Settant’anni fa l’armistizio con gli Alleati: una pace che portò purtroppo alla guerra civile e al martirio del suolo italiano

8 settembre 1943, ore 19.42. Il maresciallo Pietro Badoglio parla dai microfoni di Radio EIAR:

Il governo italiano, riconosciuta la impossibilità di continuare la impari lotta contro la soverchiante potenza avversaria, nell’intento di risparmiare ulteriori e più gravi sciagure alla Nazione ha chiesto un armistizio al generale Eisenhower, comandante in capo delle forze alleate anglo-americane. La richiesta è stata accolta. Conseguentemente, ogni atto di ostilità contro le forze anglo-americane deve cessare da parte delle forze italiane in ogni luogo. Esse però reagiranno ad eventuali attacchi da qualsiasi altra provenienza.

L’armistizio di Cassibile

Il generale Castellano (in borghese) ed il generale Eisenhower si stringono la mano dopo la firma dell'armistizio a Cassibile, il 3 settembre 1943.

Il generale Castellano (in borghese) ed il generale Eisenhower si stringono la mano dopo la firma dell’armistizio a Cassibile, il 3 settembre 1943.

Accordo che stabiliva le condizioni dell’armistizio chiesto dall’Italia agli Alleati dopo la caduta del regime fascista. Fu firmato a Cassibile, in provincia di Siracusa, il 3 settembre 1943 alla presenza del comandante delle forze alleate Eisenhower dai generali Giuseppe Castellano, per l’Italia, e Walter Bedell Smith, per gli Alleati. L’armistizio, articolato in 12 punti, prevedeva che l’Italia si ritirasse dalla guerra e dall’alleanza con la Germania e consegnasse la flotta e gli aerei nelle basi meridionali agli Alleati. L’Italia si impegnava inoltre ad accettare le direttive di ordine politico ed economico che sarebbero state comunicate in un secondo tempo. Secondo gli accordi l’armistizio doveva essere divulgato sei ore prima dell’imminente sbarco angloamericano sulle coste italiane, ma una serie di fraintendimenti tra le parti costrinse a rinviare l’operazione. La notizia dell’armistizio fu diffusa in tutto il mondo l’8 settembre 1943.

Le conseguenze

La scelta

L’annuncio dell’armistizio prese parecchi italiani alla sprovvista: le circostanze in cui esso venne reso pubblico determinarono la sensazione tra militari e civili di essere stati abbandonati e lasciati a sé stessi, rispettivamente i primi dagli ufficiali ed i secondi dall’autorità pubblica, e vi è stato chi ha visto nell’8 settembre e nelle sue conseguenze il momento della venuta meno del tessuto connettivo nazionale.
Nei giorni immediatamente successivi all’armistizio, con l’eclissi del potere dello Stato regio, iniziarono a delinearsi i due schieramenti della guerra civile, i partigiani e i fascisti, entrambi convinti di rappresentare legittimamente l’Italia. Molti di coloro che imbracciarono le armi si trovarono, colti di sorpresa dall’armistizio, da una parte o dall’altra quasi casualmente e dovettero compiere la propria scelta di campo sulla base delle circostanze. La decisione fu resa maggiormente drammatica per la solitudine in cui avvenne, in quanto di fronte al crollo dello Stato non esisteva più la possibilità di rifarsi ad un’autorità, ma solo ai propri valori. Naturalmente le scelte non furono tutte istantanee e basate su certezze assolute.
La scelta fu particolarmente gravosa per i militari, vincolati da una parte al giuramento al re e dall’altra al rispetto dell’alleanza con i tedeschi, pena in entrambi i casi il proprio onore di soldati; risolsero il problema facendo appello alla propria coscienza: alcuni, considerando sciolto il giuramento al Re per via del suo comportamento, si presentarono ai comandi tedeschi chiedendo d’essere arruolati, ricevendo come distintivo una fascia da braccio con un tricolore e la scritta Im Dienst der Deutschen Wehrmacht (al servizio della Wehrmacht germanica); altri, pur essendo del medesimo avviso, scelsero comunque di non parteggiare per l’Asse.
Disordini e scontri a fuoco avvennero durante i giorni dell’armistizio, ma raramente coinvolsero italiani di entrambi gli schieramenti. Lo stato maggiore del Regio Esercito provvide in alcuni casi a modificare i comandi con elementi di sicura fede monarchica, come accadde alla 1ª Divisione corazzata “M”, che divenne 136ª Divisione corazzata “Centauro II” e fu assegnata al generale Giorgio Carlo Calvi di Bergolo, genero del re; tuttavia il Comando Supremo non giudicava affidabile la divisione, che infatti durante gli eventi dell’8 settembre non si mosse a difesa di Roma. Ciò non di meno, vi furono alcuni episodi in cui italiani delle due parti si scontrarono.

