Rita Hayworth e la redenzione di Shawshank

Ciao a tutti.Questa volta parliamo di un racconto di Stephen King che fa parte della raccolta Stagioni diverse.

 

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L’autore

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Stephen Edwin King (Portland, 21 settembre 1947) è uno scrittore, sceneggiatore, regista e attore statunitense, uno dei più celebri autori di letteratura fantastica, in particolare horror, dell’ultimo quarto del XX secolo.

Scrittore notoriamente prolifico, nel corso della sua fortunata carriera, iniziata nel 1974 con Carrie, ha pubblicato oltre ottanta opere, fra romanzi e antologie di racconti, entrate regolarmente nella classifica dei bestseller, vendendo complessivamente più di 500 milioni di copie.

Buona parte delle sue storie ha avuto trasposizioni cinematografiche o televisive, anche per mano di autori importanti quali Stanley Kubrick, John Carpenter, Brian De Palma, J. J. Abrams, David Cronenberg, Rob Reiner, Lawrence Kasdan, Frank Darabont, Taylor Hackford e George A. Romero. Pochi autori letterari – a parte William Shakespeare, Agatha Christie e Arthur Conan Doyle – hanno avuto un numero paragonabile di adattamenti.

A lungo sottostimato dalla critica letteraria, tanto da essere definito in maniera dispregiativa su Time Magazine «maestro della prosa post-alfabetizzata», a partire dagli anni novanta è cominciata una progressiva rivalutazione nei suoi confronti. Per il suo enorme successo popolare e per la straordinaria capacità di raccontare l’infanzia nei propri romanzi è stato paragonato a Charles Dickens, un paragone che lui stesso, nella prefazione a Il miglio verde, pubblicato a puntate alla maniera di Dickens, ha sostenuto essere più adeguato per autori come John Irving o Salman Rushdie.

Fa parte del gruppo musicale composto unicamente da scrittori chiamato Rock Bottom Remainders.

 

 

Recensione

 

Qui dentro siamo tutti innocenti.

Red

Il primo scritto di King che leggo, che ha tra l’altro ispirato il film Le ali della libertà (film del 1994 diretto Frank Darabont). Non ho mai letto di questo autore forse perché ho sempre prediletto gli storici e i classici. Da poco però ho ricevuto in dono una raccolta di racconti di King e mi ci sono avvicinata con entusiasmo.
Questo è un racconto particolare. Siamo nella prigione di Shawshank, nel Maine: la narrazione in prima persona è a opera di Red, un uomo finito in carcere per aver sabotato i freni dell’auto della moglie con lo scopo di intascare l’assicurazione. Nelle mura penitenziarie egli è noto come “colui che procura la roba”.
Red comincia a raccontare dal 1947, anno in cui arriva “nella felice famigliola” del carcere Andy Dufresne. Andy è stato condannato per l’omicidio di sua moglie e del di lei amante. Si dimostra, nella vita dura del carcere (descritta nei minimi particolari e tuttavia in maniera mai noiosa), di una calma quasi irreale, arguto e imperturbabile nell’avere a che fare con secondini o detenuti attaccabrighe. Andy ha la passione dei minerali e proprio quella lo porterà a fare amicizia con Red, al quale chiede di procurare un martelletto con cui modellare le pietruzze del cortile.
In questo racconto l’abilità dell’autore sta certamente nella scelta del punto di vista (Red racconta ciò che ha visto ma anche ciò che ha sentito e come, perfettamente in linea con le dinamiche sociali nelle carceri americane dell’epoca) e nel fatto che da un certo punto della storia, molte cose lette precedentemente su Andy comincino ad avere tutt’altro senso.
Il ritmo è piuttosto lento per una buona metà del racconto, allorché subisce una brusca accelerazione che fa salire le aspettative, la curiosità e l’ansia. Nello svelare la verità l’autore è veramente un maestro: per niente banale, con il carico adeguato di suspense e passaggi che sono colpi di genio.
Rita Hayworth, citata nel titolo e reincarnata nel racconto attraverso un poster appeso nella cella di Andy, rappresenta la sete di libertà, la speranza, la resilienza e la perseveranza.
Da non sottovalutare è la componente umana. I personaggi hanno uno spessore psicologico tale da sembrare reali, perfettamente credibili e ben calati nei ruoli creati per loro da un autore che non usa alcuna forzatura per far funzionare il tutto.
Un racconto che da spazio ai sentimenti umani più semplici, dalla paura al desiderio di vita, ma anche al perdono.
Lettura consigliata a chi già conosce King ma anche a chi vuole approcciarvisi per la prima volta.

