Un perfetto sconosciuto – Lesley Lokko

Conoscete Lesley Lokko? La sua scrittura cattura e appassiona.

 

UN PERFETTO SCONOSCIUTO

Lesley Lokko

Mondadori

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Trama

Sam è davvero una donna speciale. Bella e con una carriera di avvocato all’apice del successo, si è lasciata alle spalle le difficoltà dell’adolescenza trasformandosi da brutto anatroccolo in cigno. Nonostante il denaro e il potere dati dalla sua posizione, è solitaria e sposata al suo lavoro, fino a quando a Marrakech, durante una breve vacanza strappata con fatica ai suoi molteplici impegni, incontra Nick. Tra i due scoppia una passione travolgente, al punto che Sam quasi non si riconosce più e cede alle avance di quello sconosciuto e affascinante militare di carriera, decidendo di andare a vivere con lui in una base britannica in Germania. Ben presto, però, si rende conto di non conoscere affatto l’uomo che ha seguito impulsivamente, stravolgendo per sempre la sua vita. Chi è davvero Nick? Il destino di Sam si intreccia fatalmente con quello di altre tre donne. Meaghan, sfuggita a un padre ignorante e violento, ha sposato un giovane ufficiale ed è disposta a vivere in un ambiente rigido e classista pur di poter restare accanto all’uomo che ama. Abby, moglie e madre perfetta, pronta a tutto per compiacere il marito, un alto esponente dell’esercito, rinuncia perfino a essere se stessa, finché la sua esistenza non viene minacciata da un terribile segreto. E infine Dani, una ragazzina in cerca di tenerezza e di protezione che in un bar di Freetown, in Sierra Leone, si imbatte nella persona sbagliata che le insegnerà tutto quanto può esserci di negativo e brutale nell’amore.

L’autrice

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Lesley Naa Norle Lokko (Scozia, 1964) è una scrittrice e architetto ghanese naturalizzata scozzese. Cresciuta in Africa, ha studiato negli Stati Uniti e in Inghilterra. Laureata in architettura, ha insegnato presso l’università di Città del Capo e vive tra Accra e Londra. I suoi libri sono ambientati in tre continenti, tra Africa, Europa (principalmente Inghilterra e Francia) e America.

Opere

  • Il mondo ai miei piedi (titolo originale “Sundowners”, 2004, trad. Jole Da Rin, Mondadori 2005)
  • Cieli di zafferano (titolo originale “Saffron Skies”, 2005, trad. Jole Da Rin, Mondadori 2006)
  • Cioccolato amaro (titolo originale “Bitter Chocolate”, trad. Cecilia Scerbanenco, Mondadori 2008)
  • Povera ragazza ricca (titolo originale “Rich Girl, Poor Girl”, 2009, trad. Roberta Scarabelli, Mondadori 2010)
  • L’estate francese (titolo originale “One Secret Summer”, 2010, trad. Roberta Scarabelli, Mondadori 2011)
  • Un perfetto sconosciuto (titolo originale “A Private Affair”, 2011, trad. Roberta Scarabelli, Mondadori 2012)
  • Una donna misteriosa (titolo originale “An Absolute Deception”, 2012, trad. Roberta Scarabelli, Mondadori 2013)

 

Recensione

Le vicende di questo appassionante romanzo spaziano dagli anni Novanta ai giorni nostri, muovendosi in diversi continenti. Le protagoniste sono quattro donne: Samantha, Meaghan, Abigail e Danielle.

Samantha è una donna che, lasciatasi alle spalle un’adolescenza triste e una famiglia mai contenta, prende finalmente in mano le redini della propria vita e diventa un avvocato di successo.

Meaghan con notevole forza di volontà si allontana da un padre violento e ricomincia la sua vita da zero.

Abigail, di buona educazione e buona famiglia, segue le orme materne con determinazione.

Danielle, tra le mille difficoltà della vita africana, si aggrappa agli uomini.

Sono tutte accomunate da relazioni più o meno felici con ufficiali dell’esercito; le prime tre si legheranno in un’amicizia profonda oscurata dalle mura ostili delle basi militari di tutto il mondo.

Lo stile della Lokko è semplice, privo di inutili fronzoli, efficace e trascinante. La lettura non stanca nonostante la lunghezza del romanzo, tutt’altro; l’interesse cresce sempre di più impedendo al lettore di staccarsi dalle pagine e, quando questo è inevitabile, continua ad attirarlo a sé per la curiosità di scoprire come si evolvono i fatti.

La cosa che fa impressione è la formidabile abilità dell’autrice di intrecciare vicende, personaggi e tempi molto diversi tra loro in un filo del tutto naturale. Difatti, nonostante i continui salti temporali, la storia non perde colpi, né ne risulta mutilata, acquistando all’opposto credibilità e profondità. Dopo le prime pagine che possono apparire un po’ disorientanti data la mole di personaggi presentati, si avverte la strana sensazione di conoscere fin troppo bene le quattro protagoniste, quasi fossero delle amiche comuni; ci si affeziona a loro senza neanche rendersene conto. Sono delle donne molto diverse, forti in caratteristiche diverse da quelle delle altre, originali e mai banali; i loro comportamenti vengono esposti in modo impeccabile, appaiono come gli unici possibili, accettabili, sebbene alle volte egoisti o codardi.

Interessante anche la descrizione – mai noiosa ma perfettamente disciolta nella narrazione – delle attività militari viste dal punto di vista delle donne, delle mogli degli ufficiali, tra cui pure vige – in modo assodato ma tacito – una gerarchia.

Non potendo attribuire al romanzo uno spessore storico o documentaristico – caratteristiche che prediligo – non posso negare tuttavia che esso è un elogio allo spirito delle donne, così diverse tra loro in tutto il mondo, così simili per la capacità di rialzarsi, combattere battaglie silenziose, non fatte di fucili e pistole ma di forza di volontà e desiderio di riscatto, di giustizia. Chi sostenuta dalla famiglia, chi dalla famiglia ostacolata, chi sorretta da amici e lavoro; le protagoniste donano in modo indiretto una speranza a tutte coloro che per motivi diversi soffrono e subiscono soprusi. Mi è piaciuto molto e ne consiglio la lettura.

Valutazione:

5

L’amore ai tempi del colera – Gabriel García Márquez

Gabriel García Márquez è scomparso da poco ma ha lasciato il segno nella letteratura mondiale. Commentiamo uno dei suoi libri.

 

L’AMORE AI TEMPI DEL COLERA

Gabriel García Márquez

Mondadori

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Trama

Per cinquantun anni, nove mesi e quattro giorni Fiorentino Ariza ha perseverato nel suo amore per Fermina Daza, la più bella ragazza dei Caraibi, senza mai vacillare davanti a nulla, resistendo alle minacce del padre di lei e senza perdere le speranze neppure di fronte al matrimonio d’amore di Fermina con il dottor Urbino. Un eterno incrollabile sentimento che Fiorentino continua a nutrire contro ogni possibilità fino all’inattesa, quasi incredibile, felice conclusione. Una storia d’amore e di speranza con la quale, per una volta, Gabriel García Márquez abbandona la sua abituale inquietudine e il suo continuo impegno di denuncia sociale per raccontare un’epopea di passione e di ottimismo. Un romanzo atipico da cui emergono il gusto intenso per una narrazione corposa e fiabesca, le colorate descrizioni dell’assolato Caribe e della sua gente. Un affresco nel quale, non senza ironia, si dipana mezzo secolo di storia, di vita, di mode e abitudini, aggiungendo una nuova folla di protagonisti a una tra le più straordinarie gallerie di personaggi della letteratura contemporanea.

 

L’autore

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Gabriel José de la Concordia García Márquez, soprannominato Gabo (Aracataca, 6 marzo 1927 – Città del Messico, 17 aprile 2014), è stato uno scrittore, giornalista e saggista colombiano, insignito del Premio Nobel per la letteratura nel 1982.

Tra i maggiori scrittori in lingua spagnola, García Márquez è considerato il maggior esponente del cosiddetto realismo magico, la cui opera ha fortemente contribuito a rilanciare l’interesse per la letteratura latinoamericana.

Dotato di uno stile scorrevole, ricco e costantemente pervaso di un’amara ironia, i suoi romanzi sono caratterizzati da articolate strutture narrative, con frequenti intrecci fra realtà e fantasia, fra storia e leggenda, con la presenza di molteplici piani di lettura, anche allegorici, e con un uso sapiente di prolessi ed analessi.

Il suo romanzo più famoso, Cent’anni di solitudine, è stato votato, durante il IV Congresso internazionale della Lingua Spagnola, tenutosi a Cartagena nel marzo del 2007, come seconda opera in lingua spagnola più importante mai scritta, preceduta solo da Don Chisciotte della Mancia di Miguel de Cervantes.

Lo stile letterario e le tematiche

Gabriel García Márquez fu uno dei quattro scrittori latinoamericani coinvolti per primi nel boom letterario latinoamericano degli anni Sessanta e Settanta; gli altri tre autori erano il peruviano Mario Vargas Llosa, l’argentino Julio Cortázar e il messicano Carlos Fuentes (ad essi è da aggiungersi la figura discostata di Jorge Luis Borges). Sarà Cent’anni di solitudine il romanzo che gli porterà fama internazionale di romanziere del movimento magico-realista della letteratura latinoamericana, che influenzerà gli scrittori di periodi successivi, come Paulo Coelho e Isabel Allende. Egli appartiene alla generazione che recuperò la narrativa fantastica del romanticismo, come quella di E.T.A. Hoffmann, e il romance europeo, lo stile dei poemi lirici, epici e mitologici che andavano di moda fino all’alba del romanzo moderno nel XVIII secolo, quando la particolare mescolanza di reale e invenzione venne relegata nella letteratura del romanzo gotico o in altri sottogeneri.

Come una metaforica e critica interpretazione della storia colombiana, dalla fondazione allo Stato contemporaneo, Cent’anni di solitudine riporta diversi miti e leggende locali attraverso la storia della famiglia Buendía, che per il loro spirito avventuroso si collocano entro le cause decisive degli eventi storici della Colombia — come le polemiche del XIX secolo a favore e contro la riforma politica liberale di uno stile di vita coloniale; l’arrivo della ferrovia in una regione montuosa; la Guerra dei mille giorni (Guerra de los Mil Días, 1899–1902); l’egemonia economica della United Fruit Company (“Compagnia bananiera” nel libro); il cinema; l’automobile; e il massacro militare dei lavoratori in sciopero come politica di relazioni fra governo e manodopera. La ripetitività del tempo e dei fatti è appunto il grande tema del romanzo, un tema in cui l’autore riconosce la caratteristica della vita colombiana e attraverso cui vediamo delinearsi altri elementi: l’utilizzo di un “realismo magico” che mostra un microcosmo arcano in cui la linea di demarcazione fra vivi e morti non è più così nitida e in cui ai vivi è dato il dono tragico della chiaroveggenza, il tutto con un messaggio cinicamente drammatico di fondo, di decadenza, nostalgia del passato e titanismo combattivo di personaggi talvolta eroici ma votati alla sconfitta. Su questa linea, dopo un inizio nella letteratura realistica di stile hemingwayano, proseguirà tutta l’opera di García Márquez (tranne gli scritti prettamente autobiografici), in equilibrio tra l’allegoria, il reale e il mito, influenzato dalle tematiche surreali di Franz Kafka e dal simbolismo. Lo stile presenta notevoli intrecci, digressioni, prolessi e analessi, con l’uso di frasi quasi poetiche nella prosa, un linguaggio ricercato e prosaico alternato a seconda del personaggio, e lo svolgimento di storie “corali” e parallele. Il narratore è spesso esterno e onnisciente, cioè conosce già gli avvenimenti futuri.

