La figlia della zarina – Carolly Erickson

Eccovi oggi la biografia romanzata della granduchessa Tatiana, figlia dello zar Nikolaj Aleksandrovič Romanov. Vi piace il genere?

 

LA FIGLIA DELLA ZARINA

Carolly Erickson

Mondadori

la figlia della zarina

Trama

Chi è davvero Dar’ja Gradova, l’anziana signora che vive in una zona remota del Canada con la sua famiglia? Nessuno, neanche i suoi figli immaginano che lei è addirittura la granduchessa Tat’jana Romanova, seconda delle quattro figlie dello zar Nicola e della zarina Aleksandra, e non, come dice di essere, la vedova di un immigrato russo di modeste origini. Questa è la storia immaginaria della sua avventurosa esistenza. Nella Russia dei primi anni del Novecento, Tat’jana cresce circondata dallo sfarzo della corte imperiale, ma la sua condizione privilegiata non le impedisce di rendersi conto dell’estrema povertà e disperazione in cui versa la stragrande maggioranza della popolazione oltre le mura dorate del palazzo in cui lei vive. Ed è proprio fuori dal suo rassicurante mondo che, in mezzo ai ribelli che incitano alla libertà e all’uguaglianza, Tat’jana incontrerà le due persone che cambieranno la sua vita per sempre: Dar’ja, una giovane donna incinta il cui uomo è stato ucciso dai cosacchi, diventerà per lei un’amica leale e sincera – che le farà vedere il mondo da una prospettiva diversa e inaspettata -, e Michail, un soldato a cui Tat’jana salverà la vita e tra le cui braccia troverà l’amore. L’uomo sarà suo complice negli audaci piani per salvare la famiglia imperiale da morte certa quando, nel 1917, la situazione precipiterà, lo zar Nicola sarà costretto ad abdicare e i Romanov conosceranno l’umiliazione e i disagi della prigionia.

L’autrice

CarollyErickson

Carolly Erickson, dopo aver insegnato storia medievale alla Columbia University, si è dedicata al lavoro storiografico scrivendo numerosi saggi e una serie di fortunate biografie.
Per Mondadori ha pubblicato: Maria Antonietta (1991), La grande Caterina (1995), Elisabetta I (1999), La piccola regina (2000), Maria la Sanguinaria (2001), Il grande Enrico (2002), L’imperatrice creola (2003), La zarina Alessandra (2005), Il diario segreto di Maria Antonietta (2006), L’ultima moglie di Enrico VIII (2009) e La vita segreta di Giuseppina Bonaparte (2011).

Recensione

L’ultimo zar di Russia fu Nikolaj Aleksandrovič Romanov (18 maggio 1868 – 17 luglio 1918), sposato con Aleksandra Fëdorovna (6 giugno 1872 – 17 luglio 1918). La coppia ebbe cinque figli: Ol’ga, Tat’jana, Marija, Anastasija, Aleksej. Ho parlato di tutti loro nell’articolo dedicato a Il sangue nero dei Romanov, qui. La famiglia dello zar fu sterminata durante la Rivoluzione Russa, ma Carolly Erickson, l’autrice di questo romanzo, ha voluto scrivere per Tat’jana Romanova una storia dal finale diverso.

Si tratta di un romanzo storico che ha per sfondo la vita sfarzosa dei sovrani russi, una vicenda che comprende amore e amicizia. La storia è attraente, soprattutto per chi – come me – è sensibile al fascino del primo Novecento. Tuttavia ho delle critiche da esporre.

