Un giorno solo, tutta la vita

UN GIORNO SOLO, TUTTA LA VITA

Alyson Richman

Piemme

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Trama

Questa storia inizia a New York nel 2000, quando, alle nozze del nipote, Joseph Kohn scorge tra gli invitati una donna dall’aria familiare. Gli occhi azzurro ghiaccio, l’ombra di un tatuaggio sotto la manica. Il presentimento gli toglie il respiro. Le chiede di mostrargli il braccio; non importa se è scortese, lui deve sapere. La certezza è lì, sulla pelle: sei numeri blu, accanto a un piccolo neo che lui non ha mai dimenticato. E allora le dice: “Lenka, sono io. Joseph. Tuo marito”. Perché questa storia, in realtà, inizia a Praga nel 1939. Lenka e Joseph sono due studenti ebrei, si conoscono poco prima dello scoppio della guerra, si innamorano, diventano marito e moglie per lo spazio di una notte. Il giorno dopo, al momento di fuggire negli Stati Uniti Lenka decide di restare, perché non ci sono biglietti a sufficienza per la sua famiglia. Si separano con la promessa di ricongiungersi al più presto, ma Lenka finisce in un campo di concentramento. In mezzo all’orrore, fa ciò di cui è capace, dipingere, unico modo per dare colore a ciò che è privato di luce, per dare forma a ciò che non si può descrivere. Mentre Joseph, in America, si specializza in ostetricia: solo aiutare a dare la vita gli consente di non farsi trascinare a fondo dalle voci di chi non c’è più. Quando ormai si crederanno perduti per sempre, ci sarà un nuovo inizio per entrambi.

L’autrice

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Americana, vive a Long Island, New York. I suoi romanzi, tradotti in più di dieci lingue, hanno ottenuto un vasto consenso di critica e di pubblico, tanto negli USA quanto all’estero, e sono stati selezionati e consigliati dai librai indipendenti. Un giorno solo, tutta la vita è diventato un bestseller in poche settimane. Ispirato alle storie vere di vittime e superstiti dell’Olocausto, è un inno alla resistenza dell’animo umano, alla forza dei ricordi, all’intensità di un incancellabile primo amore.

La mia opinione

Parto dal presupposto che si tratta davvero di un bel libro, commuovente e interessante.

La parte iniziale descrive la vita di Lenka da bambina a ragazza in maniera molto veloce e discorsiva, quasi come un riassunto sebbene molto elegante e pittoresco. Man mano che si procede le tematiche diventano sempre più profonde, dal rapporto tra genitori e figli a quello con i morti. Interessantissima la descrizione della vita dentro Terezin, di cui non avevo sentito molto parlare. Lo stile ha parecchi sbalzi di qualità: in alcune scene è ricercato, in altre è appena accettabile, al punto che sembra frutto di due scrittori diversi. Il finale risulta un po’ frettoloso ma lascia un senso di commozione e speranza. Un plauso va all’autrice per l’abilità nel descrivere l’ambientazione storica e la volontà di inserire nel periodo narrato a Terezin delle persone realmente esistite. Da non perdere.

Valutazione:

4

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Normalità (??)

“Normale”. Che brutta parola.
“Quello non è normale.”
“Perché non ti comporti in modo normale?”
Chi decide cos’è normale?
“Normale” non significa giusto, corretto, buono.

Mio Dio, la vita è sì corta, si fa sera tanto presto che l’esser buono ed onesto è ormai di un’epoca morta. Marino Moretti

Cari followers, è passato un po’ di tempo dall’ultimo – e primo – articolo sulla letteratura italiana tra Ottocento e Novecento. Rieccomi qui oggi con Marino Moretti, un poeta-scrittore definito crepuscolare, dunque navighiamo ancora in territori letterari prossimi al mio amato Guido Gozzano. Alcuni diranno di non aver mai sentito parlare di Moretti e la cosa non mi stupisce giacché neanch’io l’ho incontrato durante il mio corso di studi. Trovo giusto non scrivere dei “soliti” e famosi poeti e narratori ma anzi dare spazio e nuova voce a coloro che non sono nominati in ogni classe di scuola superiore. Ho scelto Moretti perché, oltre alla poetica, ammiro il fatto che nel 1925 abbia firmato il Manifesto degli intellettuali antifascisti di Benedetto Croce.

Ecco, è piena la spica,
e la falce è nel pugno.
Il buon sole di giugno rallegra la fatica.
Or la canzone sale
dal campo del lavoro,
e si accompagna a un coro
stridulo di cicale.
E sale il canto anelo
dalle bocche lontane,
lodando, in terra, il pane
ed il buon Padre in cielo.

Marino Moretti, Giugno

La vita

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Marino Moretti (Cesenatico, 18 luglio 1885 – Cesenatico, 6 luglio 1979) frequentò a Ravenna l’istituto “Sant’Apollinare”, retto da religiosi, che poi abbandonò per scarsi profitti iscrivendosi al liceo-ginnasio “Vittorino da Feltre” di Bologna, dal quale però ne uscì senza licenzia ginnasiale.

Frequentò a Firenze la scuola di recitazione “Tommaso Salvini”, diretta da Luigi Rasi (vedi approfondimento in fondo all’articolo), dove conobbe Aldo Palazzeschi (vedi approfondimento in fondo all’articolo). Neanche in questo campo Moretti si dimostrò eccelso, sicché il Rasi gli consigliò di concentrarsi su una via prettamente letteraria.

Durante la prima guerra mondiale Moretti, non ritenuto idoneo al servizio militare, si arruola come infermiere. Lavorò per un’agenzia di stampa della Croce Rossa e collaborò con numerosi giornali, tra cui il Corriere della Sera. Contrario al fascismo firmò il Manifesto degli intellettuali antifascisti di Benedetto Croce.

Frattanto scrisse poesie, novelle, romanzi, pagine autobiografiche; vinse diversi premi letterari.