La spada di Allah – Francesca Rossi

Cari followers,

oggi vi parlo di un racconto dall’ambientazione storica e spaziale particolare e affascinante.

LA SPADA DI ALLAH

Francesca Rossi

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Trama

Cosa sarebbe accaduto se l’Impero Ottomano avesse conquistato Vienna, in quel fatidico 11 settembre 1683, quale sarebbe stato il destino del mondo? 9 settembre 1683. L’esercito ottomano tiene sotto assedio Vienna, la “Mela d’Oro”, deciso a conquistarla e a penetrare, attraverso essa, nel cuore dell’Europa. Alla battaglia decisiva, da cui dipenderà il corso della Storia, mancano ormai poche ore. Il sultano, però, non è ancora sicuro di voler scatenare una guerra. Il suo prudente piano politico è in aperto contrasto con quello del suo consigliere Ibrahim, in realtà un jinn mosso dalla sfrenata ambizione e dalla sete di potere. Quest’ultimo riesce, grazie ai suoi poteri e all’alleanza con Sharif, il crudele figlio del sultano, a prendere in mano le sorti della Sublime Porta e della battaglia di Vienna, portando l’Islam a dominare il mondo. Si apre un’epoca di crudeltà ed incertezza, poiché il messaggio della religione musulmana viene traviato e modellato sulla ferocia dei nuovi padroni. Solo un’arma può uccidere il potente jinn Ibrahim: la spada di Allah. Impossessarsene, però, è un’impresa impossibile. Sarà il coraggioso Abdallah a rischiare la vita per salvare la sua amata Noor, vittima degli incantesimi di Ibrahim e liberare il mondo dall’oppressione, ristabilendo la pace ed il vero messaggio dell’Islam. Per riuscirci, però, dovrà fare i conti con la sua coscienza…

L’autrice

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Francesca Rossi è nata a Roma nell’aprile del 1984. Dopo la laurea in Lingue e Civiltà Orientali (curriculum di lingua e letteratura araba) a La Sapienza di Roma, si è trasferita ad Alessandria d’Egitto, per approfondire lo studio della lingua araba e della cultura arabo-islamica. Attualmente sta per specializzarsi nel corso di Lingue e Civiltà Orientali (laurea magistrale) a La Sapienza. Collabora con alcune riviste online tra cui Egittologia.net, Frontiere News e Taus Oriental Magazine, dedicata alla danza del ventre. È membro della Società delle Letterate. Ha creato e gestisce il blog dedicato al mondo arabo-islamico “La Mano di Fatima”, il sito dedicato all’eroina francese Angelica, la Marchesa degli Angeli ed il blog dedicato alle donne che hanno fatto la Storia “Divine Ribelli”.

La mia recensione

La spada di Allah è un racconto appassionante, anzi direi che è proprio un peccato che sia un racconto perché è finito troppo presto. Le atmosfere descritte sono affascinanti, vive, intrise del profumo di terre lontane e calde ricche di veli e magia. È proprio la magia che sta alla base delle vicende, che assieme all’avidità guida il nemico dei protagonisti. La storia, l’amore, la vendetta, il coraggio fanno da padroni. Lo stile è pulito e il registro adeguato all’ambientazione, con l’uso specifico di termini legati alla tradizione musulmana. L’idea di cambiare le sorti di una battaglia che segnò il destino dell’Europa è originale e getta una luce diversa sulla cultura islamica che in generale noi occidentali conosciamo solo superficialmente e con grandi pregiudizi.

