Il kimono rosso – Lesley Downer

Ho presentato Lesley Downer quando ho recensito L’ultima concubina, potete leggere l’articolo qui. Dato che ho amato quel libro, ho comprato a scatola chiusa Il kimono rosso, senza nemmeno leggere la trama.

 

IL KIMONO ROSSO

Lesley Downer

Piemme

Il kimono rosso

Trama

Mentre saluta il comandante Yamaguchi, suo marito, in partenza per combattere contro i ribelli allo shogun, Hana indossa il suo kimono da cerimonia; i capelli lunghi sono spalmati d’olio e raccolti in un’acconciatura ordinata come vuole la tradizione. A lei il compito di difendere e custodire la loro casa, ma quando la guerra, sempre più sanguinosa e violenta, si avvicina, Hana è in pericolo di vita e deve fuggire a Tokyo. Ad accoglierla sono i colori, i suoni e i profumi di Yoshiwara, il quartiere del piacere, e una casa per cortigiane diventa in modo imprevisto il suo rifugio. Inizialmente intenzionata a raggiungere il marito, la giovane viene in realtà a poco a poco attratta dall’atmosfera vitale del quartiere. Scoprendo dentro di sé una sensualità fino a quel momento ignorata, si trasforma in una perfetta cortigiana e assapora per la prima volta il gusto della libertà e il sottile piacere della seduzione. Ma è Yozo, un coraggioso soldato, a cambiarle definitivamente la vita. Sfuggito alla cattura dei suoi nemici, si dirige nell’unico posto in cui un uomo sa di essere al sicuro: Yoshiwara. Tra Yozo e Hana nascerà un amore appassionato su cui incomberà una minaccia, legata a un segreto nascosto dal giovane e che, una volta rivelato, rischierà di oscurare la loro felicità.

Recensione

Partiamo da una cosa fondamentale: il titolo. Perché nella versione italiana esso è stato così barbaramente modificato? Il titolo originale era The courtesan and the samurai (La cortigiana e il samurai), come vedete nella bella copertina dell’edizione inglese.

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La cortigiana e il samurai è senz’altro un titolo azzeccato per la storia. Ma Il kimono rosso? Nel libro appare un kimono rosso ma non ha rilevanza tale da giustificare il titolo del romanzo. Ma va be’, problemi della Piemme.

Come ne L’ultima concubina anche in questo libro la condizione della donna in Giappone è uno dei temi centrali. Assistiamo alla guerra civile che segue la scomparsa dello shogun. Le donne sono in una posizione ancor più svantaggiata degli uomini che combattono al fronte: rimaste sole, devono sfuggire all’esercito nemico e al contempo guadagnarsi da vivere. Molte diventano prostitute e finiscono nel Mondo fluttuante, la città dei piaceri di Yoshiwara. Un luogo che risplende di vestiti pregiati, sfavillanti accessori per capelli, quadri e pipe d’oppio. Un mondo ricco, vivace e sovraffollato, in totale contrapposizione all’oscurità del mondo vero, e che nasconde segreti e violenze.

L’autrice decide stavolta di alternare il racconto tra il vissuto dei due protagonisti, Hana e Yozo, che si conoscono solo a metà libro. Hana, nel tentativo di salvarsi, viene ingannata e venduta; Yozo, soldato al servizio della causa del nord, combatte una guerra persa in partenza.

Trovo sempre divertente, interessante, leggere nei libri di Lesley Downer le descrizioni degli stranieri da parte dei giapponesi, che vedono gli europei come barbari: alti, con i capelli di colori strani (es. biondi), nasi troppo sporgenti e modi di fare troppo gentili con le signore. Ne è un esempio in questo libro Jean Marlin, un sergente francese che combatte al fianco di Yozo, che non passa mai inosservato tra la gente del posto. Considerate che probabilmente all’epoca la statura media della popolazione giapponese era minore di quella attuale (così come per molte altre culture, come gli italiani del sud Italia, per esempio).

Il libro è denso di descrizioni evocative, apprezzabili ma che a volte prevalgono sui sentimenti; è ricco d’avventura, intrigante. Ho trovato poi affascinante il fatto che da qualche parte in quello stesso Giappone in cui Hana e Yozo sfidano il destino, vivano anche Sachi e Shinzaemon, protagonisti de L’ultima concubina.

Avrei preferito leggere la sorte di Enamoto romanzata, inclusa nel libro, invece essa ci viene spiegata dall’autrice in maniera esauriente e documentaristica nella postfazione.

Ho amato di più L’ultima concubina, sarà il fascino del primo amore? In ogni caso anche questo è un buon libro.

Valutazione:

4

Approfondimenti

Yoshiwara

Yoshiwara è stato un famoso yūkaku (quartiere a luci rosse) di Edo, l’odierna Tōkyō.

Nei primi anni del 17 ° secolo, c’era una diffusa prostituzione nelle città di Kyoto, Edo e Osaka. Per contrastare questo fenomeno, un ordine di Tokugawa Hidetada del shogunato Tokugawa limitò la prostituzione a quartieri designati. Questi distretti sono stati Shimabara di Kyōto (1640), Shinmachi per Ōsaka (1624) e Yoshiwara di Edo (1617).