Rilevanti fatti di sangue si registrarono in Sardegna, dove il contingente italiano, godendo di una netta superiorità numerica e di una buona qualità dei reparti a disposizione, tra i quali la 184ª Divisione paracadutisti “Nembo”, obbligò i tedeschi ad una veloce ritirata dall’isola. Di conseguenza, diversamente che dal resto d’Italia, non vi fu margine di manovra per quegli italiani che non avessero voluto obbedire alle disposizioni armistiziali e che pertanto dovettero compiere la scelta di campo immediatamente. La Sardegna fu quindi teatro di uno dei primi episodi di guerra civile, quando all’annuncio dell’armistizio il XII battaglione della “Nembo”, al comando del maggiore Mario Rizzatti, si ammutinò per seguire i tedeschi della 90ª Divisione Panzergrenadier e continuare quindi la lotta contro gli angloamericani. A sedare questa sedizione venne inviato il tenente colonnello Alberto Bechi Luserna, che fu ucciso dagli ammutinati. Cinque giorni dopo veniva ucciso da un ignoto il maresciallo ordinario Pierino Vascelli, che, sebbene non si fosse unito agli ammutinati, non aveva nascosto i propri sentimenti fascisti.
Si schierarono con i tedeschi anche il 63º battaglione della legione Camicie Nere Tagliamento, un centinaio di paracadutisti della scuola di Viterbo, una parte del 10º reparto Arditi presso Civitavecchia, nonché i militari della Xª Flottiglia MAS di stanza a La Spezia, al comando del principe Junio Valerio Borghese, che ricostituì il corpo mantenendo lo stesso nome, principalmente come fanteria di marina. In altre parti d’Italia i fascisti non presero posizione contro i reparti fedeli alla monarchia, ma si limitarono a non opporre resistenza ai tedeschi.
Nel clima generale in cui tutti erano come posseduti da un “bisogno di grandi tradimenti” contro i quali rivalersi, entrambe le parti (sebbene tra i partigiani non mancasse una minoranza di convinti monarchici) erano accomunate dalla condanna del re e di Badoglio: i fascisti li accusavano di aver tradito l’alleanza con i tedeschi e di aver così compromesso l’onore dell’Italia agli occhi del mondo, mentre i resistenti di aver impedito all’8 settembre di «trasformarsi in una trionfale e redentrice giornata di resurrezione» (Silvio Trentin).
I primi gruppi di fascisti ripresero l’iniziativa; contemporaneamente a Roma – perduranti ancora i combattimenti fra Regio Esercito e Wehrmacht – veniva fondato dagli esponenti dell’antifascismo politico il primo Comitato di Liberazione Nazionale, mentre, specialmente in Piemonte e in Abruzzo, si formarono i primi gruppi partigiani. In quei giorni furono gettate le basi sia della “resistenza attiva” sia della “resistenza passiva”, con la popolazione civile che offriva solidarietà ed aiuto ai soldati che si davano alla macchia o che sceglieva “di non scegliere”, mettendosi nella “zona grigia” o fra gli “attendisti”.