Valutazione:

5

Intervista all’autrice

Ciao Francesca, benvenuta.

Grazie a te per avermi invitata.

  • Parliamo un po’ di te. Dalla tua biografia leggiamo che sei laureata in Lingue e Civiltà Orientali e hai addirittura vissuto ad Alessandria d’Egitto. Anch’io ho viaggiato più volte in alcuni Paesi arabi e sono rimasta affascinata da una cultura così vicina eppure diversa dalla nostra. Ma la tua passione va senz’altro oltre questo accostamento superficiale. Ricordi quando è nato l’amore per la cultura araba? È scaturito da qualcosa in particolare?

Non saprei individuare un momento esatto e nemmeno un periodo della mia vita in cui è iniziato questo grande amore per la cultura arabo-islamica. Ce l’ho da quando ho memoria, me lo porto dentro da sempre. Mi ha accompagnato fino a che non ho deciso di renderlo il mio percorso di studi e, dunque, la mia vita. Ricordo che, quando ero molto piccola, mia madre amava vedere film come “Sahara” o “Lawrence d’Arabia”. Può darsi che anche queste pellicole abbiano avuto una certa influenza verso di me, ma la scintilla c’era già, perché rammento che adoravo guardarli anche io e nient’altro esisteva in quei momenti.

  • La Mano di Fatima è il tuo blog dedicato al mondo arabo e islamico. Prendendo in considerazione la tua esperienza di gestione del blog, trovi che l’approccio virtuale possa indirizzare più facilmente le persone verso la conoscenza reale di ciò che è la cultura araba, in modo totalmente slegato da quello pregiudizievole che propinano i mass media?

Penso che gli strumenti in genere, i blog, i giornali di carta oppure online, lo stesso Internet, siano straordinari, ma non possano essere definiti a priori “buoni” o “cattivi”. Dipende dall’uso che se ne fa. Certo, un blog utilizza un linguaggio diverso, per certi versi più immediato e breve rispetto a un saggio, per ragioni tecniche, però se le informazioni contenute sono inesatte, sbagliate e/o tendenziose persino il blog può essere inutile se non addirittura dannoso. Per questo bisogna sempre scrivere dopo aver verificato le fonti, riportando fatti e opinioni senza schierarsi o, almeno, se si vuole rendere pubblico il proprio pensiero, bisogna distaccarlo da ciò che è l’oggetto dello studio. Il lettore deve capire bene dove finiscono i dati, le nozioni, le notizie e comincia il parere personale. Per fare tutto ciò occorre leggere tanto, informarsi, aggiornarsi di continuo.

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  • Un altro tuo blog è dedicato all’eroina francese Angelica, la Marchesa degli Angeli. Confesso di essere assolutamente ignorante a riguardo, ti va di parlarne?

Angelica la Marchesa degli Angeli è la celebre eroina letteraria francese di Anne e Serge Golon, ingiustamente dimenticata dal cinema, dalla televisione e molto spesso osteggiata dalla critica. La serie di romanzi di Angelica, invece, ha tutto: stile accattivante, eccellente ricostruzione storica, personaggi ben delineati, amore, avventura, passione, intrighi, politica. L’ambientazione varia dalla Francia di Luigi XIV al Marocco fino al Nuovo Mondo, sfondi eccezionali per raccontare la vita di una donna bellissima e coraggiosa e del suo amore travagliato per il conte di Peyrac, marito prima imposto e poi, col tempo, perdutamente amato.
Negli anni Sessanta vennero tratti dai romanzi anche dei film di grande successo, diretti da Bernard Borderie. Sarebbe meraviglioso se le case editrici italiane si ricordassero di Angelica e decidessero di ripubblicarne, per intero, la saga. Angelica è, per me, fonte di ispirazione continua, (mi basta anche solo ascoltare un brano della colonna sonora) come anche i romanzi di Emilio Salgari e di tanti altri bravissimi autori.