Le classi sociali non sono state rigorosamente divise a Yoshiwara. Un cittadino comune con abbastanza denaro sarebbe passato come pari a un samurai. L’unico requisito per i clienti era il deposito delle armi al cancello d’ingresso della città.

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Yoshiwara divenne una forte zona commerciale. Tradizionalmente le prostitute dovevano solo indossare semplici abiti blu, ma questo è stato raramente applicato. Le cortigiane di alto rango erano spesso vestite con brillanti kimono di seta colorati e costosi ed elaborate decorazioni nei capelli. La moda era così importante in Yoshiwara che spesso ha dettato le tendenze nel resto del Giappone.

La zona fu danneggiata da un vasto incendio nel 1913, poi fu quasi spazzato via da un terremoto nel 1923. Rimase nel mondo degli affari, però, fino a quando la prostituzione fu bandita dal governo giapponese nel 1958.

Ora in Giappone la prostituzione è tecnicamente illegale. La zona conosciuta come Yoshiwara, vicino alla stazione Minowa sulla linea Hibiya , è ora conosciuta come Senzoku Yon-Cho-me e mantiene un gran numero di soaplands e altri locali di facciata per i servizi sessuali.

I peccati della geisha di Kyoto – Eric Le Nabour

Cosa leggerete questo weekend?

I PECCATI DELLA GEISHA DI KYOTO

Eric Le Nabour

Newton Compton

 

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Trama

Kyoto, 1904. Dopo il misterioso assassinio dei suoi genitori, ricchi industriali della seta, la giovanissima Myako Matsuka viene posta sotto la tutela di suo fratello Naoki. Ma quando scoppia la guerra contro i russi e Naoki parte per il fronte, spetta a lei prendere le redini dell’impresa di famiglia. È allora che Myako scopre le orribili condizioni di lavoro degli operai e non esita a mettersi dalla loro parte, disobbedendo alle raccomandazioni di suo fratello. Fiera e indipendente, Myako dovrà però presto fare i conti con l’amore: quello torbido e incontrollabile che prova per Allan Pearson, un diplomatico inglese, e quello tenero e inconfessato che invece nutre per lei Martin Fallières, un giovane esiliato francese appassionato di stampe. Torturata dal desiderio di scoprire la verità sulla morte dei genitori, lacerata da passioni d’amore contrastanti e dall’impossibilità di conciliare il dovere che ha verso la famiglia con le aspirazioni di giustizia e libertà, Myako sarà costretta a compiere scelte dolorose che, inaspettatamente, riporteranno a galla gli spettri del passato.

 

Recensione

In quasi tutti i libri c’è il personaggio “cattivo”, ma in pochi libri ho trovato un individuo detestabile alla stregua di Allan Pearson, diplomatico inglese di cui Myako, la protagonista, si invaghisce. Ho trovato pregevole l’accostamento senza pregiudizi alle tradizioni giapponesi e agli usi degli abitanti. Il fine è mostrare una cultura molto diversa dalla nostra, soprattutto all’epoca delle vicende: pochi decenni dopo l’apertura del Giappone all’ Occidente – sull’argomento ho recensito L’ultima concubina, clicca qui.

La storia è lontanissima dal titolo: la protagonista non è una geisha ma un’artista. Il titolo originale è difatti La dame de Kyoto, ossia la signora, la donna di Kyoto. Un libro carino, non straordinario.

Un libro sulla vita delle geishe è Memorie di una geisha, che ho recensito qui.

Valutazione:

3

Approfondimenti

Geisha

In Giappone, donna che esercita le arti della danza, del canto, della musica e della conversazione a scopo di intrattenimento nelle case da tè o in ricevimenti pubblici e privati. Il termine, di origine cinese, indica una persona dotata di qualità artistiche.

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Tradizionalmente, e fino a tempi relativamente recenti, la geisha iniziava la propria formazione in apposite scuole all’età di sette anni, e una volta ritenuta abile nelle diverse arti veniva ceduta dai genitori a un proprietario di locale da tè presso il quale prestava la propria opera. Qui la ragazza serviva il tè secondo l’antico cerimoniale giapponese e intratteneva gli ospiti con canzoni, danze, recitazione di poesie e conversazione gradevole. Anticamente, la prassi voleva che le ragazze fossero vendute e che non potessero mai sciogliere il vincolo che le legava al proprietario se non contraendo matrimonio. Dopo la seconda guerra mondiale, la vendita delle figlie divenne illegale e la pratica scomparve; la professione di geisha esiste ancora oggi, ed è stata riconosciuta a livello sindacale.

Fonte: Encarta

Memorie di una Geisha – Arthur Golden

Cari followers, sulla scia dell’entusiasmo scatenato in me dalla lettura de L’ultima concubina – che ho recensito qui – mi sono lanciata nelle atmosfere di Memorie di una geisha.

Memorie di una Geisha

Arthur Golden

TEA

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Trama

Circondate da un’aura di mistero, le geishe hanno sempre esercitato sugli occidentali un’attrazione quasi irresistibile. Ma chi sono in realtà queste donne? A tutte le domande che queste figure leggendarie suscitano, Arthur Golden ha risposto con un romanzo, profondamente documentato, che conserva tutta l’immediatezza e l’emozione di una storia vera. Che cosa significa essere una geisha lo apprendiamo così dalla voce di Sayuri che ci racconta la sua storia: l’infanzia, il rapimento, l’addestramento, la disciplina – tutte le vicende che, sullo sfondo del Giappone del ‘900, l’hanno condotta a diventare la geisha più famosa e ricercata. Un romanzo avvincente e toccante, coronato da uno straordinario ritratto femminile e dalla sua voce indimenticabile.