Recensione

Avevo più volte sentito nominare questo libro che ormai è entrato ufficialmente tra i più famosi libri mai scritti. Mi sono accostata alle pagine con vivo interesse.
Questo libro è stato capace di mostrarmi vivamente dinanzi agli occhi le atmosfere calde e variegate di un’isola caraibica alla fine dell’Ottocento e all’inizio del Novecento. Gabriel Garcia Marquez descrive con maestria e poesia, armonia, ogni strada, ogni palazzo, ogni carrozza, ogni giardino, ogni nave nonché il mare. Questa caratteristica – assieme a poche altre quali la descrizione approfondita dei personaggi principali e le ricche informazioni sulle pratiche quotidiane del tempo – è stata quella che mi è piaciuta maggiormente e per la quale “L’amore ai tempi del colera” merita di essere letto.

Lo stile è una delle maggiori qualità dell’autore: non so spiegare in cosa sia particolare, di preciso, ma leggendo ci si ritrova a pensare “Ovvio che questo è un premio Nobel”.

Ad ogni modo l’interesse per la storia è andato perdendosi pagina per pagina. Nonostante infatti la storia sia verosimile, non ho trovato nulla dell’amore epico e tanto decantato. Anche se ha la forza di resistere tra alti e bassi per più di cinquant’anni si tratta di un ossessivo amore platonico, provato tra l’altro solo da Florentino Ariza. Fermina Daza, dal canto suo, dopo l’iniziale innamoramento decide all’improvviso che non vuole più aver nulla a che fare con il suo fidanzato officioso. Questi inizia così una vita votata a lei che ben presto cadrà nella perdizione sessuale. Fermina dal canto suo lo dimentica troppo facilmente sposando il dottor Urbino. Altra cosa che ha svelato ogni curiosità, è il capitolo principale che parte dalla fine della storia, spiegandone in poche pagine l’evoluzione che poi sarà ciò che riempirà prolissamente tutti i capitoli successivi. D’altro canto la quarta di copertina svela sin da subito che ci sarà un lieto fine.
Ripeto: dinanzi all’innegabile e straordinaria maestria letteraria dell’autore che finora mi è sembrato il più abile scrittore io abbia mai letto, troviamo una scarsità di trama e di passione. Si tratta comunque di un buon libro.

Valutazione:

4

 

Dal libro è stato tratto un film la cui visione, come la lettura del testo, risulta un po’ impegnativa.

 

 

La chiave di Sarah – Tatiana De Rosnay

LA CHIAVE DI SARAH

Tatiana De Rosnay

Mondadori

 

La chiave di Sarah

Trama

È una notte d’estate come tante altre, a Parigi. La piccola Sarah è a casa con la sua famiglia, quando viene svegliata dall’irruzione della polizia francese e prelevata insieme ai genitori. Ha solo dieci anni, non capisce cosa sta succedendo, ma è atterrita e, prima di essere portata via, nasconde il fratello più piccolo in un armadio a muro che chiude a chiave. È il 16 luglio del 1942. Sarah, insieme a migliaia di altri ebrei, viene rinchiusa nel Vélodrome d’Hiver, in attesa di essere deportata nei campi di concentramento in Germania. Ma il suo unico pensiero è tornare a liberare il fratellino. Sessant’anni dopo, Julia, una giornalista americana che vive a Parigi, deve fare un’inchiesta su quei drammatici fatti. Mette mano agli archivi, interroga i testimoni, va alla ricerca dei sopravvissuti, e le indagini la portano molto più lontano del previsto. Il destino di Julia si incrocia fatalmente con quello della piccola Sarah, la cui vita è legata alla sua più di quanto lei possa immaginare. Che fine ha fatto quella bambina? Cosa è davvero successo in quei giorni? Quello che Julia scopre cambierà per sempre la sua esistenza.

L’autrice

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Tatiana de Rosnay , nata il 28 settembre 1961 a Neuilly-sur-Seine , è una giornalista, scrittrice e sceneggiatrice francese.

Suo padre è lo scienziato francese Joël de Rosnay, il nonno era il pittore Gaëtan de Rosnay. La bisnonna paterna di Tatiana era l’attrice russa Natiala Rachewskïa, direttrice del Teatro Pushkin di San Pietroburgo dal 1925 al 1949.

La madre di Tatiana è l’inglese Stella Jebb, figlia di diplomatico ed ex Segretario Generale delle Nazioni Unite, Gladwyn Jebb. Tatiana è cresciuto a Parigi e poi a Boston, quando il padre ha insegnato presso il MIT nel 1970. Si è trasferita in Inghilterra nei primi anni Ottanta e ha ottenuto una laurea in letteratura inglese presso l’ Università di East Anglia , a Norwich. Al suo ritorno a Parigi nel 1984, era un addetto stampa, poi è diventata una giornalista e critica letteraria per Psychologies Magazine.

Dal 1992, Tatiana de Rosnay ha pubblicato dodici romanzi in francese e tre in inglese. Ha lavorato anche nella serie Family Affairs per il quale ha scritto due episodi con lo sceneggiatore Pierre-Yves Lebert.

Nel 2006 ha pubblicato il suo romanzo più famoso, La chiave di Sarah. A oggi il libro ha venduto oltre tre milioni di copie in francese e quasi due milioni in inglese. Nel 2009 il libro è stato adattato in un film di successo.

Recensione

Parigi, 1942. Parigi, 2002. Queste le date in cui si alterna la narrazione.
Nel 1942 seguiamo le tragiche vicende di una bambina ebrea di dieci anni, Sarah Starzynski. Sarah vive con la madre, il padre e il fratellino di quattro anni Michel. Il 16 luglio dei poliziotti francesi bussano alla porta di casa sua, arrestando la famiglia. Sarah, nel tentativo di salvare il fratellino Michel, lo rinchiude segretamente in un armadio a muro, contando di tornare presto a liberarlo. Ma le cose non vanno come aveva sperato.
Nel 2002 la voce narrante è Julia Jarmond, americana di nascita ma francese di adozione. Julia è sposata con Bertrand, un francese elegante e sciovinista dal quale ha avuto una figlia, Zoe, di undici anni. Lavora come giornalista per un giornale e un giorno le viene chiesto di indagare sulle vicende del Vel’ d’Hiv nel luglio del 1942. Sarà questa indagine a portare Julia alla scoperta di eventi passati intrecciati segretamente alla famiglia di suo marito.
La narrazione si presenta accattivante, nella prima parte del romanzo alternata frequentemente tra passato e presente, nella seconda incentrata sulle vicende della vita di Julia.
Lo stile è privo di pretese, a volte rapido e superficiale; i personaggi migliori sono quelli di Sarah e Julia, gli altri appaiono meno reali. Nei capitoli della storia di Sarah si trovano frasi e sentimenti ripetuti più volte, forse nel tentativo di emozionare il lettore. Stratagemma superfluo dato che le vicende risultano di per sé molto commoventi. In alcuni punti della vita di Julia tutto scivola in modo veloce, con l’attenzione rivolta soltanto ai segreti su cui la giornalista indaga.
Nonostante queste critiche, la bellezza della storia oscura i lati negativi, catturando il lettore senza pietà.
Ho letto il testo avidamente, presa dalla volontà di scoprire la verità assieme a Julia. Ho apprezzato particolarmente il messaggio tra le righe: ricordare gli orrori del passato anziché sotterrarli negli abissi dell’oblio, dare loro il giusto valore per un miglior presente e futuro.
In definitiva un libro molto bello di cui consiglio la lettura.

Valutazione:

4

Anche per quanto riguarda il film esprimo un giudizio positivo. A differenza della maggior parte dei film tratti da libri, i quali non sono mai all’altezza del romanzo, in questo caso invece il film mi è piaciuto più del libro.

 

 

Su questo argomento un altro film che consiglio vivamente e che merita ancora di più de La chiave di Sarah è Vento di primavera. Assolutamente meraviglioso; vi lascerà senza parole.

La figlia della zarina – Carolly Erickson

Eccovi oggi la biografia romanzata della granduchessa Tatiana, figlia dello zar Nikolaj Aleksandrovič Romanov. Vi piace il genere?

 

LA FIGLIA DELLA ZARINA

Carolly Erickson

Mondadori

la figlia della zarina

Trama

Chi è davvero Dar’ja Gradova, l’anziana signora che vive in una zona remota del Canada con la sua famiglia? Nessuno, neanche i suoi figli immaginano che lei è addirittura la granduchessa Tat’jana Romanova, seconda delle quattro figlie dello zar Nicola e della zarina Aleksandra, e non, come dice di essere, la vedova di un immigrato russo di modeste origini. Questa è la storia immaginaria della sua avventurosa esistenza. Nella Russia dei primi anni del Novecento, Tat’jana cresce circondata dallo sfarzo della corte imperiale, ma la sua condizione privilegiata non le impedisce di rendersi conto dell’estrema povertà e disperazione in cui versa la stragrande maggioranza della popolazione oltre le mura dorate del palazzo in cui lei vive. Ed è proprio fuori dal suo rassicurante mondo che, in mezzo ai ribelli che incitano alla libertà e all’uguaglianza, Tat’jana incontrerà le due persone che cambieranno la sua vita per sempre: Dar’ja, una giovane donna incinta il cui uomo è stato ucciso dai cosacchi, diventerà per lei un’amica leale e sincera – che le farà vedere il mondo da una prospettiva diversa e inaspettata -, e Michail, un soldato a cui Tat’jana salverà la vita e tra le cui braccia troverà l’amore. L’uomo sarà suo complice negli audaci piani per salvare la famiglia imperiale da morte certa quando, nel 1917, la situazione precipiterà, lo zar Nicola sarà costretto ad abdicare e i Romanov conosceranno l’umiliazione e i disagi della prigionia.

L’autrice

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Carolly Erickson, dopo aver insegnato storia medievale alla Columbia University, si è dedicata al lavoro storiografico scrivendo numerosi saggi e una serie di fortunate biografie.
Per Mondadori ha pubblicato: Maria Antonietta (1991), La grande Caterina (1995), Elisabetta I (1999), La piccola regina (2000), Maria la Sanguinaria (2001), Il grande Enrico (2002), L’imperatrice creola (2003), La zarina Alessandra (2005), Il diario segreto di Maria Antonietta (2006), L’ultima moglie di Enrico VIII (2009) e La vita segreta di Giuseppina Bonaparte (2011).

Recensione

L’ultimo zar di Russia fu Nikolaj Aleksandrovič Romanov (18 maggio 1868 – 17 luglio 1918), sposato con Aleksandra Fëdorovna (6 giugno 1872 – 17 luglio 1918). La coppia ebbe cinque figli: Ol’ga, Tat’jana, Marija, Anastasija, Aleksej. Ho parlato di tutti loro nell’articolo dedicato a Il sangue nero dei Romanov, qui. La famiglia dello zar fu sterminata durante la Rivoluzione Russa, ma Carolly Erickson, l’autrice di questo romanzo, ha voluto scrivere per Tat’jana Romanova una storia dal finale diverso.

Si tratta di un romanzo storico che ha per sfondo la vita sfarzosa dei sovrani russi, una vicenda che comprende amore e amicizia. La storia è attraente, soprattutto per chi – come me – è sensibile al fascino del primo Novecento. Tuttavia ho delle critiche da esporre.

Questo è uno di quei romanzi che io definisco “frettolosi”. Le scene difatti, anche quelle amorose, non sono scandite da dialoghi importanti, né da gesti significativi, né da passaggi emozionanti. Tutto assume la blanda dimensione di un continuo narrare, veloce appunto e superficiale. Nonostante la narrazione sia in prima persona, il lettore non riesce a instaurare un rapporto “d’affetto” con i personaggi, non ne sentirà la mancanza una volta terminato il libro. Durante la lettura mi sono ritrovata sempre in ansia, aspettando quel capitolo che mi avrebbe fatta commuovere o rabbrividire: emozioni che non sono arrivate. Non mi ha emozionata per nulla. Il che è davvero un peccato perché la trama è avvincente, ma narrata in modo troppo distaccato. Non basta difatti un “ero in ansia” o “lo amavo più di ogni altra cosa” per far emozionare il lettore. I sentimenti devono essere trasmessi non necessariamente attraverso le parole, ma anche tramite gesti e comportamenti che spiegano ancora meglio gli stati d’animo dei personaggi.

