anche a rinunciare alla ciurma e all’amore. Rime ripetute all’infinito nelle taverne, fra rum e baldracche, che sembrano nascondere un segreto. Governatori eccentrici, ricchi mercanti, eroi della marina britannica, pirati, sono tutti alla ricerca della soluzione dell’enigma. Una vera e propria caccia che sembrerà non avere mai fine, pericoli che si celeranno in ogni dove, alleanze di convenienza e tradimenti sussurrati all’orecchio. E mentre i Caraibi, ancora una volta, si tingono di rosso, oltreoceano una donna dagli occhi azzurro cielo attende, seduta sotto un salice, la fine di una guerra durata troppo a lungo.

L’autrice

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Stefania Bernardo nasce a Ivrea nel 1985. Sin da piccola le sue più grandi passioni sono state la storia, i pirati e la scrittura. Divoratrice accanita di libri, si diploma in Tecnica della gestione aziendale. Dopo un’esperienza lavorativa di circa quattro anni come segretaria amministrativa, decide di tornare a studiare. Attualmente è laureanda in Diritto ed Economia per l’impresa alla facoltà di Giurisprudenza di Torino. A marzo 2013 pubblica il suo romanzo d’esordio “La Stella di Giada”. Da luglio 2013 collabora con la redazione di Ticweb tv dove cura la rubrica dedicata ad autori emergenti “Il Teschio e la Penna – Cultura contro corrente”.

Recensione

Non siete appassionati di storie di pirateria? Non fa nulla, perché leggendo questo libro lo diventerete. L’autrice ci trasporta ancora una volta nei Caraibi del diciottesimo secolo, a bordo di velieri e a contatto con personaggi pittoreschi e intriganti. Azione, avventura, tradimenti, amore e amicizia accompagnano il lettore per tutta la lettura. Frequenti sono i cambi di scena e di punti di vista che contribuiscono a mantenere viva l’attenzione e l’attesa. Credo che questo libro sia un degno seguito de La Stella di Giada, vengono infatti sbrogliate intricate vicende familiari rimaste in sospeso. Ancora una volta troviamo tantissimi personaggi, tutti ben tratteggiati. Quando si crede di aver compreso bene la piega delle vicende, ecco che a metà libro succede l’imprevedibile e le carte in tavola vengono nuovamente rimescolate. Non svelo troppo per non rovinare la sorpresa ma vi anticipo che il finale, ancora una volta, è riuscito a commuovermi. L’unica “pecca” è l’assenza del grande Johnny Shiver: sebbene egli sia spesso evocato in maniera vivida e struggente da diversi personaggi, per me resta il migliore, indimenticabile.

Valutazione:

5

Intervista all’autrice

Ciao Stefania, benvenuta.

  • Rompiamo subito il ghiaccio. Parlaci un po’ di te dal punto di vista letterario ma anche personale.

Ciao Ilaria, grazie per avermi ospitata sul tuo blog. Di me posso dirvi che sono un’inguaribile sognatrice. Mi piace fantasticare ad occhi aperti, mi piace emozionarmi e spero di essere riuscita a trasmettere questo anche nei miei romanzi. Per me scrivere è sinonimo di vita, leggo fin da quando ero piccola e tendo a perdermi nelle librerie e nelle biblioteche… Perdo completamente la cognizione del tempo. Adoro la musica, sono fissata con Il Regno Unito, ho un debole per Sherlock Holmes, il personaggio di Sir Arthur Conan Doyle, e per D’Artagnan di Dumas.  Amo la storia alla follia.

  • C’è stato un momento esatto in cui hai pensato: “Voglio diventare una scrittrice”?

Da piccola dicevo spesso di voler fare la scrittrice, poi sono diventata grande e per parecchi anni ho accantonato questa passione declassandola a semplice passatempo. In realtà, ho sempre scritto, pagine di diario, pensieri sparsi, qualche racconto. E poi alcuni anni fa a seguito di una forte depressione, ho ripreso il mio vecchio sogno nel cassetto, quello di scrivere un romanzo sui pirati… e da lì si può dire che mi sono riconciliata con le mie vere aspirazioni e le mie più forti passioni. Non ho paura a dire che scrivere, in un certo senso, mi ha salvato la vita.

  • Cosa ti piace di più: leggere o scrivere?

Scelta impossibile da fare per me, è come se mi chiedessi se preferisco inspirare o espirare. Sono due cose indivisibili, dal mio amore per la lettura è nato quello per la scrittura, e ora più scrivo, più ho voglia di leggere.

  • Da cosa nasce il tuo amore per le vicende piratesche?

Non ne ho idea, è una passione che è con me da sempre, come quella per il Regno Unito. Amavo giocare ai pirati, adoravo capitan Uncino. Crescendo ho approfondito questo periodo storico, rimanendone ancora di più affascinata.

  • Sei mai stata nei luoghi in cui sono ambientati i tuoi romanzi?

No, non ancora.

  • Per i tuoi protagonisti ti sei ispirata a qualche personaggio storico?

Per Scarlett le figure ispiratrici sono state senz’altro Mary Read e Anne Bonny, mentre per Johnny Shiver mi sono ispirata al capitano John Roberts conosciuto come Black Bart, senza dubbio uno dei pirati più bravi e in gamba della storia.

  • Se avessi la possibilità di incontrare dal vivo uno dei tuoi personaggi, quale sceglieresti e perché? Per quanto mi riguarda sceglierei Shiver, indimenticabile.

Bella domanda, li vorrei incontrate un po’ tutti. Beh, se ne devo proprio scegliere uno allora anche io scelgo Johnny Shiver, è uno dei personaggi a cui sono più affezionata. Lo vorrei incontrare perchè è un uomo affascinante e allo stesso tempo oscuro, ci farei senz’altro delle lunghe e interessantissime chiacchierate. L’uomo perfetto per esplorare le passioni umane in tutte le sue forme, da quelle più nobili a quelle più basse.

  • Dai romanzi si evince il lavoro di documentazione da te svolto, anche riguardo ai dettagli tecnici di una nave. Nella realtà sei esperta di navigazioni per mare? Se no, credi che potresti cavartela su un veliero “classico” visto quanto hai studiato a tal proposito?

No, non ho mai avuto esperienze di navigazione e tutto si basa solo sul lavoro di ricerca, purtroppo penso che me la caverei in maniera pessima su un vero veliero. Insomma, meglio rimanere nel campo dell’immaginazione.

  • Nei tuoi romanzi si nota subito una tua grande capacità, quella di gestire contemporaneamente le vicende di tantissimi personaggi. Si tratta di una scelta ponderata e necessaria visto il tipo di romanzo oppure ti viene naturale e credi che sarebbe lo stesso scrivendo libri di altri generi?

Mi viene naturale. Non posso fare a meno di inventarmi storie con tanti personaggi. Ho un carattere abbastanza agitato, e quindi non riesco mai a concentrarmi su pochi personaggi. Mi diverto troppo a osservare la storia da molteplici punti di vista, altrimenti so già che finirei per annoiarmi.

  • Quali obiettivi letterari ti proponi per il futuro?

Il mio obiettivo principale è solo uno: continuare a scrivere, sperimentando cose nuove, cercando di migliorare ancora tecnica e stile.

  • Hai qualche progetto in cantiere? Se sì, puoi parlarcene?

Molti a dir la verità. Quelli a cui sto lavorando sono due: il terzo e ultimo capitolo del filone “La Stella di Giada” che sarà dedicato al prologo del primo libro; e un romanzo breve dedicato alla vita del capitano John Roberts, che farà parte di un progetto a  cui sto lavorando con altre due mie colleghe scrittrici molto brave e amanti della pirateria: Michela Piazza e Pamela Boiocchi.

  • Salutaci come farebbe Scarlett.

Un saluto a tutti, mi raccomando guardate sempre verso l’orizzonte e navigate a testa alta.

Grazie Stefania per la bella chiacchierata.

A tutti voi invece lascio qualche link utile per seguire Stefania Bernardo e conoscere meglio le sue opere:

Le cronache di Ériu – La faida

Vi stupirete del genere di libro che recensisco per voi oggi, ma l’idea di partenza è così originale che la lettura mi ha catturata sin dall’inizio. In fondo, quanti scrittori sognano – o temono – di poter incontrare i propri personaggi in carne e ossa?

 

LE CRONACHE DI ÉRIU – LA FAIDA

Maddalena Cioce

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Trama

Sara è una giovane scrittrice squattrinata, presa dalla stesura del suo nuovo romanzo. Una mattina, al risveglio nel suo monolocale, si ritrova misteriosamente davanti Cal, il protagonista della sua storia, che, spaesato, dopo aver scoperto di essere parte del suo manoscritto, cerca di strangolarla in quanto fonte di tutti i suoi guai.
Cos’è dunque uno scrittore? Un creatore, divinità di un mondo parallelo scaturito dalla sua penna, o un semplice visionario, capace di gettare un fugace sguardo in altri mondi?

L’autrice

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Maddalena Cioce ha ventinove anni, è sposata e ha un figlio di sette anni. Diplomata in Lingue, era anche laureanda in Scienze dell’educazione e della Formazione, con borsa di studio per merito, ma ha dovuto abbandonare gli studi a causa della nascita di suo figlio e del trasferimento da Bari, dove è nata e cresciuta, in Sardegna, dove attualmente vive con la famiglia. Scrittrice e lettrice incallita di Fantasy di ogni genere, attualmente il suo sogno è fare dello scrivere, il lavoro che ama, la sua fonte di sostentamento. È, inoltre, un’appassionata di psicologia, è una dote naturale che non ha potuto coltivare per le ragioni di cui sopra ma, prima o poi, con la sua profonda testardaggine riuscirà a scavalcare anche questo ostacolo.

La mia recensione

Sara è una ragazza intraprendente, sicura di sé, decisa a cavarsela da sola. Ha la passione per la scrittura e proprio quella le apre le porte di un mondo nuovo. D’improvviso si ritrova davanti Cal, il giovane protagonista del suo romanzo. Cal, spaesato e confuso per il suo arrivo a casa di Sara e incline alla vendetta e alla violenza, non è affatto felice della sua nuova condizione e tenta di uccidere Sara. Inizia un periodo di conoscenza burrascosa dei due protagonisti e di un’esilarante – sì, esilarante, ho infatti riso più volte leggendo – adattamento al nuovo mondo popolato da oggetti sconosciuti e quasi magici per Cal. L’atmosfera divertente è puntellata dallo stile brillante – e abbastanza pulito – dell’autrice che descrive in maniera precisa ogni scena e situazione anche quelle che Cal, suo malgrado, si ritrova a fronteggiare. La stanza dei bisogni, la scatola del freddo o ertubbo sono solo degli esempi. Le vicende prendono poi una piega prevedibile per il lettore ma inaspettata per i protagonisti e non mancano scene d’amore sdolcinato o di violenza. L’intermezzo di cui è quasi protagonista Lorenzo, l’avvocato presso cui Sara lavora come segretaria, è forse un po’ abbozzato e veloce. Quando l’ambientazione si sposta nel mondo di Cal si assiste a scene d’azione benaccette dopo la leggera staticità in casa di Sara. Cal e Sara litigano in continuazione, il che da un tocco di pepe alla loro relazione. Apprezzati sono i dettagli ispirati all’antica cultura irlandese. Sara scopre pian piano che la sua passione per la scrittura e la capacità di inventare mondi e personaggi altro non è che una sorta di veggenza su ciò che accade in universi paralleli, cosa che ho trovato molto affascinante e originale. Tralasciando qualche spiegazione di troppo sui comportamenti dei personaggi che il lettore è in grado di cogliere da sé, la narrazione risulta accattivante, scorrevole, piacevole da leggere. Avrei apprezzato un’analisi più approfondita della storia di Cal, del suo legame con il trono, ma forse, trattandosi del primo capitolo di una trilogia, queste informazioni giungeranno in seguito. In definitiva una lettura consigliata per chi ama il fantasy e le storie d’amore.

Valutazione:

5

Intervista all’autrice

 

 

Ciao Maddalena, benvenuta.

  • Rompiamo subito il ghiaccio: trovi difficile dividerti tra la vita “reale” di donna di casa e madre e quella “parallela” di scrittrice?

Ciao, allora ti rispondo subito senza preamboli! Non ho grossi problemi a dividermi tra la vita reale, in cui devo badare a casa e figli, e quella di scrittrice, a parte quando sono così persa nella mia “realtà parallela” da dimenticare che quelli che volano sul pavimento sono batuffoli di polvere, non covoni di paglia del far west!

  • La passione per la lettura e quella per la scrittura sono sempre andate di pari passo oppure no? Ricordi il momento in cui per la prima volta ti sei seduta a scrivere un romanzo?

La mia passione per lettura e scrittura (indovina un po’ il genere? Fantasy) risale a quando andavo alle medie. Intorno agli undici anni ho letto circa quattro volte “Il mondo perduto” di A.C. Doyle, esercitava su di me un fascino irresistibile. Un’altra volta, invece, svolsi un compito per casa in cui bisognava scrivere una conclusione per un brano del libro di testo, tratto da un romanzo fantascientifico. Quando lo lessi a voce alta in classe, tutti, compresa la maestra, strabuzzarono gli occhi e i miei genitori furono contattati perché, secondo la maestra, non era possibile che lo avessi scritto io, a quell’età… infine, a sedici anni ho cominciato a pubblicare fanfiction su internet (e, no, non dirò mai sotto che pseudonimo, porterò il segreto nella tomba!), ma l’usare personaggi altrui ha cominciato ad annoiarmi, sono passata ai romanzi ed eccomi qui!

  • Condivido il tuo interesse per la psicologia, avendola studiata durante il corso di laurea. Quando avrai occasione di approfondirne lo studio, pensi di utilizzarla come “arma” per scrivere romanzi di maggior spessore psicologico?

In realtà la uso già come “arma”, in quanto ne ho fatto largo uso sia in Forgotten Times che ne Le Cronache di Ériu, anche se in quest’ultimo, essendo una trilogia, la parte psicologica sarà maggiormente delineata nel secondo e nel terzo volume. Io ho il “brutto vizio” di assegnare sempre una patologia, più o meno grave, ai miei personaggi. Purtroppo, non avendo potuto terminare gli studi, posso basarmi solo sulla mia sensibilità e sulla passione per la materia.

  • Raccontaci qualcosa di Forgotten Times.

Forgotten Times è il mio primo romanzo ed è il titolo della serie di due volumi di cui fa parte La Redenzione dei Dannati. In linea generale narra di come le vicende legate a un dampiro abbiano portato all’estinzione dei vampiri durante la fine del medioevo, basandosi sulle leggende che indicano Caino come progenitore della razza. Tutto comincia con la semplice ricerca del potere da parte del dampiro: il potere ancestrale di uno spirito diviso in quattro parti, il cui ricongiungimento potrebbe sovvertire l’ordine del mondo dei vampiri; una leggenda che nasconde molto più di quello che il dampiro potrebbe mai immaginare e che ha a che fare proprio con il suo oscuro passato. In realtà in Forgotten Times c’è di tutto: psicologia, storia, religione, misteri, vendetta, tragedie familiari… e la redenzione, duramente conquistata grazie all’amicizia e un amore sofferto.

  • Parliamo adesso di Le cronache di Ériu. L’idea o forse meglio dire la teoria che sta alla base, ossia la possibilità che ogni scrittore in realtà si affacci in altri mondi, è originale e mi ha da subito attirata, forse perché scrivo anch’io. Da dove è scaturita?

Quale scrittore non ha mai sognato di incontrare i propri personaggi? (Diciamocelo sinceramente: soprattutto quelli di sesso opposto!) Chi di noi non ha mai segretamente sperato che i propri personaggi vivessero in una realtà parallela? Nella nostra mente sono così vivi, reali, a volte sono persino loro stessi a decidere cosa faranno, sfuggendo al nostro controllo. Se “penso dunque sono” è un concetto valido, allora non c’è da escludere che i nostri personaggi possano vivere davvero, chissà dove, e magari noi siamo i loro creatori, che hanno infuso in loro quel pensiero, dandogli vita… oppure siamo semplicemente in grado di “vedere oltre” e sbirciare attraverso il velo tra le dimensioni, in cui loro vivono davvero. Le Cronache di Ériu nasce da queste riflessioni, piccoli deliri di una scrittrice speranzosa. Scherzi a parte, non è un concetto in cui la mia parte razionale crede davvero, ma è qualcosa in cui mi piace sperare!