L’autore

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Arthur Golden (Chattanooga, 1956) è uno scrittore statunitense. È l’autore del romanzo Memorie di una geisha.

Biografia

Golden fu istruito alla Scuola Baylor (una scuola privata coeducazionale per studenti sia giornalieri sia collegiali), un membro della famiglia Sulzberger, proprietari del New York Times. Frequentò l’Università di Harvard e si laureò in storia dell’arte, specializzandosi nell’arte giapponese. Nel 1980 ottenne un master di arte in storia giapponese alla Columbia University ed imparò anche il cinese mandarino. Dopo un’estate all’università di Pechino, lavorò a Tokyo. Quando tornò negli Stati Uniti, prese un M.A. in inglese all’università di Boston. Vive ora a Brookline (Massachusetts), con la moglie Trudy Legee che ha sposato nel 1982 e i suoi due figli.

L’esordio letterario

Memorie di una geisha è largamente e liberamente basato sulla vita di Mineko Iwasaki (vedi approfondimento in fondo all’articolo), anche se Golden si prese qualche libertà letteraria con la sua storia, perpetuando il mito comune che le geisha sono prostitute d’élite. Nella realtà le geisha sono simili ad artiste altamente allenate, come ballerine o cantanti d’opera. Non sono in nessun modo obbligate ad allacciare relazioni sessuali con i loro clienti. Secondo Golden però sono necessarie delle relazioni sessuali con un cliente per diventare una geisha di successo. Iwasaki, comunque, fu forse la miglior geisha della sua generazione e non si dedicò a nessuna forma di prostituzione.

La denuncia

Dopo che il romanzo fu pubblicato, Arthur Golden fu denunciato dalla geisha Mineko Iwasaki con la quale lavorava, per diffamazione e violazione di contratto. Secondo la querelante, l’accordo prevedeva che Golden avrebbe dovuto mantenere l’anonimato totale su Mineko Iwasaki; invece, il suo nome ed il suo contributo sono chiaramente citati nei ringraziamenti a fondo libro. Tale condizione contrattuale era dovuta all’esistenza di un tacito accordo nella comunità delle geishe sulla riservatezza e la sua violazione è considerata un’offesa seria. Oltretutto, Iwasaki afferma che il romanzo di Golden ritraeva le geishe come prostitute d’élite. Ad esempio, nel romanzo la verginità di Sayuri viene venduta al miglior offerente, un concetto che ha particolarmente offeso Iwasaki. Lei affermò che non solo questo non le era mai successo, ma che non esisteva assolutamente una tale pratica a Gion. Basando il suo personaggio, Sayuri, su Iwasaki e implicando che lei stessa era una prostituta, Iwasaki afferma che Golden ha violato il suo accordo e causato grande disonore ed onta a lei e al mondo delle geishe. Dopo che il suo nome fu stampato sul libro, Iwasaki ha ricevuto numerose minacce di morte e richieste di censura per aver disonorato la sua professione. Nel 2003, la Iwasaki e la casa editrice di Golden sono giunti a un accordo extragiudiziale per una somma di denaro il cui ammontare non è stato reso pubblico.

Fonte: Wikipedia

La mia recensione

Un libro che si distingue subito per la bellissima ambientazione, descritta con eleganza e particolari che riportano in vita la magia di un Giappone che non c’è più. A differenza del libro L’ultima concubina – inevitabile che faccia il confronto in questo contesto, ambientato nel periodo in cui il Giappone inizia ad aprirsi all’Occidente, Memorie di una Geisha racconta una storia che si svolge negli anni Quaranta del Novecento: dunque ci troviamo in un Giappone già in parte occidentalizzato in cui il contrasto tra la cultura autoctona e quella importata dagli stranieri è palese. L’autore riesce, attraverso la descrizione dei riti e degli insegnamenti riservati alla protagonista, ad analizzare la figura delle geishe da una prospettiva diversa: sono artiste che seguono rigide regole di comportamento e sopportano sofferenze fisiche e morali. Tra il segreto mondo femminile che conosciamo ne L’ultima concubina e quello che invece incontriamo in Memorie di una Geisha ci sono solo poche differenze: in realtà concubine e geishe soffrono e sperano alla stessa maniera e vivono in un ambiente fatto di uguali segreti e tradimenti poiché ogni donna è in competizione con chi la circonda. L’intermezzo della seconda guerra mondiale è trattato marginalmente – il che mi è dispiaciuto, ma ciò probabilmente perché la protagonista si rifugia in un luogo sperduto. L’allegra isteria che accompagna l’arrivo degli americani svelle le radici del mondo segreto delle donne, solleva il velo che lo ricopriva e lo espone al mondo ai cui occhi esso appare solo come un insieme di riti stravaganti; ogni cosa perde il valore che aveva un tempo. Ma una geisha non può affondare in preda a vane speranze e deve rimanere sempre in piedi, bella e capace di conquistare un uomo con un solo sguardo.