La ricostruzione storica è appena accennata, come se si guardasse semplicemente una vecchia foto in bianco e nero dell’epoca. Non è viva e pulsante né trascinante come dovrebbe essere. Il linguaggio utilizzato è fin troppo semplice e superficiale, per niente adatto all’epoca storica e all’istruzione dei protagonisti.

Parliamo poi del personaggio di Dar’ja. All’inizio ella appare come una rivoluzionaria eroina moderna. Diventa invece uno sfondo muto per quasi tutto il romanzo e ne emerge alla fine sacrificandosi con un coraggio che sembrava non possedere. Quest’ultima azione di Dar’ja e il suo stesso personaggio mi è parso soltanto un elemento funzionale alla storia, atto a creare un pretesto per rendere possibile la salvezza di Tat’jana.

Quindi in definitiva: poco spessore storico, personaggi privi di profondità e sfaccettature, radi e trascurabili dialoghi, nessuna emozione.

Valutazione:

2

 

 

 

Leggendo questo libro mi è venuta in mente la storia della presunta fuga della sorella minore Anastasija, da cui sono stati tratti anche numerosi film, tra cui quello Disney.

Secondo voi sarebbe stato possibile per un personaggio così ricercato fuggire e sopravvivere? Intanto vi posto il trailer del film Disney, che tanto ho amato da piccola.

Bestseller inizialmente respinti #3 – Le cronache di Narnia

Eccoci al terzo appuntamento con la nuova rubrica Bestseller inizialmente respinti. Negli scorsi appuntamenti abbiamo parlato di Agatha Christie e J. K. Rowling che si sono viste rifiutare più volte libri che poi sono diventati successi mondiali.

Oggi invece portiamo l’attenzione su C. S. Lewis, autore de Le cronache di Narnia. L’autore pubblicò diversi libri prima di arrivare a proporre la pubblicazione della celebre saga. Inizialmente rifiutata più volte, quando finalmente ottiene un contratto di pubblicazione la saga è talmente richiesta da essere tradotta in 47 lingue e vendere 100 milioni di copie. In casi come questo penso sempre a come si sentono poi gli editori che hanno rifiutato la pubblicazione. Poveretti.

 

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C. S. Lewis

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Clive Staples Lewis, in breve C. S. Lewis (Belfast, 29 novembre 1898 – Oxford, 22 novembre 1963), è stato uno scrittore e filologo britannico.
Fu docente di lingua e letteratura inglese all’Università di Oxford, dove divenne amico di J. R. R. Tolkien col quale – insieme anche a Charles Williams ed altri – fondò il circolo informale di discussione letteraria degli Inklings.
È noto al grande pubblico soprattutto come autore del ciclo di romanzi Le cronache di Narnia.
Le vicende biografiche di Lewis si possono ritrovare tematizzate nelle sue opere: si veda ad esempio la morte della madre avvenuta quando Lewis aveva solo 10 anni o la complessa evoluzione intellettuale del giovane Lewis sfociata nella conversione al cristianesimo anglicano, per non parlare dell’amicizia con i membri del club degli Inklings J.R.R. Tolkien e Charles Williams.

Nel 1919, appena congedato dal servizio militare, Lewis pubblica la raccolta di poesie Spirits in Bondage. Nel 1926 pubblica un poema narrativo intitolato Dymer sotto lo pseudonimo Cluve Hamilton. I due libri hanno un esito editoriale deludente.
Il primo libro che dà a Lewis una certa fama – anche se venne stroncato dalla critica – è invece Le due vie del pellegrino (Pilgrim’s Regress) pubblicato nel 1933. Si tratta di un racconto allegorico che descrive l’esperienza autobiografica di Lewis stesso, il passaggio dalla fede dell’infanzia all’ateismo e il successivo ritornare al cristianesimo dopo un breve passaggio attraverso la filosofia idealistica.
Fondamentali per capire la visione del mondo di Lewis sono i tre romanzi di fantascienza. La trilogia spaziale (Space Trilogy) venne scritta in seguito ad una scommessa con l’amico Tolkien. Lewis si impegnò a scrivere un “viaggio nello spazio”, mentre Tolkien doveva scrivere una storia incentrata su un “viaggio nel tempo”. Al centro di entrambe le opere doveva esserci il concetto del Mito e della sua riscoperta. Tolkien non portò a termine il suo “viaggio”, un romanzo intitolato La strada perduta che riprendeva la mitologia del Silmarillion, mentre Lewis andò oltre, realizzando tra il 1938 e il 1945 la trilogia composta dai volumi Lontano dal pianeta silenzioso, Perelandra e Quell’orribile forza.
Nel 1945 Lewis pubblica Il grande divorzio, un sogno o visione ispirato alla Divina Commedia di Dante. Lewis immagina di viaggiare nell’oltretomba guidato da George MacDonald e di incontrare le anime dei defunti che devono dimostrare di aver superato il pregiudizio fondamentale che le mantiene prigioniere dell’Inferno: l’idea per cui “Io sono mio”.

IL PENSIERO

Nei romanzi di Lewis è sempre presente una visione filosofica abbastanza complessa anche se non esposta organicamente. Comprenderne i fondamenti è importante per cogliere a fondo anche gli altri aspetti delle sue opere. Poiché una parte importante della vita dell’autore è stata occupata dal percorso personale che lo ha portato dall’ateismo alla convinzione che esiste un Dio personale e che questo Dio è quello rivelato dal cristianesimo, l’analisi delle motivazioni razionali che stanno alla base della fede di Lewis è importante per comprenderne il pensiero. Ma un posto altrettanto importante (o forse più importante) va assegnato ad altre tematiche a cui Lewis dedica spazio nelle sue opere, e cioè il tema del desiderio come elemento essenziale costitutivo dell’esperienza umana e il tema della fondamentale continuità e affinità tra le religioni e i miti precristiani e la verità rivelata nel cristianesimo.

LE CRONACHE DI NARNIA

Il successo arride a Lewis con la serie di fiabe moderne, scritte tra il 1950 ed il 1956, che compongono la saga de Le cronache di Narnia.
Essa è composta da sette libri pubblicati in epoche differenti e narra la storia del mondo di Narnia. Si tratta di un luogo fantastico, in cui gli animali parlano, la magia è comune e il bene è in lotta con il male. Oltre ai numerosi temi cristiani, la serie prende in prestito anche personaggi ed idee della mitologia greca e romana, dai racconti tradizionali britannici e dalle fiabe irlandesi.
Secondo alcune fonti, il nome di Narnia era conosciuto a Lewis fin dall’infanzia, tanto che nel suo atlante latino era sottolineata, nella cartina d’Italia, la città di Narnia ora chiamata Narni.
Dal libro la casa di produzione Walden Media ha sviluppato un ciclo di film. Il primo episodio, Le cronache di Narnia: il leone, la strega e l’armadio, è uscito nel 2005, il secondo, Il principe Caspian, nel 2008 ed il terzo, Il viaggio del veliero, nel 2010.
Il ciclo di Narnia ha subito anche pesanti critiche, prevalentemente da parte di oppositori che ne hanno criticano l’ideologia di fondo; in particolare, lo scrittore Philip Pullman in un articolo pubblicato su The Guardian nel 1998espone le sue perplessità sulle modalità con cui Lewis introduce idee religiose e filosofiche in opere per l’infanzia. Lo stesso Pullman ha pubblicato tra il 1995 e il 2000 un ciclo di tre romanzi fantasy che secondo alcuni sarebbero una replica, ugualmente colma di idee filosofiche e religiose, alle cronache di Narnia.

Nel 2007 Michael Ward ha pubblicato Planet Narnia in cui sostiene che l’intera opera letteraria di Lewis è una forma di allegoria in cui sono codificati riferimenti al pensiero cosmologico medievale. Questi riferimenti fanno delle Cronache di Narnia qualcosa di simile alla Divina Commedia di Dante per cui la lettura del significato dell’opera è possibile solo con un’adeguata esegesi che viene fornita dall’autore. Il libro di Ward è un saggio accademico per il pubblico specialista ma da esso lo stesso autore ha ricavato nel 2010 un saggio divulgativo dal titolo The Narnia Code che è stato usato dalla BBC come soggetto di un documentario trasmesso in Italia da BBC Knowledge nel 2011.

Diversi film sono stati tratti dai libri.

 

 

Fonte: Wikipedia

Venuto al mondo – Margaret Mazzantini

Parliamo di uno dei romanzi di una nota scrittrice italiana. Si dice che la Mazzantini si odia o si ama, non ci sono mezze misure. Penso che sia vero.

 

 

VENUTO AL MONDO

Margaret Mazzantini

Mondadori

 

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Trama

 Una mattina Gemma sale su un aereo, trascinandosi dietro un figlio di oggi, Pietro, un ragazzo di sedici anni. Destinazione Sarajevo, città-confine tra Occidente e Oriente, ferita da un passato ancora vicino. Ad attenderla all’aeroporto, Gojko, poeta bosniaco, amico, fratello, amore mancato, che ai tempi festosi delle Olimpiadi invernali del 1984 traghettò Gemma verso l’amore della sua vita, Diego, il fotografo di pozzanghere. Il romanzo racconta la storia di questo amore, una storia di ragazzi farneticanti che si rincontrano oggi invecchiati in un dopoguerra recente. Una storia d’amore appassionata, imperfetta come gli amori veri. Ma anche la storia di una maternità cercata, negata, risarcita. Il cammino misterioso di una nascita che fa piazza pulita della scienza, della biologia, e si addentra nella placenta preistorica di una guerra che mentre uccide procrea. L’avventura di Gemma e Diego è anche la storia di tutti noi, perché questo è un romanzo contemporaneo. Di pace e di guerra.

L’autrice

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Margaret Mazzantini (Dublino, 27 ottobre 1961) è una scrittrice, drammaturga e attrice italiana.

Nasce a Dublino, dove vive per circa tre anni prima di trasferirsi con la famiglia a Tivoli, nei pressi di Roma. Figlia dello scrittore Carlo Mazzantini e della pittrice irlandese Anne Donnelly, e sorella minore dell’attrice Giselda Volodi, nel 1982 si diploma presso l’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica. Successivamente si esibisce come attrice di teatro, cinema e televisione.

Esordisce in letteratura con Il catino di zinco (Marsilio, 1994), vincitore del premio Opera Prima Rapallo-Carige e del Premio Campiello – Selezione Giuria dei Letterati.

Nel 1995 scrive la pièce Manola, interpretandola a teatro insieme a Nancy Brilli, con la regia di Sergio Castellitto. Nel 1998 Manola esce per Mondadori sotto forma di romanzo. Nel 2000 lavora a Zorro. Un eremita sul marciapiede, un monologo teatrale interpretato da Sergio Castellitto, edito da Mondadori nel 2004.

Con il romanzo Non ti muovere (Mondadori, 2002) ha vinto, tra gli altri, il Premio Strega, il Premio Rapallo-Carige e il Premio Grinzane Cavour.

Nel 2003 è stata insignita del titolo di Cavaliere Ordine al merito della Repubblica Italiana su iniziativa del Presidente della Repubblica.

Nel 2008 esce il romanzo Venuto al mondo, edito da Mondadori e vincitore, tra gli altri, del Premio Campiello 2009.

Nel 2011 viene pubblicato il romanzo Nessuno si salva da solo, edito da Mondadori e vincitore del Premio Flaiano. Sempre nel 2011 esce Mare al mattino, romanzo edito da Einaudi e vincitore del Premio Cesare Pavese e del Premio Matteotti.