  • Il carattere passionale e infervorato di Sara prende ispirazione dal tuo?

La prima cosa che la mia migliore amica ha detto dopo aver letto la primissima bozza che scrissi circa tre anni fa, fu: «Ho capito che Sara sei tu». Ora ti rispondo quello che risposi a lei tre anni fa: «No, Sara non sono io, anche se ho usato il mio carattere come base per crearla». In realtà, Sara è l’esagerazione del mio carattere, soprattutto del lato negativo: non si sa controllare e spesso risulta una gran scassa… ehm, come dicevo, spesso è lunatica fino all’esasperazione, violenta e irascibile, sospettosa, distratta e paranoica, come in fondo lo sono anch’io, solo che mi so controllare… quasi sempre.

Proprio il giorno dell’uscita del romanzo, mio padre ha cominciato a leggerlo ed è scoppiato a ridere quando ha capito che alcune delle vicende narrate erano autobiografiche, in questo caso quando ha letto questa frase: “Mio padre diceva sempre, non a torto, che le mie urla erano in grado di sfondare i timpani, perché generavano più decibel di un martello pneumatico.” Qua e là, quindi, ho inserito cose che riguardano me personalmente, in chiave prettamente auto-ironica, nella speranza che il lettore le trovasse divertenti.

  • Ho trovato fantastica la parte in cui Cal conosce progressivamente il nuovo mondo in cui si ritrova, il nostro mondo. L’approccio di un uomo come lui, appartenente a un passato molto diverso dalla nostra epoca anche in senso morale, con le novità e le disinibizioni, è pienamente riuscito e getta luce sul modo di vivere attuale. Condividi la visione un po’ aspra di Cal? Se sì, perché?

Io condivido appieno la visione del mondo moderno di Cal, in quanto morale, valori fondamentali e pudore sono andati quasi completamente persi insieme al lavaggio del cervello che quotidianamente ci propinano i mass media. Io non penso che sia una visione aspra, più che altro una visione realistica di qualcosa che la gente, oggi, considera normale, spacciandola per modernità e progresso, quando, a pensarci bene, si tratta di regressione a uno stadio prettamente animalesco. Chiamatemi pure bigotta e moralista, ma sono una madre e tremo al pensiero di quello che impareranno i miei figli dal mondo moderno.

  • Accennaci qualcosa sul seguito.

Accennare qualcosa sul seguito… è un’impresa, senza fare spoiler! Il secondo e il terzo volume si basano sul cliffhanger finale, quindi quello che dirò adesso sarà probabilmente comprensibile solo dopo aver letto il romanzo: sono passati alcuni mesi dalla conclusione del primo volume, e Sara e Cal si stanno impegnando a vivere appieno la loro vita nel mondo moderno. Insieme sono felici e Sara finalmente ha deciso di accettare la proposta di matrimonio di Cal, ma c’è ancora qualcosa che la preoccupa e si fa ogni giorno più pressante: non gli ha detto nulla della sua visione e il senso di colpa è sempre più insostenibile. Cal non prenderà affatto bene la notizia, e per la rabbia la lascerà e tornerà a Ériu, per scoprire la verità, proprio come Sara temeva… questo è, bene o male, ciò che scriverò nella sinossi del secondo volume e che accadrà nei primi capitoli.

Grazie per la disponibilità, bella chiacchierata.

Vi lascio con il booktrailer dell’altro romanzo di Maddalena Cioce, Forgotten Times.

“Damnatio”, capolavoro di Luca Mastinu

Amici, quest’oggi vi presento un libro che mi sta molto a cuore.

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DAMNATIO

Luca Mastinu

Sillabe di Sale

Trama

Italia, AD 1976. 
Decidere di allontanarsi dalle fila di una setta satanica comporta un prezzo altissimo da pagare: per questo gli spietati Non Serviam uccidono Gemma, figlia dell’ex adepta Rebecca Ariete. La donna assiste impotente all’esalazione dell’ultimo respiro della bambina. Non si darà pace fino a quando non impugnerà la sua rivoltella e, indossando una corona di spine, darà la caccia ad ogni membro della sinistra fratellanza per scovare il Sacerdote, colui che ha inferto il colpo mortale alla sua creatura. 
Le vicende sono narrate ai giorni nostri dalla stessa Rebecca, oramai anziana, agli arresti domiciliari e con un altro nome: Italia. La giornalista del settimanale “La Penisola” Carol Violante ha deciso di intervistarla, per raccontare in un libro la vera storia di quella donna che il suo stesso giornale aveva soprannominato, al tempo dei fatti, “Il proiettile di Dio”.

L’autore

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Luca Mastinu nasce a Torino nel 1983 e dal 1999 vive in Sardegna, nella provincia di Nuoro, a Silanus. Polistrumentista e compositore, dal 1995 si dedica alla musica.

Nel 2000 fa il suo ingresso come tastierista nel gruppo Depressive Sliver (poi Dedalo Wings), per iniziare così una lunga esperienza nell’underground dell’entroterra sardo.
Nel 2005 consegue il diploma di Geometra e si iscrive al corso di Lettere Moderne presso la facoltà di Lettere e Filosofia di Cagliari, nel 2010 registra il passaggio al corso di Storia.

Nel 2011 pubblica il suo primo libro, Le tre del mattino con Photocity Edizioni. Si tratta di una raccolta di cinque microstorie di genere thriller.

Sempre nel 2011 porta a termine il primo esperimento di romanzo, Più forte del mondo, con il quale nell’Aprile 2012 conquista il posto di semifinalista regionale (sez. Sardegna) per il concorso letterario  ”La Giara” indetto da Rai Eri.
Nel 2012 conclude la terza opera, Damnatio, romanzo noir.
Nel 2013 sceglie l’autopubblicazione per Più forte del mondo, ora disponibile su Lulu e Amazon.

Bassista presso gli Stanza 101 (dalle ceneri dei Dedalo Wings), Indigo Flow e Arab Spring, si dedica anche alla composizione mediante software di editing e produzione.

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La mia recensione

Partiamo dal presupposto che non amo questo genere letterario. Se vi dico dunque che Damnatio mi ha letteralmente conquistata il valore di quest’affermazione raddoppia. Il titolo: l’ho adorato da subito. Leggendo il romanzo poi la parola Damnatio assume sfumature particolari, riverberanti perfettamente le sensazioni che agitano l’animo della protagonista. La scrittura di Mastinu è estremamente elegante, molto piacevole ed evocativa. La storia è forte, con dei significati profondi, accattivante, animata da un personaggio che brilla di luce propria: Rebecca Ariete. Credo che tutti, uomini o donne che siano, si lasceranno travolgere dal fascino autentico di Rebecca. Le scene che colpiscono in questo senso, mostrando la raffinata e fredda follia della protagonista, sono molteplici e tutte allo stesso modo apprezzabili, “succulente”.

Freddò un ragazzo che aveva tentato di fermarla. Colpito nel petto, si era inginocchiato dinanzi a lei come volesse pregare, e andò giù senza vita. Non lasciò testimoni, non poteva farlo. La borsa si svuotò da tutto il liquido infiammabile e a Rebecca non restò che andare via. Fece brillare un fiammifero e lo lasciò cadere sul pavimento, dirigendosi verso l’uscita. Si arrestò qualche istante mentre alle sue spalle divampava l’inferno. Estrasse il rossetto e si osservò su un frammento di specchio che portava sempre con sé. Poteva persino scorgere le fiamme riflesse.

In una narrazione che intreccia armoniosamente presente, passato, flashback, interviste, il filo conduttore degli eventi trasporta il lettore attraverso sogni di carri armati e chiodi, fuoco e fiamme, assassinii brutali, giochi di seduzione d’altri tempi, scene e battute che fanno sussultare per la paura. E poi da non dimenticare assolutamente sono i passaggi commoventi, quelli che riguardano la piccola Gemma o i pensieri che sua madre le rivolge nei momenti più significativi della propria missione. Non mancano passaggi in cui la musica è descritta egregiamente e diventa parte integrante della narrazione, dello “stile” di Rebecca. Particolari e dettagli impreziosiscono il testo nei punti giusti, donando un senso di realtà fuori dal comune.

Mastinu mostra particolare abilità anche nella descrizione di scene narrate da una bambina, il che lascia intendere una grande capacità di immedesimazione e di “restituzione” di immagini vissute proprio come farebbe una bambina.

Non rovino la sorpresa, ma state certi che il finale vi farà strabuzzare gli occhi per la sorpresa e forse il cuore perderà pure qualche battito.

Verrà la morte e avrà i miei occhi.

Il capolavoro di uno scrittore di cui sentiremo certamente parlare in futuro. Ma conosciamolo direttamente.

Valutazione:

5

Intervista all’autore

Ciao Luca, benvenuto.

  • Diciamolo subito, sei un artista poliedrico. Non solo scrittore ma anche compositore e musicista. Quale delle due passioni, letteratura e musica, è nata prima? C’è stato un evento particolare che ha fatto scattare la scintilla oppure le hai sempre percepite come parte di te? In quale ti sei cimentato per prima?

Ciao Ilaria, grazie. Diciamo che mi considero un appassionato di molte cose. Prima fra tutte la musica, è stato un amore nato nel 1995, ai tempi delle scuole medie, quando il docente di Educazione Musicale dedicava un pomeriggio a settimana per il corso di chitarra. Prima di allora sì, ascoltavo già molta musica, ma niente di più. Grazie a quel docente scoprii quanto fosse appagante suonare uno strumento. Il resto venne da sé. Scoprii il gusto della composizione qualche anno dopo, grazie a qualche improvvisazione. Ora, grazie alle nuove tecnologie, è possibile disporre di un intero studio di incisione in un solo computer, e di migliaia di strumenti, tutti dentro un Hard Disk. Una roba che i compositori squattrinati hanno sempre sognato. Me compreso. Poi la scrittura, già. Passione nata alla fine degli anni ’90, quando improvvisavo testi di canzoni o poesie (roba tipicamente adolescenziale, si capisce, che ho accuratamente cestinato o ridotto in cenere) o addirittura piccole storie senza una trama né tantomeno una fine. Iniziai, dalle scuole superiori, a sentire una forte pulsione nello scrivere durante i temi in classe. Sentivo che ciò mi estraniava e mi consentiva di inventare sempre di più, fino a quando non sono nati i primi racconti che poi decisi di pubblicare.

  • Una delle cose che preferisco nelle tue opere è lo stile. Credi che i tuoi studi abbiano in qualche modo contribuito ad affinarlo?

Ti ringrazio per il complimento. Che dire, forse sì, forse no. Di sicuro i miei studi mi hanno portato ad essere più meticoloso nelle scelte, a controllare bene forma e lingua. Sullo stile credo abbiano influito maggiormente le mie letture.

  • Hai frequentato il corso di storia dell’università di Cagliari, dunque come me sei un appassionato. Facciamoci un po’ i fatti tuoi: quale periodo ami di più nella storia d’Italia o di qualche altro Paese e perché?

Ti dirò, mi chiedo spesso quale sia il mio periodo storico preferito e perché. Come spesso ti ho detto scoprii, all’Università, una sfrenata passione per la Storia Romana. Mi appassiona la lingua latina, pur non avendola mai studiata, così come rimasi colpito dalla maestosità di personaggi come Giulio Cesare, Augusto, Caligola, Nerone, Diocleziano, Costantino, ecc. Se invece vogliamo parlare di un’epoca in cui vorrei davvero vivere credo sia il ventennio ‘60/’70. Si sa, furono anni di cambiamento e rivoluzione. Specie per la musica. I Beatles furono la manifestazione di tutto, secondo il mio modesto parere. In Europa così come nel mondo, nonostante il terribile sfondo della Guerra Fredda, riuscivano a non farsi sopraffare dal disincanto di una pace che non c’era grazie all’esplosione di tutte le forme d’arte e di cultura. Il cinema, la letteratura, la musica, facevano forse molto di più di quello che oggi fa un blog, una pagina Facebook o quant’altro. Sembra un paradosso ma la vedo così. Tralasciando ora la logorrea cronica che mi caratterizza ti rispondo: preferisco quegli anni, dunque, a cavallo tra i ’60 e i ’70. Darei di tutto per tornare indietro nel tempo e vivere quel periodo.

  • Veniamo ora alle tue opere. Le tre del mattinoè una raccolta di racconti di genere thriller. Ho sentito la tua opinione a riguardo in cui affermi che in realtà lo stile lì è più “acerbo”. Il che potrebbe essere vero anche se io che ho letto Le tre del mattino sono assolutamente certa che il tuo stile fosse anche allora già assai apprezzabile e fine. I racconti della raccolta sono stati scritti tutti nello stesso periodo? Oppure qualcuno risale a tempi più lontani, magari al periodo della scuola? Da dove è scaturita l’idea alla base di queste mini storie?

Ebbene sì, considero lo stile de Le tre del mattino qualcosa di acerbo, giusta definizione. Spesso mi capita di rileggere qualche passo e di ritrovarmi con la faccia disgustata (facciamoci ‘na risata, dai). Tuttavia non lo considero un brutto lavoro, dobbiamo ricordare che mi ritrovavo alla mia prima esperienza (e certo, mo’ sono un veterano) e che avevo fretta di produrre, correggere, pubblicare. Mi consola il fatto di non essere l’unico ad aver vissuto questo piccolo inciampo. Detto questo, Le tre del mattino, essendo una raccolta di cinque microstorie, nacque dall’idea di riunire in un unico volume alcuni miei scritti secondo un disordinato schema cronologico. Il racconto La fata fortunata, per esempio, è il più vecchio di tutti, se non ricordo male è datato 2001. Lo abbozzai tra i banchi di scuola sotto un altro titolo: La ricorrenza. Lo abbandonai in un cassetto e lo ripresi durante  il primo anno di Università. Tutti gli altri vennero dopo.

Se vogliamo parlare ora dell’idea di base da cui sono nati i racconti, andando per ordine, Il pianto di Anna è frutto di un’improvvisazione. Un concorso letterario indetto dall’ERSU, l’Ente che si occupava dei servizi agli studenti, richiedeva un racconto inedito. Per cui mi misi su un foglio e improvvisai, fino al risultato finale. Mezzanotte nacque dall’idea di scrivere un giallo, qualcosa che avesse un colpevole inaspettato, dunque un omicidio, ecc. Il cielo deve sorridere voleva essere una pausa dalle atmosfere gore e splatter, quindi una sorta di parentesi romantica in mezzo al sangue. Nacque da un video, No one there dei Sentenced (andate a vederlo), commovente a dir poco. Infine, Insania voleva essere una ripresa di un personaggio contenuto in Mezzanotte: il commissario Caralli. Volevo provare a scrivere un qualcosa di psicologico, senza tralasciare i tratti tipici del thriller. Eppure, ancora oggi, ho paura del buio.

  • Più forte del mondo, il tuo primo romanzo. Vuoi parlarci brevemente dell’idea di fondo e della trama?

Il modo in cui arrivò l’idea di fondo di Più forte del mondo è bizzarra, mi si consenta di dirlo. Mi trovavo su un treno in direzione Cagliari. Dovevo affrontare un esame. Ebbene, invece di ripassare gli appunti come farebbe uno studioso diligente mi lasciai abbagliare dall’ispirazione. Non avendo con me una penna afferrai il cellulare e riempii la memoria di note. Ne finivo una e mi veniva in mente la successiva, e pigiavo su quei tasti come un invasato. Alla sera, tornato a casa senza sentire minimamente la stanchezza del viaggio, riordinai le note impresse sul cellulare e tentai un primo disegno della trama: 1969. Una ragazza perde la memoria e giunge in un convento. Accadranno “cose brutte assai”. Fu questo il primo microscopico riassunto che feci di ciò che avevo in testa. Come tu ben sai, quando poi ci si ritrova a buttare giù le prime righe sul proprio Notebook, il discorso è più complicato. Ah, l’esame comunque andò discretamente. Per fortuna!

  • Il genere di Più forte del mondo è diverso dal Noir in cui possiamo annoverare Damnatio. Come mai hai voluto “cambiare”? Quale dei due generi senti più tuo?