La poetica

I componimenti poetici di Moretti sono definite crepuscolari per quel tono grigio e uniforme, attraversato da una sbiadita ironia, che è caratteristico anche della sua opera in prosa. Nei romanzi e nelle novelle ambientati nei paesaggi perlopiù della provincia romagnola si muovono personaggi umili e sacrificati. Tre sono i tempi in cui può essere scandita la sua parabola poetica che, pur essendo dall’inizio contrassegnata da un risoluto antidannunzianesimo, registra il passaggio da una lirica intima, dai “buoni sentimenti” al ripudio reciso e infastidito di questa vena.
La distanza da D’Annunzio e Carducci accomunava Moretti all’amico Aldo Palazzeschi, da cui divergeva però per l’incapacità di lasciarsi coinvolgere nei movimenti e nelle correnti. Moretti restò sempre appartato, solitario, orgoglioso della sua solitudine. L’intransigenza morale dell’uomo si tradusse nella capacità coraggiosa di dire no alle lusinghe di un mondo di cui non condivideva i valori.

Le opere

Poesie

  • La serenata delle zanzare, 1905
  • Poesie scritte col lapis, 1910
  • Poesie di tutti i giorni, 1911
  • Il giardino dei frutti, 1915
  • Poesie, 1905-1914, 1919, raccolte e più tardi riordinate, con l’aggiunta di versi successivi, in Tutte le poesie, 1966

Romanzi e raccolte di novelle

  • Il sole del sabato (1916)
  • Guenda (1918)
  • La vice di Dio (1920, n. ed. 1931)
  • L’isola dell’amore (1920)
  • Né bella né brutta (1921)
  • I due fanciulli (1922, n. ed. 1962)
  • I puri di cuore (1923)
  • Il trono dei poveri (1928)
  • L’Andreana (1935)
  • Anna degli elefanti (1937, n. ed. 1963)
  • La vedova Fioravanti (1941)
  • Cento novelle (1943)
  • I coniugi Allori (1946)
  • Il fiocco verde (1948)
  • Uomini soli (1954)
  • La camera degli sposi (1958)

Ricordi

  • Mia madre(1923)
  • Il tempo felice (1929)
  • Via Laura (1931, n. ed. col titolo Il libro dei sorprendenti vent’anni, 1944)
  • Fantasie olandesi (1932)
  • Scrivere non è necessario (1938)
  • Pane in desco (1940)
  • L’odore del pane (1942)
  • I grilli di Pazzo Pazzi (1951)
  • Il libro degli amori (1960)

La mia opinione

Moretti ha in sé caratteristiche particolari che rendono i suoi scritti pregevolissimi da leggere. Si apprezza Moretti per la capacità di spogliare la realtà e mostrare, alle volte in maniera anche troppo cruda, come essa è veramente: vuota, inutile. Il tutto è stemperato da un senso d’ironia invitante e divertente che Moretti usa come “mantello” per i puri di cuore.

Vi riporto alcuni dei suoi componimenti significativi.

A Cesena

Piove. È mercoledì. Sono a Cesena,
ospite della mia sorella sposa,
sposa da sei, da sette mesi appena.

Batte la pioggia il grigio borgo, lava
la faccia della casa senza posa,
schiuma a piè delle gronde come bava.

Tu mi sorridi. Io sono triste. E forse
triste è per te la pioggia cittadina,
il nuovo amore che non ti soccorse,

il sogno che non ti avvizzì, sorella
che guardi me con occhio che s’ostina
a dirmi bella la tua vita, bella,

bella! Oh bambina, o sorellina, o nuora,
o sposa, io vedo tuo marito, sento,
oggi, a chi dici mamma, a una signora;

so che quell’uomo è il suocero dabbene
che dopo il lauto pasto è sonnolente,
il babbo che ti vuole un po’ di bene…

« Mamma! » tu chiami, e le sorridi e vuoi
ch’io sia gentile, vuoi ch’io le sorrida,
che le parli dei miei viaggi, poi…

poi quando siamo soli (oh come piove!)
mi dici rauca di non so che sfida
corsa tra voi; e dici, dici dove,

quando, come, perché; ripeti ancora
quando, come, perché; chiedi consiglio
con un sorriso non più tuo, di nuora.

Parli d’una cognata quasi avara
che viene spesso per casa col figlio
e non sai se temerla o averla cara;

parli del nonno ch’è quasi al tramonto,
il nonno ricco, del tuo Dino, e dici:
« Vedrai, vedrai se lo terrò di conto »;

parli della città, delle signore
che già conosci, di giorni felici,
di libertà, d’amor proprio, d’amore.

Piove. È mercoledì. Sono a Cesena,
sono a Cesena e mia sorella è qui

tutta d’un uomo ch’io conosco appena.

tra nuova gente, nuove cure, nuove
tristezze, e a me parla… così,
senza dolcezza, mentre piove o spiove:

« La mamma nostra t’avrà detto che…
E poi si vede, ora si vede, e come!
sì, sono incinta… Troppo presto, ahimè!

Sai che non voglio balia? che ho speranza
d’allattarlo da me? Cerchiamo un nome…
Ho fortuna, è una buona gravidanza… »

Ancora parli, ancora parli, e guardi
le cose intorno. Piove. S’avvicina
l’ombra grigiastra. Suona l’ora. È tardi.

E l’anno scorso eri così bambina!

Valigie

Voglio cantare tutte l’ore grigie
in questa solitudine pensosa
mentre raduno ogni mia vecchia cosa
a riempir le mie vecchie valigie.

Oh le valigie, le compagne buone
dei poveri viaggi in terza classe
vecchie, sfiancate, fatte con qualche asse
sottile e con la tela e col cartone.

Le camicie van qui da questa parte,
quaggiù ai colletti cerco di far posto,
lì le cravatte e qua, quasi nascosto,
un manoscritto, e ancora libri e carte.

Ecco il pacchetto della mamma. Odora
vagamente di cacio e di salame.
Già, se avessi in viaggio ancora fame.
E questo libro e un altro, un altro ancora.

Dove vado? Non so. Ma mi sovviene
d’averla pur desiderata questa
partenza come, il piccolo, la festa
che col serraglio e con la giostra viene.

Dove vado? Non so. Ma pare a me ch’io debba
vivere senza scopo, allo sbaraglio;
e a tratti con l’inutile bagaglio
partir per i paesi della nebbia…

Mi mandi Via?