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  • Infine gestisci il blog Divine Ribelli, dedicato alle donne che hanno cambiato il volto della Storia. Quest’ultimo lo conosco bene poiché ha ospitato una tua recensione su Tregua nell’ambra. Apprezzo molto il tuo amore per la storia e l’amore che metti nel condividerlo con gli altri. Le nuove generazioni hanno assolutamente bisogno di conoscere il passato e i suoi personaggi, ciò che è stato e perché, poiché credo che in questo modo si gettino le basi per costruire un futuro migliore. Secondo te nella formazione scolastica oggi offerta ai giovani si tratta in maniera adeguata un aspetto così importante dell’umanità? Oppure bisognerebbe adottare un approccio più approfondito, magari anche “diverso”, meno accademico e più vissuto? La presa di coscienza del nostro passato secondo te è utile nello sviluppo di menti capaci di pensare da sole e in grado di cambiare il mondo?

Non ci può essere futuro senza la conoscenza del passato. La Storia non è solo ricordare fatti e date. È riviverli con i protagonisti e non solo. Però, per far questo, serve collaborazione da entrambe le parti: gli insegnanti dovrebbero coinvolgere di più gli studenti, far sentire gli uomini del passato non figure irraggiungibili, positive o negative che siano, coperte di polvere e secoli, ma uomini che hanno condizionato, nel bene o nel male, le nostre vite. I giovani dovrebbero capire le cause e le conseguenze degli avvenimenti storici, le relazioni internazionali e la geopolitica. Non è facile, anche per una questione di tempo, per questo andrebbero spinti, invogliati a saperne di più anche da soli.Ci sono moltissimi personaggi storici considerati, ancora oggi, meno importanti, quasi “non degni” dell’attenzione di studiosi e allievi. Molti, purtroppo, sono proprio donne. La Storia, invece, dobbiamo ricordarlo se vogliamo davvero essere obiettivi, è fatta sia di uomini che di donne, intellettuali, guerriere, regine, principesse, maghe e popolane. E non solo: la Storia dell’umanità è passata anche attraverso le alcove, che lo accettiamo o no. Seduzione e potere, spesso, sono andati a braccetto. 

Insomma, la Storia è la nostra identità, non solo il nostro passato.

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  • Parliamo adesso del racconto La spada di Allah. Come è nata l’idea di scrivere un esito alternativo alla battaglia dell’11 settembre 1683?

La casa editrice “La Mela Avvelenata” lanciò il progetto “Sine Tempore”, dedicato proprio alle ucronie e mi invitò a partecipare. Mi venne subito in mente di scrivere qualcosa sull’assedio di Vienna del 1683, perché è un avvenimento quasi dimenticato (non dagli studiosi però), eppure, se avesse vinto l’esercito ottomano, le nostre vite sarebbero cambiate completamente. Non è da sottovalutare e, infatti, la sconfitta dei turchi segnò per sempre l’Islam. Entrambi gli schieramenti erano esausti, decimati dalle malattie e la vittoria per nulla scontata.

  • C’è molta magia nel tuo racconto. Credi che alcuni aneddoti che ci giungono dal passato e che riguardano proprio l’uso delle arti magiche o la presenza di creature spirituali o demoniache abbiano un fondo di verità?

A dire il vero io non credo alla magia, sono un tipo più razionale, ma credo comunque che esista qualcosa che è più grande di noi e che non sappiamo spiegarci. Diciamo che ci sono cose su cui “sospendo il giudizio” e su cui attendo una verità, pur sapendo che, molto probabilmente, non l’avrò mai.