Diciamo che Più forte del mondo, essendo il primo esperimento di romanzo, voleva essere un brusco distacco da coltelli, spargimenti di sangue, cadaveri e quant’altro. Avevo dunque deviato verso atmosfere più soft, più psicologiche. Non manca la tensione ma comunque la violenza è totalmente abolita, per dare più spazio al mistero. Devo dire che non mi è stato tanto difficile cambiare veste, c’è molto sentimento e diciamolo, sono io stesso un sentimentale.

Damnatio, come hai ben detto tu, è un Noir. C’è anche molto pulp tarantiniano nella trama e nei dialoghi. Feci questa scelta dopo aver divorato, si capisce, diversi film di Quentin Tarantino e aver scoperto la passione per Maria Callas. Decisi dunque di coniugare le due cose e provare a costruirci una storia nuova, riprendere un po’ gli spargimenti di sangue ma condirli con personaggi straordinari e dialoghi avvincenti. Non nego che sia stato difficoltoso, spesso pensai di demordere. Invece, di punto in bianco, riuscii a portarlo a termine. Per me, ripeto, fu del tutto nuovo. In ogni caso sento più miei il giallo e il thriller, riesco a destreggiarmi con più disinvoltura.

  •  Damnatio, come hai già letto nella recensione, secondo me è un romanzo meraviglioso, scritto ad arte. Parliamo allora di Rebecca, così elegante e raffinata, ma anche spietata e, quando rivolta alla figlia, dolce. Una donna così farebbe davvero strage ma, parlando in termini totalmente legali, di cuori. È ispirata a qualcuno in particolare oppure è interamente frutto della tua fantasia?

Rebecca è un concetto di bellezza, come dici tu è in grado di fare una strage di cuori così come una strage di sangue. Prima dei suoi misfatti non conosceva l’odio. Diciamo che è sì frutto della fantasia, ma come succede a chi scrive (lo sai, vero?) in ogni personaggio si riversa la personalità dell’autore. Ovviamente metti giù la cornetta, non chiamare le forze dell’ordine perché con questo non voglio dire di essere un potenziale assassino, o che qualsiasi autore potrebbe esserlo. Diciamo che vedo in Rebecca un personaggio nato dalla fantasia di immaginare il pensiero di una madre che vede trucidare senza pietà la propria creatura. So che è presunzione, diciamo che ci provo.

  • Ho notato come i personaggi principali delle tue opere siano donne. Non è comune che uno scrittore scriva dal punto di vista femminile. Come mai? Da cosa nasce questa “scelta”?

È vero, principalmente scelgo personaggi femminili. La mia scelta è dovuta a un capriccio stilistico: descrivere una donna che compie gesti prettamente maschili (mettiamola così) trovo sia abbastanza intrigante, e la storia come la cronaca ci dimostrano quanto le donne siano capaci in tutto, dall’amore all’odio. Mi viene una citazione (spero che sia esatta, altrimenti fucilatemi) del Doctor Faustus di Marlowe, in cui si parla di Elena di Troia:

Ora capisco perché i greci vendicarono con dieci anni di guerra il ratto di questa regina: la sua bellezza è celeste, non ha confronti.

Ecco, qui svelo un mio piccolo segreto. Fu questa frase a colpirmi, seppur sembra quasi insignificante. Le donne hanno fatto scatenare guerre, ispirato componimenti poetici che hanno fatto storia (vedi Beatrice per Dante) hanno ribaltato concetti atavici (Giovanna d’Arco). Per questo, se da una parte la mia scelta viene dal desiderio di stupire mettendo nelle mani di una donna il potere di annientare e ribaltare trama e stereotipi, dall’altra è un mio singolare omaggio alla loro natura.

  • Ti stai dedicando alla stesura di qualche altra opera? Se sì, puoi accennarci qualcosa?

Sì, mi sto dedicando alla stesura di un terzo romanzo, Il giorno dell’ira. Approssimativamente questo nuovo lavoro è giunto al primo quarto della stesura che avrei in mente. Se posso spoilerare qualcosa rivelo serenamente che ha come protagonista il commissario Caralli, già comparso nei racconti Mezzanotte e Insania contenuti ne Le tre del mattino, e visto il successo ottenuto tra i lettori ho deciso di riproporlo in questa nuova opera. Aggiungo che la storia parte dal finale di Insania e ripercorre l’adolescenza del commissario, quando ebbe a che fare con un serial killer che terrorizzava la sua provincia.

  • Abbandoniamo le discussioni squisitamente letterarie per sondare il terreno editoriale. Le tre del mattino è stato pubblicato da Photocity Edizioni. Per Più forte del mondoinvece hai scelto l’autopubblicazione su Lulu e Amazon. Da qui traspare una certa distanza dagli editori “tradizionali”. Si tratta di una ritrosia volontaria macchiata di disillusione o invece di una ricerca di libertà?

Brava, entrambe le cose. Disillusione e voglia di libertà. Non so dirti se questo sia dovuto alla mia natura o a un problema esistente. Sta di fatto che è stata una scelta sulla quale ho riflettuto diverso tempo. Dopo indugi e ripensamenti ho scelto di fare da me. Certo, vorrei che le cose fossero più facili, ma si sa che Roma non fu costruita in un giorno. Milano Due magari sì, ma è altra roba.

  • Nel prossimo futuro sai già in cosa spenderai maggiormente le tue energie tra letteratura e musica?

A freddo rispondo che darò priorità sempre alla musica. Ho a che fare con essa ogni giorno tra ricerche, improvvisazioni e un’intensa attività con quattro gruppi musicali. La scrittura mi richiede più pace e più concentrazione, diciamo che è meno spontanea e devo sentirmi folgorato da qualcosa per poter mettere nero su bianco qualche frase.

Grazie Luca per il tuo tempo e ancora complimenti.

 

“Il profumo del sud” di Linda Bertasi + intervista all’autrice

Amici, ho da segnalarvi un nuovo libro. Mi direte che in questo periodo sono molto prolifica in termini di recensioni e interviste, il che è assolutamente vero. Ma non è colpa mia quanto dei bravissimi autori emergenti che si stanno rivelando essere sempre più in gamba di quelli famosi. Oggi vi parlo del romanzo storico “Il profumo del sud”, un bellissimo libro che ho avuto il piacere di leggere e recensire in anteprima. Tra l’altro adoro la copertina, stupenda come la maggior parte delle copertine della Butterfly Edizioni. Mi sa che pubblicherò qui sul blog una bella raccolta delle loro copertine 🙂

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IL PROFUMO DEL SUD

Linda Bertasi

Butterfly Edizioni

Trama

Luglio 1858. Un piroscafo prende il largo dal porto di Genova verso il Nuovo Mondo. Sul ponte, Anita vede la terraferma allontanarsi e, con essa, tutto il suo passato: una famiglia alla quale credeva di appartenere, i suoi affetti, una scomoda verità. A condividere il viaggio con lei, la matura Margherita e il suo protetto, il seducente Justin Henderson. Giunti in America, Margherita convince Anita ad essere sua ospite per qualche tempo, nella sua dimora a Montgomery. La ragazza accetta, sicura di dover ripartire al più presto. A farle cambiare idea saranno le bianche colline del Sud e un tormentato amore più forte delle sue paure. All’orizzonte, l’ombra oscura della guerra civile.
Linda Bertasi scrive un romanzo che dell’Ottocento ha il sapore, un romanzo nel quale la Storia non è semplice sfondo ma protagonista attiva della vicenda. Narrativamente impeccabile, emotivamente travolgente, Il profumo del sud è una storia di passione: quella per la terra alla quale sentiamo di appartenere e quella per la persona che siamo destinati ad amare.

L’autrice

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Linda Bertasi nasce nel 1978, frequenta l’istituto tecnico a Ferrara dove si diploma in indirizzo informatico. Appassionata di storia, sviluppa sin dall’infanzia una predisposizione per le materie umanistiche. Scrive sotto pseudonimo su un portale dedicato alle poesie e una di questa viene utilizzata in uno spettacolo da un noto coreografo. Cura personalmente la rubrica “Il romanzo classico” sul web-magazine ‘IO COME AUTORE’ e gestisce il suo blog dove dà spazio agli emergenti ogni settimana con un’intervista. Nel 2010 pubblica il suo primo romanzo “Destino di un amore” cui fa seguito nel 2011 “Il rifugio” che le vale il secondo posto al XXIII premio letterario ‘Valle Senio’ 2012. “Il profumo del sud” è il suo terzo romanzo. Sposata e con una figlia, vive nella provincia di Ferrara dove gestisce una piccola realtà commerciale.

La mia recensione

Il vocabolario dell’autrice è ricco e variegato, intriso del fascino del passato. La scrittura elegante, poetica, evocativa e le abbondanti metafore contribuiscono a creare un’atmosfera perfetta in cui si intrecciano dialoghi mai scontati che alle volte toccano gli apici austeniani, soprattutto nella prima parte del libro. Ben descritta è la situazione politica americana, con riferimenti chiari e precisi a nomi e luoghi reali – il che lascia ben intendere il lungo lavoro di ricerca svolto dall’autrice -, il tutto ben disciolto nella narrazione o nei dialoghi. Sono spesso citati anche i problemi della lontana Italia, il che è stato molto apprezzato dalla sottoscritta.

La storia è interessante e valida, sebbene la protagonista abbia una fortuna sfacciata nel trovare una straordinaria sistemazione nel Nuovo Continente. I primi approcci tra i due protagonisti sono molto intriganti, passionali, irriverenti per l’epoca. Dopo l’arrivo a destinazione e con il dispiegamento delle vicende assistiamo a salti temporali molto frequenti, anche di un anno intero. Le scene d’azione, tramite l’uso dell’imperfetto, suscitano ansia. Alle volte sarebbe stato opportuno approfondire l’instaurarsi di legami di amicizia definiti successivamente come profondi – vedi Jones, tra l’altro il personaggio che ho amato di più -, tuttavia i personaggi sono realistici, ben descritti.

Le parti che ho più apprezzato sono state l’inizio e la fine del libro. Esse infatti paiono quelle di maggior spessore: l’inizio suscita il gradito senso di attaccamento ai protagonisti mentre il finale, per nulla scontato, può persino causare qualche lacrima.

Un buon ritratto della guerra di secessione americana, con accenni anche alla piaga dello schiavismo, visto con gli occhi di una donna che, a discapito della propria considerazione di sé, è forte e intraprendente. Una lettura consigliata a chi ama il genere storico e romantico.

Valutazione:

4

Intervista all’autrice

Ciao Linda, benvenuta. Cominciamo la nostra chiacchierata.

  • Dalla tua biografia abbiamo appreso come, oltre alla prosa, ti dedichi alla poesia. Quale preferisci scrivere tra le due? Cosa senti più tuo, più intimo?

La poesia è stato il mio primo approccio con il mondo della scrittura, sin da ragazzina amavo dilettarmi in poesie esplorando i sentimenti in ogni loro forma. Pur conservando un bellissimo ricordo di un periodo che mi regalò anche qualche soddisfazione, preferisco dedicarmi alla prosa che sento più ‘mia’, mi completa, mi realizza, mi stimola.

  • Sei sempre stata appassionata di storia? Oppure è accaduto qualcosa di particolare nella tua vita che ha fatto scaturire la scintilla del colpo di fulmine?

Sono un’appassionata di storia sin dai tempi della scuola. Mi affascinano il quattordicesimo e il diciannovesimo secolo, la storia inglese e russa. In particolare l’epoca Tudor di Enrico VIII e dei suoi discendenti. Nella mia libreria conservo ancora le ricerche storiche di quei periodi e una decina di biografie dei monarca inglesi. C’è stato un periodo della mia vita, subito dopo il diploma, in cui presi seriamente in considerazione l’idea di diventare ricercatrice storica ma poi la vita ha scelto diversamente.

  • Raccontaci della rubrica sui romanzi classici che curi su “Io come Autore”.

Conobbi il web-magazine ‘Io come Autore’ quando mi intervistarono per  un articolo dedicato a me e ai miei due scritti. In ogni loro numero c’è sempre uno spazio dedicato a un autore emergente e non. Da lì mi appassionai alla rubrica e decisi di contribuire tentando di avvicinare i lettori al romanzo classico e storico, all’inizio, poi il direttore mi diede carta bianca per proporre i libri che più mi ispiravano.

  • Il libro che ho recensito è il tuo terzo romanzo. Ma prima di parlare di questo ti va di descriverci brevemente i tuoi due romanzi precedenti?

Il mio romanzo d’esordio fu “Destino di un amore”, una storia d’amore contemporanea che si sviluppa nell’arco di settant’anni. Una storia di amori e tradimenti, colpe ed espiazione, la vicenda di due famiglie legate dal vincolo del sangue e perseguitate da un destino crudele. Il secondo “Il rifugio” è un urban-fantasy, in cui do un assaggio del mio amore per la storia. Ne “Il rifugio” tocco temi delicati come la reincarnazione, le dimensioni temporali e i viaggi astrali. È la storia di una tenuta, di un diario addormentato nel passato e di due donne appartenenti a due epoche molto lontane tra loro che condividono gli stessi ricordi. Quest’ultimo mi valse anche il secondo premio al XXIII Premio Letterario ‘Valle Senio’ 2012.

  • “Il profumo del sud”. Un bel titolo per un bel romanzo. Da dove è scaturita l’idea di scrivere una storia d’amore ambientata durante la guerra di secessione?

L’idea, o per meglio dire il desiderio, è  sempre stata insita in me. Era un sogno nel cassetto da tempo. Ho sempre amato la guerra civile americana e sognato di utilizzare la sua ambientazione in un romanzo e, finalmente, con “Il profumo del sud” sono riuscita a realizzare questo desiderio.

  • Sei mai stata negli Stati Uniti? Se sì, hai visitato alcune delle città descritte nel libro? Se no, ti piacerebbe andare proprio lì oppure visitare qualche altro luogo?

Gli Stati Uniti e l’America in generale sono un altro dei miei sogni nel cassetto sin da piccola. Non ho visitato i luoghi descritti, non sentendone l’esigenza essendo un romanzo ambientato nel 1800, come invece accadde per Parigi in “Destino di un amore” e per Londra con “Il rifugio”. In un certo senso, mi sento come se avessi realizzato davvero un viaggio nel tempo: ogni particolare del mio romanzo è documentato, dalle colture al clima, dalle rotte marittime alle condizioni sui piroscafi, dalla vita in trincea agli uomini d’onore che hanno caratterizzato la seconda parte del diciannovesimo secolo in America.

  • Per gli eleganti dialoghi che sei capace di creare ti ispiri a qualche autore classico in particolare?

Considero Jane Austen una sorta di musa ispiratrice da sempre, sin quando da ragazzina aprii il  primo romanzo “Ragione e sentimento”. Ricordo ancora quel giorno. Leggo romanzi storici da che mi ricordo, di autori contemporanei e non, sono letteralmente innamorata della penna di Shakespeare. Chi mi conosce, mi definisce ‘una donna d’altri tempi’ e lo sono. Appartengo al 1800. Scrivere di quel periodo e utilizzarne il linguaggio, per me, è molto più semplice che adeguarmi al lessico contemporaneo.

  • Il tuo personaggio preferito di questo romanzo: chi è e perché?

Ovviamente Justin Henderson. Un connubio perfetto dell’uomo ideale e ne sono innamorata in un angolo remoto del mio cuore, l‘unico personaggio di un mio romanzo a popolare i miei sogni anche di notte. Amo tutto di lui. Il suo carattere focoso e impulsivo, la passione che mette in ogni cosa, la sua spavalderia e arroganza, il suo senso dell’onore, la sua cocciutaggine, il suo essere uomo, amante e amico.

  • Mi è sembrato di capire che Anita/Isabella non rappresenti solo se stessa ma incarni valori particolari, lanci un messaggio tra le righe. È così? Cosa hai voluto trasmettere attraverso il suo personaggio?