La Repubblica Sociale Italiana

Organismo statale sorto in Italia dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943 nei territori centrosettentrionali del paese occupati dai nazisti (a esclusione di quelli annessi di fatto al Terzo Reich, come il Trentino, l’Alto Adige e il Friuli). Detta anche Repubblica di Salò (dal nome del comune sul lago di Garda, in provincia di Brescia, che fu sede del governo), fu presieduta da Benito Mussolini, che ne ufficializzò la costituzione in un discorso trasmesso da radio Monaco il 18 settembre 1943. Il governo, i cui ministeri furono dislocati in diverse città dell’Italia settentrionale, si costituì il 23 settembre al rientro di Mussolini in Italia e fu riconosciuto soltanto dalle nazioni dell’Asse e dagli stati satelliti.

La Repubblica di Salò fu nei fatti uno strumento al servizio dell’occupazione tedesca, sebbene Mussolini tentasse di rilanciare un’autonoma proposta politica riprendendo i toni sociali e repubblicani tipici delle origini del fascismo. Più che da Mussolini la RSI fu orientata dagli esponenti oltranzisti del regime, tra i quali Alessandro Pavolini, segretario del neocostituito Partito fascista repubblicano, e il maresciallo Rodolfo Graziani, responsabile della Difesa.

Un tribunale della RSI processò a Verona i gerarchi del Gran consiglio del fascismo, che, nella seduta del 25 luglio 1943, avevano votato un ordine del giorno contro Mussolini, provocandone la caduta. Il processo si concluse il 10 gennaio 1944 con cinque condanne a morte, che colpirono tra gli altri il genero di Mussolini, Galeazzo Ciano, e il generale Emilio De Bono, quadrumviro della marcia su Roma del 1922.

In mancanza di una partecipazione alle operazioni contro le forze degli Alleati, anche per la diffidenza con la quale i tedeschi guardavano alle formazioni “repubblichine”, compito principale della RSI diventò la repressione antipartigiana, nella quale si distinse per spietatezza la X MAS di Junio Valerio Borghese. Fu inoltre costituito un esercito della RSI, al quale molti giovani si sottrassero non rispondendo alla leva o disertando, e una milizia fascista, autonoma struttura militare ricostituita da Mussolini. Non mancò peraltro l’apporto all’esercito della RSI e alla milizia di gruppi di giovani che in buona fede avevano vissuto l’armistizio dell’8 settembre come una grave onta inferta all’onore nazionale e un tradimento nei confronti dell’alleato tedesco.

Le rare iniziative di carattere politico, come la manifestazione fascista al teatro Lirico di Milano (16 dicembre 1944), non ottennero risonanza e dimostrarono l’isolamento sostanziale, rispetto alla maggioranza della popolazione, in cui agiva la RSI. I suoi destini furono perciò intrecciati alle sorti delle forze di occupazione tedesche, così che la RSI crollò con l’avanzata degli Alleati e con il successo della Resistenza. La morte di Mussolini, giustiziato dai partigiani il 28 aprile 1945, e quella dei principali capi fascisti (Pavolini, Starace, Farinacci) suggellò la fine della RSI.

La Resistenza

La Resistenza armata al nazifascismo si organizzò dopo l’armistizio dell’8 settembre, quando dalle fila dell’esercito lasciato allo sbando uscirono i primi gruppi di volontari combattenti, reclutati dalle nascenti formazioni partigiane. Queste furono costituite dai rappresentanti dell’antifascismo, che crearono il Comitato di liberazione nazionale (CLN), al quale si collegarono successivamente organismi analoghi nati su base regionale: Il CLN fu lo strumento politico della guerra partigiana, le cui prime azioni furono messe a segno nell’inverno 1943-44 nel territorio alle spalle delle linee tedesche.

La Resistenza fu espressione di una volontà di riscatto dal fascismo e di difesa dell’Italia dall’aggressione tedesca e coinvolse complessivamente circa 300.000 uomini armati, che svolsero attività di guerriglia e di controllo, dove possibile, del territorio liberato dai nazifascisti. Fu dunque guerra patriottica di liberazione dall’occupazione tedesca, ma fu anche guerra civile contro la Repubblica sociale italiana, nel cui esercito pure militarono gruppi di giovani che in buona fede considerarono l’armistizio con gli Alleati un tradimento nei confronti dell’alleato tedesco.