  • Mi sono piaciuti molto i personaggi di Abdallah e Noor. Sono personaggi realmente esistiti?

No, sono frutto di fantasia. I personaggi realmente esistiti sono Kara Mustafa e Mehmed IV. Però, nonostante questo, tutti i miei personaggi traggono ispirazione da persone che conosco, o che incontro, o di cui leggo sui giornali o vedo alla televisione. Basta una scintilla, qualcosa che mi colpisce, un tratto che caratterizza l’essere umano, come l’ambizione, o la generosità.

  • Hai voluto lanciare un messaggio particolare attraverso le righe del tuo racconto?

L’ambizione sfrenata non ci fa stare meglio, ma ci trascina in una spirale da cui, poi, è difficile uscire. Allo stesso modo i fondamentalismi, che sono nocivi, ci imprigionano, impedendoci di pensare e agire liberamente.
Dobbiamo sempre sforzarci di pensare con la nostra testa, di sfidare noi stessi per diventare, giorno dopo giorno, persone migliori, proprio come fa Abdallah quando, per rendersi degno della Spada di Allah e salvare Noor e il mondo, decidere di “scavarsi dentro”, tra le cose che fino a quel momento aveva taciuto perfino a se stesso.

  • So che presto potremo leggere qualcos’altro di tuo. Puoi anticiparci qualcosa?

In ottobre uscirà un romance storico, per La Mela Avvelenata, ambientato durante la Rivoluzione russa. La storia di un amore impossibile e di una donna che cerca l’indipendenza. Verrà pubblicato prima uno spin off, dal titolo “La Presa del Potere” e poi il romanzo, “Il Palazzo d’Inverno”.
Inoltre sono in fase di ricerca storica per il prossimo che ho in mente e sto scrivendo una nuova storia. Incrocio le dita e speriamo bene.

Grazie per essere stata con noi e buona scrittura.

Grazie a te!

Il ballo – Irène Némirovsky

Salve followers, parliamo oggi di uno dei volumetti a 0,99 cent editi da Newton Compton. Sono sicura che la maggior parte di voi ha sentito parlare di questa iniziativa, io l’ho particolarmente apprezzata. Perché? Oltre al motivo che salta subito all’occhio e cioè il basso costo dei libricini, c’è anche un altro aspetto scaturito proprio dal primo: grazie infatti ai 0,99 cent c’è stata una buona accoglienza nel pubblico e, trattandosi perlopiù di classici, si è aumentata la diffusione di questo genere che per esempio le giovani generazioni scansano a priori. Ma ora veniamo a noi.

Il ballo

Irène Némirovsky

Newton Compton

 

L’autrice

 