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Dopo la lettura del libro ho visto il film e devo dire che è stato uno dei più bei film che abbia mai visto; non per niente è stato vincitore di tre premi Oscar, per la fotografia, la scenografia e i costumi. Qualche piccola differenza rispetto al libro è normale, ad ogni modo si tratta a mio parere di una delle più riuscite trasposizioni cinematografiche di un romanzo. Visione consigliata.

5

Approfondimenti

Mineko Iwasaki

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Mineko Iwasaki, all’anagrafe Masako Tanaka (Kyoto, 2 novembre 1949), è stata la più famosa geisha giapponese dei suoi tempi, fino al suo improvviso ritiro avvenuto all’età di 29 anni.
Il suo nome è diventato noto in occidente grazie al suo ruolo di informatrice del romanziere Arthur Golden per il suo Memorie di una geisha e per la controversia successivamente sorta tra i due.

Carriera come geisha

Mineko lasciò la sua casa natale a soli cinque anni per dedicarsi allo studio della danza giapponese tradizionale all’okiya (casa delle geishe) Iwasaki, nel quartiere Gion di Kyoto. Fu legalmente adottata dalla padrona dell’okiya, Madame Oima, e ne prese il cognome, Iwasaki, venendo inoltre scelta come erede della casa (atotori). All’età di quindici anni Iwasaki divenne maiko, ovvero apprendista geisha (o geiko, come vengono chiamate le geishe nel dialetto locale di Kyoto). A ventuno anni, dopo essersi fatta una reputazione come migliore danzatrice e maiko del Paese, divenne ufficialmente geisha.
Durante la sua carriera Iwasaki intrattenne numerose celebrità e esponenti politici di spicco, sia giapponesi che stranieri, come la Regina Elisabetta II e il Principe Carlo. La sua fama le procurò un vasto stuolo di ammiratori, ma anche invidie e pettegolezzi e addirittura un certo numero di aggressioni fisiche, di cui racconta ampiamente nel suo libro di memorie.
Iwasaki divenne progressivamente stanca del mondo rigidamente tradizionale delle geishe, specialmente a causa di quelle che lei vedeva come limitazioni nell’educazione, e si ritirò in giovane età, a soli 29 anni e all’apice della carriera. Iwasaki aveva sperato che questa mossa agisse come una provocazione, stimolando il mondo che ruotava attorno a Gion a scuotersi e ammodernarsi: tuttavia l’effetto più evidente causato dal suo ritiro fu il corrispondente ritiro di altre settanta geishe che desideravano emularla, tanto che nel suo libro Iwasaki si chiede se non sia anche lei stessa, involontariamente, una delle cause che hanno innescato il forte declino numerico delle geishe negli ultimi anni.
Attualmente è sposata, ha una figlia e vive nei sobborghi di Kyoto.

Mineko Iwasaki e Memorie di una geisha

Mineko Iwasaki fu una delle geishe che il romanziere Arthur Golden intervistò per il suo libro Memorie di una geisha. Secondo Iwasaki ella aveva acconsentito di fornire informazioni allo scrittore a patto che il suo coinvolgimento nel progetto rimanesse confidenziale. Tuttavia Golden rese pubblico il suo nome non solo citandolo apertamente nei ringraziamenti del suo libro, ma anche in varie interviste su giornali nazionali. Quando il romanzo fu pubblicato e riscosse un grande successo Iwasaki, si ritrovò al centro di pesanti critiche e ricevette addirittura minacce di morte per aver violato il codice di segretezza delle geishe.
Iwasaki si sentì tradita dall’uso fatto da Golden di informazioni da lei ritenute confidenziali così come dal modo in cui lo scrittore aveva rielaborato tali informazioni, e la donna dichiarò che Memorie di una geisha era un ritratto inaccurato della vera vita di una geiko. Iwasaki fu particolarmente offesa dal ritratto fornito dal libro, delle geishe come donne coinvolte in forme di prostituzione ritualizzata. Inoltre molti tratti della protagonista del romanzo sono evidentemente modellati sulla figura di Iwasaki, così come molti personaggi ed eventi risultano speculari alle loro controparti reali nella vita dell’ex-geisha, sebbene Golden abbia spesso attribuito valenze negative anche a quelle persone e avvenimenti che invece nella storia reale avevano connotazioni positive.
Iwasaki portò Golden in tribunale con l’accusa di violazione di contratto e diffamazione nel 2001. Nel 2003 un accordo stipulato privatamente tra Iwasaki e la casa editrice di Golden pose termine alla causa in cambio del versamento alla donna di una cifra di denaro non rivelata pubblicamente.

Geisha of Gion: la vera storia di Mineko Iwasaki

In seguito alla fortunata pubblicazione di Memorie di una geisha e alle meno felici vicende che ne seguirono, Iwasaki decise di scrivere lei stessa un proprio libro di memorie, in collaborazione con Rande Gail Brown.
Il libro è stato pubblicato come Geisha of Gion nel Regno Unito e come Geisha. A Life negli Stati Uniti, con un buon successo di pubblico, ed è stato in seguito pubblicato e tradotto in vari paesi. In Italia è stato pubblicato come Storia proibita di una Geisha. Una storia vera edito da Newton Compton Editori.