Io rubo, fornico, uccido,
faccio il mezzano e la spia:
ebbene? mi mandi via?
ti rido in faccia, ti rido.

La vita è breve ed è un gioco
che si perde troppo presto.
Mette conto essere onesto
(breve la vita) per poco?

Io rubo, uccido, fornico,
so tender bene i miei lacci:
e che per ciò? mi discacci?
Càlmati, càlmati, amico.

Mio Dio, la vita è sì corta,
si fa sera tanto presto
che l’esser buono ed onesto
è ormai di un’epoca morta.

Ci credi, sii sincero,
ci credi punto per punto
alle virtù di un defunto?
Se ci credo io? No davvero.

Essere onesto! ma è come
porre una foglia di fico
su un tondino d’ombelico:
eccesso di precauzione.

Essere onesto! Non oso
nemmeno pensarci. Onesto!
Finché nel mondo ci resto
non vo’ trovarlo noioso.

Io rubo, fornico, uccido,
faccio il mezzano e la spia
e vendo l’anima mia
a un Mefistofele fido.

Ebbene? Mi mandi via?
Vado, fratello mio buono,
ma ti assicuro che sono
in ottima compagnia.

Rondini, o voi dove andate?

Rondini, o voi dove andate
che par che il cielo v’ingoi?
O amiche rondini, fate
fate ch’io venga con voi.

Rondini, io getterò via
tutto ciò che amai, tutto ciò
ch’è inutil peso, terrò
soltanto l’anima mia.

Rondini, è certo che poi
senza l’ombra d’un pensiero
sarò leggero leggero
come il vento, come voi.

E tu taci, anima mia.
Mentre che scema la luce
andiamo dove ci conduce
questo volo, andiamo via.

Ancor la rima

Ho la rima nel sangue.
Con la rima divengo un purosangue.
Ringiovanisco, sono come prima.
Perché siete anche voi contro la rima?
È lei che mi sostiene,
è lei che mi mantiene,
è a lei che voglio bene
è da lei che s’attende arguzia e stima.
Perché siete anche voi contro la rima?
È così intelligente,
è così intraprendente
è così sorprendente
è così divertente… e non è niente.
Perché siete anche voi contro la rima?
(Lo so, lo so da prima,
ch’io non merito allori né percosse:
la rima è la mia tosse.)
Letto stanotte, insonne,
un canto di pastor ch’erra nell’Asia
dopo il Sabato e il Passero,
dopo Consalvo e Aspasia,
riapprodando a care
recanatesi sponde.
E nel silenzio era tutto un cantare.
Ma ciò che in me cantava, e ancora canta,
era la rima in ale,
era fatale, cale, frale, male,
immortale, mortale
nel ritmo d’una notte quasi santa.
In fin di strofe, ale, ale,
è funesto a chi nasce il dì natale.

La rima è la mia tosse? E si ribella!
Ché se un perfetto gioco di parole
che s’immalinconiscono nel sole
oggi non ha per sé che disistima,
poeta senza rima
non è poeta vero, a volte, o spesso,
la rima è tutto come per me… adesso.

Approfondimenti

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Luigi Rasi (Ravenna, 1852 – Milano, 1918) è stato un attore, drammaturgo e storico italiano. Fu anche autore di commedie e di monologhi popolari, maestro di recitazione e storico del teatro. In qualità di traduttore ed erudito teatrale, venne chiamato a dirigere la Scuola di Recitazione di Firenze nel 1882 ove rimase fino alla morte.

La sua opera portò a un’evoluzione dei criteri di insegnamento, nella ricerca di una recitazione più spontanea e meno artificiosa. Diede alle stampe numerosi volumi di carattere critico-informativo sullo spettacolo. Nel corso della sua vita, raccolse una ricchissima biblioteca sullo spettacolo e collezionò documenti e cimeli legati alla storia del teatro.

Dopo la sua morte, la sua collezione fu acquistata dalla SIAE e andò a formare il nucleo originario della Biblioteca e Museo teatrale del Burcardo, a Roma, aperto al pubblico dal 1932.

 

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Aldo Palazzeschi è lo pseudonimo di Aldo Giurlani (Firenze 1885 – Roma 1974), poeta e narratore italiano. Partecipò all’esperienza futurista, pubblicando nel 1914 su “Lacerba” il manifesto Il controdolore, ma nello stesso anno abbandonò il movimento indirizzando a Marinetti un telegramma che Giuseppe Prezzolini pubblicò su “La Voce”. Anche l’esperienza crepuscolare lasciò traccia nella sua opera (Riflessi, 1908). Dal 1926 cominciò a collaborare al Corriere della Sera e nel 1957 l’Accademia dei Lincei gli assegnò il premio internazionale Feltrinelli per la letteratura. La sua produzione, segnata perlopiù da una vena ironica e dissacrante, dal gioco verbale, dall’inventiva che sviluppa all’estremo situazioni fantastiche o grottesche, è abbondante e variegata: una dozzina le raccolte di poesie (Cavalli bianchi, 1905; Lanterna, 1907; L’incendiario, 1910), numerosi racconti (Tutte le novelle, 1907) e romanzi; tra questi, Il codice di Perelà (1911) è una favola moderna con un omino di fumo come protagonista che anticipa la svagata e sarcastica assurdità surreale di personaggi come Il doge (1967) e Stefanino (1969). Se in opere come quelle scritte negli anni romani (I fratelli Cuccoli, 1948; Roma, 1953) lo scrittore sembra abbandonare la visione deformante della realtà che gli è propria, in quello che è considerato il suo miglior esito narrativo, Le sorelle Materassi (1934), ottiene un riuscito equilibrio fra la restituzione memoriale di un’epoca e una trama sottilmente dissacratoria.