Con il suo personaggio ho voluto tramettere l’idea di donna ‘moderna’, per evidenziare che anche nel 1800 era possibile trovare una donna con pensieri propri e un’ indipendenza identica alla nostra. Una donna che non ha avuto paura di rischiare, che si è rimessa in gioco, che non si è nascosta dietro una casata che non le appartiene. In Anita/Isabella c’è un po’ di ognuna di noi: appassionate di libri e di vita, sognatrici e passionali. Un altro tema fondamentale è l’amore per la propria terra, il sudore versato in ogni singolo istante per inseguire un ideale che neppure una guerra può ammutolire. La mia protagonista compie un lungo viaggio: la vediamo ingenua, spaesata e impaurita a osservare la terraferma allontanarsi e la ritroviamo sicura e impavida attraverso gli anni che scorrono. Una donna capace di stabilirsi in una terra straniera, di imporsi al regime maschile assolutistico, una donna capace  di far risorgere una proprietà terriera con le sue sole forze e tanta volontà. Anita/Isabella trova le proprie radici in una terra straniera e il messaggio che voglio lanciare è proprio questo: le radici esistono in ognuno di noi, non muoiono, non si cancellano, qualunque sia il nostro percorso individuale.

  • Jones. Jones mi è molto piaciuto: compassato, intelligente, colto, di grande integrità morale. Hai scelto di farlo entrare in scena per contrastare le peculiarità di Justin? O perché rappresentasse un appiglio/una speranza per Isabella?

In realtà il personaggio di Jones è spuntato all’improvviso. Isabella si era appena chiusa la porta di Villa Spencer alle spalle e, tra la folla e nella mia mente, sono spuntati gli occhi di quest’uomo che giorno dopo giorno si è mostrato molto diverso da come me l’ero immaginata. All’inizio doveva essere solo un personaggio di contorno ma poi, come puntualmente mi accade, i personaggi prendono strade e direzioni proprie imponendo la loro presenza. L’unica cosa chiara era che Jones non avrebbe sostituito Justin e non sarebbe neppure stato un’antagonista. Nella vita di Anita/Isabella c’era spazio per un solo grande amore e Jones ne era consapevole.

  • Nei libri che leggi ami il lieto fine? O preferisci i finali strappalacrime? Chi è il tuo autore contemporaneo preferito?

Io sono più per i finali drammatici, trovo rendano più veritiero il romanzo, ovviamente a seconda della tipologia, ma le storie dove tutto è perfetto e finisce a gonfie vele non mi appartengono. Nei miei libri solitamente c’è almeno una morte. E devi pensare che sono notevolmente migliorata, quando iniziai a scrivere ricordo che in un romanzo morivano quasi tutti compresa la protagonista! Amo la penna di Zafòn e quella di Philippa Gregory. E, da appassionata di storia, ho trovato insuperabili “I pilastri della terra” e “Mondo senza fine” di Follet.

Grazie Linda per essere stata con noi. Ti auguro buona fortuna per i tuoi scritti.

Ti ringrazio infinitamente per la tua disponibilità e gentilezza e per questa intervista. Per me è stato un vero piacere essere intervistata da te e ne approfitto per dirti che al più presto leggerò il tuo romanzo “Tregua nell’ambra”.

E se volete parlare con Linda Bertasi o seguire la sua attività, vi lascio i suoi contatti.

Email: bertasilinda@gmail.com

Blog: http://lindabertasi.blogspot.it/

“Senza di te” di Teresa Di Gaetano

Cari followers, eccovi una nuova recensione e una nuova intervista.

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SENZA DI TE

Teresa Di Gaetano

Butterfly Edizioni

ISBN:  978-88-97810-02-5

Pagine: 88

Prezzo: 8,00 €

Trama

Nina è una giornalista, vive in un appartamento tutto suo ed è circondata da amici che le vogliono bene; tutto questo, però, non basta più da quando Pietro è andato via. Adesso, Nina è una donna sospesa: colei che attraversa la città con le sue gambe, che scrive articoli con le sue mani, non è altro che l’ombra della donna che è stata. Persino i suoi migliori amici, Leo ed Elena, sembrano non capire la profondità del dolore che l’attanaglia e Nina, perseguitata dal ricordo di Pietro come da uno spettro, non può che sentirsi terribilmente sola. Sola, mentre affronta il dedalo di strade cittadine, mentre viene assorbita dal caotico paesaggio urbano, sfondo rumoroso e costante della vita dei protagonisti. La solitudine, però, dovrà combattere con la forza che Nina ha ancora dentro di sé, celata dietro la paura di ricominciare ad amare. Un romanzo intenso sull’abbandono, sul vuoto creato dall’assenza – tutte le assenze, quelle di coloro che ci hanno lasciato così come quelle di chi c’è ancora, ma non riesce a comprenderci. Una storia indimenticabile che è danza d’opposti: il dolore e la speranza, la solitudine e il calore dell’amicizia, la morte interiore e la rinascita della fenice dalle sue stesse ceneri.

L’autrice

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Teresa Di Gaetano è diplomata in Giornalismo Radiotelevisivo e ha collaborato per diverse testate giornalistiche.
Nel Novembre 2003 ha pubblicato la prima raccolta per ragazzi “Bubble, Bubble! Dodici racconti” insignita da vari riconoscimenti ai premi letterari. Alcuni suoi racconti sono apparsi nelle antologie dei premi.
Nel gennaio 2006 presso la Casa editrice Montedit è uscita una seconda raccolta “Conchiglia… e altri racconti”, mentre nel febbraio 2007 ha pubblicato per la stessa Casa editrice il suo romanzo di esordio “La bambola di vetro”.
Ha frequentato un corso di sceneggiatura e scrittura creativa (in attesa dell’attestato) dove suoi insegnanti sono stati diversi professionisti del settore (tra questi ad es. il giallista Salvo Toscano) e, nell’ambito di questo corso, ha svolto lo stage di quasi quattro mesi presso la Casa editrice Flaccovio (Palermo). È stata intervistata in molti blog e siti letterari. Attualmente sta seguendo un corso di scrittura online con una scrittrice della Mondadori e cura due blog:

Recensione

Senza di te è un libro breve, sentimentale. La protagonista si trova a fare i conti con la profonda depressione scaturita dall’abbandono da parte del fidanzato Pietro. La sua vita da giornalista non le sembra più la stessa ora che ogni cosa ha perso colore. Alcuni incontri di poca importanza non sembrano portare venti di cambiamento nella sua vita, soltanto il migliore amico Leo le è vicino e la sprona a lottare per riprendersi se stessa. L’improvviso blocco emotivo e la distruzione interiore sembrano volerle rodere l’anima. A nulla servono i lunghi pianti liberatori o l’abbandono al tabacco e all’alcol. Nella vita però si può – e si deve – sempre sperare.

La narrazione si presenta in prima persona, sotto forma di un lungo flusso di pensieri con un unico interlocutore: Pietro. Ogni cosa che Nina fa la racconta a lui. Le frasi sono brevi, secche e contribuiscono, assieme alla descrizione minuziosa di grigi luoghi anonimi, a rendere costantemente l’ansia, la malinconia, la tristezza che prova Nina. Nella narrazione il tempo non ha valore giacché si spazia con rapidità tra giorni e luoghi presenti o passati. Ogni cosa, anche la più insignificante, diventa importante per il cuore ferito della protagonista che si lascia scorrere tutto addosso con profonda ingenuità.

Lo stile dell’autrice mi ha molto ricordato quello della Mazzantini, scrittrice che in realtà io non apprezzo molto ma che tanti altri invece amano. Un riconoscimento va senz’altro all’argomento del libro che, sotto le spoglie di una storia d’amore finita, porta l’attenzione sul dramma della depressione giovanile.

Valutazione:

3

 

Intervista all’autrice

Ciao Teresa, benvenuta.

  • Ti va di introdurci brevemente alla tua esperienza in ambito giornalistico? È così frenetico come si vede nei film?

Ciao Ilaria e grazie per l’ospitalità sul tuo splendido blog. La mia esperienza giornalistica non è stata tra le più rosee, ma questo credo sia uguale un po’ per tutti. Perché la gavetta è sempre dura e faticosa da fare. E non sempre, purtroppo, basta. Iniziare è difficile. Tutti (non so come mai, poi) “pretendono” che già in qualche modo tu abbia esperienza. Lo so… è assurdo, ma credimi è così. Io ho pubblicato il primo articolo grazie ad un collega che ha rinunciato di pubblicare il suo per far spazio al mio sul giornale. Ce ne fossero di gentleman come questo! Ed ho soprattutto vissuto le realtà locali, anche se un po’ ho fatto esperienza in quelle nazionali e regionali. Quindi, la mia risposta alla tua domanda è: sì è così frenetico come si vede nei film!!! Non è un’esagerazione!

  • Dalla tua biografia abbiamo appreso della tua pubblicazione di due raccolte di racconti. Dunque si può dire che la produzione letteraria è cominciata così?

Quando ero piccolina scrivevo racconti e anche qualche maldestra poesia. Quindi, diciamo che sin da bambina amavo raccontare storie. L’inizio vero e proprio però lo ha dato il mio percorso giornalistico. Scrivere per i giornali o parlare in televisione mi ha fatto uscire alla luce del sole, allo scoperto quindi. E sì… ho iniziato con la raccolta di racconti “Bubble, Bubble! Dodici racconti” che purtroppo è un libro che non si trova più in commercio. Mi piacerebbe tanto lavorarci un po’ su e ridarlo alle stampe, avendo modo di farlo conoscere di più . Ma altre storie per ora hanno preso il sopravvento, per questo è rimasto un po’ nel dimenticatoio. Erano racconti perlopiù “filosofici” o comunque contenenti riflessioni esistenzialiste. Con questi racconti cercavo di indagare il dolore umano in ogni sua sfaccettatura. Credo che oggi non saprei più riscriverli così come sono. Perché ho fatto delle esperienze che mi hanno profondamente cambiata.

  • Parlaci un po’ del tuo primo romanzo, “La bambola di vetro”. Oggi, con più esperienza sulle spalle, lo valuteresti allo stesso modo di sei anni fa?

Ahia! Tocchi un tasto molto dolente. Primo romanzo fantasy che ho scritto e subito stroncato. Non dai critici letterari, ma dai lettori. E questa è una cosa che mi ha ferito profondamente, generando un totale cambio di stile e di storie che racconto. Come ti ho detto nella precedente risposta, prima ero più riflessiva, più simbolica, esistenzialista, filosofica in una parola, anche perché ho frequentato il Liceo classico, quindi ho avuto una formazione prettamente umanistica. Ora, dopo questa pioggia di critiche, non lo sono più. Scrivo solo per raccontare. E basta. Quindi i miei libri sono solo d’evasione. Ho abbandonato il tipo di scrittura che induce a pensare, perché con questo romanzo sono stata “accusata” di essere troppo complessa nella mia scrittura. A dirti la verità… non rimpiango di averlo scritto, né quantomeno di come l’ho scritto. Però, alla luce delle feroci critiche che mi hanno ferito in maniera indelebile, credo che no… non lo scriverei più questo romanzo così.

  • Raccontaci un episodio particolare o particolarmente importante avvenuto durante i corsi che hai seguito o gli stage che hai effettuato.

Oh! Caspiterina… ci sarebbero tante cose da raccontare, perché grazie agli stage che ho fatto ho vissuto delle bellissime esperienze. Posso, per brevità, raccontartene due. Uno è stato quando ho fatto lo stage di una settimana a Telemed, un canale regionale. Sono stata alla regia nel momento della messa in onda del tg delle 13 e 30. Scorrono fiumi di adrenalina e tutto è così caotico!!! Il bello era vedere il giornalista-conduttore tranquillo in studio, mentre in sala regia accade di tutto: dal rullo del gobbo che si ingolfa e non manda più le scritte al giornalista-conduttore, alle scritte che scorrono forse sbagliate sul monitor e bisogna aggiornarle. Insomma: il regista non ha affatto una vita tranquilla! E poi quando sono andata in una grandissima tipografia per vedere come vengono stampati i libri della Flaccovio editore (per il quale ho fatto lo stage). È stata un’emozione bellissima vedere stampati i libri con tanto di apposizione del bollino SIAE, quindi belli pronti per essere inviati alle librerie. Fantastico!!!

  • Hai scritto una saga fantasy, di cosa parla e di quanti libri è composta?

La sabbia delle streghe l’ho ideata nel 1994. All’inizio si componeva solo di una pentalogia, basata sul personaggio principale della principessa Primrose all’interno del mondo creato da me che è appunto La sabbia delle streghe. Man mano che scrivevo il secondo volume mi sono venute altre idee e così ho arricchito i volumi fino a farli diventare addirittura 14. Recentemente, però ho ripensato ai primi cinque libri ed ho deciso di ridurli a tre, quindi ad una trilogia. E, quindi, i libri “pensati” in totale per ora sono solo 12 (sempre un bel numero, però). I primi tre narrano delle vicende della principessa Primrose, una principessa che nel primo libro ha perso la memoria e che nel secondo libro parte alla ricerca dei suoi ricordi. Nel terzo li ritrova, diventa madre e sacrifica la sua vita per salvare il GranRegno. Gli altri libri della saga, invece parlano di eroine esterne (o quasi) alla saga. Però le loro vicende sono narrate nel GranRegno, sviluppando man mano alcuni personaggi . Già alcune di questi libri li ho già completati, come ad esempio: “Rosehan e la spada di Shanas” e “Yinger e l’Antico Tomo”. Se vi va c’è la pagina ufficiale della saga su Facebook, dove ogni tanto posto anteprime e stralci dei libri che sto scrivendo. Il link qui. Per il momento sono in attesa di pubblicare il secondo volume della saga,  “Alla ricerca dei ricordi” .

  • Veniamo ora a “Senza di te”, libro che ho letto e recensito. Posso chiederti da dove ha avuto origine l’idea di fondo?

Tutto ha inizio con un blog. Volevo scrivere una storia e postarla man mano che la inventavo, corredandola con le fotografie di paesaggi che ho scattato nei miei viaggi con i miei amici. Perché amo molto fare fotografie. Ho iniziato a postare la storia e per caso l’ho continuata per portarmi avanti in un documento word. Ho visto che iniziava a funzionare e così ho chiuso il blog ed ho continuato a scriverla. Però maggiore input alla storia l’ha dato la lettura del libro Twilight della Meyer. Solo Twilight però, non l’intera saga.

  • Ho apprezzato molto la figura di Leo, il migliore amico di Nina. Tu credi che esista l’amicizia pura tra uomo e donna?

È un argomento molto discusso. Io credo proprio di no. Almeno, secondo me è davvero difficile che si instauri amicizia tra un uomo e una donna. Però… spero di ricredermi…

  • Ti sei cimentata in un’impresa “coraggiosa” in un certo senso: descrivere la depressione, cercare di farla “vivere” attraverso le pagine del libro. Credi che si dovrebbe parlare di più di un male oscuro come questo affinché venga più facilmente riconosciuto e non abbia esiti drammatici?

Non sono una psicologa, quindi non mi sento di dare consigli a tal proposito. Credo che esista ed è un male davvero insidioso, difficile se non impossibile da guarire. Quello che ho voluto raccontare nel mio romanzo è il dolore per la perdita di qualcuno che amiamo. E questo dolore c’è, esiste. Ha una voce in capitolo, non può essere ignorato. Vuoi che sia un fidanzato, come nel caso di Nina, vuoi che sia la scomparsa di un proprio caro, ma è un dolore profondo, autentico. Sia che lo manifestiamo piangendo apertamente, sia isolandoci dal resto del mondo… questo è un dolore che attanaglia l’anima e la fa precipitare in un abisso. La risposta per risollevarci dov’è allora? È la vita che te la dà con il suo lento e monotono tran tran. Perché è proprio vero: il Tempo prima o poi cura tutte le ferite…

Grazie Teresa e in bocca al lupo per i tuoi libri.

Grazie a te Ilaria. Mi hai permesso di fare una bellissima intervista, toccando punti davvero inediti della mia “avventura” di scrittrice.

Il “gioco” che tutti gli scrittori – confessate! – almeno una volta hanno fatto. E i lettori non scherzano.

Followers, il contenuto del post di oggi è un po’ più “leggero” del solito. In questa  divertente intervista mi è stato chiesto di fare un “gioco” ossia scegliere degli attori che dessero un volto ai personaggi di “Tregua nell’ambra“.

Tutti gli scrittori almeno una volta hanno associato il volto di un attore o una sua caratteristica particolare a uno dei propri personaggi, no? E i lettori non sono da meno!