Fonte: Wikipedia

L’ultima concubina – Lesley Downer

Ah, che bello. Mi sento sempre così dopo aver terminato la lettura di un bel libro. Appagata e un po’ malinconica, come se fossi ritornata a casa dopo un lungo viaggio. E, nel caso di questo libro, si tratta davvero di un lungo viaggio.

L’ULTIMA CONCUBINA

Lesley Downer

Piemme

 

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Trama

Giappone, 1861. Il giorno in cui il corteo reale era passato attraverso il villaggio per scortare la futura sposa dello shogun verso il castello di Edo, la strada, di solito affollata di carri e viaggiatori, era deserta. Nella vallata non si udiva un solo rumore e tutti erano immobili, in attesa. Solo la piccola Sachi aveva infranto le regole e aveva alzato la testa verso la portantina che avanzava lungo la via. L’aveva fissata solo per un attimo, ma era stato abbastanza perché quel gesto cambiasse il corso della sua vita. Quattro anni dopo, Sachi vive ormai stabilmente a Edo. Ha seguito la principessa Kazu fin dal giorno in cui è passata nel suo villaggio e i loro occhi si sono incrociati, scambiandosi una muta promessa. Da allora è stata educata secondo le ferree regole di palazzo e adesso, compiuti i quindici anni, è pronta per essere introdotta al cospetto dello shogun. Così impone la tradizione e così deve essere: la principessa deve offrire in dono al marito una concubina, e Sachi è la prescelta.

L’autrice

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Lesley Downer nata a Londra, da madre cinese e padre canadese. Ma è il Giappone, non la Cina, il paese che ha conquistato il suo cuore: dopo averlo visitato per la prima volta nel 1978, vi si è fermata per quindici anni.Scrive regolarmente recensioni per The New York Times Book Review.Per Piemme ha già pubblicato Geisha: storia di un mondo segreto (2002), considerato uno dei libri più autorevoli sull’argomento, L’ultima concubina (2008) e Il kimono rosso (2011). Attualmente vive tra Londra e New York con il marito Arthur I. Miller.Torna spesso in Giappone.

La mia recensione

La trama del libro è, già a una prima occhiata, affascinante. Ebbene, il libro contiene molto di più . È una storia di guerra, di indipendenza, di morte, di riscatto, di onore e sopportazione. Ma più di tutto è l’ammaliante e vivido ritratto di una società antica prima dell’apertura all’Occidente. Gli usi e i costumi sono particolari per noi che siamo abituati a leggere dell’Ottocento europeo, e per certi versi sorprendenti e quasi incomprensibili. Il libro focalizza l’attenzione sull’importanza del dovere, difatti le persone agivano in base a ciò che si doveva fare, senza pensare se fosse giusto o sbagliato, senza cercare un’alternativa; e sulla condizione delle donne, costrette a essere sottomesse agli uomini e non avere opinioni, a tenere segrete le proprie emozioni quando queste non fossero state del tutto piegate alla rigida imperturbabilità imposta dall’etichetta. Le donne rappresentavano sovente merce di scambio, un modo per gli uomini di famiglia di giungere a particolari privilegi – e questo l’ho trovato anche in Ritratto di donna in cremisi, che ho recensito qui, forse unico elemento di collegamento tra le due lontanissime società. A quei tempi il Giappone era un mondo chiuso, a sé stante, tant’è che la popolazione non aveva neanche idea dell’esistenza dei barbari – europei – e, quando ne vedeva uno, data l’alta statura e i tratti del viso più marcati rispetto agli orientali, lo scambiava per demone. Basti pensare che la protagonista, avendo a che fare con un inglese, rimane sbigottita dalle maniere cortesi di lui che secondo lei si comporta con le donne come un servo, privo della caratteristica indifferenza o durezza dei samurai. Da non dimenticare che le donne qui sono esperte di combattimento, non certo le delicate gentildonne vittoriane.

Le intricate vicende che riguardano i natali di Sachi, ci rivelano con accuratezza la vita della povera gente di montagna ma anche quella, rigida e per certi versi tiranna, delle dame di alto rango. Gli straordinari scenari in cui la storia si esplica mostrano un mondo magico, incontaminato, con il sapore vero della natura popolata tra l’altro da piante e alberi cui non siamo abituati per esempio nelle zone con clima mediterraneo. In un romanzo dal sapore esotico si avvicendano personaggi diversi abilmente tratteggiati in poche pennellate, tra i quali inevitabilmente spiccano l’indipendente Sachi e lo sfuggente Shinzaemon. Il loro legame è ben lontano da quello fisico e vissuto di cui siamo abituati a leggere nei romanzi con ambientazione occidentale: si tratta di un rapporto innocente che non ha bisogno di essere espresso a parole, che conta solo sulla memoria di qualche stretta di mano e forse per questo più vero, legato profondamente all’anima. Un romanzo epico, avventuroso, dall’ambientazione grandiosa. Una lettura che non può mancare nella libreria degli amanti della storia o delle culture orientali.

Valutazione:

5+

Vendetta, coraggio, amore e leggende giapponesi: “Onislayer” di Barbara Schaer

Chi mi segue anche su facebook avrà letto qualche giorno fa che iniziando la lettura di un fantasy “puro” – mondi inventati, spade magiche, draghi, orchi – non sono riuscita a continuare poiché non è proprio il mio genere. Ho deciso allora di provare con qualcos’altro che restasse in tema e mi sono avventurata verso l’urban fantasy, sottogenere che mi è meno alieno e di cui qualche volta ho trovato libri piacevoli. Stavolta le mie aspettative non sono state deluse, anzi abbondantemente superate.