Fonti: wikipedia, encarta, rai letteratura, treccani

Pensiero di un pomeriggio estivo

Si parla sempre di mamme che uccidono, che abbandonano, che scappano. Non si parla mai di quelle mamme che sopportano gli sfoghi dei figli adolescenti, che ogni giorno con pazienza sacrificano il proprio tempo, le proprie passioni, a volte anche la propria salute per amore. Perché? Perché è considerata una cosa normale, scontata, quando invece non lo è: è la cosa più straordinaria del mondo. Ecco, parliamo ogni tanto anche di queste mamme, dedichiamo loro un pensiero, un grazie, perché senza di loro non potremmo essere ciò che siamo, perché con un amore incondizionato e silenzioso, senza pretese, si sono prese cura di noi e continueranno a farlo, fino alla morte. Questo dovrebbe fare notizia, dare speranza e spingerci a fare lo stesso in futuro.

Nuova recensione

Cari followers, perdonate la latitanza di questi giorni ma la vita reale è piuttosto impegnativa e quella digitale passa in secondo piano, anche se spero ancora per poco. Tornerò presto con le consuete rubriche.

Intanto se avete un paio di minuti vi invito a leggere l’ultimissima recensione scritta su Tregua nell’ambra. Questa a mio parere è una delle migliori. Una delle migliori non per i complimenti fatti al libro ma per la capacità di portare alla luce le tematiche e i dettagli più importanti.
Cliccate qui.

Buona giornata a tutti!

“Waiting Room” di Bianca Cataldi

Cari followers,

il blog ha taciuto per qualche giorno ma ora ecco per voi un post fresco fresco e abbastanza ricco. Buona lettura!

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WAITING ROOM

Bianca Rita Cataldi

Butterfly Edizioni

La trama

 

È il 1942. In una Puglia bruciata dal sole, Emilia e Angelo condividono la passione per il sapere, il desiderio di libertà e il tempo della loro giovinezza. Settant’anni dopo, seduta nella sala d’attesa di un dentista, Emilia rivela a se stessa la verità negata di una giovinezza che adesso, per la prima volta, ha il coraggio di riportare alla luce. Con una scrittura che è poesia del ricordo e caleidoscopio di emozioni, Bianca Rita Cataldi accompagna il lettore tra i sorrisi e le lacrime di una donna come noi, raccontando la storia di un amore mancato, di una generazione nell’età dell’incertezza, di un’attesa che attraversa tutta una vita.

L’autrice

 

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Bianca Rita Cataldi è nata nel 1992 a Bari, dove frequenta la facoltà di Lettere Moderne e studia pianoforte in conservatorio. Finalista al Premio Campiello Giovani nel 2009, ha esordito nel 2011 con il romanzo “Il fiume scorre in te”, pubblicato da Booksprint Edizioni. Nel gennaio 2013 ha fondato il blog/magazine culturale Prudence e da un anno collabora con la casa editrice Butterfly. Scrive recensioni letterarie per numerose case editrici sul suo blog B. among the little women. “Waiting room”, finalista della II edizione del Premio Villa Torlonia, è il suo secondo romanzo.

La mia recensione

 

Il romanzo di Bianca Cataldi si presenta come un libro davvero piacevole, ammantato di malinconia, suddiviso in capitoli brevi che favoriscono una lettura scorrevole e veloce. La voce narrante è quella di Emilia, una signora anziana che, nella sala d’attesa di un dentista, si ritrova a riflettere sulla propria vita e ricordare il suo primo amore, Angelo. L’Emilia del presente è una donna dal temperamento forte, il suo accostarsi agli eventi è spesso velato di ironia tagliente. Grazie a lei l’autrice porta sotto i riflettori anche temi importanti quali la condizione degli anziani al giorno d’oggi, lo stato di abbandono in cui talvolta versano a causa dei “giovani” troppo presi dalla propria frenetica vita, la solitudine del cuore e della mente in cui i ricordi sono più vividi della vita reale. Il racconto si dispiega tra presente e passato in flashback continui che mantengono viva l’attenzione. L’Emilia ragazza è ingenua com’era giusto che fosse alla sua età in quell’epoca. Scopriamo assieme a lei il batticuore per il primo amore, le prime carezze e i primi baci, il tutto intriso di sentimenti di una tenerezza straziante. Bellissimi sono i pensieri sulla giovinezza, puntellati da uno stile che, nonostante la giovane età dell’autrice, risulta piuttosto maturo. È proprio lo stile ciò che ho maggiormente apprezzato nel libro: piacevolmente mutevole nelle diverse situazioni descritte, raggiunge il culmine quando descrive le tribolazioni di Emilia. Le metafore sono così poetiche e armoniose che vien voglia di rileggerle ancora e ancora, anche ad alta voce per assaporarne il suono sulla lingua. Interessante è la figura della giovane scrittrice nella sala d’attesa che, in un certo senso, pare stia scrivendo la storia che Emilia rievoca nella propria mente, quasi fosse la nipote dell’anziana. Il finale risulta commovente e lascia nell’animo un senso di malinconia palpabile. Il racconto delle vicende è dunque egregiamente riuscito, impreziosito dalle perle stilistiche.

Ora parliamo invece di ciò che mi è parso assai improbabile essendo la sottoscritta una grande appassionata della storia di quel periodo. Non avrei avuto da ridire se le vicende giovanili di Emilia fossero state ambientate in un periodo “tranquillo”, ad esempio intorno al 1927-28, dieci anni dopo la fine della prima guerra mondiale e prima della grande crisi del 1929 e quando il fascismo non era ancora troppo opprimente nei confronti della popolazione “fedele” al regime. L’autrice difatti riesce a descrivere bene alcuni aspetti della vita come gli esercizi a scuola in onore del Duce, le feste in famiglia, l’atmosfera tra parenti, i modi di dire, l’uso del voi, gli abiti, le canzoni, la mentalità di un paesino del sud. Tuttavia le vicende sono ambientate in un periodo molto complesso, assai differente da quello degli anni immediatamente precedenti o successivi: il 1942. La guerra non era ancora al culmine ma la vita della popolazione non era rose e fiori. Nel libro sono tutti molto spensierati, mangiano bene, vestono bene, vanno al cinema. Nella realtà c’erano le Camicie Nere e gli assurdi divieti fascisti, c’erano tensioni anche nei piccoli paesi. C’era l’autarchia quindi non potevano essere importati beni dall’estero: il caffè era quasi introvabile, se non al mercato nero – di cui non si fa menzione neanche una volta – dove comunque costava tantissimo; il pane era pane nero. C’erano i razionamenti, non si andava per negozi a comprare ciò che si voleva: ogni cittadino aveva la tessera annonaria che dava diritto a quantità prestabilite di pane, pasta, zucchero, ecc. ma riguardava anche le stoffe, gli aghi… quindi era difficile cucire abiti di qualità. La famiglia di Emilia è benestante ma i suoi membri sono sarti e contadini. Difficile che fossero benestanti con questi mestieri, soprattutto in periodo di guerra: i sarti non avevano molto da cucire e i contadini non potevano vendere granché.