Ebbene, vi presento rapidamente il mio personale dream cast dei personaggi principali. Se avete letto il libro ditemi cosa ne pensate. Siete d’accordo? Se no, segnalatemi le vostre preferenze!

Elisabetta Greco – Natalie Wood (da giovane)

Natalie Wood - Elisabetta Greco (2)

Alec Dane – Ben Affleck (così come in “Pearl Harbor”)

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Antonio Greco – Alessandro Tersigni

Alessandro Tersigni - Antonio Greco

Marisa Colucci – Anna Magnani

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Francesco Basile – Hugh Jackman

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Russell Lewitt – Jude Law (da giovane)

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E poi le due new entries del sequel che voi purtroppo ancora non conoscete ma che vi introduco tramite foto:

Lavinia – Eva Green

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Enea – James Mcavoy (così come in “Becoming Jane”)

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Allora?

I diritti umani violati e la giustizia che non sfocia in vendetta. “Nora López, detenuta N84” di Nicola Viceconti

Amici, quest’oggi introduco un libro e un autore che sono convinta meritino attenzione. Parliamo di diritti umani abilmente trattati in un romanzo coinvolgente.

L’autore

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Nicola Viceconti, scrittore, sociologo, laureato in Sociologia e in Scienze della Comunicazione, appassionato di storia e cultura argentina con particolare riferimento alla tematica dei diritti umani. Autore di 3 romanzi pubblicati contemporaneamente in Italia, Argentina e in alcuni paesi del Cono Sur (Cile, Uruguay). Socio di 24 marzo Onlus, associazione dedicata al sostegno dei familiari dei desaparecidos argentini. Vincitore (primo classificato) all’XI Concorso Nazionale InediTo 2012, premiato il 12 maggio 2012 al Salone internazionale del libro di Torino, con il testo “Nora Lopez, detenuta N84”. Vincitore Primo premio della sezione narrativa edita del IV concorso Nazionale di S. Giorgio a Cremano (dicembre 2010), con il testo “Cumparsita”. Vincitore Primo premio della sezione narrativa edita del VI concorso Nazionale di S. Giorgio a Cremano (dicembre 2012), con il testo “Due volte ombra”.

L’attività di scrittore impegnato nella difesa dei diritti umani del popolo argentino nasce spontaneamente a seguito di un viaggio fatto in Sud America alcuni anni fa. Si tratta di una naturale propensione per talune tematiche sociali alimentata da una personale “sensibilità acquisita” alla vicenda dei desaparecidos.

Al riguardo, vale la pena ricordare che il Viceconti non ha parenti emigranti in Argentina, e l’ispirazione a scrivere storie connesse ai diritti umani si è andata sviluppando in questi anni, attraverso un percorso formativo costituito da tre distinte fasi:

  1. un’approfondita opera di documentazione storico-sociale del fenomeno attraverso una ricerca personale e il contatto con le associazioni dei diritti umani in Argentina;
  2. l’incontro con persone che hanno vissuto in prima persona il dramma della dittatura;
  3. le visite in alcuni centri clandestini di detenzione.

Tale percorso ha fatto maturare il bisogno di mantenere viva la memoria del popolo argentino e di diffonderla attraverso la scrittura. E’ un atto di responsabilità che travalica qualsiasi obiettivo personale e aggiunge un modesto contributo al carattere universale dei diritti umani.

Il sito: http://www.nicolaviceconti.it/

Le opere

“Cumparsita” è un romanzo dedicato agli emigranti italiani in Argentina che negli anni passati “hanno avuto il coraggio di attraversare l’oceano”. Attraverso la storia di vita di Don Mimì, si mostrano al lettore, in chiave romanzata, le peripezie, i sogni, le speranze e i sacrifici di un emigrante nella Buenos Aires dagli anni venti a oggi. Le stesse speranze di tutti gli emigranti in qualsiasi paese del mondo. Il testo tratta il tema dell’identità individuale e nazionale degli emigranti tracciando le caratteristiche salienti delle comunità italo-argentine presenti nel paese. I capitoli del libro sottolineano i momenti storici di un’Argentina che cresce e si consolida intorno a simboli e prodotti culturali che ne caratterizzano l’immagine in tutto il mondo. Il “Caffè Tortoni”, l’incontro tra Benvenuti e Monzon, il battello “Principessa Mafalda”, il tango, nella sua dimensione sociale di aggregazione e portavoce dei bisogni della collettività e, infine, il dramma di un sequestro messo in atto da una patota ai tempi della dittatura della Junta Militar, sono solo alcuni dei momenti significativi del libro.

Cumparsita ha ottenuto il prestigioso patrocinio dell’Ambasciata Argentina in Italia per il merito di aver promosso e contribuito a far conoscere la cultura argentina all’estero. Nel mese di dicembre 2010 ha vinto il Primo premio della sezione narrativa edita del IV concorso Nazionale di S. Giorgio a Cremano, riconoscimento che è stato consegnato dal poeta argentino Carlos Sanchez. La versione in castellano di Cumparsita si avvale della prefazione dello scrittore giornalista Jorge Alberto González e della postfazione di Carlo Spagnoli, Segretario Generale della Camera di Commercio Italo Argentina. In Argentina Cumparsita è stato presentato alla V Fiera del libro di Mar del Plata, in alcune librerie di Buenos Aires e presso l’associazione culturale “Amistad Argentina-Cuba” di Mendoza.

“Due volte ombra”: il testo, dedicato alle Abuelas de Plaza de Mayo, associazione da anni impegnata al ritrovamento delle identità rubate ai figli dei desaparecidos dell’ultima dittatura militare, affronta il dramma delle adozioni illegali perpetuate dal sistema. Al centro della storia c’è la ricostruzione dell’identità di un’adolescente. Il libro, con la prefazione della signora Estela Carloto (Presidente delle Abuelas, nonchè candidata Premio Nobel per la pace nel 2009 e 2111) è patrocinato dall’Ambasciata Argentina in Italia per aver affrontato il tema della memoria e dell’identità del popolo argentino. Nel mese di dicembre 2012 ha vinto il Primo premio della sezione narrativa edita del VI concorso Nazionale di S. Giorgio a Cremano.

La presentazione ufficiale della versione in castellano di Dos veces sombra è avvenuta il 24 aprile 2011, nell’ambito della fiera internazionale del libro di Buenos Aires. E’ stato presentato, inoltre, presso la facoltà di Scienze Sociali dell’Università UBA di Buenos Aires e presso la facoltà di diritto della Università Aconcagua di Mendoza.

“Hablar a la luz del sol”: cortometraggio prodotto da Nicola Viceconti e Alfredo Santucci, scritto e diretto da quest’ultimo, liberamente ispirato al romanzo “Cumparsita”. Il cortometraggio in questione è stato patrocinato dall’Ambasciata Argentina in Italia per aver affrontato la tematica della memoria e dell’identità del popolo argentino.

Il libro di cui parliamo oggi

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Trama

Chi era Nora Lòpez alla fine degli anni Settanta? Perché fu arrestata e torturata dai militari al Club Atlético? Chi è l’uomo che ha ucciso?

La tranquilla vita di Luis Pontini, noto agente immobiliare di Buenos Aires, viene improvvisamente scossa dall’arrivo di Livia, una giovane donna italiana decisa a investigare sul passato di sua madre, ora detenuta. L’uomo è costretto, sotto ricatto, ad accettare di incontrare più volte la ragazza e a rispondere alle sue incessanti domande. Ma chi è realmente Luis Pontini e perché è costretto a cedere al ricatto?

Le risposte si snodano in un coinvolgente intreccio che ci riporta agli anni bui dell’ultima dittatura Argentina, inquadrata e ricostruita dai ricordi e dal racconto di chi è stato con convinzione e orgoglio dalla parte sbagliata.

Il libro è corredato da una prefazione di Francesco Caporale, il pm che ha svolto i processi dello stato italiano nei confronti dei militari argentini per il caso dei desaparecidos italiani, da Juan Josè Kratzer, un ex prete terzomondista e da Osvaldo Lavalle, ex detenuto del Club Atletico.

La mia recensione 

Ciò che mi ha colpita sin da subito in questo libro è stato l’argomento. Attraverso un romanzo – quindi un’opera di fantasia – l’autore si prefigge e consegue egregiamente l’obiettivo di scavare nel passato di un ex torturatore della dittatura argentina. Estremamente interessante e coraggiosa è la scelta di narrare la storia non attraverso il solito “eroe buono” ma, di contro, dal punto di vista del “cattivo”.

Livia mi chiese di sua madre come se fosse ancora reclusa in una cella. Accettai di recitare la parte e idealmente indossai la divisa: solo così avrei potuto parlare senza peli sulla lingua e, soprattutto, senza sentirmi inquisito o addirittura in dovere di giustificarmi per quello che avevo fatto.

Dunque il lettore si ritrova a leggere i pensieri del torturatore, i suoi sentimenti più intimi, le ideologie in cui crede con ogni fibra del suo essere. Ma non per questo – e qui va il grande plauso al Viceconte – si viene spinti a giustificare in qualche modo il carnefice, né ad attenuare le sue colpe.

Prima di entrare, già tremava come una foglia. Che codardi erano gli intellettuali. Mi facevano rabbia più degli altri. Da dietro le loro scrivanie erano capaci di alzare la voce e sbandierare idee rivoluzionarie per sovvertire lo stato. Poi quando ce li avevi di fronte si dimostravano peggio delle pecore.

La scrittura è rapida e limpida, agevola una lettura scorrevole e piacevole. I ricordi del passato del protagonista riemergono prepotenti davanti alle domande inquisitorie di Livia, ma grazie al modo in cui vengono raccontati non appaiono distaccati dalla trama principale. Passato e presente sono così ben amalgamati che non ci si rende conto del passaggio temporale.

La trama “inventata” – ma che potrebbe benissimo essere reale – attraverso la quale l’autore ha scelto di raccontare il periodo della dittatura argentina è accattivante e nient’affatto noiosa. Essa rende appetibile a tutti un periodo importante della storia, in maniera viva ed emozionante, non impersonale come invece si riscontra spesso nei libri di storia. Il finale, oltretutto, che si incentra sulla giovane Livia, lascia spazio anche a sentimenti d’affetto tra madre e figlia, a una malinconia pressante ma tenera, generata da un amore che travalica le paure e i pregiudizi.

Le 176 pagine scorrono da sole, una dopo l’altra, stimolando la riflessione sugli argomenti trattati nello specifico e, più in generale, su quelli che riguardano le ingiustizie di tutto il mondo.

La Shoah sembrava essere stato l’ultimo grande crimine organizzato contro l’umanità e invece i militari della dittatura argentina sono riusciti a eguagliare i crimini nazisti, compiacendosi del proprio operato: essi, ad esempio, parlavano allegramente dei detenuti che avrebbero “fatto il volo” e cioè che sarebbero stati lanciati ancora vivi ma intontiti direttamente nelle acque dell’oceano. Alla luce di tutto questo è senz’altro da ammirare il lavoro del Viceconti poiché tramandare la memoria storica anche attraverso romanzi è un passo importante per non dimenticare, per “ridare la vita” a tutti coloro che hanno sofferto pene indicibili in nome di un ideale, per imparare e fare tesoro per il futuro.

Valutazione:

4

Intervista all’autore

Passiamo ora la parola all’autore che ospito con grande piacere sul mio blog.

Ciao Nicola, benvenuto.

  • Dalla tua biografia abbiamo appreso la tua passione per l’Argentina, per il periodo buio della dittatura, il tutto nato durante un viaggio in  Sud America. Ti va di raccontarci come è scoppiata questa scintilla?

Tutto nasce da un viaggio fatto alcuni anni fa in Argentina e in Uruguay per scoprire le origini del tango non solo come ballo, ma come una delle principali espressioni della cultura rioplatense. La scintilla nei confronti dell’Argentina è scoccata a seguito di un incontro con Diego, un giovane taxista, nipote di emigranti italiani. Il suo immenso desiderio di venire in Italia a visitare il paese dei suoi bisnonni, mi ha fatto riflettere sulla condizione psicologica degli emigranti e dei loro discendenti e mi ha stimolato a scrivere Cumparsita, un romanzo dedicato a queste persone e al loro coraggio di attraversare l’oceano.

  • Parliamo più nello specifico del dramma dei desaparecidos. Il popolo argentino, al giorno d’oggi, ha metabolizzato la sofferenza oppure essa è ancora viva e palpitante?

La tragedia dei desaparecidos ha coinvolto individui appartenenti a ogni classe sociale, con differente grado di istruzione e professione. Dal 1976 al 1983 in Argentina sono state annientate due generazioni. A questo dato si aggiungono poi un milione e mezzo di esiliati, migliaia di prigionieri politici e cinquecento bambini rubati come bottino di guerra e destinati a un perverso progetto di adozioni illecite.

L’orrore scaturito da una simile dittatura è difficile da metabolizzare. Quello che un popolo può fare, con impegno e serietà, è percorrere il lento e faticoso cammino della verità. Solo raggiungendo la verità e la giustizia ad essa correlata, si può pensare di ricucire le ferite provocate dalla dittatura. E’ un processo lento e doloroso che coinvolge l’intera collettività.

L’Argentina già da alcuni anni ha intrapreso con coraggio e serietà questo percorso. I numerosi processi, tuttora in corso, contro i responsabili di simili nefandezze ne sono la testimonianza. Ciò ha comportato il dover mettere da parte il concetto del tutto ingannevole di “colpa collettiva”, più volte utilizzato in fase di giudizio dei sistemi dittatoriali, e considerare le responsabilità individuali di tutti quelli coinvolti negli ingranaggi del gigantesco sistema.

  • Esistono numerose associazioni che sostengono i familiari dei desaparecidos. Vuoi parlarci di 24 marzo Onlus, di cui sei socio?

Si tratta di una associazione dotata di uno statuto che si ispira alla Dichiarazione Universale dei Diritti Umani che riconosce pari dignità a tutti gli individui e ai loro diritti, uguali ed inalienabili e che costituisce il fondamento della libertà, della giustizia e della pace nel mondo.

Sono venuto a conoscenza del 24 Marzo Onlus in occasione dei processi che sono stati svolti dallo Stato Italiano nei confronti di alcuni militari argentini per la morte di cittadini italo-argentini. L’associazione si è sempre adoperata al sostegno delle parti civili nei citati processi. Attualmente è impegnata nell’attività di sensibilizzazione sui diritti umani organizzando interventi nelle scuole superiori e nelle università. Inoltre. il 24 Marzo Onlus collabora con il nodo italiano di una rete di enti e associazioni connesse alla CONADI argentina (Commissione Nazionale per il diritto all’identità) e all’associazione delle Abuelas de plaza de Mayo per dare assistenza a giovani che in Italia hanno dubbi sulle proprie origini e che potrebbero essere figli di desaparecidos.

  • Prima di parlare dei tuoi libri, spiegaci secondo te quale valore ha la memoria storica, nello specifico quella dei crimini perpetrati ai danni di un popolo.

Joel Candau, un antropologo francese, considera la memoria come una grande cornice messa a disposizione della collettività che “non vale tanto per quello che è, ma per l’uso che se ne fa”. Questo per dire che quando ci riferiamo a situazioni storiche nelle quali sono stati commessi crimini che investono l’intera umanità, la memoria dovrebbe diventare qualcosa di dinamico e trasformarsi in azione. Vorrei ricordare anche Vera Vigevani, una madre de Plaza de Mayo della linea Fundadora, che a tale riguardo ha coniato l’espressione Militanza della memoria. Una memoria dotata di una forza dirompente che non si limita a un atto commemorativo del passato, ma si trasforma, appunto, in azione.

È un dovere che appartiene a ognuno di noi sia come singoli individui, sia come collettività fare qualcosa per mantenere attivi gli anticorpi della conoscenza e della coscienza civile, che poi sono gli elementi che ci consentono di mobilitarci ogni volta che i diritti umani, in ogni parte del mondo, vengono calpestati.

  • A quale scritto ti senti più legato tra “Cumparsita”, “Due volte ombra” e “Nora López – Detenuta N84”? Quale ha richiesto da parte tua un maggior impegno non solo storiografico ma anche emotivo?