Nel 2013 viene pubblicato il romanzo Splendore, edito da Mondadori. A marzo, riceve il Dante d’oro all’opera omnia, assegnatole dal salotto letterario degli studenti dell’Università commerciale Luigi Bocconi di Milano, la Bocconi d’Inchiostro.

I suoi libri sono tradotti in trentacinque lingue.

Dal 1987 è sposata con l’attore e regista Sergio Castellitto con cui ha avuto quattro figli.

Recensione

Negli anni Ottanta la giovane Gemma effettua un viaggio nella città di Sarajevo dove incontra Diego, uno stravagante fotografo con cui ha un’avventura. Tornata in Italia decide comunque di sposarsi con il fidanzato Fabio. Purtroppo il loro matrimonio non va a buon fine e i due si separano. Gemma torna tra le braccia di Diego. Innamorati, decidono a loro volta di sposarsi. I problemi arrivano dopo: Gemma infatti è sterile, la coppia non riesce ad avere figli. Tentano ogni strada possibile fino a che affrontano insieme un nuovo viaggio a Sarajevo durante la guerra. Lì incontrano una giovane donna disposta a ospitare in grembo il figlio di Diego che poi andrà via con la coppia. Tuttavia non tutto va come previsto.

Premetto che non avevo mai letto un libro della Mazzantini. Confermo che questo è stato il primo e l’ultimo. Non mi piace affatto il suo modo di scrivere, così triste e senza rilievo, senza sorprese. Lo stile è grigio, deprimente, fa crescere progressivamente un fastidioso peso sullo stomaco. Per non parlare di questo libro nello specifico. Ci viene presentato come un romanzo in cui la guerra è un evento fondamentale, mentre sulla guerra troviamo all’incirca quattro o cinque pagine. La storia non è affatto ben inserita nel contesto storico: facile parlare di guerra nominando solo dei cecchini che sparano dalle montagne. Inoltre ci si potrebbe aspettare che sia un libro carico di passione tra i due protagonisti: non è vero neppure questo. Le scene d’amore – poche e descritte senza emozione – sono anch’esse impostate sulla tristezza, su ogni tipo di sfumatura di grigio, di squallore. E poi la critica più importante che manda all’aria il senso intero di un amore costruito giorno per giorno: Diego durante l’ultimo viaggio a Sarajevo accetta – con il consenso di Gemma – ad avere un rapporto sessuale con una giovane serba disposta a dargli un figlio. Ora io mi chiedo: come può Gemma accettare che suo marito vada con un’altra donna per metterla incinta? Come può Diego stesso essere disposto a tradire la moglie che pareva tanto amare? Questa mi pare davvero la ciliegina sulla torta di un libro che non mi ha dato nulla, anzi mi ha fatto desiderare intensamente di terminarlo per liberarmi da un peso.

Chi sono io per dire che chi è figlio di uno scrittore e coniuge di un regista ha la strada spianata per pubblicazioni e trasposizioni cinematografiche? Nessuno, per cui non lo dico. Va be’, l’ho detto.

Valutazione:

1

La figlia del matematico – Laura Kinsale

Eccomi qui con la recensione di un libro che avevo in libreria da qualche anno e che finalmente ho letto. Mi è piaciuto molto e vi spiego perché.

 

LA FIGLIA DEL MATEMATICO

Laura Kinsale

Mondadori

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Trama

Inghilterra, XIX secolo. Archimedea Timms, detta Maddy, è una giovane riservata che dedica le sue giornate alle opere pie e ad aiutare il padre, insigne studioso di matematica. Christian Langland, duca di Jervaulx, è un dongiovanni e scavezzacollo, geniale scienziato amico del vecchio Timms. Può nascere l’amore tra due persone così diverse? Nessuno potrebbe immaginarlo. Eppure quando viene a sapere che Christian è morto in duello, Maddy è colta da un dolore lancinante, inaspettato. Si trasferisce in campagna presso un cugino che dirige un manicomio per occuparsi dei pazienti e trova tra i ricoverati proprio il duca di Jervaulx, fatto rinchiudere dalla famiglia. Ora tocca a Maddy, l’unica che sembra credere nella sua sanità, aiutarlo a dimostrare di non essere un pazzo. E scoprire con un brivido un modo nuovo, più pieno, di essere donna.

Recensione

Ho cominciato a leggere questo libro convinta che si trattasse di un semplice romanzo rosa, ma mi sbagliavo. La figlia del matematico concentra l’attenzione del lettore sui pensieri, sulle esperienze e sul vissuto di un uomo internato in un manicomio poiché ritenuto malato di mente. Il duca di Jervaulx è infatti sopravvissuto a un’apoplessia cerebrale che ha procurato danni al suo cervello: è come se fosse affetto da autismo infantile. Ma è un uomo, non un bambino, per cui la frustrazione e la rabbia per l’impotenza di percepire e agire come prima bruciano in lui rendendolo un soggetto violento. Ho trovato estremamente affascinante leggere cosa accade nella mente del duca. Tra l’altro le terapie utilizzate da un manicomio che si definisce all’avanguardia per quei tempi mostrano quanto in realtà si fosse indietro nella comprensione e giusta cura dei soggetti affetti da patologie del genere. Si immagina facilmente quanto abbiamo sofferto ingiustamente gli internati in luoghi inquietanti. Per questo dico che non è solo un romanzo rosa, ma sfuma anche nel sociale.

Jervaulx, essendo stato prima della malattia un genio della matematica, quando non riesce più a comunicare con il mondo trova nelle equazioni e nei numeri un solido appiglio alla realtà, alla ragione.

Maddy, la protagonista femminile, è una quacchera convinta che dapprincipio vede il duca solo come un essere da salvare, un incarico divino cui adempiere. La situazione prende risvolti inimmaginabili ma lei dimostra di essere una quacchera convinta, vera. A questo proposito mi viene in mente la protagonista del libro L’ultima fuggitiva di Tracy Chevalier: anche lei quacchera, ma una quacchera che si perde già davanti a nastri e cappellini. Proprio la fede di Maddy rende le cose difficili, ancor più complicate di quanto non siano.

L’abilità dell’autrice sta nel fatto di aver dipinto un personaggio maschile di spessore: Jervaulx ha una malattia, eppure il lettore non è spinto a provare pietà per lui, quanto piuttosto dispiacere. Il duca mantiene, nonostante la sofferenza e i soprusi, il proprio io vivo in un modo reale e credibile. Nell’ultima parte del libro, il rapporto tra il duca e Maddy ricorda un po’ il legame iniziale tra i due protagonisti di Magnifica preda di Kathleen Woodiwiss.

In definitiva un libro particolare ed emozionante, spesso toccante, da non perdere. Al momento non è in vendita ma potete trovarlo facilmente e a pochi euro su ebay o comprovendolibri, nell’ultima edizione che si chiama appunto La figlia del matematico o l’edizione precedente, il cui titolo era Sull’orlo dell’abisso.

Valutazione:

5

Multiversum – Leonardo Patrignani

Eccomi oggi a recensire il primo capitolo di una saga che mi è piaciuta molto.

MULTIVERSUM

Leonardo Patrignani

Mondadori

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Trama

Alex vive a Milano. Jenny vive a Melbourne. Hanno sedici anni. Un filo sottile unisce da sempre le loro vite: un dialogo telepatico che permette loro di scambiarsi poche parole e che si verifica senza preavviso, in uno stato di incoscienza. Durante uno di questi attacchi i due ragazzi riescono a darsi un appuntamento. Alex scappa di casa, arriva a Melbourne, sul molo di Altona Beach, il luogo stabilito. Ma Jenny non c’è. I due ragazzi non riescono a trovarsi perché vivono in dimensioni parallele. Nella dimensione in cui vive Jenny, Alex è un altro ragazzo. Nella dimensione in cui vive Alex, Jenny è morta all’età di sei anni. Il Multiverso minaccia di implodere, scomparire. Ma Jenny e Alex devono incontrarsi, attraversare il labirinto delle infinite possibilità. Solo il loro amore può cambiare un destino che si è già avverato.

L’autore

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Leonardo Patrignani è nato a Moncalieri nel 1980. Compositore, doppiatore e lettore appassionato dei romanzi di Stephen King, scrive dall’età di sei anni. I diritti del suo romanzo d’esordio, Multiversum, sono stati acquisiti da 18 Paesi.

Recensione

Lo dico subito: sono rimasta piacevolmente sorpresa. Non sempre mi capita di leggere libri capaci di trascinare in questo modo: dovevo leggere, leggere, leggere, sapere cosa sarebbe successo. La storia è originale e mi ha molto affascinata in quanto ho letto altro – su riviste scientifiche – che riguarda l’esistenza di più universi. Lo stile dell’autore è rapido e asciutto, le scene veloci ma efficaci. Le tematiche scientifiche sono trattate con una leggerezza che non guasta, rendendo la lettura ideale a giovani adulti e, anzi, credo che essa possa suscitare curiosità verso le teorie in questione. Un buon libro con il giusto miscuglio di azione, ragionamento, avventura e mistero, per non parlare degli scenari apocalittici e ipotetici che vengono descritti tramite pochi ma efficaci dettagli. Le ultime scene sono molto cinematografiche.

Se leggete il primo libro non avrete bisogno dei miei consigli per continuare la lettura, perché non potrete farne a meno, ma vi accenno comunque qualcosina. Il secondo capitolo della saga è davvero affascinante: Memoria, il luogo in cui si svolgono le vicende iniziali, è qualcosa di straordinario.

L’ultimo libro, Utopia – di cui ho terminato la lettura ieri -, è forse più movimentato dei precedenti e mostra un tocco di genio in più per ciò che riguarda le intricate vicende della trama. Stop, non posso dirvi altro altrimenti vi rovino la sorpresa.

Saga consigliatissima.

Valutazione:

5

Approfondimenti

Multiverso

Il multiverso è un insieme di universi coesistenti e alternativi al di fuori del nostro spaziotempo, spesso denominati dimensioni parallele, che nascono come possibile conseguenza di alcune teorie scientifiche.
Il termine fu coniato nel 1895 dallo scrittore e psicologo americano William James.
Dal punto di vista scientifico il concetto di multiverso è stato proposto in modo rigoroso per la prima volta da Hugh Everett III nel 1957 nell’interpretazione a molti mondi della meccanica quantistica.
Il concetto di universi paralleli venne introdotto in precedenza nella letteratura dallo scrittore di fantascienza statunitense Murray Leinster nel 1934, per essere ripreso in seguito da molti romanzi di narrativa fantascientifica e fantasy.

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Il multiverso nella cosmologia

Il multiverso è, scientificamente parlando, un insieme di universi coesistenti previsto da varie teorie, come quella dell’inflazione eterna di Linde o come quella secondo cui da ogni buco nero esistente nascerebbe un nuovo universo, ideata da Smolin. Le dimensioni parallele sono contemplate anche in tutti i modelli correlati al concetto di D-brane, classe di P-brane inerenti alla teoria delle stringhe.

Hugh Everett III e la sua “interpretazione a molti mondi”

Il concetto di multiverso viene proposto in modo serio per la prima volta nella cosiddetta “interpretazione a molti mondi” della meccanica quantistica, proposta da Hugh Everett III nella sua tesi di dottorato (The Many-Worlds Interpretation of Quantum Mechanics, abbreviata in MWI); questa interpretazione prevede che ogni misura quantistica porti alla divisione dell’universo in tanti universi paralleli quanti sono i possibili risultati dell’operazione di misura.
La teoria del multiverso proposta da MWI ha un parametro di tempo condiviso. In molte delle sue formulazioni, tutti gli universi costituenti il multiverso sono strutturalmente identici, e possono esistere in stati diversi anche se possiedono le stesse leggi fisiche e gli stessi valori delle costanti fondamentali. Gli universi costituenti sono inoltre non-comunicanti, nel senso che non può esservi un transito di informazioni tra di essi, anche se nell’ipotesi di Everett potenzialmente possono esercitare un’azione reciproca.