ONISLAYER

Barbara Schaer

Amazon Kindle

 

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Trama

 

Per difendersi dalla maledizione che li perseguita da centinaia di anni gli Eredi degli antichi clan giapponesi vivono segretamente a Fairport, stato di Washington, combattendo una guerra silenziosa contro i demoni Oni, e proteggendo il vincolo della Coppia Eletta che tiene il feroce Oda Nobunaga prigioniero negli Inferi.
Jin McDowell è il Nobunaga scelto per suggellare il nuovo vincolo e per farlo deve sposare Asami Williams, la Mitsuhide che gli è stata destinata, l’unica donna che abbia mai amato. Ma Asami è fuggita mettendo in pericolo gli Eredi e spezzandogli il cuore.
Sullo sfondo di una guerra senza fine, Jin e Asami si ritroveranno di nuovo insieme, ma nulla sarà più uguale a prima. Animata da una fredda e letale sete di vendetta Asami coinvolgerà Jin nella sua battaglia personale, e in un mondo dove nulla è ciò che sembra, fra travolgenti passioni, tradimenti, e oscure profezie, scopriranno che nonostante tutto il dolore che li ha divisi, l’amore che un tempo li legava non è andato completamente perduto.

L’autrice

 

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Barbara Schaer, 30 anni, vive a Genova da sempre, da qualche anno con suo marito e lavora come consulente informatico. Nonostante l’indirizzo scientifico degli studi che ha seguito, leggere (qualunque genere, specialmente il fantasy) e scrivere sono da sempre le sue più grandi passioni, alle quali cerca di dedicare tutto il tempo libero a sua disposizione. Il suo primo romanzo, Alis Grave Nil, è stato autopubblicato a maggio 2012.

La mia recensione

 

Dico subito che, assieme a La stella di Giada di Stefania Bernardo – che ho recensito qui -, Onislayer è uno dei libri che ho apprezzato di più in assoluto. Chi segue il blog sa bene che ne leggo almeno un paio alla settimana, quindi giudicate voi il valore di questa affermazione. E il fatto che si tratta di autrici non famose la dice lunga sull’andamento delle scelte della grande editoria – vedi recensione di Io e te di Ammaniti, qui.
Ciò che mi ha catturata nelle prime pagine e che mi ha indotta ad acquistare l’ebook per proseguire la lettura è stato lo stile: sagace, sicuro, consapevole e adatto alla storia, contribuisce a mantenere serrato il ritmo delle azioni e a far comprendere appieno le emozioni dei personaggi. Uno stile così avveduto è per la sottoscritta – in verità un po’ fissata su questo aspetto – un grande punto a favore. Poche volte abbandono libri ma la maggior parte delle volte è successo perché lo stile era soporifero, per niente accattivante, perlomeno per le mie preferenze.
Parliamo della trama. La storia di Onislayer è valida, intrigante, mai banale, articolata e ben costruita. Ricca di colpi di scena, le componenti fantasy non sono esagerate e – forse questa una cosa che me l’ha fatta apprezzare di più a causa della mia inesauribile passione per la storia e le tradizioni – ispirate al folclore giapponese (vedi approfondimento in fondo all’articolo). In alcuni capitoli le vicende assumono le caratteristiche del thriller, in altri quelle dell’horror, in altri ancora diventano romantiche in maniera nient’affatto scontata o melensa. L’erotismo che serpeggia in alcune scene – talvolta piuttosto crude – non è mai volgare, anzi, diventa sovente appassionato e struggente. L’amore è un sentimento importante ma non quello predominante in un caleidoscopio di sentimenti in cui brillano il coraggio, l’amicizia, la vendetta.
I personaggi sono numerosi e anche quelli secondari appaiono vividi, realistici, differenti l’uno dall’altro, originali, credibili. Ognuno ha la propria storia, la quale incide sulla trama principale, il che è una caratteristica di non poco conto.
Ogni tanto si incontra qualche errore di distrazione o la ripetizione di qualche termine, ma nulla che mini la qualità del testo o la scorrevolezza della lettura. In definitiva un libro che tiene con il fiato sospeso, che fa emozionare e anche contorcere lo stomaco. Consigliatissimo.

Valutazione:

5+

Approfondimenti

 

Vediamo di chiarire un po’ di termini che si incontrano già nella trama e altri che si trovano nel libro, per calarci nell’atmosfera di Onislayer.

Oni

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Gli oni sono creature mitologiche del folklore giapponese, simili ai demoni e agli orchi occidentali. Sono personaggi popolari dell’arte, della letteratura e del teatro giapponesi.