Il movimento della Resistenza si sviluppò sostanzialmente nell’Italia del Nord e, in secondo luogo, nell’Italia centrale. I raggruppamenti più numerosi furono quelli organizzati dai comunisti nelle Brigate Garibaldi; gli uomini del Partito d’azione formarono le brigate di Giustizia e Libertà, i socialisti le Matteotti. Operarono inoltre altre formazioni di diversa impronta ideologica: cattolica, liberale, nazionalista e monarchica. Quasi assente fu la Resistenza nell’Italia meridionale, che peraltro al 12 ottobre 1943 era già stata occupata dalle forze angloamericane fino alla linea Gustav, il fronte difensivo tedesco che tagliava la penisola dalle foci del Volturno, sul Tirreno, fino a Termoli, sul litorale Adriatico. Fece eccezione l’insurrezione di Napoli, dove il popolo nelle quattro giornate liberò la città dall’occupazione tedesca.

L’unità operativa che i diversi gruppi della Resistenza italiana riuscirono, seppure imperfettamente, a conseguire sul piano militare non ebbe riscontro in un’analoga unità d’azione politica. Gli obiettivi finali per i quali era giustificata la lotta di liberazione apparivano assai divergenti a seconda delle appartenenze partitiche: tali divergenze erano presenti tra le stesse forze di sinistra. Il Partito d’azione, il Partito comunista e il Partito socialista rifiutavano l’idea che lo scopo della guerra partigiana fosse quello di ripristinare lo stato liberale prefascista; sulla base di questa comune premessa, tuttavia, anche questi partiti differivano tra di loro su contenuti e modalità della struttura del nuovo stato democratico per il quale si battevano. Gli azionisti ritenevano che fosse necessario attribuire alle organizzazioni partigiane un ruolo rilevante nella costruzione di una nuova democrazia, dai contenuti sociali più avanzati di quelli del vecchio stato monarchico; per i comunisti e i socialisti, invece, i CLN dovevano esaurire la loro funzione in ambito militare, lasciando ai partiti il compito di promuovere le future forme politiche e istituzionali.

Altrettanto differenti erano le motivazioni ideologiche che circolavano tra i partigiani. Molti di quelli che militavano nelle formazioni di sinistra, spinti da una forte carica ideologica, pensavano che la guerra di liberazione dovesse sfociare in un cambiamento radicale della società. Tale cambiamento per i comunisti coincideva con la rivoluzione sociale, per gli azionisti con l’instaurazione di una democrazia avanzata, libera dai compromessi e dalle debolezze che nel 1922 avevano portato alla vittoria del fascismo. La caduta della monarchia avrebbe dovuto rappresentare la premessa obbligata di qualsiasi rinnovamento futuro. La monarchia continuava invece a riscuotere consensi tra i partigiani democratico-cristiani, liberali e autonomi, oltre che tra i soldati e gli ufficiali delle forze dell’esercito che, non avendo aderito alla Repubblica di Salò, avevano scelto di partecipare alla Resistenza. Inoltre il modello dello stato prefascista appariva tutt’altro che accantonato.

I partigiani del Nord operarono prevalentemente nelle montagne e nelle campagne, ma la loro azione si saldò anche agli imponenti scioperi operai che nel marzo del 1944 paralizzarono le maggiori città industriali (Torino, Milano, Genova). Nelle fabbriche e nelle città, soprattutto per opera dei militanti comunisti clandestini, si organizzarono nuclei partigiani denominati GAP (Gruppi d’azione patriottica), formati ciascuno da tre o quattro militanti, che svolgevano operazioni di sabotaggio, atti di guerriglia e opera di propaganda politica.