Interpretazione di Copenhagen

Altre interpretazioni della molti-mondi sono quella di Copenhagen e quella delle “storie consistenti”. In queste ipotesi, lo stato dell’intero multiverso è correlato agli stati degli universi costitutivi dalla sovrapposizione quantistica, ed è descritto da una singola funzione d’onda universale. Simili a questa visione sono l’interpretazione a molteplici storie di Feynman e quella di Zeh a molte menti.
L’interpretazione a molti mondi (Many Worlds Interpretation) non può spiegare l’apparente universo antropico, questo perché le costanti fisiche di almeno una parte degli infiniti possibili “mondi” sono le stesse. L’interpretazione a molti mondi può, comunque, spiegare l’esistenza (all’apparenza improbabile) di un pianeta come la Terra. Vedasi l’Ipotesi della rarità della Terra: se l’interpretazione a molti mondi fosse corretta, allora esistono così tante copie del nostro universo che l’esistenza di almeno un pianeta come la Terra non è sorprendente.

Teoria delle “bolle”

La formazione del nostro universo da una “bolla” del multiverso venne proposta da Andrej Linde. Questa teoria è nota come teoria dell’universo a bolle.
Il concetto dell’universo a bolle comporta la creazione di universi derivanti dalla schiuma quantistica di un “universo genitore”. Alle scale più piccole (quantistiche), la schiuma ribolle a causa di fluttuazioni di energia. Queste fluttuazioni possono creare piccole bolle e wormhole. Se la fluttuazione di energia non è molto grande, un piccolo universo a bolla può formarsi, sperimentare una qualche espansione (come un palloncino che si gonfia), ed in seguito potrebbe contrarsi. Comunque, se la fluttuazione energetica è maggiore rispetto ad un certo valore critico, si forma un piccolo universo a bolla dall’universo parentale, va incontro ad un’espansione a lungo termine, e permette la formazione sia di materia che di strutture galattiche a grandissima scala.
Una teoria formulata dal fisico Alexander Vilenkin afferma che il multiverso è formato da tanti universi, ognuno dei quali si trova confinato in una bolla in inflazione eterna (cioè in costante espansione esponenziale), incluso il nostro (ogni singolo universo, almeno rispetto ad osservatori situati al suo interno, deve implicare una genesi riconducibile o affine ad un Big-bang). In alcune zone di una bolla la deformazione dello spazio-tempo è tale da portare alla formazione di una nuova bolla, aprire un varco verso un nuovo universo; dopo un certo periodo, sempre per effetto della deformazione, la nuova bolla si stacca e si forma un universo del tutto indipendente, senza alcun punto di collegamento con quello di partenza.

Teoria del Multiverso di David Deutsch

Inoltre la “Teoria del Multiverso” conosce una fondamentale argomentazione da parte del fisico David Deutsch, uno dei massimi teorizzatori viventi della computazione quantistica e dei computer quantistici, che prevede proprio nella realizzabilità di tali dispositivi la prova sperimentale di una iper-struttura cosmologica detta appunto multiverso.

Teoria delle stringhe e delle superstringhe

Nell’ambito della teoria delle superstringhe, troviamo un quarto tipo di multiverso, le membrane. Secondo la teoria delle stringhe, la materia è composta da minuscole corde vibranti in uno spazio di 11 dimensioni (10+1), dunque 7 in più dallo spazio 3 D a noi noto (più la dimensione temporale).
Le stringhe potrebbero essere aggregate a membrane 3 D (o più) immerse in uno spazio molto più ampio (iperspazio), ogni membrana è un universo distinto. Alcuni scienziati ritengono che il Big Bang che ha dato origine al nostro universo sia stato originato da uno scontro tra due o più membrane.
Secondo la teoria delle stringhe e delle superstringhe, le ipotesi di natura corpuscolare e ondulatoria della materia non sono alternative. A un livello più microscopico, la materia appare composta da particelle, che in realtà sono aggregati di cariche energetiche. Ad una dimensione di analisi crescente, queste particelle si presentano composte da energia.
Il costituente primo della materia sono stringhe di energia che vibrano ad una determinata frequenza o lunghezza d’onda caratteristica, e che si aggregano a formare particelle.
Gli infiniti universi paralleli potrebbero coesistere nello stesso continuum di dimensioni, vibrando a frequenze differenti. Il numero di dimensioni necessarie è indipendente dal numero di universi, ed è quello richiesto per definire una stringa (al momento 11 dimensioni). Questi universi potrebbero estendersi da un minimo di 4 a tutte le dimensioni in cui è definibile una stringa. Se occupano 4 dimensioni, queste sono il continuo spazio-temporale: nel nostro spazio-tempo, coesisterebbero un numero infinito o meno di universi paralleli di stringhe, che vibrano entro un range di lunghezze d’onda/frequenze caratteristico per ogni universo. Coesistendo nelle stesse nostre 4 dimensioni, tali universi sarebbero soggetti a leggi aventi significato fisico analogo a quelle del nostro universo.
La novità di questa teoria è che gli infiniti universi non vivono in dimensioni parallele, né necessitano di postulare l’esistenza di più di 4 dimensioni di spazio-tempo. Ciò che consente di definire una pluralità di universi indipendenti non è un gruppo di 4 o più dimensioni per ogni universo, ma l’intervallo di lunghezze d’onda caratteristico.
L’intervallo teorico di frequenze/lunghezze d’onda per le vibrazioni di una stringa determina anche il numero finito/infinito di universi paralleli definibili.

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Possibile misurazione degli effetti del multiverso

Nel luglio del 2007 Tom Gehrels dell’University of Arizona ha pubblicato un articolo dal titolo “The Multiverse and the Origin of our Universe”, in cui vengono suggeriti degli effetti misurabili dell’esistenza del multiverso.

Ipotesi del Multiverso nella fisica

Laura Mersini-Houghton propose la teoria che il “cold spot” rivelato dal satellite WMAP potrebbe fornire un’evidenza empirica misurabile per un universo parallelo all’interno del multiverso. Secondo Max Tegmark, l’esistenza di altri universi è conseguenza diretta delle osservazioni cosmologiche. Tegmark descrive l’insieme generale di concetti correlati che condividono la nozione che esistono altri universi al di là di quello osservabile, e si spinge fino a fornire una tassonomia degli universi paralleli organizzata a livelli.

Fonte: Wikipedia

Hunger Games – Suzanne Collins

 

Ok, la curiosità ha vinto. Alla fine, anche se non è il mio genere, ho letto Hunger Games.

 

HUNGER GAMES

Suzanne Collins

Mondadori

 

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Trama

Quando Katniss urla “Mi offro volontaria, mi offro volontaria come tributo!” sa di aver appena firmato la sua condanna a morte. È il giorno dell’estrazione dei partecipanti agli Hunger Games, un reality show organizzato ogni anno da Capitol City con una sola regola: uccidi o muori. Ognuno dei Distretti deve sorteggiare un ragazzo e una ragazza tra i 12 e i 18 anni che verrà gettato nell’Arena a combattere fino alla morte. Ne sopravvive uno solo, il più bravo, il più forte, ma anche quello che si conquista il pubblico, gli sponsor, l’audience. Katniss appartiene al Distretto 12, quello dei minatori, quello che gli Hunger Games li ha vinti solo due volte in 73 edizioni, e sa di aver poche possibilità di farcela. Ma si è offerta al posto di sua sorella minore e farà di tutto per tornare da lei. Da quando è nata ha lottato per vivere e lo farà anche questa volta. Nella sua squadra c’è anche Peeta, un ragazzo gentile che però non ha la stoffa per farcela. Lui è determinato a mantenere integri i propri sentimenti e dichiara davanti alle telecamere di essere innamorato di Katniss. Ma negli Hunger Games non esistono gli amici, non esistono gli affetti, non c’è spazio per l’amore. Bisogna saper scegliere e, soprattutto, per vincere bisogna saper perdere, rinunciare a tutto ciò che ti rende Uomo.

L’autrice

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Suzanne Collins (Hartford, 10 agosto 1962) è una scrittrice e sceneggiatrice statunitense.

La sua carriera inizia nel 1991, quando inizia a scrivere sceneggiature per programmi televisivi per bambini. È diventata famosa grazie al romanzo Hunger Games, primo di una trilogia. L’idea degli hunger games – giochi-della-fame – si è fatta strada nella sua mente mentre faceva zapping tra le immagini dei reality show e quelle della guerra vera. I suoi libri sono tradotti in 40 paesi e continuamente ristampati: negli stati uniti Hunger Games ha raggiunto i 60 milioni di copie. Un vero caso editoriale, tanto che la rivista “Time” ha nominato Suzanne Collins tra le 100 più influenti personalità nel 2010.

 

La mia opinione

In linea di massima mi è piaciuto. È la storia che ha principalmente il merito. Coraggio, amicizia, affetto, avventura, morte. C’è di tutto ed è ben dosato; i personaggi sono pregevoli e definiti in maniera chiara. Ciò che non mi è piaciuto è stato lo stile e la descrizione delle scene: lo stile è molto ma molto elementare, senza pretese, asciutto; le scene invece sono raccontate in maniera quasi sbrigativa, con pochi dettagli ambientali. Comunque un libro che gli appassionati del genere probabilmente ameranno.

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Dopo la lettura ho visto il film e l’ho trovato ben fatto e, a parte qualche scena tagliata e qualche personaggio mancante, abbastanza fedele al libro.

Valutazione:

4

Via col vento – Margaret Mitchell

Rossella: Voi non siete un gentiluomo!

Rhett: E voi non siete una signora; non è un titolo di demerito, le signore non mi hanno mai interessato.

Più volte in passato mi è capitato di sentir parlare del romanzo Via col vento; ho sempre ascoltato distrattamente e non mi è mai venuto in mente di leggerlo. E probabilmente se l’avessi letto da adolescente non l’avrei apprezzato molto. Ora invece finalmente l’ho letto e l’ho amato.

 

 

VIA COL VENTO

Margaret Mitchell

Mondadori

 

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L’autrice

 

 

MARGMITCHELL

Margaret Munnerlyn Mitchell (Atlanta, 8 novembre 1900 – 16 agosto 1949) fu una scrittrice e giornalista statunitense, che assurse alla notorietà nel 1936 con il suo romanzo Via col vento, che le valse il premio Pulitzer l’anno seguente e la trasposizione cinematografica nel celebre, omonimo film del 1939.