Angelo parla di “andare a prendere un gelato al cioccolato”. Dove? Non è come ora: si va in gelateria, si paga e si mangia. I miei nonni, che hanno sempre vissuto a Martina Franca, uno dei maggiori borghi pugliesi nel quale risiedo anch’io, mi hanno detto che loro non mangiavano nessun tipo di dolce, il massimo erano le arance oppure il pane umido sul quale appiccicavano un po’ di zucchero. La cioccolata l’hanno vista e conosciuta per la prima volta quando nel settembre del ’43 sono arrivati gli inglesi e gli americani. Il gelato esisteva per carità, pure il gelato al cioccolato, ma dubito che fosse reperibile a quei tempi in un piccolo paese in provincia di Bari, dove sono ambientate le vicende di Waiting room. Se si considera poi che il cibo si acquistava con la limitata tessera annonaria, sembra difficile che qualcuno potesse permettersi di andare a prendere un gelato al cioccolato. Stessa cosa per le crostatine alla frutta dal panificio. All’epoca le marmellate si facevano e consumavano maggiormente in casa, ma comunque vale ciò che ho detto per le tessere annonarie.

La madre di Emilia indossa un bracciale d’oro. Quasi impossibile: Mussolini aveva ordinato alla popolazione di donare l’oro alla patria per sostenere i costi della guerra. Chi non aveva consegnato il proprio oro – pochi visto ciò che erano capaci di fare le Camicie Nere – non lo portava certo addosso per mostrarlo in giro. Nel libro in paese ci sono tranquillamente tutti gli uomini: giovani o adulti. La cosa mi sembra strana poiché, se non tutti, perlomeno la maggior parte avrebbero dovuto essere chiamati alle armi. Della guerra che si consuma in quegli anni non si parla quasi mai se non rare volte verso la fine del libro. Sembra che non ci sia nessuna guerra e tutto ciò che essa comporta. All’inizio del ’43 nel libro si dice che sarebbe passato ancora qualche mese e poi la vita si sarebbe chiusa in faccia a Mussolini. Ma sappiamo che la vita di Mussolini non finì il 25 luglio ’43 quando venne arrestato né l’8 settembre con l’armistizio. Il 12 settembre infatti fu liberato da paracadutisti tedeschi dalla prigionia di Campo Imperatore. Dunque non terminò nemmeno la sua attività politica giacché dopo la liberazione creò l’odiata Repubblica Socialista nel nord Italia occupato dai nazisti.

Ora che ho finito di fare la pignola – non poteva non essere così riguardo a un’epoca che amo – vi dico che so per esperienza che scrivere un romanzo storico non è affatto facile, soprattutto quando ci si inoltra in periodi particolari come la guerra, in cui l’ordine delle cose viene sconvolto. Attribuisco dunque questi errori storici non alla mancata volontà dell’autrice di documentarsi ma alla difficoltà di descrivere in maniera precisa le piccole cose di tutti i giorni durante il più disastroso conflitto mondiale. I libri di storia ci insegnano i grandi avvenimenti, gli scontri tra eserciti, ma non parlano di come la gente comune si arrabattava per sopravvivere. Il mio umile consiglio all’autrice – ma anche a tutti gli autori che, affascinati dal passato, vogliono ambientarci una storia – è quello di fare ricerche approfondite e particolareggiate e di contestualizzare le informazioni: ciò che ad esempio si trovava o era possibile fare a Roma, poteva non esserlo in un paesino delle piccole province. La storia deve essere tramandata per quella che è stata realmente o perlomeno nel modo più veritiero possibile.

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Intervista all’autrice

 

Ciao Bianca, benvenuta sul mio blog. Mi fa molto piacere ospitare una mia conterranea, soprattutto giovane e talentuosa come te.

Ciao Ilaria! Grazie infinite per avermi accolta nel tuo blog e, soprattutto, per aver letto il mio romanzo con interesse e attenzione.

  • Dalla tua biografia abbiamo appreso che frequenti la facoltà di lettere e studi pianoforte, dunque hai due grandi passioni: letteratura e musica. Andando indietro nel tempo con la mente, sapresti riconoscere il momento in cui esse sono nate o l’evento che le ha scatenate? A quale delle due sei più legata?

L’amore per la musica nasce da un dispetto. Mi spiego: abbiamo in casa un vecchio Zimmermann verticale sul quale hanno suonato mio nonno, un po’ mia madre, mia sorella ed io. Quando era mia sorella a studiare musica, io ero veramente piccola e andavo lì da lei per disturbarla mentre studiava e per spingere i tasti a caso. Lei si arrabbiava e mi diceva che non potevo toccare lo strumento perché l’avrei sicuramente rotto, non essendo in grado di suonarlo. Così, a nove anni, andai da mia madre e le dissi che volevo iniziare a studiare pianoforte e, da quel giorno in poi, nessuno mi impedì più di strimpellare a mio piacimento. Lo “strimpellare” è diventato studio vero quando sono entrata in Conservatorio, esperienza che ancora continua e che si concluderà tra un paio d’anni con l’agognato diploma. Per quanto riguarda la letteratura credo che il Primo Motore Immobile sia stata mia madre con tutte le fiabe che mi leggeva. Lei è un’insegnante elementare di italiano e ti lascio immaginare quanto questo abbia influito sul mio modo di guardare ai libri e alla cultura in genere: mi ha insegnato ad amare ciò che gli altri bambini ritenevano noioso e poi, spontaneamente, alla lettura ha fatto seguito la scrittura, come in una naturale evoluzione. Non riesco ad immaginare le due cose separatamente e credo che, in generale, tutti i lettori siano anche un po’ scrittori: altrimenti, come potrebbero raffigurarsi nella mente ciò che l’autore di un libro ha scritto o ha nascosto tra le righe? Tra musica e letteratura, comunque, scelgo sicuramente la seconda: è un campo della cultura nel quale sento di potermi muovere senza urtare continuamente contro gli spigoli.