I ritratti degli oni variano notevolmente tra loro, ma normalmente vengono descritti come creature giganti e mostruose, con artigli taglienti, capelli selvaggi e due lunghe corna.
Sono fondamentalmente umanoidi, ma occasionalmente sono ritratti con caratteristiche innaturali, come molti occhi o dita delle mani e dei piedi extra. La loro pelle può essere di colori diversi, ma quelli più comuni sono rosso, blu, nero, rosa e verde. Il loro aspetto feroce viene spesso accentuato dalla pelle di tigre che tendono ad indossare e dalla mazza ferrata da loro favorita, detta kanabō. Questo modo di immaginarli ha generato l’espressione oni con la mazza ferrata, cioè “invincibile” o “imbattibile”. Può anche essere usata nel senso di “forte oltre i forti” o in quello di migliorare o incrementare le proprie capacità naturali mediante l’uso di un attrezzo.

Nelle prime leggende gli oni erano creature benevole ritenute capaci di tenere alla larga spiriti maligni, malvagi e malevoli e di punire i malfattori.
Durante l’era Heian il Buddhismo giapponese, che aveva già importato una parte della demonologia indiana (rappresentata da figure come i kuhanda, gaki e altri), incorporò queste credenze chiamando queste creature aka-oni (“oni rosso”) e ao-oni (“oni blu”) e facendone i guardiani dell’inferno o torturatori delle anime dannate. Alcune di queste creature erano riconosciute come incarnazioni di spiriti shinto.
Con il passare del tempo la forte associazione degli oni con il male contagiò il modo in cui venivano percepite queste creature e vennero considerate come portatori o agenti delle calamità. I racconti popolari e teatrali iniziarono a descriverli come bruti stupidi e sadici, felici di distruggere. Si disse che gli stranieri e i barbari fossero oni. Oggigiorno sono variamente descritti come spiriti dei morti, della terra, degli antenati, della vendetta, della pestilenza o della carestia. Non importa quale sia la loro essenza, gli oni odierni sono qualcosa da evitare e da tenere a bada.
Fin dal X secolo gli oni sono stati fortemente associati con il nord-est (kimon), particolarmente nella tradizione detta onmyōdō di origine cinese. I templi sono spesso orientati verso questa direzione per prevenirne gli influssi nefasti e molti edifici giapponesi hanno indentazioni a forma di “L” in questa direzione per tenere lontani gli oni. I templi Enryakuji, sul Monte Hiei a nord-est del centro di Kyōto e Kaneiji, che erano collocati a nord-est delle dimore imperiali, ne sono un esempio. La capitale giapponese stessa fu spostata verso nord-est da Nagaoka a Kyōto nell’VIII secolo.
Alcuni villaggi tengono cerimonie annuali per tenere lontani gli oni, specialmente all’inizio della primavera. Durante la festa del Setsubun la gente scaglia fagioli di soia fuori dalle case gridando «Oni wa soto! Fuku wa uchi!» (“Oni fuori! Fortuna dentro!”). Secondo un’altra tradizione di origine taoista si ritiene che alcuni oni possano fare delazioni alle divinità sui peccati dell’uomo, perciò la nota rappresentazione delle tre scimmie che «non vedono, non sentono e non parlano» (con un gioco di parole in giapponese: «mizaru, kikazaru, iwazaru») ha valore talismanico perché impedirebbe a questi spiriti di agire malevolmente. Rimangono comunque alcune vestigia dell’antica natura benevola degli oni. Per esempio uomini in costume da oni conducono spesso le parate giapponesi per tenere lontana la sfortuna. Gli edifici giapponesi a volte includono tegole del tetto con la faccia da oni per tenere lontana la sfortuna, in maniera simile alle gargouille della tradizione occidentale. Nella versione giapponese del gioco nascondino il giocatore che sta sotto è invece chiamato “l’oni”.

Le radici storiche degli oni

È stato ipotizzato che gli oni non siano altro che una trasposizione degli Ainu, antica popolazione europoide del nord del Giappone, che tuttora sopravvive nell’isola settentrionale di Hokkaidō. Si sa che i giapponesi consideravano gli Ainu esseri animaleschi a causa delle caratteristiche fisiche differenti e della forte pelosità, che ancora oggi manifestano. Nelle leggende infine gli oni furono sconfitti, un’eco nell’iconografia popolare delle guerre di sterminio che i giapponesi condussero per secoli contro gli Ainu.

Nella cultura moderna

Nel Giappone contemporaneo gli oni sono, ormai, solo i protagonisti delle filastrocche per bambini e delle storie folkloristiche.
Nella letteratura, e in particolare negli anime e nei manga, essi hanno assunto un ruolo molto importante e diverse opere li hanno come protagonisti principali o secondari; tra questi è da ricordare la vicenda de Il sigillo azzurro (1991-1994) della mangaka Chie Shinohara. Un altro manga dedicato agli oni è Shutendoji di Go Nagai. Il titolo dell’opera rimanda alla leggenda di un oni dallo stesso nome, anche se scritto con caratteri diversi, ma omofoni.

Oda Nobunaga

 

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Oda Nobunaga (Owari, 1534 – Kyoto, 1582) fu un signore feudale giapponese che avviò la riunificazione del paese, lacerato dalle guerre tra i daimyo durante il cosiddetto periodo sengoku (o “degli stati combattenti”, 1467-1568).