La vicinanza a un romanzo o all’altro dipende dallo stato d’animo nel quale mi trovo in un dato momento. Da una parte ci sono emigrazione e tango, dall’altra il dramma della dittatura e della violazione dei diritti umani. Mentre nella storie di Cumparsita emerge l’aspetto poetico del vecchio Don Mimì, il tenero e brontolone emigrante italiano, nelle pagine di Due volte ombra e Nora Lopez, detenuta N84 prevale il protagonismo delle donne. In questi ultimi due romanzi, infatti, è la componente femminile a rappresentare l’elemento trainante della narrazione che lascia emergere i sentimenti di forza, coraggio e soprattutto di speranza. In Due volte ombra, Paula a sedici anni scopre di non essere figlia di quelli che credeva i suoi veri genitori e decide d’intraprendere il difficile cammino di ricostruzione della sua vera identità.

In Nora Lopez, detenuta N84, di fronte al cinico Luis Pontini che narra quasi tutta la storia, c’è Livia, un’altra protagonista femminile. È una ventenne italiana che per aiutare sua madre decide di affrontare con determinazione l’orrore della dittatura.

  • Perché in “Nora López – Detenuta N84” hai scelto il punto di vista del torturatore? Non è possibile che qualcuno realmente coinvolto in quelle vicende possa restarne particolarmente colpito? O forse hai cercato proprio questo?

Con Nora Lopez, detenuta N84 ho intrapreso una sfida. Ho voluto aggiungere un contributo alla memoria mettendo in primo piano le ragioni assurde del carnefice al fine di provocare indignazione nel lettore facendogli ascoltare in modo diretto e il più possibile autentico, la voce del male. Ascoltare la voce del male per rafforzare il bene che abbiamo dentro di noi, dove il male non è necessariamente qualcosa di ben riconoscibile con le sembianze del demonio, bensì un uomo comune perfettamente mimetizzato nella società. Il torturatore nel testo Nora Lopez, detenuta N84, è un tranquillo signore di Buenos Aires che fa l’agente immobiliare. È sposato e ha due figli. Sarà lui a svelare a Livia il passato di Nora Lopez alla fine degli anni settanta e a ribadire alla ragazza e al lettore la sua assurda ideologia.

Nel testo non ho potuto fare a meno di riportare alcuni elementi caratteristici della vicenda argentina rispettandone l’autenticità storica.

La sfida di aver scritto Nora Lopez, detenuta N84 si può ritenere vinta non solo per aver guadagnato il prestigioso premio Inedito 2012, ma soprattutto per le significative parole di elogio nella prefazione al romanzo da parte PM Francesco Caporale e nella testimonianza di Osvaldo La Valle, un ex detenuto del centro clandestino di detenzione “Club Atletico” di Buenos Aires.

  • Secondo te esistono davvero ex militari della dittatura argentina che vivono sotto un’altra identità?

Ci sono casi di ex militari che hanno vissuto per anni sotto falsa identità e che recentemente sono stati arrestati.

  • Per il personaggio di Livia ti sei ispirato a persone che hai conosciuto in Argentina o hai plasmato la sua personalità convogliando in essa tutto il desiderio di giustizia dei desaparecidos?

Livia è un personaggio inventato e non si riferisce a nessuna persona reale. Le sue azioni di forza e coraggio sono quelle di una figlia che decide di aiutare la propria madre a superare le violenze fisiche e mentali subite in un’epoca terribile. Chiaramente Livia nella storia rappresenta anche il desiderio di giustizia, lo stesso che dovrebbe stimolare il lettore. Si tratta di un’esigenza che Livia risolve senza mai cadere nella tentazione della vendetta. Giustizia, non vendetta, come ripetono da anni le associazioni dei diritti umani in Argentina. Livia aiuta la madre portando elementi di verità alla sua storia e chiudendo i conti con il passato.

Prendo in prestito una frase di Edoardo Galeano per comprendere questo tipo di giustizia: “giustizia, non vendetta… il sano ossigeno che il corpo sociale richiede per non tornare ad inciampare sugli stessi sassi, a cadere nelle stesse buche e a commettere le stesse atrocità”.

  • Personalmente ammiro molto gli autori che cercano, attraverso i loro scritti, di mantenere viva la voce di chi non può più parlare perché vittima di soprusi e ingiustizie. Quanto credi sia importante questa “missione” da parte degli scrittori? Secondo te, ricordando e conservando come tesori le testimonianze del passato, l’umanità potrà imparare dai propri errori o continuerà a sbagliare?

Ti ringrazio per l’apprezzamento, dare voce alle persone deboli, alle vittime di soprusi e ingiustizie rappresenta per me il gesto più importante di solidarietà e di coscienza civile che ognuno di noi dovrebbe fare verso il prossimo. Ritengo che le persone coinvolte nella produzione di qualsiasi prodotto culturale (arte, musica, letteratura, etc) compiono una missione. Nel mio caso la scrittura nasce impetuosa proprio perché si riferisce a tematiche sociali che coinvolgono l’intera umanità. Argomenti come l’emigrazione o la violazione dei diritti umani non appartengono a un singolo paese, essi fanno parte dell’essere umano in quanto tale e credo che il compito dello scrittore sia anche quello di informare e mettere in condizione il lettore di riflettere. I miei romanzi si possono definire ad ambientazione storica, testi cioè dove i fatti narrati sono completamente frutto di fantasia ma il contesto storico-sociale nel quale essi si collocano è terribilmente reale. Un mix di realtà e finzione, dove l’utilizzo di quest’ultima rappresenta un valido strumento per raggiungere platee di utenti che altrimenti resterebbero lontane da certe informazioni.

  • La prima cosa che ho pensato quando ho finito di leggere il tuo libro è che dovrebbe essere inserito tra le letture delle scuole superiori. La forma che gli hai dato, nonostante il contenuto forte, consente di conoscere in modo vivo e diretto le vicende della dittatura argentina vissute direttamente sulla pelle delle persone, argomenti che forse qui in Italia non sono trattati come si dovrebbe. Quale altro libro, oltre ai tuoi, ti verrebbe da consigliare a riguardo, in questo senso?

Non è la prima volta che qualcuno mi fa notare l’adeguatezza di una scrittura semplice e diretta. Non nascondo con orgoglio che la versione in castellano del romanzo Due volte ombra molto probabilmente verrà adottato da alcune scuole superiori della provincia di Buenos Aires. Sono in attesa di conferma da parte dell’editore Argentino.

Sarebbe una grande soddisfazione se uno dei miei romanzi venisse scelto come testo di narrativa nelle scuole superiori italiane. Al riguardo torno a ribadire l’importanza del romanzo come strumento adatto a far conoscere le vicende di un popolo.

Un testo che consiglierei agli studenti è “Il torto del soldato” di Erri De Luca.

Grazie,

Nicola Viceconti

Grazie a te Nicola per le tue preziose riflessioni.

“Tutto quello che devi sapere per pubblicare (e vendere) il tuo e-book” di Alberto Forni

Cari followers, come sapete l’attenzione mia e di questo blog si sta spostando sempre più verso le pubblicazioni degli autori “sconosciuti”. Spesso questi autori, demoralizzati dalle politiche dell’editoria tradizionale, si affidano a forme di pubblicazione nuove, alternative, come il self-publishing e la distribuzione digitale. Internet è senz’altro un potente mezzo di comunicazione e divulgazione, tuttavia bisogna anche “imparare” come usarlo, come ottimizzare le sue risorse per raggiungere i propri obiettivi. A questo proposito oggi vi presento la guida Tutto quello che devi sapere per pubblicare (e vendere) il tuo e-book scritta da Alberto Forni, scrittore e giornalista.

Tutto quello che devi sapere (White-Low)

I contenuti

Che cos’è il self-publishing? È solo un campo giochi per scrittori incompresi o l’ultimo passo di una rivoluzione dell’editoria iniziata vent’anni fa con il desktop publishing? 
Oggi, chiunque può pubblicare un e-book e andare alla ricerca di potenziali lettori. E per quanto il successo non sia alla portata di tutti, le potenzialità rimangono. 
Questa guida affronta molti degli aspetti legati all’autopubblicazione, a partire dalla realizzazione tecnica di un libro elettronico fino alla sua promozione. Perché se a uno scrittore tradizionale è richiesto solo di saper scrivere (o al limite, in qualche occasione, di saper anche parlare di ciò che scrive), uno scrittore “indipendente” deve essere in grado di correggere e formattare il proprio testo, creare una copertina, scegliere il “giusto” prezzo da applicare al libro o i canali attraverso cui distribuirlo, deve conoscere bene il funzionamento degli store digitali e magari avere anche qualche nozione di base sui principali aspetti fiscali o i meccanismi dei motori di ricerca. Senza contare l’impegno richiesto per la promozione, che rischia di diventare un’attività parallela. 
Insomma, diventare editori di se stessi può anche sembrare un’idea entusiasmante, ma richiede senza dubbio molta applicazione. La strada del self-publishing può essere ricca di soddisfazioni, ma è necessario comprendere a fondo i meccanismi di un ecosistema che si trova ancora in una fase pionieristica e le cui regole vengono ridefinite di continuo. Chi pensa che basti rendere disponibile il proprio e-book su qualche sito per venderne migliaia di copie, non si comporta diversamente da chi invia un dattiloscritto a un editore e si aspetta che a stretto giro di posta gli arrivi un contratto di pubblicazione. 
È vero, come insegnano le storie di successo degli autori self-published d’oltreoceano, che la ricetta è molto semplice: basta scrivere un buon libro e saperlo promuovere. Ma come ogni buon cuoco sa, a volte sono proprio le ricette più semplici a rivelarsi le più difficili.

Alcuni degli argomenti trattati:

    • La formattazione del testo
    • Indice del libro e indice di navigazione
    • Creare una copertina
    • Scegliere il “giusto” prezzo
    • DRM e diritto d’autore
    • Come ottenere un codice ISBN
    • Presentare al meglio il proprio libro
    • Conoscere Amazon: il programma KDP Select, le recensioni, il codice segreto della formattazione
    • Smashwords e altri store digitali
    • Aspetti fiscali nazionali e internazionali
    • Print on demand
    • Promuovere un libro nell’era digitale
    • Storie di successo

L’autore

Alberto Forni è nato a Bologna di venerdì 17 ma non è scaramantico. Per Stampa Alternativa ha curato il millelire Scrittrice precoce a pochi mesi scriveva il suo nome e il volume Mondo Hacker 1.0. Ha pubblicato la raccolta di racconti Avanti Veloce – Cronache da un mondo pop (Fernandel, Baldini&Castoldi). È stato uno degli autori della trasmissione radiofonica Dispenser di Radio 2 e di quella televisiva Viva la crisi di Rai 3. Scrive su Wired, T3 e Flair. È autore di Fascetta Nera, il blog dedicato alle fascette dei libri, una selezione delle quali viene anche ospitata settimanalmente dalla rivista online di letteratura Satisfiction e del sito iltuoebook.it che si occupa di editoria digitale e self-publishing.

Facciamo quattro chiacchiere direttamente con lui.

  • Ciao Alberto, benvenuto. Dalla tua ricca biografia notiamo come tu sia da tempo nel campo dell’editoria. È lecito e assolutamente appropriato sentirsi rasserenati dal fatto che la tua guida Tutto quello che devi sapere per pubblicare (e vendere) il tuo e-book si basa sulle solide fondamenta dell’esperienza. Rompiamo il ghiaccio e facciamoci un po’ i fatti tuoi: vuoi raccontarci un aneddoto particolare della tua carriera o l’esperienza che più ti ha segnato, insegnato, cambiato o fatto arrabbiare?

Grazie a te per ospitarmi (lo scambio di convenevoli, come inizio, non è male: manca solo il tè con i pasticcini). Ovviamente come per tutti (come per tutti quelli “vecchi” intendo), ci sono molte esperienze che nel corso del tempo si rivelano importanti o comunque formative. Di sicuro non posso dimenticare le prime cose che ho fatto in ambito editoriale. Ad esempio collaborare con Stampa Alternativa e con il suo editore, Marcello Baraghini, dopo che per tutta l’adolescenza i suoi libri erano stati un punto di riferimento era qualcosa capace di darmi le vertigini. Poi sono molto orgoglioso di essere stato per dieci anni fra gli autori del programma radiofonico di Radio 2, Dispenser. È stata una cosa davvero molto importante per me, che è andata al di là del semplice aspetto professionale, perché è stata in grado di gettare una luce diversa su tutto quello che avevo fatto prima, è riuscita a dargli un senso molto concreto.

  • Parliamo adesso dei tuoi scritti. A parte Tutto quello che devi sapere per pubblicare (e vendere) il tuo e-book hai pubblicato altri lavori dai titoli curiosi e mai scontati. Questo mi fa pensare che sei uno scrittore “giovane” dal punto di vista letterario, ironico ma anche profondamente riflessivo, caratteristiche che insieme danno una spinta in più. Accennaci qualcosa sulle tue opere: di cosa ti piace scrivere e come? Il modo in cui lo fai secondo te fa in modo che gli scritti vengano percepiti in maniera diversa dai lettori?

Io so scrivere. E non lo dico nel senso che sono capace di scrivere o sono bravo a scrivere, ma nel senso che io so fare quella cosa lì. Comunque la faccia, bene o male o così e così, io principalmente nella mia vita so fare quella cosa lì. Anche qualcos’altro, è vero, smanetto coi computer e sono bravo nei lavoretti manuali tipo quelli di casa, ma fondamentalmente so fare quello. E non è niente di speciale; è bello, a volte mi piace da impazzire, ma non è meglio né peggio di tante altre cose, e qualche volta tirare lo stucco perfettissimo e liscissimo sui muri mi ha dato tante soddisfazioni anche lui. Io, quindi, so scrivere. Ho scritto per la radio, tanto. Ho scritto per la televisione, poco. Ho scritto per i giornali, abbastanza. E ho scritto anche narrativa. Ma quello con la narrativa è un rapporto strano, neanche di odio e amore, ma proprio di una cosa che c’è sempre stata, anche quando non c’era ancora stata, e che a volte se ne va ma poi ritorna. Nel 1998 ho pubblicato il mio primo libro di narrativa, una raccolta di racconti, con un piccolo ma significativo editore di Ravenna: Fernandel. Nel 2001 la Baldini&Castoldi ha acquistato il libro e l’ha ripubblicato. Io, dal 2002 al 2012, non ho scritto una sola riga di narrativa. E non è un modo di dire per dire che ho scritto due racconti o uno. Non una riga. Non una. Non un “Gianni si alzò alle sette del mattino”. Neanche quello. Facevo altro, mi bastava, non avevo niente da dire, comunque scrivevo, altro ma scrivevo. Poi nel 2012 mi è ritornata la voglia di scrivere narrativa. Perché dovevo sfidarmi, perché volevo vedere a che punto stavo, perché sentivo la necessità di raccontare una storia che avevo in testa da anni, perché volevo potermi dire che alla fine quel romanzo che da anni, decenni ormai, mi dicevo che avrei scritto, alla fine, quel romanzo, l’avevo scritto. L’ho chiamato Seguirà buffet e dopo un paio di rifiuti editoriali e qualche silenzio ho deciso di pubblicarmelo da solo. Non ho più cuore per la questua, mischiarmi non m’interessa, o non ne ho voglia, o comunque non ne sono capace. E in ogni caso non cambia niente. A questo punto non cambia davvero. Io quello so fare. Io so scrivere. Dopo vediamo.

  • Il tuo blog non è uno dei soliti blog. L’inserimento delle “fascette” è assolutamente originale e, quando ti ci metti, persino irriverente. Ma ben sappiamo che un po’ di sana “sfida” può solo far bene. Come ti è venuta l’idea delle fascette? Cosa c’è dietro questa scelta? Quale messaggio?

L’idea è nata circa un anno fa in maniera estemporanea di fronte all’ennesima “sparata” in copertina. Ho deciso quindi di mettere in piedi un blog giocando un po’ sull’effetto “accumulazione”. Il nome, Fascetta Nera, ha fatto storcere la bocca a più di una persona ma ovviamente l’aspetto politico non c’entra niente, è solo un gioco di parole, è la prima idea che mi è venuta in mente. Il blog ha avuto subito un certo successo, tanto che diversi quotidiani, da Repubblica a Il Giornale, ne hanno parlato. Oltre alle fascette, il blog si occupa anche di marketing editoriale, sempre con un occhio cinico però, perché essendo io persona precisa e puntigliosa e il mondo dell’editoria pieno di cialtronate, le due cose, come puoi ben immaginare, finiscono per scontrarsi.