  • Ti piace parlare con gli altri della cultura, immagino, giacché hai creato un blog/magazine culturale e pubblichi recensioni letterarie sul tuo blog. Vuoi parlarci di Prudence e B. among the little women?

Parto dal più recente, Prudence. Si tratta, come hai giustamente detto, di un “blog/magazine”. La doppia definizione dipende dal fatto che non ci sentiamo ancora pronti per assegnarci il titolo di “magazine”, né ne abbiamo le competenze, ma crediamo che definirci soltanto un “blog” sia riduttivo. Siamo un gruppo di amici che ogni mese si siede intorno a un tavolino tondo del bar Stradivari e discute del prossimo tema da trattare, fumando e bevendo una cioccolata calda. Crediamo fermamente che la cultura vada condivisa liberamente, in ogni suo ambito, senza prezzi da pagare o barriere ideali da rispettare. Scriviamo articoli che non hanno un orientamento ben preciso, né politico né sessuale, e speriamo che il nostro progetto possa crescere sempre di più, giorno dopo giorno. Colgo l’occasione per ringraziare tutta la Redazione perché è composta da persone meravigliose che scrivono cose meravigliose e che meritano decisamente di essere lette e conosciute. Passando a B. among the little women: si tratta del mio blog personale, quello sul quale riporto le mie recensioni, le mie opinioni su ciò che mi circonda, le mie “visioni fuggitive”. Detesto ammetterlo ma so di essere una persona molto pigra e questo si evince dal mio blog: riconosco che dovrei curarlo di più, arricchirlo, renderlo più funzionale. Prometto che lo farò col tempo… esami permettendo!

  • Prima di raccontarci del libro che ho recensito qui sul blog, parlaci un po’ del tuo primo romanzo.

Il fiume scorre in te è il frutto acerbo dei miei sedici/diciassette anni, nonché la medicina con la quale ho curato me stessa dalla fine del primo amore. Adesso, ripensandoci, mi viene in mente un sottotitolo che gli calzerebbe a pennello: “Cronaca di un disamore”. Perché è di questo che si tratta: di una relazione che si accartoccia su se stessa, di un progressivo smettere di amare. Dani, accompagnata dal fedele Massimo, viaggia su un treno che la porta indietro nel tempo e, più precisamente, nel passato di Alessandro, l’uomo che ama e che l’ha abbandonata. Nel corso del viaggio, Dani scoprirà tutto ciò che Alessandro le ha nascosto e, per di più, sarà costretta a scegliere se perdonarlo e proseguire il viaggio o se fermarsi e condannare il suo amore per sempre. È un romanzo particolare e ancora adesso non riesco a spiegare con esattezza di che genere si tratti. Di una cosa sono assolutamente certa: è il mio libro del cuore, il mio primo sforzo quasi-letterario e, malgrado tutte le sue piccole grandi ingenuità, non cambierò mai una virgola di ciò che ho scritto perché tra quelle pagine ci sono io tutta intera. Io com’ero.

  • Waiting room. Un titolo che sinceramente all’inizio, leggendo la trama del libro, mi ha un po’ mandato in confusione. Tuttavia più si va avanti nella lettura più se ne comprende il significato, finché nelle ultime pagine si capisce che è azzeccatissimo. Ti è venuta in mente prima l’ambientazione e il suo significato e solo in un secondo momento il titolo oppure il contrario? C’è un messaggio per il lettore nascosto in queste due parole?

Forse non ci crederai, ma non ricordo assolutamente il momento in cui ho pensato al titolo. Credimi, non lo ricordo: è come se fosse sempre stato lì, insieme alle storie che mia nonna mi raccontava quand’ero bambina. Ricordo bene, però, che a un certo punto ho capito che non potevo riferire semplicemente una storia vera: dovevo ampliarla, darle un significato che valesse non solamente per la protagonista ma per tutti coloro che, leggendo, si sarebbero identificati con lei. Ho improvvisamente visto la sala d’attesa del primo capitolo come una metafora della vita che Emilia aveva vissuto e ho capito che quella ragazza senza nome che vedevo al suo fianco ero io mentre scrivevo, anch’io perennemente in attesa del futuro, che m’infilavo nella storia come Hitchcock nei suoi film e ho pensato che quel titolo provvisorio, quel “Waiting room”, sarebbe stato perfetto per esprimere l’angoscia dell’aspettare, il suo corrodere lento, il bianco abbacinante di un ritorno sperato e mai avvenuto.

  • Questo è il tuo primo romanzo con connotazioni storiche. Ti è piaciuta l’esperienza? La ripeterai oppure pensi di indirizzarti verso altri generi?

Diciamo che il romanzo storico non è esattamente pane per i miei denti. È anche vero, però, che non siamo noi a scegliere le nostre storie: sono le storie che ci chiedono di essere raccontate. Se la storia che bussa alla tua porta viene dritta dritta dagli anni ’40, o dagli anni ’60, o dal 1800… tu non puoi chiederle di tornare indietro. Devi rimboccarti le maniche e procacciarti i mezzi per raccontarla. Sicuramente ho commesso moltissime ingenuità in questo mio primo “esperimento storico”, ma non escludo di riprovarci in futuro con maggiore impegno e un bel po’ di studio in più! Il mio prossimo romanzo, comunque, sarà sicuramente ambientato nel nostro tempo e sarà a tematica lgbt: ho steso una bozza ma mi serve ancora molto tempo per trasformarla in un qualcosa che meriti l’appellativo di “romanzo”.

  • Emilia e Angelo. Due giovani il cui futuro, stretto dalle morse di una comunità che segue tradizioni e leggi non scritte, non ha nulla di certo. Ti sei ispirata a qualcuno in particolare per creare questi personaggi?