Signore di Nagoya nella provincia di Owari, grazie a una serie di brillanti vittorie sui clan rivali riuscì a ottenere il controllo quasi totale della regione di Kyoto, conquistata definitivamente nel 1568. Per punire la resistenza opposta alla sua azione da alcune sette buddhiste, distrusse il grande monastero Tendai di Enryakuji nel 1571, massacrandone gli occupanti. Due anni dopo depose l’ultimo shogun della famiglia Ashikaga e, con la resa dell’ultimo monastero-fortezza di Osaka (1580), divenne signore di tutto il Giappone centrale. Una nuova violenta ribellione gli impedì di completare l’unificazione del paese, che fu portata a termine dal suo generale Toyotomi Hideyoshi.

Non si sa cosa accadde a Nobunaga nelle sue ultime ore di vita; probabilmente lui e il suo attendente Mori Ranmaru compirono seppuku. I suoi resti non furono mai ritrovati dando adito a una vasta gamma di leggende popolari.

Seppuku

 

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Seppuku è un termine giapponese che indica un rituale per il suicidio in uso tra i samurai.

Il seppuku veniva eseguito, secondo un rituale rigidamente codificato, come espiazione di una colpa commessa o come mezzo per sfuggire a una morte disonorevole per mano dei nemici. Un elemento fondamentale per la comprensione di questo rituale è il seguente: si riteneva che il ventre fosse la sede dell’anima, e pertanto il significato simbolico era quello di mostrare agli astanti la propria anima priva di colpe in tutta la sua purezza. Il taglio doveva essere eseguito da sinistra verso destra e poi verso l’alto. La posizione doveva essere quella classica giapponese detta seiza cioè in ginocchio con le punte dei piedi rivolte all’indietro; ciò aveva anche la funzione d’impedire che il corpo cadesse all’indietro, infatti il guerriero doveva morire sempre cadendo onorevolmente in avanti. Per preservare ancora di più l’onore del samurai, un fidato compagno, chiamato kaishakunin, previa promessa all’amico, decapitava il samurai appena egli si era inferto la ferita all’addome, per fare in modo che il dolore non gli sfigurasse il volto.

Shogun

 

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Dittatori militari che governarono il Giappone tra il 1192 e il 1867. Il titolo di shogun (letteralmente “comandante in capo contro i barbari”) fu usato per la prima volta nel periodo Nara (710-794), quando fu conferito ai generali inviati a combattere contro le tribù ribelli della zona nordorientale del paese.

Fu quindi riutilizzato dal ribelle Minamoto Yoshinaka quando conquistò la capitale Kyoto e sottomise l’autorità imperiale (1183); alla morte di questi, nel 1192, l’imperatore insignì del titolo di shogun il suo difensore Minamoto Yoritomo, cui delegò di fatto il potere, riconoscendogli il diritto di eliminare chiunque attentasse alla pace del paese e di nominare gli ufficiali addetti al controllo delle province. Il capo del clan Minamoto ottenne il titolo di shogun a vita e lo trasmise ai suoi discendenti, mentre all’imperatore non rimase che il rango di guida spirituale del paese. Il dominio dei Minamoto è conosciuto come “epoca Kamakura”, dal nome della città in cui Yoritomo stabilì la sede del governo.

Alla morte di Yoritomo (1199) il controllo del paese passò alla potente famiglia degli Hojo, che lo governarono in qualità di reggenti fino alla restaurazione dell’autorità imperiale operata fra il 1333 e il 1336 da Go-Daigo. L’autorità degli shogun fu restaurata dagli Ashikaga, che governarono dapprima in alleanza con i daimyo locali, quindi entrando in conflitto con loro (1470). L’ultimo shogun Ashikaga abdicò nel 1588, privo ormai di reale autorità, passata nelle mani dei potenti signori locali Oda Nobunaga e Toyotomi Hideyoshi.

Tokugawa Ieyasu riassunse il titolo nel 1603, dando inizio allo shogunato Tokugawa o “epoca Edo” (dal nome della città, l’odierna Tokyo, in cui venne trasferita la capitale), che continuò sino al 1867, quando con la restaurazione Meiji fu definitivamente abolita la carica e fu ristabilito il governo diretto dell’imperatore.

Omamori

 

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Gli omamori sono amuleti giapponesi dedicati sia a particolari divinità Shinto, che a icone Buddiste. La parola giapponese mamori significa protezione, mentre il prefisso onorifico o- da alla parola un significato movente verso l’esterno, quindi andando a significare “tua protezione”.

La copertura dell’amuleto è fatta solitamente con stoffa e racchiude al suo interno una preghiera scritta su un foglio di carta o un pezzo di legno. Si suppone che la preghiera sia di buon auspicio per il portatore in particolari occasioni, compiti o prove. Gli omamori sono anche utilizzati per scongiurare la sfortuna e vengono spesso legati alle borse, appesi ai cellulari, nelle automobili. L’aspetto degli omamori può variare a seconda del luogo in cui sono stati fatti.
Spesso su un lato dell’omamori è specificata l’area di fortuna o di protezione a cui sono destinati e, sull’altro lato, il nome del santuario o del tempio in cui sono prodotti. Esistono omamori generici, ma la maggior parte ha un funzione unica: salute, amore o studio, per citarne qualcuna.
Si dice che l’omamori non dovrebbe mai essere aperto, pena la perdita della loro capacità di protezione. La validità dell’omamori è di un solo anno, dopo di che dovrebbe essere restituito al santuario o tempio in modo che possa essere smaltito correttamente.

Fonti: Encarta, Wikipedia