Via via che cresceva il ruolo combattente della Resistenza, si poneva il problema del rapporto con gli interlocutori politici e militari italiani e Alleati. Frequenti attriti si manifestarono anche dopo che i partigiani furono ufficialmente militarizzati nel Corpo volontari della libertà (giugno 1944), comandato dal generale Raffaele Cadorna, con vicecomandanti il comunista Luigi Longo e l’azionista Ferruccio Parri, e riconosciuto sia dai comandi militari alleati che dal governo nazionale. Causa dei contrasti con il governo italiano che operava nei territori liberati erano le strategie politiche da assumere per il futuro, mentre tra le forze militari angloamericane correva il timore che a guerra conclusa i partigiani divenissero protagonisti di azioni insurrezionali. Confermava tale timore l’esperienza, peraltro di breve durata, delle repubbliche partigiane che si formarono in alcune zone del Nord, liberate dall’occupazione nazifascista tra l’estate e l’autunno del 1944.

La Resistenza culminò nell’insurrezione generale, proclamata dal Comitato di liberazione nazionale per l’Alta Italia il 25 aprile 1945 e conclusasi con la liberazione delle principali città del Nord prima dell’arrivo delle forze alleate; la resa incondizionata dei tedeschi si ebbe il 29 aprile.

Fonti: Encarta, Wikipedia

 

Per approfondire gli accadimenti legati alla Resistenza, di cui qui ho riportato una sintesi, visitate la pagina Wikipedia dedicata.

Vi lascio con due estratti dal seguito di Tregua nell’ambra: il primo tratto dalla campagna d’Italia cui partecipa anche Alec, il secondo dalle attività della Resistenza ad Asti cui partecipa Elisa. E non chiedetemi cosa ci fa lì perché al momento non posso dirvelo 😉

 

Estratto 1

Alec si risistemò lo zaino sulla spalla gocciante, sistemò le armi e corse verso la boscaglia che gli stava dinanzi, i suoi uomini disposti in formazione come ordinato, pronti a fare fuoco. Si portò davanti a loro e fu il primo ad addentrarsi nella vegetazione, i sensi tesi al massimo nel buio, preparati a cogliere anche il minimo infido stormire di fronde. Avanzò velocemente ma con cautela con le armi puntate verso un nemico invisibile. I piedi che calpestavano un tappeto di bossoli. Dopo pochi metri alla luce lunare filtrata dai fogliami degli alberi, scorse uno sbarramento di legno e filo spinato. Attorno a lui altri soldati, altre vite intrecciate alla morte. Il fumo che si levava dai tronchi bruciati e dal terreno violentato cominciò a ottenebrargli la visuale. Socchiuse gli occhi e seguitò ad avanzare. Lo sbarramento c’era, ma era praticamente distrutto, travi e detriti di ferro sparsi ovunque. Lo valicò con facilità, affiancato dal sergente Wilson e da un paio di reclute. Oltre quello, il nulla. Soltanto frammenti indefinibili e macerie. Nessuna tenda, nessun nazista.

Gli uomini cominciarono a tranquillizzarsi ma lui intimò di non abbassare la guardia. Si chiese se i tedeschi fossero fuggiti. Che fosse invece una trappola? Considerato il numero dei soldati britannici e quello dei tedeschi non credeva potesse trattarsi di un’imboscata. I nemici erano in netta inferiorità; se erano riusciti a resistere fino a quel momento era stato solo grazie alla conformazione morfologica del territorio. Continuarono ad addentrarsi nei boschi e trovarono una cinquantina di cadaveri. Tutti sottoufficiali e soldati semplici. Alec diede ordine ai suoi uomini di raccogliere armi ed equipaggiamento.

Si chinò sul corpo senza vita di un tedesco. Gli occhi ancora aperti in un’espressione di terrore, la divisa bruciata, gli arti inferiori atrocemente mutilati dal fosforo, le ossa dell’avambraccio in bella vista. Non gli fece alcuna impressione, aveva visto cose ben peggiori. Sfilò con attenzione un Gewehr 98 dalla spalla ustionata del cadavere.

Continuarono ad avanzare. Per diverse centinaia di metri non trovarono anima viva, soltanto altri cadaveri dilaniati dalle granate e arsi dal fosforo, sguardi vacui che parevano seguirli a ogni passo e ossa fuori dalle membra. Raggiunsero con facilità l’area retrostante, quella che non era stata percossa dai fuochi dell’artiglieria. Ciò voleva dire che il resto dei crucchi aveva battuto in ritirata. Alec si fermò e gli uomini attorno a lui fecero altrettanto. In quel momento udì una voce familiare.

