Nobel italiani per la Letteratura: Grazia Deledda

Eccomi qui oggi con il secondo appuntamento della rubrica Nobel italiani per la Letteratura. Parliamo dell’unica donna italiana insignita finora del premio.

Se vostro figlio vuole fare lo scrittore o il poeta sconsigliatelo fermamente. Se continua minacciatelo di diseredarlo. Oltre queste prove, se resiste, cominciate a ringraziare Dio di avervi dato un figlio ispirato, diverso dagli altri.

Grazia Deledda

 

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Grazia Deledda (Nuoro 1871 – Roma 1936) fu una scrittrice italiana, premio Nobel per la letteratura nel 1926. Autodidatta, esordì con racconti d’amore ambientati nella natia Sardegna, pubblicati sulla rivista femminile “Ultima moda”, che causarono scandalo e dure reazioni per le vicende a tinte forti; molte delle novelle furono raccolte in Racconti sardi (1894). Si rivolse poi al romanzo, dando alle stampe, nel 1892, Fior di Sardegna e, nel 1895, Anime oneste; Romanzo famigliare, con una prefazione di Ruggero Bonghi, che ne lodò il contenuto morale.

Con Elias Portolu (1903), storia dell’amore di un ex detenuto per la cognata, Grazia Deledda creò un primo capolavoro, nel quale il tema del conflitto fra peccato e innocenza si dipana sullo sfondo dell’aspro paesaggio sardo. Seguirono altri romanzi, tra i quali si ricordano L’edera (1908) e Nel deserto (1911).

Canne al vento (1913), forse il suo romanzo più noto, denuncia l’ineluttabile fragilità dell’uomo travolto da una sorte cieca e spietata, mentre La madre (1920) scandaglia la relazione fra un sacerdote e sua madre. Già Cenere (1904), da cui fu tratto nel 1916 un film interpretato da Eleonora Duse, aveva affrontato il tema di un rapporto filiale. Il paese del vento (1931) e L’argine (1934) mescolano immaginazione e autobiografia. Cosima (1937) e Il cedro del Libano (1939) furono pubblicati postumi. Scrisse anche due testi teatrali, L’edera (1912), in collaborazione con Camillo Antona Traversi, e La grazia (1921).

Possibile che non si possa vivere senza far male agli innocenti?

La poetica

 

Nelle opere di Grazia Deledda predominano i sentimenti forti dell’amore e del dolore, mentre una tematica ricorrente è l’amara consapevolezza dell’ineluttabilità del destino. Una straordinaria consonanza fra personaggi e luoghi, fra lo stato d’animo dei protagonisti e la terra sarda, presentata in veste mitica, è un altro tratto distintivo della sua narrativa, che è stata accostata talora al verismo e talora al decadentismo, ma in realtà sfugge a una catalogazione precisa e merita un posto a sé nella nostra letteratura.

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Grazia Deledda all’assegnazione del Nobel.

 

Mutiamo tutti, da un giorno all’altro, per lente e inconsapevoli evoluzioni, vinti da quella legge ineluttabile del tempo che oggi finisce di cancellare ciò che ieri aveva scritto nelle misteriose tavole del cuore umano.

 

Cronologia delle opere

 

ANNO TITOLO GENERE
1892 Fior di Sardegna Romanzo
1894 Racconti sardi Volume di racconti
1895 Anime oneste
Tradizioni popolari di Nuoro in Sardegna
Romanzo
Raccolta di tradizioni folcloriche sarde
1896 La via del mare Romanzo
1897 Il tesoro Romanzo
1899 Le tentazioni Volume di racconti
1900 Il vecchio della montagna Romanzo
1902 Dopo il divorzio Romanzo
1903 Elias Portolu Romanzo
1904 Cenere Romanzo
1905 Nostalgie
Il giuoco della vita
Romanzo
Volume di racconti
1908 L’edera Romanzo
1910 Il nostro padrone Romanzo
1911 Nel deserto Romanzo
1912 Colombi e sparvieri
L’edera

Chiaroscuro

Romanzo
Opera teatrale, in collaborazione con Camillo Antona Traversi
Volume di racconti
1913 Canne al vento Romanzo
1914 Le colpe altrui Romanzo
1915 Marianna Sirca

Il fanciullo nascosto

Romanzo pubblicato a puntate su ‘Lettura’
Volume di racconti
1918 L’incendio nell’oliveto Romanzo
1919 Il ritorno del figlio
La bambina rubata
Volume di racconti
Volume di racconti
1920 La madre Romanzo
1921 La grazia

Il segreto dell’uomo solitario
Cattive compagnie

Libretto di un’opera musicata da Vincenzo Michetti
Romanzo
Volume di racconti
1922 Il Dio dei viventi Romanzo
1923 Il flauto nel bosco Volume di racconti
1924 La danza della collana Romanzo
1925 La fuga in Egitto Romanzo
1926 Il sigillo d’amore Volume di racconti
1927 Annalena Bilsini Romanzo
1930 La casa del poeta Volume di racconti
1931 Il paese del vento Romanzo
1932 La vigna sul mare Volume di racconti
1933 Sole d’estate Volume di racconti
1934 L’argine Romanzo
1936 La chiesa della solitudine Romanzo
1937 Cosima Romanzo pubblicato postumo
1939 Il cedro del Libano Volume di racconti pubblicato postumo
 
 
 

 

Canne al vento, incipit

 

Tutto il giorno Efix, il servo delle dame Pintor, aveva lavorato a rinforzare l’argine primitivo da lui stesso costruito un po’ per volta a furia d’anni e di fatica, giù in fondo al poderetto lungo il fiume: e al cader della sera contemplava la sua opera dall’alto, seduto davanti alla capanna sotto il ciglione glauco di canne a mezza costa sulla bianca “Collina dei Colombi”.
Eccolo tutto ai suoi piedi, silenzioso e qua e là scintillante d’acque nel crepuscolo, il poderetto che Efix considerava più suo che delle sue padrone: trent’anni di possesso e di lavoro lo han fatto ben suo, e le siepi di fichi d’India che lo chiudono dall’alto in basso come due muri grigi serpeggianti di scaglione in scaglione dalla collina al fiume, gli sembrano i confini del mondo.

Cenere, incipit

 

Cadeva la notte di San Giovanni. Olì uscì dalla cantoniera biancheggiante sull’orlo dello stradale che da Nuoro conduce a Mamojada, e s’avviò pei campi. Era una ragazza quindicenne, alta e bella, con due grandi occhi felini, glauchi e un po’ obliqui, e la bocca voluttuosa il cui labbro inferiore, spaccato nel mezzo, pareva composto da due ciliegie. Dalla cuffietta rossa, legata sotto il mento sporgente, uscivano due bende di lucidi capelli neri attortigliati intorno alle orecchie: questa acconciatura ed il costume pittoresco, dalla sottana rossa e il corsettino di broccato che sosteneva il seno con due punte ricurve, davano alla fanciulla una grazia orientale. Fra le dita cerchiate di anellini di metallo, Olì recava striscie di scarlatto e nastri coi quali voleva segnare i fiori di San Giovanni, cioè i cespugli di verbasco, di timo e d’asfodelo da cogliere l’indomani all’alba per farne medicinali ed amuleti.

Fonte: Encarta

 

 

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