Questo è uno di quei romanzi che io definisco “frettolosi”. Le scene difatti, anche quelle amorose, non sono scandite da dialoghi importanti, né da gesti significativi, né da passaggi emozionanti. Tutto assume la blanda dimensione di un continuo narrare, veloce appunto e superficiale. Nonostante la narrazione sia in prima persona, il lettore non riesce a instaurare un rapporto “d’affetto” con i personaggi, non ne sentirà la mancanza una volta terminato il libro. Durante la lettura mi sono ritrovata sempre in ansia, aspettando quel capitolo che mi avrebbe fatta commuovere o rabbrividire: emozioni che non sono arrivate. Non mi ha emozionata per nulla. Il che è davvero un peccato perché la trama è avvincente, ma narrata in modo troppo distaccato. Non basta difatti un “ero in ansia” o “lo amavo più di ogni altra cosa” per far emozionare il lettore. I sentimenti devono essere trasmessi non necessariamente attraverso le parole, ma anche tramite gesti e comportamenti che spiegano ancora meglio gli stati d’animo dei personaggi.

La ricostruzione storica è appena accennata, come se si guardasse semplicemente una vecchia foto in bianco e nero dell’epoca. Non è viva e pulsante né trascinante come dovrebbe essere. Il linguaggio utilizzato è fin troppo semplice e superficiale, per niente adatto all’epoca storica e all’istruzione dei protagonisti.

Parliamo poi del personaggio di Dar’ja. All’inizio ella appare come una rivoluzionaria eroina moderna. Diventa invece uno sfondo muto per quasi tutto il romanzo e ne emerge alla fine sacrificandosi con un coraggio che sembrava non possedere. Quest’ultima azione di Dar’ja e il suo stesso personaggio mi è parso soltanto un elemento funzionale alla storia, atto a creare un pretesto per rendere possibile la salvezza di Tat’jana.

Quindi in definitiva: poco spessore storico, personaggi privi di profondità e sfaccettature, radi e trascurabili dialoghi, nessuna emozione.

Valutazione:

2

 

 

 

Leggendo questo libro mi è venuta in mente la storia della presunta fuga della sorella minore Anastasija, da cui sono stati tratti anche numerosi film, tra cui quello Disney.

Secondo voi sarebbe stato possibile per un personaggio così ricercato fuggire e sopravvivere? Intanto vi posto il trailer del film Disney, che tanto ho amato da piccola.

I falò dell’autunno – Irène Némirovsky

Un bel libro di Irène Némirovsky. Ho presentato l’autrice quando ho recensito Il ballo, potete leggere l’articolo qui.

 

I FALÒ DELL’AUTUNNO

Irène Némirovsky

Adelphi

 

faloautunno

Trama

“Vedi,” dice la nonna alla nipote, immaginando di prenderla per mano e condurla attraverso vasti campi in cui vengono bruciate le stoppie “sono i falò dell’autunno, che purificano la terra e la preparano per nuove sementi”. Ma Thérèse è giovane, non ha la saggezza della nonna: ancora non sa che prima di poter ritrovare Bernard, l’uomo che ama da sempre, a cui ha dedicato la vita intera, le toccherà attraversare con pena e con fatica quei vasti campi, e subire le dolorose devastazioni provocate da quegli incendi. Perché Bernard, l’adolescente intrepido, impaziente di dar prova del proprio coraggio, partito volontario nel 1914, è tornato dalla guerra cinico e disincantato: quattro anni al fronte l’hanno trasformato in uno sciacallo, uno che non crede più a niente, che aspira solo a diventare ricco, molto ricco – e che per farlo si rotolerà nel fango della Parigi cosmopolita del dopoguerra, in quella palude dove sguazza la canaglia dei politicanti, dei profittatori, degli speculatori. Alla dolce, alla fedele e innamorata Thérèse, e ai figli che ha avuto da lei, preferirà sempre il letto della sua amante e lo scintillio dei salotti parigini. Ci vorranno la fine delle grandiose illusioni della Belle Epoque, la rovina finanziaria, e poi un’altra guerra, la prigionia, la morte del primogenito, perché Bernard ritrovi la sua anima: la cenere degli anni perduti servirà a purificare il terreno per una vita diversa.

Recensione

Siamo a Parigi. La storia si muove tra il primo e il quarto decennio del Novecento, comprendendo gli anni di entrambe le guerre mondiali.