All’eta di 14 anni entra nel Washington Seminar, un collegio femminile, dove studia rivelando il suo talento. Compiuti i 18 anni si iscrive al corso superiore di medicina allo Smith College di Northampton, nel Massachusetts, ma gli studi vengono interrotti da un evento triste. Sua madre muore e lei ritorna a casa, ad Atlanta, dove nel 1922 sposa Berrien Kinnard Upshaw. Il matrimonio si rivela un fallimento e lui esce dalla sua vita lasciandole la libertà necessaria per ricominciare da capo.
Negli anni Venti, Margaret diventa una collaboratrice dell’Atlanta Journal Sunday Magazine: memorabile fu la sua intervista a Rodolfo Valentino – di cui ho parlato in questo articolo. Nel 1926 Margaret sposa John Marsh, un agente pubblicitario, e lascia il lavoro per poter dedicarsi alla letteratura. Nello stesso anno comincia a scrivere un romanzo, la cui lavorazione la terrà impegnata per dieci anni. Il libro viene stampato e distribuito nel giugno del 1936 col titolo Via col vento, prendendo a prestito il verso suggestivo di una poesia di Ernest Dowson. Ed è subito un successo strepitoso: in sole quattro settimane vengono vendute ben 180.000 copie.
Nel 1937, grazie al suo romanzo, la Mitchell vince il Premio Pulitzer e l’anno seguente è candidata al Premio Nobel per la letteratura. Visto il grande successo, quasi immediatamente partono le trattative col produttore cinematografico David O. Selznick, che dal libro vuole trarre un film. Margaret fa molta resistenza e non vorrebbe partecipare né alla stesura della sceneggiatura, né alla scelta del cast. Nel 1939, dal romanzo è stato tratto il film Via col vento con Vivien Leigh, Clark Gable, Olivia de Havilland e Leslie Howard – vedi approfondimento in fondo all’articolo.
Quando scoppia la seconda guerra mondiale, la Mitchell entra a far parte della Croce Rossa e diventa istruttrice di primo soccorso. Nel 1943 crea una Recreation Room a favore dei soldati di stanza nel Piedmont Park. Dopo la guerra, Margaret ritorna a casa con il proposito di riprendere a scrivere. La sera dell’11 agosto 1949, mentre attraversa una strada della sua città, un taxista ubriaco non si accorge di lei e la investe: Margaret Mitchell muore il 16 agosto 1949 dopo cinque giorni di coma. Sulla vita della scrittrice è stato realizzato un film tv: La travolgente storia d’amore di Margaret Mitchell (1994), interpretato da Shannen Doherty.

Fonte: Wikipedia

 

Via col vento – Trama

 

Rossella O’Hara è la viziata e capricciosa ereditiera della grande piantagione di Tara, in Georgia. Ma l’illusione di una vita facile e agiata si infrangerà in brevissimo tempo, quando i venti della Guerra Civile cominceranno a spirare sul Sud degli Stati Uniti, spazzando via in pochi anni la società schiavista. Il più grande e famoso romanzo popolare americano narra così, in un colossale e vivissimo affresco storico, le vicende di una donna impreparata ai sacrifici: la tragedia della guerra, la decimazione della sua famiglia, la necessità di dover farsi carico della piantagione di famiglia e di doversi adattare a una nuova società. E soprattutto la sua lunga, travagliata ricerca dell’amore e la storia impossibile con l’affascinante e spregiudicato Rhett Butler, avventuriero che lei comprenderà di amare solo troppo tardi.

Curiosità

 

 

Il romanzo Via col vento è destinato a essere immortale. Perché?

La cripta della civiltà, presso l’Università Oglethorpe ad Atlanta, Georgia, è considerata da tutti (in primo luogo dal celebre libro del Guinness dei Primati, che l’ha inserita in elenco nel 1990) la prima “capsula del tempo”, destinata ad essere aperta in una data precisa del futuro, il 28 maggio 8113.
Creata nel 1936, la cripta vanta dimensioni della cripta sono ragguardevoli, simili a quelle di uno spazioso loft. La camera è sigillata da una porta in acciaio inossidabile e chiusa ermeticamente. Il suo contenuto include un manuale per imparare l’inglese, la documentazione relativa a tutti gli sport, i divertimenti e i passatempi in uso durante il secolo scorso, filmati dei grandi della Terra, un uccello di plastica, il modellino di un treno, i manichini di un uomo e di una donna, due pipe, un gioco in scatola, 800 libri significativi su ogni argomento importante per il genere umano e 200 romanzi considerati rappresentativi della cultura umana tra cui anche Via col vento.

 

La mia recensione

 

Questo libro è un autentico capolavoro. Di primo acchito pare un romanzo d’amore ambientato durante la guerra di secessione americana – vedi approfondimento in fondo all’articolo, ma poi si rivela anche la struggente storia di un’amicizia tra due donne, il ritratto delle sofferenze cagionate dalla guerra. L’ambientazione è affascinante – soprattutto per ciò che riguarda Tara nei giorni d’oro e Atlanta durante l’assedio – e i personaggi sono analizzati con cura tramite punti di vista diversi, particolari e particolareggiati. L’autrice guida il lettore alla scoperta dell’anima degli uomini e delle donne della Confederazione degli Stati Uniti – quando ancora non erano tutti “Stati Uniti”; del rapporto di essi con gli schiavi neri – qui qualche osservazione mi ha dato un po’ fastidio ma capisco che non si tratta di discriminazione fine a se stessa quanto alla descrizione del rapporto che c’era all’epoca tra padroni e schiavi; delle intenzioni originarie del primo Ku Klux Klan; di un periodo importantissimo per la storia americana che la maggior parte degli europei conosce solo superficialmente. Si tratta di un romanzo pieno di dolore, di struggente malinconia per un passato spensierato che non può tornare.

La protagonista, Rossella O’Hara, possiede una personalità volitiva e audace che la rende una vera pioniera nella società in cui vive. Il suo iniziale egoismo, fine a se stesso, le darà la forza di affrontare e vincere sfide impossibili da superare per una donna di buona famiglia come tutte le altre; la sua franchezza cruda spinge il lettore a fare i conti con il proprio io, con la verità di ciò che è, senza barriere di sorta imposte dalla società. Temprata dalla vita e sostenuta dalla sua ardente personalità, Rossella subisce più trasformazioni fino a diventare fredda di fronte al pericolo, instancabile di fronte alle avversità, e soltanto alla fine una donna matura.

I personaggi che ho amato di più, oltre alla protagonista, sono stati: Geraldo O’Hara, padre di Rossella e uomo saggio nonostante lo spirito giovane e allegro; Melania Wilkes, cognata di Rossella e donna il cui aspetto minuto non ne pregiudica la forza d’animo, stabile punto di riferimento per tutti e rifugio sicuro da ogni sofferenza; Rhett Butler, incorreggibile mascalzone che non è soltanto un uomo bello e coraggioso, ma un grande pensatore che non ha problemi a esporre con cruda sincerità il proprio pensiero.

Un romanzo epico, malinconico e struggente, indimenticabile.

Per quanto riguarda il film la mia opinione è abbastanza positiva anche se, come è risaputo, i film non sono quasi mai all’altezza dei libri. Questo perché in un film non è facile riportare il tormento interiore dei protagonisti che invece un romanzo trasmette in maniera più vivida. E questo è anche il caso del film Via col vento. Suggerisco la visione del film solo dopo la lettura del romanzo, cosicché si possano comprendere appieno gli stati d’animo e le scelte di Rossella O’Hara. Devo dire che Clark Gable è assolutamente perfetto nel ruolo di Rhett Butler – anche se forse leggermente rabbonito rispetto al personaggio letterario – e Vivien Leigh è una superba Rossella, perfettamente capace delle espressioni crudeli o disperate che il ruolo richiede. Nel film la storia risulta leggermente mutilata, difatti mancano alcuni personaggi come Dilcey, Wade, Ella, Baldo, Will – quest’ultimo ha un ruolo portante nel momento in cui Rossella si trasferisce in maniera permanente ad Atlanta, lasciando Tara nelle sue mani – o alcuni fatti secondari che rendono più ricca la storia.

Valutazione:

5+

Approfondimenti

 

Via col vento – Il film

 

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Via col vento (Gone with the Wind) è un film drammatico diretto da Victor Fleming nel 1939.
Universalmente riconosciuto come uno dei film più famosi della storia del cinema, ha stabilito dei record che rimangono tuttora insuperati. Il film venne prodotto da David O. Selznick e distribuito dalla Metro-Goldwyn-Mayer; la sceneggiatura, in buona parte dovuta a Sidney Howard, è tratta dal romanzo omonimo di Margaret Mitchell, vincitore del premio Pulitzer nel 1937.
La lavorazione del film fu molto complessa e travagliata, come per molti film di quel periodo storico: complessivamente richiese circa due anni per poter essere realizzato e il suo completamento è dovuto principalmente al grande sforzo economico e lavorativo di Selznick, la cui intenzione era di farne un grande affresco storico, oltre che una semplice storia d’amore; per raggiungere il suo scopo Selznick vi dedicò quasi tutte le sue energie nel periodo della produzione. Proprio la grandiosità produttiva e il grande successo di pubblico rendono questo film una pietra miliare indiscutibile nella storia del cinema; si è trattato, infatti, del primo caso di successo planetario nella storia del cinema.
Ufficialmente la regia è attribuita a Victor Fleming, ma durante la produzione si sono succeduti George Cukor e Sam Wood. Lo stesso Selznick (considerato da molti il vero autore del film) ha avuto una forte presenza nella direzione così come su molti aspetti del film, tra cui anche la sceneggiatura, il montaggio e la scelta degli attori, a dimostrazione che questo più degli altri è il “suo” film.

 

I protagonisti

 

Cattura

Clark Gable e Vivien Leigh in una celebre scena di Via col vento (1939).

Quando Selznick propose il film alla Warner Bros., i due principali candidati ad interpretare le parti di Rossella e Rhett erano Bette Davis ed Errol Flynn. I due, tuttavia erano poco tempo prima venuti a lite e mal si sopportavano: Selznick avrebbe dovuto cambiare almeno uno dei due, ma poi gli accordi con la WB saltarono e Selznick fu costretto a ripiegare altrove. Una volta accordatosi con la MGM Selznick rimase indeciso se contattare Clark Gable o Gary Cooper, ma quando quest’ultimo rispose affermando:

Via col vento sta per diventare il più grande flop della storia del cinema, e sarà Clark Gable a perderci la faccia e non Gary Cooper.

 

il produttore non ebbe più dubbi e assegnò la parte a Clark Gable senza indugiare e con l’approvazione di tutto il pubblico americano; la MGM fu d’accordo fin dall’inizio e Gable venne scritturato. In quel periodo Gable stava divorziando da Ria Langham e la moglie voleva 400.000 dollari per concedere il divorzio al marito; questi, tuttavia, non era in grado di pagare una somma così alta tutta insieme, ma alla fine ricevette come compenso 400.000 per il divorzio, più 120.000 dollari per sé.

 

Clark Gable mentre legge Via col vento.

Clark Gable mentre legge Via col vento.

 

Molto più complicata e travagliata è stata la scelta per l’attrice che doveva interpretare Rossella. Furono provinate circa 1400 attrici, tra cui Paulette Goddard, Susan Hayward, Katharine Hepburn, Carole Lombard, Jean Arthur, Tallulah Bankhead, Norma Shearer, Barbara Stanwyck, Joan Crawford, Lana Turner, Joan Fontaine, Bette Davis, Alicia Rhett (alla quale poi andò il ruolo di Lydia Wilkes) e Loretta Young; al momento dell’inizio delle riprese nel dicembre 1938 non si aveva ancora un nome definitivo e si dovette cominciare senza la protagonista.

Vivien Leigh.

Vivien Leigh.

In mezzo a questo elenco di star hollywoodiane la parte venne assegnata alla poco conosciuta Vivien Leigh; questa ottenne un provino quando venne presentata quasi per caso al fratello del produttore, Myron Selznick, mentre si girava la scena dell’incendio di Atlanta. Alla fine rimasero in lizza due attrici: Paulette Goddard e appunto Vivien Leigh. Una leggenda vuole che la Goddard perse il ruolo perché non riuscì a dimostrare di essere realmente sposata a Charlie Chaplin, con cui conviveva, e questo per il moralista e capo della MGM Louis B. Mayer era del tutto inaccettabile. Nemmeno Vivien Leigh era sposata e conviveva con Laurence Olivier, ma a differenza della Goddard la storia non era nota al grande pubblico e per questo ottenne la parte e 25.000 dollari. I due si sposarono comunque poco tempo dopo, il 31 agosto 1940 come promesso a Mayer.

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Fonte: Wikipedia

Alcune scene del film

 

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Guerra di secessione

 

Guerra civile che oppose tra il 1861 e il 1865 gli Stati Uniti d’America (l’Unione) a undici stati secessionisti del Sud, organizzati nella Confederazione degli Stati Uniti d’America.