  • Cosa puoi dirci del sito iltuoebook.it che hai lanciato da poco? È un luogo virtuale dove condividere i propri libri in versione digitale, dove scrivere recensioni, chiedere consigli oppure ha le funzioni di un editore digitale?

Il sito, il cui motto è “Idee per scrittori indipendenti”, aspira a diventare un punto di riferimento per gli autori self-published e offre una serie di servizi e strumenti che al momento mi sembra che manchino, almeno in Italia. C’è un blog dedicato a tutto quello che riguarda il self-publishing e l’editoria digitale, dove traduco soprattutto articoli e interviste straniere; una sezione dedicata agli e-book gratuiti nella quale gli autori possono segnalare le loro promozioni; una sezione chiamata Incipit con alcuni consigli per neofiti e una parte, diciamo così, “commerciale” nella quale offro servizi tecnici come correzione di bozze, creazione di e-book, realizzazione di copertine e via dicendo. In generale però non mi interessa fare l’editore digitale, giudicare qualità e commerciabilità dei testi altrui, perché mi sembra che la grande lezione del self-publishing sia proprio quella che alla fine è il mercato, cioè i lettori, il vero giudice. Io sono da sempre un sostenitore dell’autoproduzione, fin dai primi anni Novanta quando sull’onda del desktop publishing acquistai un computer, uno scanner e una stampante laser per farmi una rivistina musicale in casa. Adesso, il fatto che uno il proprio prodotto lo possa non solo realizzare, ma anche distribuire e vendere mi sembra un fatto straordinario, una rivoluzione epocale. Il livello delle autoproduzioni deve però crescere. Ti faccio un esempio personale: anche io ho provato a realizzare da solo le copertine degli e-book (alcune novità e alcune ristampe) che ho pubblicato di recente su Amazon. Eppure, nonostante non partissi proprio da zero, quello che è venuto fuori era chiaramente dilettantesco. Magari non un disastro, ma comunque una cosa che si capisce che ti sei messo lì con Photoshop e hai fatto due scritte su una foto. Alla fine mi sono rivolto a un professionista (che ho poi coinvolto nel progetto del sito) e mi sembra che i risultati siano piuttosto apprezzabili. Giudicate voi cliccando qui.

  • Veniamo ora alla tua guida Tutto quello che devi sapere per pubblicare (e vendere) il tuo e-book. Essendomi anch’io avventurata nella pubblicazione e distribuzione di un libro in formato digitale, l’argomento mi incuriosisce particolarmente. Lo stesso vale inoltre per centinaia di scrittori che amano ora definirsi self-publishers. Sappiamo però che non è tutto oro quello che luccica: il web ha aperto a tutti le porte della pubblicazione, ma bisogna tenere gli occhi aperti e diventare oltre che autori anche editori di se stessi, grafici e promotori. Certamente compiti non facili, soprattutto per i “profani”. Nel tuo libro affronti tutti gli aspetti dell’autopubblicazione. Cosa ti ha spinto a scrivere questo libro? L’altruismo – in senso lato -, nel tentativo di consigliare e aiutare coloro che dovrebbero essere il futuro della letteratura? O forse ragioni più personali, basate magari su esperienze pregresse positive o meno? Quali sono le tue fonti per le caratteristiche che non dipendono dal singolo, quali gli aspetti fiscali?

Mi sono avvicinato al self-publishing più o meno un anno fa.  Curiosamente però non ho pensato di pubblicare (o ripubblicare) qualche mio testo di narrativa. Non so il motivo, un po’ ho pensato che non gliene fregasse niente a nessuno (il che è probabilmente vero), un po’ che il mercato italiano non fosse ancora maturo (cosa, anche questa, vera). Ho deciso invece di confrontarmi direttamente col mercato anglosassone e ho pubblicato in inglese un libro di aforismi e uno di ricette di pasta. I libri sono andati benino, ho venduto delle copie, ho avuto qualche soddisfazione – anche qualche frustrazione a essere sinceri – ma soprattutto ho avuto modo di confrontarmi con quella realtà, di farmi promozione su quel mercato, di affrontare una serie di aspetti pratici come ad esempio quello della fiscalità e del problema della doppia tassazione per i redditi che provengono dagli Stati Uniti. In più mi sono documentato leggendo diversi manuali sull’argomento, alcuni dei quali fatti molto bene. Alla fine mi sono reso conto che in Italia, una guida del genere, ancora non esisteva. Così ho deciso di farla io. Mi sembrava un progetto interessante, in cui impegnarmi per qualche tempo. Adesso, ovviamente, spero che possa essere utile a tutti quelli che si avvicinano a questa realtà, che possa aiutarli a capire quali sono i passi da fare, le cose da evitare. Io credo di aver fatto un buon lavoro, ma sono i lettori a dover giudicare. Posso solo dire che credo così tanto in questa guida, che se qualcuno dovesse rimanere insoddisfatto sono disposto a restituirgli quello che ha speso. Oppure a offrirgli una pizza. Più di così…

  • Se dovessi pubblicare un romanzo in e-book nell’odierno panorama italiano – indipendentemente dalle tue preferenze personali e stilistiche – quale genere sceglieresti? Quale secondo te potrebbe avere successo? Di quale invece – di contro, forse – avrebbe bisogno la letteratura?

Mi spiace molto di non essere portato per la narrativa di genere, più di una volta ho pensato di fare qualche tentativo ma alla fine non credo davvero di essere in grado. Mi spiace perché l’unica narrativa che ha successo nel mondo del self-publishing è ovviamente quella di genere. Quindi thriller, gialli, fantasy, tantissimo romance, adesso anche erotica (che però è molto osteggiato sul puritano mercato statunitense, al punto che molti siti si rifiutano di segnalare libri di quel genere), un po’ di fantascienza, insomma i genere letterari classici. Personalmente mi piacerebbe scrivere una storia ambientata in un futuro distopico, non è particolarmente originale ma niente sulla carta lo è, l’originalità alla fine bisogna mettercela in proprio. Se invece dovessi puntare su un genere punterei sul romance, le donne sono grandi lettrici e le storie d’amore funzionano sempre e sempre si possono reinventare. Per fare un paragone mi viene in mente un film come Il lato positivo-Silver Linings Playbook, che da un certo punto di vista non ha niente di particolarmente nuovo ma alla fine, per merito della qualità: della recitazione, dei dialoghi, di tutto, si rivela un ottimo film. Penso che la letteratura di genere sia un po’ la stessa cosa: la storia è importante, ma è la qualità della scrittura a fare la differenza.

  • Secondo te, al giorno d’oggi, le politiche editoriali seguono logiche dettate solo dal denaro? O esistono editori medio-grandi che perseguono ancora il fine più nobile dell’editoria ossia diffondere la letteratura autentica?

Penso che la stragrande maggioranza delle persone che lavora nell’editoria ami i libri e la lettura e speri sempre di riuscire a estrarre dalla pila dei manoscritti un testo sorprendente. Però l’industria editoriale è l’industria editoriale. Ed è un’industria che va sempre peggio e ha davanti anni molto difficili. Alla fine, purtroppo, il suo fine è fare profitti e non difendere la letteratura. Mi sembra che le case editrici siano arrivate a un punto in cui, per ragioni economiche, fanno sempre più fatica persino a difendere quegli autori in cui credono e che purtroppo non ottengono grossi riscontri commerciali. Certo, per uno scrittore poi c’è l’indotto – almeno finché continuerà a esserci – i pezzi sui giornali, le collaborazione, i gettoni di presenza, le consulenze, i corsi di scrittura; in fondo la cosa positiva è che pubblicare un libro in maniera tradizionale dà ancora una certa visibilità, altrimenti visto che siamo arrivati al punto in cui vendere 5000 copie è considerato un successo, e la normalità è 1000 o forse meno, mi dici coi diritti di 1000 copie (ma anche di 5000) cosa ci fai? Non ti guadagni neanche il tempo materiale di scrivere un altro libro. Non voglio fare l’uccello del malaugurio ma credo che andando avanti così nel giro di qualche anno sopravvivrà solo la letteratura di genere, cioè il concetto di libro come passatempo, come entertainment, e forse bisognerà pure ritenersi fortunati. Ho paura che l’attività di scrittore, diciamo così, “generalista”, stia diventando sempre più un patrimonio di chi può permetterselo economicamente, o comunque svolge un altro lavoro per mantenersi, ed è un peccato perché col tempo potrebbero venire a mancare gli scrittori che raccontano la società. Ma forse la gente non vuole più farsi raccontare la società dagli scrittori, la vuole desumere per impressioni fugaci e a largo raggio da Facebook o da Twitter o da Call of Duty, e non dico questo in senso spregiativo o snob, mi limito a sottolineare un dato di fatto. Poi anche gli scrittori e l’industria editoriale hanno la loro parte di colpa, ma quello è un altro discorso.

  • Uno o più consigli che senti di dare ai giovani scrittori che si affidano al self-publishing.

Sinceramente non mi sento nella posizione di dare consigli. Dico solo di non pensare che la strada del self-publishing sia più semplice di quella tradizionale. E di offrire libri che non solo abbiano storie interessanti ma siano anche scritti e presentati in maniera impeccabile. Per quanto mi riguarda non vedo l’ora di conoscere il primo scrittore italiano autopubblicato che venderà 10mila copie. Andrò a stringergli la mano. Andrò a chiederli a lui, i consigli.

Grazie Alberto per essere stato con noi.

Vi lascio i links utili augurandovi, se scrittori alle prime armi, di fare le scelte giuste e raggiungere i vostri obiettivi.

Tutto su “Stryx – Il Marchio della Strega” + intervista all’autrice

Amici, oggi vi presento un libro che mi è molto piaciuto. Ho inoltre intervistato per voi l’autrice.

STRYX – IL MARCHIO DELLA STREGA

Connie Furnari

Edizioni della Sera

 

Trama

 

Stryx copertina

La vita scolastica si rivela fin da subito molto più dura del previsto. L’unico apparentemente interessato a conoscerla è un giovane dai grandi occhi grigio azzurro: Scott. Il solo ad essere in grado di risvegliare in lei antichi sentimenti che credeva ormai essere assopiti.

Ma Salem ben presto comincerà ad essere sconvolta da numerosi delitti inspiegabili, il cui unico filo conduttore sarà un marchio a forma di ‘S’ posto sulle vittime. Le strade della cittadina diventano pericolose trappole mortali, e a Sarah non resterà altro che affrontare il suo oscuro passato per poter salvare le altre giovani streghe e se stessa.

L’autrice

Connie Furnari

Connie Furnari nasce a Catania, il 6 Dicembre del 1976, sotto il segno del Sagittario. Rivela fin da piccola la sua passione per i libri, cominciando a inventare storie non appena impara a scrivere.

Si laurea in Lettere, con una tesi di psicanalisi freudiana sul “racconto perturbante”: un’analisi su come il fantastico interagisca nella vita reale, in modo diverso da persona a persona, fin dalle fiabe, analizzando le tipiche storie dell’infanzia, da Andersen a Hoffmann.

Durante gli anni universitari, a Catania scrive per il giornale “Il Millantastorie”: articoli vari e romanzi brevi, tra cui un racconto giallo dal titolo “Il volto celato”, e le poesie “Innocente” e “Aspetto”.

Nel 1995 vince il “Premio Superga” a Torino con “Il magico viaggio di Chris”, una fiaba che narra le fantasiose avventure di un giovanissimo scrittore, e con le poesie: “Piove”, “La strada” e “Giorno dopo giorno”. Sempre nello stesso anno, a Brescia, viene premiata per altre poesie della stessa raccolta, ricevendo un encomio per la narrativa.

Nel 2011 esce il suo primo romanzo, “Stryx Il Marchio della Strega”: un urban fantasy young adult, edito da Edizioni della Sera, che riceve parecchie recensioni positive e un’accoglienza calorosa da parte degli amanti del genere. Per lo stile narrativo e per la storia intrisa di romanticismo, sarcasmo e combattimenti di kick-boxing, il romanzo viene più volte paragonato dai blogger al telefilm “Buffy l’ammazzavampiri”: è la storia di due sorelle streghe dai caratteri agli antipodi, la dolce Sarah e la turbolenta Susan, che ritornano a Salem dopo essere state bruciate al rogo trecento anni prima, sulle quali pesa una potente maledizione, costrette a imbattersi ancora nei Cacciatori.

Pubblica la fiaba metaforica “Lo spettacolo deve continuare” nell’antologia “Da Piccoli” di Montegrappa Edizioni, una denuncia verso la morte prematura dei bambini. Sempre dello stesso anno è il racconto drammatico “La scelta di Hellen” nell’antologia “L’amore delle donne” di Montag Edizioni, la dura scelta di una ragazza madre.

Continua a pubblicare: la fiaba horror “La bambola di porcellana” per l’antologia “Incubi”, edita dalla GDS Edizioni, una storia che analizza il rapporto competitivo madre-figlia con un finale inaspettato e cruento.

Pubblica il racconto “I delitti del gatto nero” per l’antologia dedicata a Edgar Allan Poe, presso La Tela Nera: la storia è un sequel del famoso racconto di Poe e svela retroscena inaspettati.

Nel 2012 inizia a preferire una narrazione molto più gotica e viscerale: un esempio è la rivisitazione dark della fiaba “Raperonzolo” nell’antologia “Fiabe Proibite” per Domino Edizioni e il racconto horror vittoriano “L’innocenza del sangue” nell’antologia “Storie fantastiche” della collana “I libri di Carmilla”; quest’ultimo, è la toccante storia di Victoria, una terribile e incontrollabile bambina vampiro nella Londra di fine ‘800.

Nel 2013 continua a pubblicare storie, tra cui “Moonlight”: un paranormal romance sui licantropi ispirato a “Romeo e Giulietta”, incluso nelle Short Stories della Scudo Edizioni.

Collaboratrice del web magazine “Fantasy Planet” aderisce a numerosi siti letterari.

Da sempre appassionata di scrittura e di cinema, vive tra centinaia di libri e dvd; adora leggere, disegnare fumetti manga, e dipingere quadri a olio mentre ascolta musica classica. Scrive fiabe per bambini; fantasy, urban fantasy e paranormal romance per giovani adulti.

 L’autrice dice del libro:

Ho iniziato la stesura di Stryx con l’intento di mescolare il folklore alla Wicca moderna, chiedendomi cosa sarebbe accaduto se una vera strega, vissuta al tempo dei puritani, fosse costretta a vivere nella nostra epoca. Nel mio romanzo ho cercato di sottolineare elementi tipici ai quali sono particolarmente affezionata: il copricapo a punta, gli incantesimi, i corvi, i gatti neri, e soprattutto le scope volanti.

Le ragazze della Congrega delle Streghe sono tipiche adolescenti che soffrono per amore, studiano per i compiti in classe e hanno paura di essere scoperte da tutti quelli che rifiutano di accettare il potere in una ragazza; la particolarità che i Cacciatori di Streghe siano solo ragazzi, evidenzia in Stryx l’eterna lotta tra sessi che dura tutt’oggi e fa di Salem un campo di battaglia, velato da atmosfere crepuscolari.

Tutta la storia è impregnata di metafore sull’emancipazione della donna ma anche se si presenta come una storia prettamente femminista, non mancano le lotte a colpi di kick boxing e scene d’azione piuttosto movimentate e cruente.

Da grande fan di Harry Potter non ho potuto fare a meno che disseminare diversi omaggi a J.K. Rowling, ma il libro dal quale ho attinto di più è stato La Lettera Scarlatta di Nathaniel Hawthorne, soprattutto per le scene ambientate a Salem nel 1685.

Sarah e Susan Sawyer, le due streghe protagoniste, rappresentano due criteri opposti con cui il gentil sesso usa il “potere”. Il messaggio finale del libro è che tutte le donne lo posseggono, ma la differenza consiste appunto nel modo in cui si decide di usarlo. Stare dalla parte del Bene o del Male delineerà il tipo di persona che si diventerà da grande.