Ebbene sì! Angelo è la “versione vintage” dell’uomo che amo con le sue piccole fissazioni, il suo naso dantesco e quella follia genuina che gli vedo negli occhi ogni volta che lo guardo. Emilia, invece, è mia nonna così come appare nelle fotografie color seppia, con quello sguardo fiero, i fianchi larghi e la determinazione cocciuta che l’ha guidata per tutta la vita e che ancora la guida, giorno dopo giorno.

  • Emilia resterà per tutta la vita in attesa di quell’amore che se ne è andato durante la giovinezza. Si tratta dunque di un sentimento forte, forgiato nell’anima forse proprio grazie all’innocenza che lo ha visto nascere. Dal passato giungono spesso memorie di amori sbocciati ma mai vissuti che però non sono stati dimenticati. Considerando il mondo in cui viviamo oggi, secondo te una donna – o un uomo – potrebbe vivere nel ricordo di un amore per tutta la vita? È la società a mettere difficoltà e imposizioni sul tragitto di un sentimento che dovrebbe essere imperituro oppure ciò che accade dipende unicamente da ognuno di noi, dalla maniera di vivere e percepire l’amore?

Sicuramente i tempi sono cambiati e, cambiando, hanno trasformato anche il nostro modo d’amare. C’è un adagio arabo che recita “Gli uomini assomigliano più al loro tempo che ai loro padri”, ed è la verità. Certo, credo che ancora oggi si possa amare una sola persona per tutta la vita: mi è capitato spesso di ascoltare i racconti di amici e conoscenti che non hanno mai dimenticato un amore e che hanno atteso per anni, come Emilia, un ritorno che non è mai avvenuto. Inutile dire, però, che amori così duraturi sono sempre più rari, e noi siamo sempre più pronti a ricominciare, ripartire da zero, ricostruirci una vita. Il che, detto per inciso, non è un male se si sta attenti a non prendersi in giro e a non far soffrire inutilmente l’altro. Viviamo in un tempo in cui non è più possibile “piangersi addosso”. Ricordo che il mio primo romanzo terminava proprio su questa frase, “Smetto di piangermi addosso”, ed è così: andiamo di fretta e va di fretta anche il dolore, tentiamo di eliminarlo al più presto consumandolo in distrazioni, lanciandoci nuovamente nel futuro come saette. Ripeto, non è necessariamente un male ma non è nemmeno necessariamente un bene: ognuno di noi merita di avere il suo angolo di dolore e di riflessione sofferta perché è questo che ci fa crescere, forse più di ogni altra cosa. 

  • Ciò che mi è maggiormente piaciuto di Waiting room è lo stile. Molto poetico, ricco di metafore originali e mai scontate, direi maturo nonostante la tua giovane età. Ti sei esercitata nel corso degli anni per migliorarlo oppure l’hai scoperto all’improvviso senza nemmeno sapere di esserne dotata?

Da un lato credo che il mio stile sia sempre stato qui, da qualche parte dentro di me, sin da quand’ero bambina, ma allo stato grezzo. Per molto tempo ho scritto “sbrodolando”, lasciandomi prendere dalla furia del raccontare e riempiendo le pagine di descrizioni inutili e metafore sovrabbondanti. Il tempo, la lettura di un numero spaventoso di libri e le critiche sincere mi stanno insegnando ad asciugare la mia scrittura e a perfezionarmi. Un percorso, questo, che credo sarà senza fine, come ogni educazione.

  • Credo tu sappia bene quanto me che i campi artistici, soprattutto in Italia, sono un settore per niente facile per chi non ha fama pregressa o conoscenze. Tuttavia se la passione è più forte degli ostacoli, non si abbandona il campo. In quale arte, tra letteratura e musica, impegnerai più energie? In quale, avendo successo, ti sentiresti più realizzata?

Sicuramente darò l’anima per la letteratura perché sono nata in una casa piena di libri e non riesco ad immaginare la mia vita senza la parola scritta. La musica è una compagna di vita, un’amica/nemica fedele che mi aspetta tra le corde del pianoforte, ma non è la mia strada. So di non essere una pianista, ma so anche che senza la musica non avrei imparato l’arte dell’organizzazione, dell’impegno, del sacrificio. Se adesso posso restare in piedi tutta la notte per preparare un esame o per scrivere un racconto è anche perché lo studio del pianoforte mi ha insegnato che è il sudore a farci andare avanti, e che senza fatica non si può conquistare nulla che valga la pena di essere conquistato.

Augurandoti il successo che meriti, ti ringrazio per questa piacevole chiacchierata.

Grazie a te, Ilaria! In bocca al lupo per tutto ciò che scrivi e che merita assolutamente di essere letto!

Corner’s Church di Matteo Zapparelli

Cari followers, oggi sono lieta di recensire per voi un libro di genere diverso da quelli che leggo di solito ma che mi ha particolarmente interessata, dunque un plauso all’autore!

CORNER’S CHURCH

Matteo Zapparelli

 

Editore: Narcissus Self Publishing

Anno: 2012

Genere: Thriller

Formato: eBook

ISBN: 9788867553938

Prezzo: € 2.49

 Cover

Trama

 

Alex Snyder, detto il Biondo, è un agente federale la cui unica ossessione è quella di trovare e ammazzare con le proprie mani un pericoloso serial killer, soprannominato Serpe, che ha ucciso il suo più caro amico e collega Bob. Il Biondo è un uomo malato, al quale un grave tumore al cervello ha concesso al massimo un paio d’anni. La sua vita non ha più alcun valore. Pur di trovare Serpe è disposto a tutto, scendendo a qualsiasi compromesso. Seguendo le tracce dell’assassino il Biondo giunge a Corner’s Church, una minuscola cittadina del Colorado, dove stringe un patto con il vicesceriffo Benson, un uomo arrivista e svogliato, il cui unico interesse è concludere la carriera in bellezza. Tenendo nascosto il caso all’FBI, Benson spera di prendersi tutti i meriti, lasciando al Biondo la sua personale vendetta. È un gioco perverso, quello di Serpe, ma è un gioco nel quale solo il Biondo è protagonista…

Booktrailer

 

Estratto

 

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L’autore

 