LE ORIGINI DEL CONFLITTO

Nella prima metà del XIX secolo gli stati del Nord e quelli del Sud erano portatori di tradizioni e interessi economici, sociali e politici profondamente diversi. La principale causa di contrasto tra le regioni agricole meridionali e quelle industriali del Nord era l’istituto della schiavitù. Perno del sistema socio-economico sudista, che annoverava al suo interno oltre quattro milioni di schiavi neri impiegati nelle piantagioni di cotone, tabacco e canna da zucchero, la schiavitù non rispondeva invece alle esigenze produttive delle regioni settentrionali, interessate alla meccanizzazione del lavoro, ed era dunque avversata per ragioni tanto ideali quanto di interesse economico.

Sulla questione, il compromesso del Missouri del 1820 stabilì che all’interno dei territori a ovest del Mississippi, da poco acquisiti dagli Stati Uniti, il parallelo dei 36° 30′ avrebbe costituito il confine tra stati schiavisti e stati liberi.

Il mutamento degli equilibri

Alla metà del secolo, tuttavia, nel Sud si guardava con sospetto all’azione del Congresso, dove i rappresentanti degli stati schiavisti costituivano ormai una minoranza. Lo scontento sudista era accresciuto dall’introduzione, in molti stati settentrionali, di leggi a tutela della libertà personale, che minavano l’efficacia delle norme varate per arginare il fenomeno della fuga degli schiavi (vedi Fugitive Slave Laws).

Non meno apprensione generavano i crescenti successi elettorali del Free-Soil Party, partito che si opponeva all’estensione della schiavitù nei territori acquisiti dopo la guerra con il Messico e contrastava l’ammissione nell’Unione di stati schiavisti di nuova costituzione. Tuttavia, nel 1857 la Corte Suprema decretò l’incostituzionalità di qualsiasi pretesa federale di proibire la schiavitù. Il 16 ottobre del 1859 John Brown, un ardente abolizionista, attaccò l’arsenale federale di Harpers Ferry, in Virginia, con l’intento di provocare una sollevazione degli schiavi. L’azione fu il pretesto per i sudisti di rivedere la propria posizione all’interno dell’Unione.

La secessione del Sud

In occasione delle elezioni presidenziali del 1860, il candidato repubblicano Abraham Lincoln si dichiarò contrario all’estensione della schiavitù. L’elezione di Lincoln alla presidenza dell’Unione rafforzò nel Sud l’opinione che per tutelare i propri interessi non esistesse altra via se non quella dell’indipendenza: nel marzo del 1861 sette stati (South Carolina, Mississippi, Florida, Alabama, Georgia, Louisiana, Texas) adottarono ordinanze di secessione dando vita agli Stati Confederati d’America ed eleggendo Jefferson Davis quale presidente.

Nel suo discorso inaugurale Lincoln dichiarò illegale la secessione, esprimendo l’intenzione di mantenere l’autorità e i possedimenti federali nel Sud. Quando, il 12 aprile 1861, l’artiglieria sudista aprì il fuoco per impedire i rifornimenti alla base militare federale di Fort Sumter (South Carolina), Lincoln ordinò l’invio di truppe per sedare la rivolta. Per tutta risposta, Virginia, Arkansas, North Carolina e Tennessee aderirono alla Confederazione.

LE OSTILITÀ

Le prime fasi del conflitto

Il 21 luglio del 1861 la vittoria dei sudisti nella battaglia di Bull Run (48 km a sud-ovest di Washington) costrinse i vertici politico-militari dell’Unione ad abbandonare ogni speranza di una guerra-lampo e a impegnarsi nella costituzione di un solido esercito. Di ciò Lincoln dette incarico al generale George Brinton McClellan.

Nella primavera del 1862 McClellan lanciò l’offensiva: occupata la penisola a sud-est di Richmond, fermò la marcia in attesa di rinforzi. Ciò permise al generale sudista Thomas J. “Stonewell” Jackson di passare il Potomac e di minacciare Washington. Gli uomini di Jackson e quelli dell’Armata confederata della Virginia settentrionale, comandati dal generale Robert E. Lee, attaccarono le truppe di McClellan, sconfiggendole nella battaglia dei Sette Giorni (25 giugno – 1° luglio).

Nei primi sei mesi del 1862 il generale dell’Unione Ulysses Grant riuscì prima a ottenere il controllo delle vie d’accesso alla valle del Mississippi in Tennessee e nell’Arkansas, poi a spingersi sino a Memphis. Nel corso del secondo semestre dell’anno Grant decise l’assalto di Vicksburg, l’ultima roccaforte lungo il corso del Mississippi rimasta ai confederati: in dicembre, la vittoriosa difesa della fortezza da parte dei suoi occupanti costituì la pagina finale delle vicende militari del 1862.

Le campagne del 1863

Assumendo il comando dell’Armata del Potomac, il generale Joseph Hooker mosse, nell’aprile del 1863, contro le forze del generale Lee in Virginia: nella battaglia di Chancellorsville (1-4 maggio) i confederati costrinsero Hooker alla ritirata. Intendendo indurre l’Unione a negoziare la pace, Lee mosse all’attacco verso nord.

In giugno Lee raggiunse le regioni meridionali della Pennsylvania, dove, nei pressi di Gettysburg, si combatté la battaglia considerata il punto di svolta dell’intera guerra. Il 1° luglio ebbero inizio le operazioni: il 3 luglio Lee decise di caricare al centro le linee nemiche, ma l’attacco fallì completamente. Ordinata la ritirata, Lee riuscì a riparare in Virginia. Il 1863 si chiudeva decisamente in favore delle forze dell’Unione.

Il piano d’attacco finale

Nominato comandante in capo di tutte le forze unioniste, Ulysses Grant si accinse a chiudere la morsa attorno alla Confederazione: l’Armata del Potomac, guidata dallo stesso Grant con la collaborazione del generale George Gordon Meade, avrebbe dato battaglia a Lee ancora una volta puntando su Richmond; il generale William Sherman si sarebbe invece mosso alla conquista di Atlanta (Georgia) partendo da Chattanooga; una terza armata, al comando del generale Philip Sheridan, avrebbe infine occupato la valle del fiume Shenandoah per tagliare i rifornimenti a Lee. La campagna finale ebbe inizio alla fine di marzo. Grant, bloccato poco a nord di Richmond, assediò Petersburg per oltre nove mesi.

Miglior corso per la causa dell’Unione ebbero gli avvenimenti nella valle dello Shenandoah e in Georgia, dove Sheridan e Sherman raggiunsero entro l’estate gli obiettivi loro assegnati. La marcia di Sherman verso il mare partì il 15 novembre da Atlanta in fiamme. Le truppe nordiste avanzarono distruggendo sistematicamente ogni cosa potesse sostenere lo sforzo bellico dei sudisti: nella primavera del 1865 furono invase le due Caroline.

All’inizio di aprile del 1865 Petersburg fu espugnata dagli unionisti (battaglia di Five Forks); con i rifornimenti tagliati, anche Richmond dovette capitolare. Lee si diresse allora a occidente; Grant però gli bloccò la strada e il 9 aprile lo costrinse alla resa.

L’ABOLIZIONE DELLA SCHIAVITÙ

Nel settembre del 1862 Lincoln annunciò che a partire dal 1° gennaio 1863 negli stati o parti di stati ancora coinvolti nella ribellione secessionista, gli schiavi sarebbero stati “liberi per sempre”. Il proclama di emancipazione fu giustificato come misura utile a indebolire la capacità produttiva del nemico e anticipare così la fine della guerra. Ma solo il 13° emendamento della Costituzione, ratificato nel dicembre 1865, avrebbe abolito la schiavitù in tutto il territorio degli USA.

IL DOPOGUERRA

L’8 dicembre 1863 Lincoln emanò il Proclamation of Amnesty and Reconstruction: in esso si stabiliva che, a eccezione degli alti ufficiali e dei funzionari governativi, a ogni sudista che avesse giurato lealtà alla Costituzione federale e obbedienza alla legislazione di guerra (compreso il proclama sulla schiavitù) fosse garantita l’amnistia.

Le dottrine secessioniste uscirono definitivamente screditate, mentre l’autorità del governo federale risultò enormemente accresciuta. Il Congresso poté varare le misure alle quali il Sud si era strenuamente opposto prima della guerra, comprese le concessioni di terre nei nuovi territori, l’assegnazione di contributi federali per il loro sviluppo, nonché la definizione dei più elevati dazi doganali mai stabiliti dal governo americano.

Dal punto di vista economico, la guerra incentivò la meccanizzazione della produzione e la concentrazione del capitale al Nord; inoltre, significò libertà per quasi quattro milioni di neri. Le radici culturali di tre secoli di schiavismo non poterono però essere estirpate definitivamente con le armi, e continuarono a generare tensioni e problemi nella società americana sino a tutto il XX secolo. Vedi Afroamericani.

Fonte: Wikipedia

Stay… una delusione.

Oggi vi parlo di un romanzo che mi ha deluso come pochi altri hanno fatto.

 

STAY – Un amore fuori dal tempo

Tamara Ireland Stone

Mondadori

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Trama

Anna e Bennett non avrebbero mai potuto incontrarsi: lei vive nel 1995 a Chicago, lui nel 2012 a San Francisco. Ma Bennett si ritrova nel 1995 perché può viaggiare nel tempo, pur con il divieto di cambiare il corso degli eventi, per cercare sua sorella che si è perduta in una dimensione temporale sbagliata. Ma se un battito di farfalla può provocare un uragano all’altro capo del mondo, cosa potrà provocare un sentimento potente come l’amore che nasce con diciassette anni di anticipo?
Anna e Bennett si perdono e si ritrovano incrociando i loro destini paralleli, ma dovranno trovare il modo di fermare la corsa dell’orologio che ticchetta nelle loro esistenze. Quanto sono pronti a perdere? Quali conseguenze saranno disposti a sopportare alterando gli eventi che li circondano?

La mia recensione

Partiamo da un presupposto: la quarta di copertina è piuttosto intrigante. Ebbene, dimenticatela. La solfa è sempre la stessa: un ragazzo nuovo frequenta la scuola della protagonista e sembra conoscerla, anche se fa il misterioso e cerca di allontanarla a tutti i costi. Peccato che Bennett non nasconda nessuna pericolosa identità – a confronto i segreti di Edward Cullen o di Daniel Grigori sono i più intriganti del mondo – e sia un bugiardo opportunista. La migliore amica della protagonista è sempre quella spigliata, bella e intraprendente. Insomma, che noia. L’unico aggettivo che mi viene in mente per questo libro è “insignificante”. Sì, purtroppo.

Lo stile è insignificante. I personaggi sono piatti, insignificanti. Il motivo per cui Bennett e sua sorella viaggiano nel tempo è insignificante, quasi ridicolo. A differenza di quanto dice la quarta, Anna e Bennett non perderanno nulla, non sopporteranno quasi nulla, non c’è nessun fantomatico “effetto farfalla”: un solo evento cercheranno di cambiare – dopo litigi senza senso e senza motivazioni – e le conseguenze saranno nulle. Vengono create aspettative su cose che non accadranno mai. Considerando poi che il “potere” di Bennett non ha né capo né coda, nessuno scopo, nessuna origine particolare, niente di niente, è una cosa campata in aria che serve solo a partecipare a concerti passati o ad andare a spasso per il mondo. Il che sembra la cosa più importante per la protagonista che – non si sa bene per quale ragione – afferma che non viaggerà mai, che vivrà sempre nello stesso posto come se da adulta, con un lavoro, non potrebbe mai permettersi di comprare un biglietto aereo né andare in vacanza. Le vicende sono terribilmente noiose, ripetitive. Per non parlare poi della risoluzione incredibilmente semplice – e assolutamente oscura ai lettori – della sparizione di Brooke, la sorella di Bennett.

Insomma, per me questo è davvero un fiasco. Colossale.