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Irène (vero nome Irma Irina) Némirovsky, figlia di un ricco banchiere ebreo ucraino – Leonid Borisovitch Némirovsky (1868-1932) e di Anna Margoulis (1887-1989) -, venne allevata dalla sua governante francese Zezelle, che fece del francese quasi la sua seconda lingua madre, dal momento che la madre di Irene non fu mai interessata alla sua educazione. Imparerà poi sia il russo che l’inglese. Nel 1913 la famiglia ottenne il permesso di trasferirsi a San Pietroburgo, che diventerà poi Pietrogrado. Nel gennaio del 1918, i Soviet misero una taglia sulla testa del padre e la famiglia fu costretta a scappare (si travestirono da contadini) evitando la Rivoluzione Russa. Trascorse poi un anno in Finlandia e un anno in Svezia. Nel luglio del 1919 i Némirovsky si trasferirono in Francia dopo un avventuroso viaggio su di una nave. A Parigi, Irène Némirovsky andò a vivere in un quartiere chic, nel XVI arrondissement. Una governante inglese si occupò della sua educazione. Superò l’esame di maturità nel 1919, nel 1921 si iscrisse alla Facoltà di Lettere della Sorbonne. Conosceva sette lingue. Aveva iniziato a scrivere in francese sin da quando aveva 18 anni e, nell’agosto del 1921, pubblicò il suo primo testo sul bisettimanale Fantasio. Nel 1923, la Némirovsky scrisse la sua prima novella, l’Enfant génial (ripubblicata con il nome di Un enfant prodige nel 1992), che sarà pubblicata nel 1927. Riprese quindi i suoi studi ottenendo nel 1924 la laurea in lettere alla Sorbonne. Nel 1926 pubblicò il suo primo romanzo, Le Malentendu.
Nel 1926, nel municipio del XVI arrondissement prima e poi alla sinagoga di Rue de Montevideo, Irène Némirovsky sposò Michel Epstein, un ingegnere russo emigrato, divenuto poi banchiere, da cui avrà due figlie: Denise nel 1929 ed Élisabeth nel 1937. Il contratto matrimoniale stipulato le permetterà di ottenere i diritti d’autore fin dalla pubblicazione delle sue opere.
Irène Némirovsky divenne celebre nel 1929 con il suo romanzo David Golder. Il suo editore, Bernard Grasset, la introdusse subito nei salotti e negli ambienti letterari francesi. Lì incontrò Paul Morand, che pubblicherà presso Gallimard quattro delle sue novelle con il titolo Films parlés. David Golder fu adattato nel 1930 per il teatro ed il cinema (David Golder fu interpretato da Harry Baur).
Ne Le Bal, 1930, descrisse il passaggio difficile di un’adolescente all’età adulta. L’adattamento al cinema di Julien Duvivier rivelerà Danielle Darrieux. Di successo in successo, Irène Némirovsky diventò una promessa della letteratura, amica di Tristan Bernard e di Henri de Régnier.
Nel 1933, abbandonò la casa editrice Grasset per Albin Michel e cominciò a pubblicare alcune novelle sul Gringoire.
Sebbene fosse una scrittrice francofona riconosciuta, membro totalmente integrato della società francese, il governo francese le rifiuterà la nazionalità richiesta per la prima volta nel 1935.
Si convertì al cattolicesimo il 2 febbraio 1939 nella cappella dell’Abbazia di Sainte-Marie a Paris. Scrisse poi per il settimanale di destra Candide, con il quale interromperà la collaborazione quando venne pubblicato il primo Statuto degli ebrei, nell’ottobre del 1940, mentre Gringoire, divenuto apertamente antisemita, continuerà a pubblicarla, ma sotto pseudonimo.
Vittime delle leggi antisemite varate nell’ottobre del 1940 dal governo Vichy, Michel Epstein non poté più continuare a lavorare in banca e a Irène Némirovsky fu proibito pubblicare. Dopo la primavera i coniugi Epstein si trasferirono a Issy-l’Évêque, nel Morvan, dove avevano messo al riparo nel settembre del 1939, le loro figlie. Némirovsky scrisse ancora diversi manoscritti. Fu considerata un’ebrea per la legge e dovette applicare la stella gialla sui suoi abiti. Solo Carbuccia, sfidando la censura, pubblicò le sue novelle fino al 1942. Il 13 luglio 1942, Irène fu arrestata dalla guardia nazionale francese. Michel Epstein mandò un telegramma il 13 luglio del 1942 a Robert Esménard e André Sabatier presso Albin Michel per chiedere aiuto.
Fu trasferita a Toulon-sur-Arroux, dove rimase imprigionata due notti. Il 15 luglio, fu trasportata al campo d’internamento di Pithiviers. Némirovsky fu autorizzata a scrivere e spedì una cartolina a suo marito, in cui non si lamenta delle condizioni difficili. Fu deportata il giorno dopo a Auschwitz, dove venne trasferita nel Rivier (l’infermeria di Auschwitz in cui venivano confinati i prigionieri troppo ammalati per lavorare) per essere poi uccisa il 17 agosto 1942. Suo marito (così come André Sabatier e Robert Esménard) intraprese numerosi procedimenti per farla liberare, ma fu arrestato lui stesso nell’ottobre del 1942, deportato ad Auschwitz assieme alla sorella e gasato al suo arrivo, il 6 novembre 1942.