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Matteo Zapparelli è nato e cresciuto a Verona, meravigliosa città racchiusa tra le acque azzurre del Lago di Garda e la verdeggiante pianura padana. Città che, nonostante si aggiri per le sue vie da oltre trent’anni, non smette mai di stupirlo e di incantarlo.
Accanito lettore fin da giovanissimo e appassionato di letteratura americana, apprezza scrittori e generi letterari tra loro diversissimi. Scrive fin da ragazzino: suoi racconti e poesie sono stati pubblicati su riviste, in antologie, e alcuni sono stati finalisti di premi letterari.
Laureato in architettura al Politecnico di Milano, da diversi anni collabora con singoli autori e case editrici in qualità di editor freelance, e nel 2011 ha dato vita a BooksDreamer Literary Agency, agenzia letteraria e service editoriale.
Ama gli animali, i boschi, le lunghe camminate all’aria aperta, la notte, i Coldplay e i Muse, i film dell’orrore, i romanzi di Preston&Child, e ha un debole per il tiramisù.
Nel 2012 ha pubblicato Corner’s Church, un thriller dalle tinte fosche ambientato nell’America dei giorni nostri, disponibile esclusivamente in formato eBook.
In autunno 2013 uscirà nelle librerie il primo volume della Wolf Lineage Saga, intitolato Rebirth.

Visitate il sito ufficiale, qui.

La mia opinione

 

Premetto che non sono un’amante del thriller. Tuttavia questo libro possiede una marcia in più, quel qualcosa che cattura e trascina quando ci si accosta alle pagine, tanto che l’ho letto tutto d’un fiato. La trama come avete letto sopra si presenta già intrigante, e lo diventa ancor di più quando si conosce meglio il Biondo, l’agente federale protagonista. Perché Alex non è il solito super eroe dell’FBI: è malato, in senso fisico, e ha l’ossessione di trovare e uccidere il criminale responsabile della morte del suo migliore amico – nonché collega – Bob.

La struttura della trama si dispiega in una linea fluida non priva di suspense e colpi di scena che aumentano in crescendo fino al culmine di un finale davvero a sorpresa, epico. I personaggi principali sono pochi e ben delineati, l’ambientazione è ben descritta e il tutto conferisce al romanzo una vivida realisticità.

Lo stile è pulito e piacevole da leggere. Nella storia non manca nulla: amicizia, amore, coraggio, avventatezza, follia della mente umana, particolari macabri che suscitano più di una palpitazione.

Ho apprezzato molto l’abilità di descrivere gli ambienti in modo decadente, il che non rende necessario l’utilizzo di altri stratagemmi a riguardo e contribuisce a creare l’atmosfera perfetta per una storia del genere. I personaggi meglio descritti secondo me sono il Biondo e il vicesceriffo Benson: i gesti, le parole, i pensieri – particolare questo che ho davvero “gustato” – li rendono reali, vivi davanti agli occhi del lettore.

Un libro che non ha nulla da invidiare ai titoli che campeggiano sugli scaffali delle librerie ma che anzi può donare più emozioni. Da non perdere per gli appassionati del genere.

Valutazione:

4

 Links acquisto:

Stay… una delusione.

Oggi vi parlo di un romanzo che mi ha deluso come pochi altri hanno fatto.

 

STAY – Un amore fuori dal tempo

Tamara Ireland Stone

Mondadori

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Trama

Anna e Bennett non avrebbero mai potuto incontrarsi: lei vive nel 1995 a Chicago, lui nel 2012 a San Francisco. Ma Bennett si ritrova nel 1995 perché può viaggiare nel tempo, pur con il divieto di cambiare il corso degli eventi, per cercare sua sorella che si è perduta in una dimensione temporale sbagliata. Ma se un battito di farfalla può provocare un uragano all’altro capo del mondo, cosa potrà provocare un sentimento potente come l’amore che nasce con diciassette anni di anticipo?
Anna e Bennett si perdono e si ritrovano incrociando i loro destini paralleli, ma dovranno trovare il modo di fermare la corsa dell’orologio che ticchetta nelle loro esistenze. Quanto sono pronti a perdere? Quali conseguenze saranno disposti a sopportare alterando gli eventi che li circondano?

La mia recensione

Partiamo da un presupposto: la quarta di copertina è piuttosto intrigante. Ebbene, dimenticatela. La solfa è sempre la stessa: un ragazzo nuovo frequenta la scuola della protagonista e sembra conoscerla, anche se fa il misterioso e cerca di allontanarla a tutti i costi. Peccato che Bennett non nasconda nessuna pericolosa identità – a confronto i segreti di Edward Cullen o di Daniel Grigori sono i più intriganti del mondo – e sia un bugiardo opportunista. La migliore amica della protagonista è sempre quella spigliata, bella e intraprendente. Insomma, che noia. L’unico aggettivo che mi viene in mente per questo libro è “insignificante”. Sì, purtroppo.

Lo stile è insignificante. I personaggi sono piatti, insignificanti. Il motivo per cui Bennett e sua sorella viaggiano nel tempo è insignificante, quasi ridicolo. A differenza di quanto dice la quarta, Anna e Bennett non perderanno nulla, non sopporteranno quasi nulla, non c’è nessun fantomatico “effetto farfalla”: un solo evento cercheranno di cambiare – dopo litigi senza senso e senza motivazioni – e le conseguenze saranno nulle. Vengono create aspettative su cose che non accadranno mai. Considerando poi che il “potere” di Bennett non ha né capo né coda, nessuno scopo, nessuna origine particolare, niente di niente, è una cosa campata in aria che serve solo a partecipare a concerti passati o ad andare a spasso per il mondo. Il che sembra la cosa più importante per la protagonista che – non si sa bene per quale ragione – afferma che non viaggerà mai, che vivrà sempre nello stesso posto come se da adulta, con un lavoro, non potrebbe mai permettersi di comprare un biglietto aereo né andare in vacanza. Le vicende sono terribilmente noiose, ripetitive. Per non parlare poi della risoluzione incredibilmente semplice – e assolutamente oscura ai lettori – della sparizione di Brooke, la sorella di Bennett.

Insomma, per me questo è davvero un fiasco. Colossale.

Valutazione:

1