Conosciamo Thérèse, Martial, Bernard e Renée che sono ancora dei ragazzini; molto diversi tra loro per caratteri e aspirazioni, accomunati da sogni e speranze per il futuro. Un futuro che però viene loro strappato di mano dalla prima guerra mondiale. I due uomini si arruoleranno – ciascuno a suo modo e con un proprio diverso destino -, le due donne resteranno in Francia per ritagliarsi una vita secondo la propria indole. Ma la storia non si ferma qui, procede a salti temporali – a volte anche molto ampi, per esempio dieci anni – fino a quel futuro che diventa presente e che non è come ognuno di loro aveva progettato. Ci saranno intrighi, tradimenti, disperazione e morte.

Alcuni personaggi come per esempio Bernard, appaiono estremamente affascinanti, vivi, palpitanti nonostante in certi contesti giustamente criticabili. La protagonista femminile,Thérèse, alle volte mi è sembrata un po’ “spenta”, tuttavia fedele fino alla morte e anche oltre.

Certi passaggi, certe scene degli amori che si consumano durante la storia, in verità non appaiono affatto e ci si ritrova a immaginarli per dare un senso di maggior completezza al tutto. I pensieri dei personaggi assumono la forma di lunghi monologhi interiori tuttavia interessanti; alle volte si parla meglio di affari che di amore.

Durante il racconto di un periodo in un campo di concentramento nazista si parla dell’organizzazione di giochi e canzoni, della ricezione di pacchi di viveri ed effetti. Avendo conoscenze pregresse sulle politiche adottate nei campi nazisti, la cosa mi è parsa strana, così ho ricordato la biografia dell’autrice. La Némirovsky è stata internata ad Auschwitz nel luglio del 1942, per morirvi poi di tifo un mese dopo. Considerando le informazioni che giravano all’epoca sulle attività che si svolgevano nei campi di concentramento, è comprensibile che l’autrice descrivesse alcune cose per come le venivano riferite e non secondo la realtà dei fatti che ben conosciamo noi ora in tempi postumi.

Ebbene, il fatto che lei nutrisse in un certo senso una speranza sulla sorte degli internati nei campi è una cosa che mi ha profondamente colpita e amareggiata, dato che proprio lei ha finito appunto i suoi giorni ad Auschwitz.

Nell’opera appare evidente la sua vena pétainiste, con la quale viene specificato che i giovani dell’epoca hanno seminato male il loro campo.

Il titolo riconduce alla rigenerazione morale del Paese dopo l’incendio del 1940, ma anche alla prova più difficile – bruciante come il fuoco – per ogni coppia: il tradimento.

Lo stile dell’autrice è in un certo senso inquadrabile e assimilabile a quello di altre autrici della stessa epoca, il che non guasta, anzi dona a tutta l’opera quel senso di “realtà” profonda e vera di chi ha davvero vissuto quel periodo storico.

Le descrizioni dei viali parigini appaiono così vivide che bruciano davanti agli occhi, come pennellate su quadri appena dipinti, si “vedono”. Allo stesso modo ben raccontati sono i sentimenti rivolti alla guerra e al governo da parte di giovani illusi prima dalla gloria e poi dal denaro.

Molto brava, la Némirovsky merita tutta la gloria che la Shoah le ha negato.

Valutazione:

4

Il giorno del Male – Lorenzo Fabre

Ciao amici, buona settimana a tutti!

Eccomi oggi con la presentazione di un libro molto interessante che tocca diversi generi letterari.

 

IL GIORNO DEL MALE

LORENZO FABRE

Youcanprint

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Trama

La Repubblica ha dominato i mari per secoli, fino a che l’ombra dell’invasione non l’ha minacciata. Anche i Crociati, che non dovrebbero combattere per fini politici, saranno chiamati a farlo. E mentre le lame cozzeranno contro gli scudi, una setta segreta troverà terreno fertile per ascendere, tra congiure, assassinii e la grande caccia al Male…