Fonte: Wikipedia

Il ballo

 

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Trama

 

Per i Kampf l’organizzazione del ricevimento, a cui sono invitati i maggiorenti della città, è un’occupazione serissima.
Tutto deve funzionare alla perfezione, come il meccanismo di un prezioso orologio. Proprio per questo, il ballo, che dovrebbe segnare l’ingresso della famiglia nell’alta società parigina, è un sogno tanto per la madre, volgare e arcigna parvenue, quanto per la quattordicenne Antoinette, che però ne rimane esclusa. Con una scrittura precisa e senza fronzoli, Irène Némirovsky racconta la vendetta che Antoinette saprà prendersi.

La mia opinione

 

Un racconto piuttosto breve ma non per questo privo di contenuti. Ricco di tagliente ironia, Il ballo ci mostra ancora una volta ciò che la Némirovsky ha cercato di comunicare in quasi tutti i suoi scritti: le assurde regole imposte dall’etichetta; la volontà ostinata di apparire ciò che non si è e il pensiero di meritarlo per diritto di nascita; la frivolezza degli adulti vista, in questo caso, tramite gli occhi di una ragazza di quattordici anni. Antoniette alla fine si rende conto che gli adulti che tanto la intimorivano non sono meglio di lei, anzi forse peggio. L’autrice non smentisce la sua capacità di tramandare nei dettagli e in modo affascinante le atmosfere parigine dei primi decenni del Novecento, soprattutto degli anni a cavallo tra le due guerre che per alcuni furono anni di ricchezza facile, di illusione, di sogni realizzati con fatica e poco dopo infranti nell’ultimo conflitto mondiale.

Valutazione:

4

La mia anima è ovunque tu sia – Aldo Cazzullo

Oggi vi parlo di un romanzo della serie “Evviva il valore della grande editoria italiana”.

 

LA MIA ANIMA è OVUNQUE TU SIA

Aldo Cazzullo

Mondadori

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Trama

Alba, aprile 1945. In città è arrivato il tesoro della Quarta Armata. Il denaro, il frutto delle requisizioni, le ricchezze che una forza di occupazione accumula in guerra: tutto questo viene spartito tra la Curia e i partigiani. Il vescovo affida la propria parte a un giovane promettente, cresciuto in seminario: Antonio Tibaldi. Il capo dei partigiani rossi, Domenico Moresco, tiene la propria parte per sé, tradendo l’amicizia del compagno Alberto e la memoria della donna che entrambi hanno amato con l’assolutezza della gioventù e della battaglia: Virginia, occhi chiari, sorriso a forma di cuore e coraggio da combattente, torturata e uccisa dai fascisti. Alba, 25 aprile 2011. In un bosco sulla Langa viene ritrovato il cadavere di Moresco, divenuto industriale del vino, capostipite di una delle due grandi famiglie della città. Sul caso, oltre alla polizia, indaga Sylvie, detective tanto spregiudicata quanto seducente, ingaggiata dal capo dell’altra dinastia: Tibaldi. Alba, 1963. Un grande scrittore, outsider della letteratura italiana, impiegato della Tibaldi Vini, sente vicina la morte. E allora cerca di ricostruire la storia del tesoro, della guerra partigiana, di un amore perduto. E intuisce i fili di una vicenda destinata molti anni dopo a finire in un delitto, sulla cui scena si agitano fantasmi del passato, comunisti, sacerdoti, fascisti, mogli tradite e traditrici, figli forse illegittimi, passioni romantiche e sadiche.