Valutazione:

1

Cinquanta sfumature di grigio – E. L. James

Chi non conosce questo libro? Ci stanno facendo anche il film. Ma analizziamolo un po’.

 

CINQUANTA SFUMATURE DI GRIGIO

E. L. James

Mondadori

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Trama

Quando Anastasia Steele, graziosa e ingenua studentessa americana di ventun anni incontra Christian Grey, giovane imprenditore miliardario, si accorge di essere attratta irresistibilmente da quest’uomo bellissimo e misterioso. Convinta però che il loro incontro non avrà mai un futuro, prova in tutti i modi a smettere di pensarci, fino al giorno in cui Grey non compare improvvisamente nel negozio dove lei lavora e la invita a uscire con lui. Anastasia capisce di volere quest’uomo a tutti i costi. Anche lui è incapace di resisterle e deve ammettere con se stesso di desiderarla, ma alle sue condizioni. Travolta dalla passione, presto Anastasia scoprirà che Grey è un uomo tormentato dai suoi demoni e consumato dall’ossessivo bisogno di controllo, ma soprattutto ha gusti erotici decisamente singolari e predilige pratiche sessuali insospettabili… Nello scoprire l’animo enigmatico di Grey, Ana conoscerà per la prima volta i suoi più segreti desideri. Tensione erotica travolgente, sensazioni forti, ma anche amore romantico, sono gli ingredienti che E. L. James ha saputo amalgamare osando scoprire il lato oscuro della passione, senza porsi alcun tabù.

L’autrice

EL James

E. L. James, pseudonimo di Erika Leonard (Londra, 1963), è una scrittrice britannica. È l’autrice del romanzo erotico bestseller Cinquanta sfumature di grigio e degli altri due libri che compongono la trilogia. Agli inizi della sua carriera di scrittrice ha usato anche lo pseudonimo Snowqueen Icedragon.

Cresciuta nel Buckinghamshire, educata privatamente, Erika Leonard si diploma presso la University of Kent, prima di diventare assistente di un direttore di studio presso la National Film and Television School di Beaconsfield. Nel 2012, il Time Magazine l’ha inclusa nella sua lista annuale di “Le 100 persone più influenti del mondo”. Vive a ovest di Londra con il marito, lo sceneggiatore Niall Leonard, e i due figli.

 

Recensione

Dunque… da dove cominciare?
Breve spiegazione della trama: Anastasia Steele, una ragazza comune, incontra Christian Grey, giovane miliardario dalle allarmanti inclinazioni sessuali.
Innanzitutto mi chiedo se Stephenie Meyer abbia letto questo scritto. Avete voglia di un Twilight senza vampiri ma con sesso violento? Eccolo a voi, Cinquanta sfumature di grigio. Per quanto si sia criticato Twilight in questi anni, stavolta trovo giusto difenderlo. Le analogie con la saga della Meyer sono disarmanti.

Ve ne faccio alcuni esempi.

  • La protagonista femminile è impacciata, scoordinata, insicura.
  • Il protagonista maschile sembra perfetto.
  • Vivono nello stato di Washington.
  • La madre della protagonista si è risposata e vive lontano con il nuovo marito.
  • Il protagonista maschile avverte la protagonista di stargli lontano poiché lui è il cattivo, le dice che in lei c’è del mistero a differenza di tutte le altre (cosa che Edward dice a Bella in merito all’incapacità di leggerle il pensiero).
  • Il discorso dell’amica della protagonista alla cerimonia di consegna della laurea (in Twilight è quella del diploma… evviva, una differenza! Ma probabilmente dettata dalla necessità che la protagonista seviziata sessualmente fosse più adulta di Bella) è della serie “Cosa ne sarà del nostro futuro?”
  • Il protagonista maschile regala alla protagonista, come premio per la laurea, un’automobile all’ultimo grido.

E queste sono soltanto alcune. Più volte ho trovato addirittura dialoghi con le stesse battute. Credo che non si possa parlare propriamente di plagio ma la faccenda risulta molto ma molto squallida. Ancor più squallido è che uno scritto del genere venda milioni di copie nel mondo. In fondo tutti sarebbero capaci di copiare l’approccio e l’innamoramento di una famosa storia d’amore e inserirci delle scene piccanti e violente. Oltretutto ripetitive e non così scandalose come si potrebbe pensare.
Tutta l’ammirazione per Christian Grey che si sente in giro da dove scaturisce? È bello e ricco fino all’inverosimile, ok. Ma è un uomo con profonde turbe psichiche, nient’affatto intrigante quanto piuttosto spaventoso. Fa addirittura firmare un contratto alle sue “sottomesse” nel quale si definiscono condizioni e comportamenti di dominatore e sottomessa. Ha un blando aspetto filantropico – vuole sconfiggere la fame nel mondo – ma trovo sia un pretesto assurdamente banale per mettere del buono nella personalità di quest’individuo. Ah, già, dimenticavo: è pure uno stalker. Ma uno di quelli seri, che conosce indirizzi e dettagli della vita privata, intercetta il cellulare… Fossi stata io al posto di Anastasia mi sarei sentita davvero in ansia per le attenzioni morbose di quest’uomo.
I personaggi secondari sono insignificanti, come ad esempio un altro pretendente di Anastasia: Josè. Egli appare privo di personalità ed è soltanto un pretesto per scatenare le ire del maniaco sessuale Grey e far subire punizioni alla sottomessa Anastasia.
La cosa peggiore è che uno scritto come questo trasmette un messaggio perverso e cioè che le donne potrebbero godere della violenza inflitta al loro corpo e della sottomissione della loro mente a opera dell’uomo. In un mondo in cui già le violenze contro le donne sono abbondantemente diffuse, il successo di questo libro potrebbe avere effetti gravi. Pensate agli adolescenti che lo leggono e si accostano al sesso con questo genere di intenzioni. Oppure pensate ai paesi musulmani in cui le donne subiscono spesso violenze domestiche: simili messaggi non fanno altro che alimentare e giustificare prevaricazioni e soprusi dando loro quasi valenza “amorosa”.
Spero che l’onda di successo di questa saga si ritiri presto assieme a tutti i suoi possibili strascichi. Ovviamente non leggerò i due sequel.

Valutazione:

1

La mia anima è ovunque tu sia – Aldo Cazzullo

Oggi vi parlo di un romanzo della serie “Evviva il valore della grande editoria italiana”.

 

LA MIA ANIMA è OVUNQUE TU SIA

Aldo Cazzullo

Mondadori

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Trama

Alba, aprile 1945. In città è arrivato il tesoro della Quarta Armata. Il denaro, il frutto delle requisizioni, le ricchezze che una forza di occupazione accumula in guerra: tutto questo viene spartito tra la Curia e i partigiani. Il vescovo affida la propria parte a un giovane promettente, cresciuto in seminario: Antonio Tibaldi. Il capo dei partigiani rossi, Domenico Moresco, tiene la propria parte per sé, tradendo l’amicizia del compagno Alberto e la memoria della donna che entrambi hanno amato con l’assolutezza della gioventù e della battaglia: Virginia, occhi chiari, sorriso a forma di cuore e coraggio da combattente, torturata e uccisa dai fascisti. Alba, 25 aprile 2011. In un bosco sulla Langa viene ritrovato il cadavere di Moresco, divenuto industriale del vino, capostipite di una delle due grandi famiglie della città. Sul caso, oltre alla polizia, indaga Sylvie, detective tanto spregiudicata quanto seducente, ingaggiata dal capo dell’altra dinastia: Tibaldi. Alba, 1963. Un grande scrittore, outsider della letteratura italiana, impiegato della Tibaldi Vini, sente vicina la morte. E allora cerca di ricostruire la storia del tesoro, della guerra partigiana, di un amore perduto. E intuisce i fili di una vicenda destinata molti anni dopo a finire in un delitto, sulla cui scena si agitano fantasmi del passato, comunisti, sacerdoti, fascisti, mogli tradite e traditrici, figli forse illegittimi, passioni romantiche e sadiche.

L’autore

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Aldo Cazzullo (Alba, 1966) è un giornalista e scrittore italiano, editorialista del “Corriere della Sera”.
Debutta come giornalista nel 1988 per “La Stampa”, dove continua a lavorare fino al 2003, anno in cui inizia la collaborazione con il “Corriere della Sera”. Si è occupato di politica italiana ma anche internazionale, seguendo come inviato le elezioni di Bush, Obama, Erdogan, Zapatero e Sarkozy, le Olimpiadi di Atene e Pechino e i Mondiali di calcio in Giappone e Germania. È autore di numerosi saggi, dai primi Il mal francese. Rivolta sociale e istituzioni nella Francia di Chirac (Ediesse, 1996) e I ragazzi di Via Po (Mondadori, 1997) ai recenti successi di I grandi vecchi (premio Estense 2006) L’Italia de noantri. Come siamo diventati tutti meridionali (Mondadori, 2009) e Viva l’Italia (Mondadori, 2010).
Da Viva l’Italia è stato tratto uno spettacolo teatrale che ha avuto repliche e rappresentazioni in tutte le maggiori città italiane. Per lo stesso libro Cazzullo è stato insignito del Premio Nazionale ANPI “Renato Benedetto Fabrizi” 2011.
Aldo Cazzullo non aveva mai pensato di scrivere un romanzo. Fino a quando non si è imbattuto, nella sua città, in una storia che non poteva non essere narrata. Così è nato La mia anima è ovnque tu sia (Mondadori 2011), ora tradotto in Germania.

 

Recensione

Poche volte do giudizi pessimi sui libri. Sarà perché in fondo la maggior parte dei libri hanno qualcosa da dire, sarà perché scelgo sempre letture del genere che adoro. Stavolta non è stato così. O meglio il genere è uno di quelli che preferisco, ma il libro mi ha delusa profondamente. Sono stata ingannata dalla stupenda copertina che ritrae una giovane partigiana nonché dal sottotitolo “Un delitto, un tesoro, una guerra, un amore”. Ebbene, nel romanzo di Aldo Cazzullo “La mia anima è ovunque tu sia”, nessuno di questi quattro elementi è presente. Un delitto, introdotto e mal spiegato, un tesoro appena accennato, una guerra neppure sfiorata e un amore che non fa emozionare, che non c’è. Certo non dovevo aspettarmi di trovare un romanzo epico quale “Il cavaliere d’inverno” di Paullina Simons ma perlomeno qualcosa che valesse la pena di essere letto. La storia si dispiega in capitoli brevissimi tra passato e presente e pare quasi un continuo susseguirsi di informazioni, brevi dialoghi che non emozionano, non funzionano. Amici di vecchia data che celano segreti e amore per la stessa donna che ha fatto una brutta fine. Questa essenzialmente è la trama e non illudetevi di trovare qualcosa di più di poche righe sulla partigiana in copertina.

Ritornando alla frase di apertura “Evviva la grande editoria italiana”, desidero dare una spiegazione. Non disdegno i grandi editori del nostro Paese che pubblicano autori degni di nota italiani e stranieri, ma un libro come questo dimostra quanto il mercato editoriale dipenda non dal talento quanto dal nome dello scrittore. Il romanzo di Aldo Cazzullo secondo me non è di qualità, a differenza di molti altri scritti invece da scrittori alle prime armi che valgono dieci volte di più. Ma che ci volete fare? Avere un nome conosciuto e altre pubblicazioni alle spalle apre “portoni” irrimediabilmente chiusi a chi non conosce nessuno o non è nessuno. Eppure io sono convinta che valga molto di più chi scrive con passione e riesce a far emozionare chi lo legge, seppur poche decine di lettori, anziché chi vende copie solo per fama e poi delude. Conscia del fatto che sia un’utopia, affermo comunque che non sarebbe male che anche i grandi editori fossero più disponibili a valutare scrittori non famosi anziché basarsi su nomi che garantiscono vendite.

Valutazione:

1