L’autore

Lorenzo Fabre vive a Genova, della cui storia è un grande appassionato. Ha iniziato a scrivere il suo primo romanzo nel lontano 2002, impiegando quasi dieci anni per portarlo a compimento dopo numerose stesure. Ha quindi deciso di autopubblicarlo online per avere una maggiore libertà espressiva, senza pressioni esterne.
E’ appassionato di storia medievale, soprattutto quella genovese che lo ha pesantemente influenzato nei suoi scritti, così come di recitazione, di cinema, dei libri di JRR Tolkien e George RR Martin, di videogiochi “con bella trama”, di serie televisive fantastiche quali Game of Thrones e The Walking Dead, e di scienze, con particolare attenzione a quelle mediche e biologiche.
Attualmente sta scrivendo il seguito de “Il Giorno del Male” e un dramma teatrale.

Perché è consigliato?

La grande passione dell’autore per l’ambientazione si evince leggendo anche solo poche righe e questo non può che far bene al libro e alla storia. Storia che, tra l’altro, appare ben costruita e intrigante, da non perdere per gli appassionati di questo genere di letture e/o di videogiochi, ma anche per chi desidera avvicinarsi per la prima volta a questo tipo di fantasy.

Buona lettura!

Un’opera d’arte al mese #1: Lo stagno delle ninfee

Buon inizio di novembre a tutti!

Inauguriamo questo mese con una nuova rubrica: Un’opera d’arte al mese.

Perché questa scelta?, chiederete. Ebbene, penso che di arte non si parli mai abbastanza. Oltretutto sarebbe bello riportare la contemplazione dell’arte a una dimensione più quotidiana, com’era una volta, e non soltanto un compito di scuola o una perdita di tempo come spesso è percepita oggi. Così, in questo mio piccolo spazio, condividerò con voi alcuni dei dipinti che preferisco e che meglio rappresentano le correnti artistiche di cui fanno parte. Non mancheranno curiosità e particolari interessanti. Cominciamo!

Inaugura la rubrica Lo stagno delle ninfee di Claude Monet.

Titolo del dipinto

Lo stagno delle ninfee

Artista

Claude Monet

Anno di realizzazione

1899

Dimensioni

88,3 x 93,1 cm

Tecnica

Olio su tela

Dove si trova

National Gallery di Londra, Inghilterra

Curiosità

Lo stagno che si vede nel dipinto è un ramo del fiume Epte, affluente della Senna, deviato da Monet per creare il suo giardino acquatico.

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Il dipinto

Monet riesce a catturare la luce del sole per far risaltare il soggetto e renderlo più reale, al punto che riusciamo quasi a sentire il profumo delle ninfee e udire i rumori prodotti dalle creature che vivono nello stagno e attorno a esso. Allo scopo di catturare la luce che cambiava, il colore e le condizioni atmosferiche, Monet disponeva spesso numerose tele allineate una di fianco all’altra. Nell’attesa che un dipinto si asciugasse, si metteva a lavorare su un altro.

Per ottenere i riflessi perfetti dell’acqua, l’artista insisteva che sia il giardino, sia lo stagno fossero pulitissimi, al punto da chiedere agli addetti alle pulizie di “spolverare” la superficie dell’acqua.

Gli impressionisti, e Monet in particolare, ammiravano molto l’arte e la cultura giapponese e ne subirono una forte influenza. Monet riempì la sua casa di Giverny con centinaia di stampa giapponesi e piantò bambù e peonie lungo le sponde dello stagno delle ninfee. Come si vede nel dipinto, costruì anche un ponticello in legno ad arco, in tipico stile giapponese.

L’autore

Claude Monet fu il fondatore dell’impressionismo francese, movimento che prese il nome proprio da uno dei suoi quadri, Impressione, sole nascente. I dipinti raffiguranti il suo giardino acquatico, tra cui Lo stagno delle ninfee, sono alcune delle opere d’arte più preziose al mondo.