L’autore

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Aldo Cazzullo (Alba, 1966) è un giornalista e scrittore italiano, editorialista del “Corriere della Sera”.
Debutta come giornalista nel 1988 per “La Stampa”, dove continua a lavorare fino al 2003, anno in cui inizia la collaborazione con il “Corriere della Sera”. Si è occupato di politica italiana ma anche internazionale, seguendo come inviato le elezioni di Bush, Obama, Erdogan, Zapatero e Sarkozy, le Olimpiadi di Atene e Pechino e i Mondiali di calcio in Giappone e Germania. È autore di numerosi saggi, dai primi Il mal francese. Rivolta sociale e istituzioni nella Francia di Chirac (Ediesse, 1996) e I ragazzi di Via Po (Mondadori, 1997) ai recenti successi di I grandi vecchi (premio Estense 2006) L’Italia de noantri. Come siamo diventati tutti meridionali (Mondadori, 2009) e Viva l’Italia (Mondadori, 2010).
Da Viva l’Italia è stato tratto uno spettacolo teatrale che ha avuto repliche e rappresentazioni in tutte le maggiori città italiane. Per lo stesso libro Cazzullo è stato insignito del Premio Nazionale ANPI “Renato Benedetto Fabrizi” 2011.
Aldo Cazzullo non aveva mai pensato di scrivere un romanzo. Fino a quando non si è imbattuto, nella sua città, in una storia che non poteva non essere narrata. Così è nato La mia anima è ovnque tu sia (Mondadori 2011), ora tradotto in Germania.

 

Recensione

Poche volte do giudizi pessimi sui libri. Sarà perché in fondo la maggior parte dei libri hanno qualcosa da dire, sarà perché scelgo sempre letture del genere che adoro. Stavolta non è stato così. O meglio il genere è uno di quelli che preferisco, ma il libro mi ha delusa profondamente. Sono stata ingannata dalla stupenda copertina che ritrae una giovane partigiana nonché dal sottotitolo “Un delitto, un tesoro, una guerra, un amore”. Ebbene, nel romanzo di Aldo Cazzullo “La mia anima è ovunque tu sia”, nessuno di questi quattro elementi è presente. Un delitto, introdotto e mal spiegato, un tesoro appena accennato, una guerra neppure sfiorata e un amore che non fa emozionare, che non c’è. Certo non dovevo aspettarmi di trovare un romanzo epico quale “Il cavaliere d’inverno” di Paullina Simons ma perlomeno qualcosa che valesse la pena di essere letto. La storia si dispiega in capitoli brevissimi tra passato e presente e pare quasi un continuo susseguirsi di informazioni, brevi dialoghi che non emozionano, non funzionano. Amici di vecchia data che celano segreti e amore per la stessa donna che ha fatto una brutta fine. Questa essenzialmente è la trama e non illudetevi di trovare qualcosa di più di poche righe sulla partigiana in copertina.

Ritornando alla frase di apertura “Evviva la grande editoria italiana”, desidero dare una spiegazione. Non disdegno i grandi editori del nostro Paese che pubblicano autori degni di nota italiani e stranieri, ma un libro come questo dimostra quanto il mercato editoriale dipenda non dal talento quanto dal nome dello scrittore. Il romanzo di Aldo Cazzullo secondo me non è di qualità, a differenza di molti altri scritti invece da scrittori alle prime armi che valgono dieci volte di più. Ma che ci volete fare? Avere un nome conosciuto e altre pubblicazioni alle spalle apre “portoni” irrimediabilmente chiusi a chi non conosce nessuno o non è nessuno. Eppure io sono convinta che valga molto di più chi scrive con passione e riesce a far emozionare chi lo legge, seppur poche decine di lettori, anziché chi vende copie solo per fama e poi delude. Conscia del fatto che sia un’utopia, affermo comunque che non sarebbe male che anche i grandi editori fossero più disponibili a valutare scrittori non famosi anziché basarsi su nomi che garantiscono vendite.

Valutazione:

1