«Alec!»

Russell gli correva incontro dalla vegetazione alla sua destra. Anch’egli era bagnato fradicio come tutti gli altri.

«Russ, al momento giusto. Uomini a posto?», gli chiese Alec non appena l’amico si fu avvicinato.

«Sì, griglia 5001B sicura. Anche qui sembra tutto tranquillo.»

«Prima di accamparci dobbiamo scoprire dove sono. Andiamo in avanscoperta», disse Alec guardandosi attorno.

«Era quello che pensavo anch’io. Aspettami. Vado a dare nuovi ordini ai miei.» Si mosse nella direzione dalla quale era giunto.

Alec si voltò verso il suo plotone, i cinque sergenti erano proprio dietro di lui. «Sullivan, Adams, scegliete tre caporali e venite con me.»

«Sissignore», risposero quelli allontanandosi tra gli alberi alla ricerca dei loro uomini migliori.

Estratto 2

L’Osteria dei santi – appellativo nient’affatto adatto ai suoi avventori – si trovava subito dopo il ponte sul fiume. Era costruita in travi di legno scuro e pesante, con un’insegna anch’essa lignea che dondolava allegramente a ogni refolo di brezza. Sul lato ovest, nascoste alla via e alla cima della china su cui erano i miei compagni, erano parcheggiate diverse camionette militari.
Varcai la soglia del locale quasi fosse quella di casa mia. Indossai una maschera civettuola e mi mossi ancheggiando fino al bancone. Il posto era zeppo di nazisti. Non solo ufficiali, come potei notare in una rapida scorsa sulle loro spalline, ma pure soldati semplici. Dall’uniforme parevano tutti membri dell’Heer, niente SS. Una bruma di fumo aleggiava nel punto più alto del soffitto spiovente, mentre l’aria ad altezza d’uomo puzzava dannatamente di alcol. Risa maschili ed esclamazioni in tedesco infastidivano i timpani.
Mi sedetti rapidamente su uno sgabello. Un uomo mi venne incontro dall’altra parte. Con un gesto del palmo gettò dietro di sé un moccolo di candela che si esibiva squallido sul bancone bisunto, quindi mi concesse un’occhiata curiosa.
«Mia cara, non vi ho mai vista da queste parti, qualche problema?», mi chiese in un italiano dalla forte inflessione piemontese. Aveva il viso rincagnato e il capo privo di capelli, a parte qualche ciuffo sale e pepe ai lati.
Risposi con un sorriso suadente. «È gentile da parte vostra prendervi pena per me. Tuttavia credo sappiate bene perché giovani donne astigiane decidano di frequentare questo posto, non è vero?» Pronunciai il tutto con un tono di voce basso, nel tentativo di apparire sicura del fatto mio e al contempo mascherare quanto più possibile l’inevitabile strascico della mia parlata meridionale.
«Oh, bene, capisco benissimo», rispose poggiando i gomiti sul bancone e sporgendosi verso di me. Un tanfo di sudore rancido mi raggiunse senza pietà. «Mi piange il cuore nel vedere una così bella italiana vendersi», asserì rivolgendo un’impudica occhiata all’apertura del mio cappotto.
Afferrai al volo l’occasione per portarlo fuori da lì. Non potevo certo dirgli che i partigiani stavano per distruggere la sua osteria; oltretutto era probabile che fosse in buoni rapporti con i nazisti. «Magari potremmo approfondire la questione. Diciamo… in privato?», incalzai ammiccando.
Dio, pensai. Se mi vedesse Enea scoppierebbe a ridere.
Un rossore improvviso e visibile nonostante la luce poco intensa dei lampadari si fece strada attraverso il collo tarchiato per approdare infine alle orecchie leggermente a punta dell’oste.
Annuì fingendosi sicuro di sé, come se si fosse trovato decine di volte in situazioni come quella.

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