Monet

Claude Monet (Parigi 1840 – Giverny 1926) fu un pittore francese. Capofila del movimento impressionista, portò al massimo livello lo studio degli effetti mutevoli della luce naturale. Mostrò prestissimo il suo talento artistico, cominciando fin da ragazzo a disegnare caricature, per poi seguire l’insegnamento di Eugène Boudin che lo incoraggiò a dipingere all’aperto. Nel 1859, da Le Havre, dov’era cresciuto, si trasferì a Parigi, iniziando a frequentare Edouard Manet e altri pittori che in seguito avrebbero formato il gruppo impressionista, come Camille Pissarro, Pierre-Auguste Renoir e Alfred Sisley.

Lavorando molto in esterni (en plein air, secondo i dettami impressionisti), Monet dipingeva paesaggi e scene di vita quotidiana così come si presentavano ai suoi occhi, senza artifici. Nel 1865 cominciò a esporre al Salon, dove le sue opere ottennero sempre maggiore successo. Le critiche al suo stile, decisamente innovativo, arrivarono dai sostenitori dell’arte accademica, che consideravano frutto di negligenza le sue ampie pennellate applicate con libertà sulla tela.

Nel 1874 Monet e il suo gruppo decisero di organizzare una propria esposizione. La critica, giudicando sommario e incompiuto il loro stile, li definì sprezzantemente ‘impressionisti’, volgendo così in burla il titolo di un’opera di Monet (Impression, soleil levant, 1872). In questo periodo, le composizioni dell’artista si caratterizzano per l’uso di colori puri; in particolare il bianco, che suggerisce la luce, e il blu, applicato nelle zone d’ombra, gli consentivano di rendere sulla tela un’impressione spontanea dei paesaggi che aveva di fronte.

Verso la metà degli anni Ottanta Monet conobbe i primi successi di critica e di pubblico. Dal 1889 iniziò a eseguire serie di dipinti (famosa, tra le altre, è quella delle Cattedrali di Rouen, 1892-94) che ritraevano lo stesso soggetto in diverse ore del giorno o in diversi periodi dell’anno, mostrando così che la sua tecnica, nonostante l’apparente semplicità, ben si prestava a rendere l’intera gamma delle variazioni atmosferiche. Dal 1883, acquistata una casa a Giverny, vicino a Parigi, si dedicò a ritrarre il suo giardino ricco di fiori (oggi aperto al pubblico), realizzando, tra l’altro, la serie delle Ninfee (1909-26), talvolta su tele di grandi dimensioni.

Curiosità

Nell’estate del 1869 Monet e Renoir lavorarono fianco a fianco sulle rive della Senna, dipingendo due visioni della stessa scena: Bagnanti a La Grenouillère di Monet e La Grenouillère di Renoir.

 

 

La corrente artistica

L’Impressionismo è una corrente artistica sviluppatasi in Francia nella seconda metà dell’Ottocento, nata dal rifiuto delle tradizioni pittoriche e scultorie contemporanee, a soggetto classico o sentimentale, e dello stile promosso dall’Accademia di belle arti di Parigi, tecnicamente meticoloso e incentrato sul lavoro in studio. Per estensione, il termine “impressionismo” è stato applicato anche a certa produzione musicale dell’inizio del XX secolo. Tra i principali pittori impressionisti si ricordano Edgar Degas, Claude Monet, Berthe Morisot, Camille Pissarro, Pierre-Auguste Renoir, Alfred Sisley e Jean-Frédéric Bazille.

I FONDAMENTI DELL’IMPRESSIONISMO

Tradizionalmente l’Accademia imponeva le direttive alle quali tutta l’arte francese avrebbe dovuto uniformarsi e allestiva le esposizioni del Salon di Parigi, organo ufficiale della promozione artistica e della formazione del gusto. Gli impressionisti rifiutarono questi dettami e queste costrizioni, preferendo ispirarsi alla natura e alla vita quotidiana piuttosto che alla classicità o alla storia aulica, e rigettando d’altra parte anche il sentimentalismo tardoromantico (vedi Romanticismo) allora in voga. Scelsero di lavorare all’aperto anziché in studio, interessandosi principalmente agli effetti della luce naturale.