La mia recensione

 

Sarah Sawyer dopo secoli di allontanamento ritorna a Salem, cittadina in cui aveva vissuto la sua vita mortale alla fine del XVII secolo. Tragici eventi e il triste epilogo di un amore l’avevano costretta a starne lontana nella speranza che le ferite nel cuore si rimarginassero. Quando vi rimette piede però, Sarah comprende che la sofferenza non si è ancora attenuata. E poi ci sono situazioni mortali capaci di spaventarla, come ad esempio l’iscrizione a una nuova scuola. C’è chi la prende in giro, chi la umilia, chi la corteggia. Ma nessuno sa che Sarah in realtà è una delle più potenti streghe viventi, con oltre trecento anni di esperienza alle spalle. A complicare le cose arriva Susan, la sorella minore di Sarah, che ama particolarmente il proprio lato oscuro e non manca di farsi notare. Sarah incontra Scott, un ragazzo che per una impressionante somiglianza le ricorda il suo fidanzato del XVII secolo. Per amore suo ella combatte contro la propria natura, ma non basta: i Cacciatori di Streghe tornano improvvisamente in azione perseguitando la nuova generazione di streghe di Salem. Con un crescendo di colpi di scena, l’epilogo si consumerà nella magica notte di Halloween.

Sin dalle prime pagine si nota come lo stile dell’autrice sia molto piacevole da leggere, corretto e accattivante. La lettura scorre rapida tra il presente, ai giorni nostri, e il passato, all’epoca della famosa caccia alle streghe di Salem. Il ritmo della narrazione e il dispiegarsi delle vicende passate in più capitoli interrotti sul più bello mantengono viva l’attenzione. Sarà che io ho una passione per il passato – e questo ormai si sa – ma mi sono molto piaciuti i passaggi ambientati nel 1685. Non mancano, nelle vicende del presente, battute e slanci ironici che suscitano più di un sorriso.
Le due protagoniste femminili, Sarah e Susan, hanno caratteri diametralmente opposti. La prima all’apparenza fragile ma nel profondo tenace e davvero “strega”; la seconda in superficie estremamente sicura di sé e amante della bella vita ma nell’intimo bisognosa di conforto. I personaggi maschili più importanti sono anch’essi assai diversi tra loro. Di Marco all’inizio si comprende poco e niente, ma sarà interessante scoprire la sua storia e la sua natura. Scott, personaggio che ho particolarmente apprezzato per la simpatia, causerà non pochi problemi e si rivelerà essere ciò che il lettore non sospetterebbe mai. Lucifero è una delle figure più emblematiche e meglio descritte. Nelle vesti di un uomo affascinante presenta caratteristiche profondamente contrastanti, nonché comportamenti altalenanti e giustificabili solo in quanto re degli inferi: ad esempio le streghe sono, biologicamente, sue figlie eppure egli da adulte le seduce. Il suo ruolo nella lotta tra streghe e cacciatori non è però attivo: così come Dio non interviene anche lui resta in disparte, limitandosi a qualche suggerimento. Questo atteggiamento sottolinea dunque il libero arbitrio di cui gode ogni essere, umano o sovrannaturale.
Ricorrente e velato è il tema della violenza sulle donne. Vista il pubblico giovanile cui il libro è rivolto ritengo sia affrontato in modo consono.
Ciò che mi è piaciuto molto è stato il riferimento a elementi folcloristici per quanto riguarda le streghe: i classici cappelli a punta, le scope volanti, gli incantesimi, i corvi e i gatti neri. Il tutto non appare stucchevole e forzato ma sapientemente disciolto nella narrazione, dunque capace di suscitare brividi “da cavalcatura di scopa”.
Una lettura davvero piacevole se amate un po’ d’azione e di magia, d’amore e di mistero.

Valutazione:

4

Ora facciamo due chiacchiere con Connie.

Ciao Connie, benvenuta. Dalla tua biografia abbiamo appreso chi sei e ciò che hai pubblicato finora. Devo farti i complimenti per i numerosi racconti in altrettante antologie. Non ho potuto fare a meno di notare come tu sia sempre stata affascinata dal fantastico; in particolare ho trovato interessante il tema della tua tesi avendo studiato anch’io Freud all’università.

D – A questo proposito volevo chiederti come ti è venuto in mente di accostare il contenuto delle fiabe classiche, quindi qualcosa di fantastico appunto, allo studio invece scientifico della mente umana che troviamo nella psicoanalisi freudiana. Il collegamento è celato nell’interpretazione dei sogni? Nell’es? Forse più generalmente nelle pulsioni per la soddisfazione di bisogni “mentali”? O di qualcos’altro?

R – Ciao Ilaria e grazie per questo spazio. Il fantastico è innato in ognuno di noi, ovviamente non posso riassumere qui la mia tesi di laurea, dirò soltanto che Freud aveva capito da tempo quanto le fiabe influenzino la nostra vita. L’inconscio racchiude cose che ancora l’uomo non è in grado di spiegare, come ad esempio l’attrazione verso il macabro e il sovrannaturale: nei miei romanzi cerco di evidenziare questo elemento.

D – Leggendo a proposito dei tuoi racconti, notiamo come ad un certo punto ci sia un passaggio  di interesse dal mondo delle fiabe fanciullesche a quello oscuro dei racconti gotici. Quando e come è avvenuto questo cambiamento? Si è trattato di un passaggio netto o di un cambiamento graduale che è forse ancora in atto?

R – Avevo già scritto fiabe dell’orrore, ma dopo Stryx la mia passione per il gotico è rinata. Anche lo stile è cambiato, molti dicono che possiedo un lessico particolarmente “poetico” e “arcaico”.

D – Non solo fantasy ma anche giallo e drammatico. Generi che pare tu abbia sperimentato in misura minore rispetto a quello principale, ma in cui comunque ti sei cimentata. Pensi che sia difficile per un autore principalmente dedito a un unico genere, allontanarsi da esso e addentrarsi in un altro del tutto nuovo? Basta la volontà di scrivere o sei d’accordo con me se penso che bisogni in un certo senso “documentarsi”? Per “documentarsi” intendo leggere libri del genere di cui si vuole scrivere e “mutare” qualcosa del proprio stile, per esempio sappiamo bene che il ritmo della narrazione e la caratterizzazione dei personaggi è assai diversa tra un romance e un thriller.

R – Sì, mi sono cimentata anche in opere drammatiche e thriller, ma è stata un’esercitazione. Il fantastico è il genere in cui sono più ferrata perché mantiene le peculiarità che mi attraggono, come l’amore proibito, il sovrannaturale e il mistero. Ovvio che la documentazione sia importantissima, prima di scrivere un romanzo cerco tutto il materiale disponibile ma non copio da nessun romanzo in genere. Riguardo allo stile, non credo di seguire nessun autore in particolare, il mio sogno sarebbe riuscire a eguagliare Edgar Allan Poe o Bram Stoker…

D – Da amante del mondo fantasy, credi che esista davvero nella vita “reale” qualcosa che a volte non riusciamo a comprendere perché al di là della razionalità? Non ti sto chiedendo se credi di avere dei vicini di casa licantropi, ma se secondo te nelle leggende esiste sul serio un fondo di verità.

R – Certo! Poniamo le streghe: alcune donne possiedono un “sesto senso” che le differenzia dalle altre. Non dico che possono volare sulle scope ma hanno uno strano potere 😉 Riguardo alla luna piena, è ovvio che influenzi l’acqua del nostro corpo, anche se non diventiamo pelosi…

Prima di parlare del tuo libro e leggendo le ultime righe della tua biografia, qui sul mio blog vogliamo farci un po’ gli affari tuoi con qualche domandina secca e diretta stile “Le Iene”.

Hai mai frequentato corsi di scrittura? No.

Qual è il tuo film preferito? E.T. l’extraterrestre (una storia dolcissima).

La serie tv preferita? Buffy.

Il libro preferito? I classici in genere: Poe, Bram Stoker, A.C. Doyle, Mary Shelley…

L’anime preferito? Video Girl Ai.

Il manga? Idem sopra.

Il cartone animato Disney che più hai amato? La sirenetta (da sempre, e resterà la mia preferita). Ariel è un personaggio che mi ha dato tanto in un periodo particolare della mia vita, con lei ho un legame speciale che non ho avuto con altri personaggi disneyani.

Il pittore preferito? Senza alcun dubbio Monet, ma anche gli impressionisti in genere (Renoir, Degas e compagnia bella).

Il musicista? Mozart.

In un ipotetico scontro, secondo te chi vincerebbe tra: vampiro, demone, licantropo, strega? Dipende, seguendo il folklore vincerebbe la strega perché con un colpo di magia può: ammazzare il licantropo dopo averlo immobilizzato, incenerire il vampiro creando la luce, rispedire il demone all’Inferno usando un incantesimo per viaggiare in altre dimensioni.

D – Parliamo ora di Stryx, il Marchio della Strega. Dalla trama e dalla tua introduzione al romanzo, nonché dalla lettura – come io stessa posso confermare -, si evince una certa passione per il mondo delle streghe. Quali sono secondo te le differenze principali tra la stregoneria che conosciamo attraverso il folklore e le attuali pratiche Wicca? Le pratiche tese a influire sul reale mediante l’evocazione di forze soprannaturali, proprie delle streghe “classiche”, hanno in qualche modo influenzato lo sviluppo delle pratiche invece “naturali” delle Wicca?

R – La Wicca è una religione che venera la natura, il bene, la Madre Terra: è un culto che oggi tutti possono seguire. In passato invece essere una strega era una forma di elite, c’erano poche prescelte.

D – Hai mai conosciuto delle streghe Wicca? Se sì, che impressione ti hanno fatto? Se no, ti piacerebbe incontrarle?

R – Non ho mai conosciuto streghe Wicca, ma mi piacerebbe eccome!

D – Le protagoniste di Stryx hanno un tatuaggio che le marchia come streghe. Questo emblema è frutto della tua fantasia oppure è ispirato a qualche simbolo associato alla stregoneria?

R – Seguendo delle leggende medievali, mi son documentata e ho scoperto che il vero marchio della strega era un piccolo neo nell’iride dell’occhio… Immaginatevi la sorpresa quando ho scoperto di averlo, sul serio non scherzo! Significa che sono una strega?!… Mah! (Adesso scommetto molte di voi andranno a guardarsi allo specchio)… Il tatuaggio delle sorelline Sawyer è ispirato invece a La Lettera Scarlatta di Nathaniel Hawthrone. Volevo un simbolo che esprimesse “vergogna”, qualcosa da celare.

D – Ho trovato molto affascinante e in un certo senso controcorrente, la presenza in Stryx di elementi caratteristici come la scopa volante, il cappello a punta, gli incantesimi, corvi e gatti neri. Credi che nella narrativa moderna, pur adattando la stregoneria all’epoca attuale, non bisogni lasciare indietro queste tradizioni e magari farle ritornare in auge? Gioverebbe secondo te alla letteratura di genere?

R – Io sono una patita del folklore, quindi volevo evidenziare questi elementi. Una delle differenze fondamentali con Harry Potter è la mancanza delle bacchette magiche: preferivo scrivere di una strega più arcaica e medievale, che usa le mani, la gestualità. I corvi e i gatti neri nel Medioevo erano considerati la personificazione di Lucifero, come i gufi sono la personificazione dei maghi, indice di saggezza. Sarebbe un sogno che si avvera se anche altre autrici prenderebbero spunto dal folklore: non mi accanisco contro i vampiri che luccicano al sole ma credo il folklore sia importantissimo per mantenere in vita dei personaggi autentici, così come sono stati concepiti dalla notte dei tempi. Ho notato che alcune autrici lo usano come alibi: tanto è un fantasy e posso scrivere ciò che voglio. Non è così. Anche nel fantasy ci sono scelte da rispettare e non bisogna abusarne.

D – In Stryx è evidente il collegamento tra le streghe e la loro originaria natura umana, nella fattispecie quella femminile. Per quale ragione hai presentato la maggior parte delle streghe della Congrega come giovani impaurite e inesperte?

R – Chloe, Cassandra e le altre sono streghe di ultima generazione: volevo che Sarah e Susan, con i loro 300 anni alle spalle, diventassero le loro “madrine” 😉

D – Credi che una persona normale che come Sarah e Susan si ritrovi ad avere improvvisamente poteri oscuri, nell’epoca di oggi riuscirebbe a conviverci pacificamente e accettare la propria natura? La userebbe secondo te per appropriarsi di beni di lusso o invece perderebbe l’interesse per la società mediatica in favore di un più profondo contatto con sé e con la natura?

R – Dipende dalle persone: alcune ragazze la userebbero per fare del bene, come Sarah. Altre magari per comprare i vestiti di Chanel e la Porsche, come Susan. Non a caso le due sorelle rappresentano le due fondamentali categorie di donna, sia moderna che medievale.

D – Sai che sono un’appassionata di storia e allora parliamo un po’ anche di ciò che di storico c’è in Stryx. Il tuo romanzo è ambientato a Salem, città simbolo della lotta alle streghe. Immagino avrai fatto delle ricerche a riguardo. Cosa puoi dirci delle vicende che si sono svolte lì negli ultimi decenni del XVII secolo?

R – Riassumerò in breve. La vicenda delle streghe di Salem ebbe inizio quando delle ragazzine iniziarono a riunirsi di notte, seguendo la schiava di colore Tituba, la quale conosceva le arti magiche… Abigail Williams era il capo del gruppetto (tutte di 14, 15, 16 anni), ma era anche una ragazza un po’ cattivella e fece in modo che a Salem tutti si accusassero di stregoneria, l’uno con l’altro, manovrando le amiche che la seguivano. La caccia alle streghe divampò e molte donne vennero uccise, anche se dimostravano soltanto di saper conoscere le erbe… C’erano delle vere streghe tra quelle donne? Ancora oggi nessuno può dirlo. Per approfondire consiglio di vedere il film La seduzione del male, trasposizione cinematografica dell’opera “Il Crogiolo” di Miller, con Winona Ryder e Daniel Day Lewis.

D – Spostiamo ora l’attenzione sui Cacciatori di Streghe. Per creare i tuoi cacciatori adolescenti hai utilizzato elementi dei puritani dell’epoca della caccia alle streghe? Così come per le streghe, esiste per i Cacciatori una tradizione tramandata nel tempo?

R – I cacciatori hanno una loro storia. In poche parole possiamo considerarli il prototipo dell’uomo debole che avendo paura della donna, la vuole uccidere (oggi purtroppo, quasi tutti i giorni seguiamo queste notizie al tg, per questo Stryx è sempre attuale). Molti lettori mi hanno detto di odiare Marco, ma io lo considero il personaggio più riuscito di Stryx. Dietro il suo odio c’è tutta una storia da scoprire, magari con una vita diversa non sarebbe diventato cattivo.

D – Nel tuo libro la figura di Lucifero appare come un’entità terrificante ma seducente, in alcuni passaggi addirittura magnanima nei confronti delle sue “figlie”. In questo senso la figura che traspare del re degli inferi non è quella di un essere maligno, ma piuttosto di colui che semplicemente sta su uno dei due piatti della bilancia. Il bene e il male sono in lotta continua, a volte quieta ma sempre importante. Pensi che il “male” così come tradizionalmente definito sia soltanto l’altra scelta possibile? Che spetti forse a ognuno di noi decidere da che parte far pendere la propria bilancia, senza pregiudizi di sorta?

R – Lucifero è presente in molti paranormal romance, ma in quel modo Stryx sarebbe stato uguale a molti altri romanzi. Fin dall’inizio sapevo che la lotta sarebbe stata tra le streghe e i cacciatori. Se Dio non interviene, non dovrebbe intervenire neanche Lucifero (come lui stesso sostiene). Nel libro è evidenziato il libero arbitrio, e sono le ragazze a scegliere che via seguire. Una mia lettrice mi ha scritto di essersi presa una cotta per Lucifero, un “paparino” piuttosto sexy e giovanile direi.

Salutaci ora con un saluto “da strega”.

Che la luna vi baci e vi seduca, cullandovi nel chiarore argentato (potevo fare di meglio lo so, ma non mi è venuto nient’altro in mente) 😀

Grazie per essere stata con noi, Connie. Buona scrittura!

Grazie a te Ilaria, saluto tutti i followers del tuo blog! Se volete venire a salutarmi o sapere di più sulle mie opere, il mio sito ufficiale è www.conniefurnari.blogspot.it troverete recensioni, affiliazioni, case editrici, contest e moltissimo altro… Baci.

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