Pillole di arte martinese #2

Devo ammettere che questa rubrica mi sta appassionando parecchio, anche perché, rileggendo gli appunti del corso di guida turistica di cui vi dicevo nel primo appuntamento, mi stanno venendo in mente idee particolari per altri romanzi storici… ma lasciamo perdere, parliamo di ciò che è realmente accaduto a Martina Franca. Nel primo post – che potete leggere qui – vi ho dato giusto un’infarinatura della storia della città, stavolta invece ne parliamo in maniera un po’ più approfondita ma non eccessiva. Negli articoli successivi – alternati a quelli delle altre rubriche – vi illustrerò di volta in volta i monumenti, i palazzi, le chiese, insomma tutto. Buona lettura!

Nascita della città

Martina Franca nacque come città attorno al 1310 quando il principe di Taranto Filippo I d’Angiò fece cingere con mura e torri di difesa i quattro casali di Montedoro, San Martino, Santa Teresa e San Pietro dei Greci, sorti molto tempo prima sul colle di San Martino. La trasformazione dell’antico casale sprovvisto di mura in terra fornita di un sistema difensivo fu la consacrazione definitiva dell’importanza strategica che quel vasto agglomerato umano – che da Taranto andava a Monopoli – andava conquistando.

Di quelle fortificazioni, che sul finire dello stesso secolo venivano completate con la costruzione del Castello (1388) ordinata da Raimondello Orsini del Balzo, oggi rimane ben poco. Restano intatte le quattro porte: di Santo Stefano (oggi Sant’Antonio), di Santa Maria (oggi del Carmine), di San Nicola (oggi San Francesco) e di San Pietro (oggi porta Stracciata). Delle torri di difesa – dodici tonde e dodici quadrate – sono chiaramente individuabili lungo il perimetro della città antica quelle di Angelucco, San Pietro, Mulini di San Nicola, delle Seti, dell’Annunziata, del Forno. La muraglia, rifatta nel ’500 e resistita per alcuni tratti fin oltre la metà del secolo scorso, è invece completamente scomparsa. Del castello degli Orsini restano la fantasiosa raffigurazione fatta dal pittore Nicola Gliri ai piedi della Madonna d’Itria su una tela conservata in San Martino, e il ricordo dell’antico toponimo “Largo del Castello” dell’attuale piazza Roma.

L’epoca demaniale: privilegi e libertà comunali

La recinzione dei quattro villaggi venne accompagnata da una lunga serie di privilegi che furono alla base del primo sviluppo urbanistico della città. Determinante fu la garanzia del possesso delle terre occupate entro un raggio di tre chilometri intorno alle mura, che il principe tarantino assicurò a coloro che si fossero trasferiti nella nuova città. Questo primo privilegio (15 gennaio 1317) agì da esca. Dagli agglomerati sparsi nella campagna circostante e dai vicini casali si verificò una vera e propria ondata migratoria verso la terra fortificata dove le nuove abitazioni finirono col saldare e amalgamare i quattro villaggi preesistenti in un solo agglomerato. La struttura di queste costruzioni, con il tetto detto a pignon, si ispirava a quella dei trulli di campagna.

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Complesso di trulli.

Martina Franca nacque dunque come città demaniale, cioè libera dal gioco feudale, e la demanialità venne accettata e vissuta dagli abitanti della nuova terra come una naturale condizione di libertà e uguaglianza.

Il 6 luglio del 1478 Ferrante I d’Aragona affidò ad alcuni cittadini l’amministrazione dell’Universitas civium; col dettato del 5 ottobre 1485 si consentì a coloro che avevano occupato le terre demaniali di recintarle per sempre.

Martina Franca. Torre dell'orologio e Palazzo dell'Università.

Martina Franca. Torre dell’orologio e Palazzo dell’Università.

L’età ducale: zelanti e universalisti

L’epoca demaniale cessò definitivamente nel 1507 quando iniziò quella ducale. La nuova condizione di città feudale venne subita dai martinesi in termini drammatici – il Duca la comprò per seimila ducati. L’arrivo dei Caracciolo dette la spinta decisiva alla trasformazione della società martinese sia sul piano economico con la divisione in classi, sia sul piano politico col raggruppamento delle famiglie facoltose in due fazioni: la ducale o zelante, schieratasi subito dalla parte dei nuovi signori, e l’universalista, rappresentante le aspirazioni rivendicative del popolo.

Nacquero e prosperarono quelle tipiche aziende agricole che sono le masserie, autentiche unità produttive autonome poste nel cuore dei latifondi costituiti in massima parte da pascoli; si accentuarono le differenze di classe tra il ceto dei ricchi, quello dei piccoli proprietari e quello dei nullatenenti.

Il nuovo volto della città

La nuova situazione non poteva non riflettersi anche nel tessuto urbano. Comparve il cosiddetto impianto a ’nchiostra, costituito da vari corpi di fabbrica a pianta rettangolare disposto intorno a un cortile comune, la ’nchiostra appunto, dove erano sistemati i servizi comuni. La ricchezza dell’emergente borghesia terriera si concretizzò nelle case dominicali, costituite dall’appartamento padronale e da numerosi locali disposti intorno al cortile o al giardino, di cui modelli significativi giunti fino a noi nella loro originaria struttura sono la Casa Simeone e la Casa Cappellari.

Le mura furono in parte abbattute dopo il 1860 per permettere lo sviluppo urbano della città al di là del centro storico ormai insufficiente a contenere l’aumento demografico.

Martina Franca. Casa Cappellari, esempio di casa dominicale.

Martina Franca. Casa Cappellari, esempio di casa dominicale.

 

Attività produttive

Il territorio di Martina Franca costituisce il cuore della Murgia dei Trulli, un tempo ricoperta da foreste di piante d’alto fusto sempreverdi (fragno e roverella) e da un rigoglioso sottobosco  che permettevano l’allevamento dei caprini e coltivazioni foraggiere ad esso annesse. A questa attività si affiancò, fino a diventare massicciamente sostitutiva verso la fine del 1800, la viticoltura. A livello artigianale invece prosperò la lavorazione della pietra e del ferro battuto. Con l’arrivo dei Caracciolo la città divenne culturalmente molto attiva.