Se la pratica accademica si fondava sull’accuratezza del disegno, la precisa descrizione dei dettagli, la perfetta definizione delle forme attraverso sfumature di colore e chiaroscuro, gli impressionisti, invece, elaborarono una tecnica pittorica in grado di riprodurre la percezione visiva del reale, nella quale i contorni non sono mai netti e i colori, colpiti dalla luce, appaiono vivi, spesso cangianti.

Il procedimento si fondava sulla stesura di brevi pennellate di pigmento puro, che giustapponevano perlopiù colori primari (rosso, giallo e blu), mettendoli in contrasto con i complementari (verde, viola, arancio ecc.): ne risultava un’immagine rozza e frammentaria se analizzata da vicino, ma straordinariamente efficace dalla consueta distanza d’osservazione, caratterizzata da una luminosità più accesa di quella solitamente prodotta mescolando i colori prima di applicarli alla tela.

 

Fonti: Encarta, Capolavori della Pittura

L’attimo eterno – Demetrio Verbaro

Ciao amici,

come trovate il mese di novembre? Personalmente lo preferisco all’estate: cosa c’è di meglio che starsene al calduccio con un tè bollente e un buon libro tra le mani?

Oggi vi parlo del nuovo libro di un autore che vi avevo già presentato in questa occasione.

 

L’ATTIMO ETERNO

Demetrio Verbaro

Lettere animate

Cattura

 

Trama

L’attimo eterno è un’intensa storia d’amore e d’amicizia.
I protagonisti sono tre ragazzi: Giuseppe, Jessica e Sidney. Ognuno di loro, a modo suo, è speciale, fuori dal comune, ma proprio questa diversità li porterà a essere emarginati dai propri coetanei. Troveranno però nella loro amicizia un legame unico e indissolubile.
Il romanzo è strutturato su due livelli temporali e geografici: nei capitoli dispari la storia narra le vicende dei tre protagonisti partendo dalla loro infanzia nel 1992, e seguendoli fino ai vent’anni;l’ambientazione è Mosorrofa un piccolo paese di Reggio Calabria abbarbicato sulla collina.
Nei capitoli pari invece siamo nel 2013 e ritroviamo i protagonisti già trentenni, intenti ad affrontare le complicanze dell’amore. L’ambientazione è New York. Per chi ama le storie a lieto fine consiglio fermarsi al capitolo finale, per tutti gli altri consiglio di proseguire la lettura fino all’epilogo.

 

Recensione

Demetrio Verbaro si distingue per la predisposizione a raccontare storie di tutti i giorni, spogliandole della loro quotidianità e mostrando ciò che di speciale c’è sotto la superficie.

L’attimo eterno è una storia d’amore e d’amicizia. Esiste davvero l’amicizia eterna? E l’amore in quante forme può manifestarsi? Non è sempre facile dare una risposta, soprattutto quando questi due sentimenti si incontrano e scontrano, scombinando le carte in tavola.

La lettura si presenta scorrevole, grazie allo stile semplice, e piacevole perché le scene raccontano di situazioni e problemi reali, che tutti noi abbiamo più o meno vissuto.

Al centro di tutto c’è la visione della vita: essa è vista con disincanto, in maniera cruda e reale per quello che è, da persone deluse da scelte sbagliate che non si possono cambiare. Pregevoli sono anche le riflessioni di carattere sociale:

… Persone dalla mente annebbiata dalla tecnologia, da una società consumistica che li obbliga a vivere desideri che non hanno, esigenze che i loro cuori non sentono. Arrivano a dimenticarsi chi sono veramente e cosa vogliono fare della loro vita.

Un aspetto che ho particolarmente apprezzato è il legame con la natura che l’autore riesce a descrivere in maniera vivida, sia espresso nell’incanto di un paesaggio che nella manipolazione dei prodotti della terra, tipica delle popolazioni del sud Italia.

Un libro che accompagna un pomeriggio o una serata con una sensazione di dolce malinconia.

Valutazione:

4

Trovate il libro qui.