Io e te… mah!

Anch’io alle volte mi lascio trasportare dall’onda isterica del marketing e leggo libri decantati a destra e a manca. L’ho fatto con Cinquanta sfumature di grigio e sono rimasta delusa – potete leggere la mia recensione qui. L’ho fatto ieri con Io e te di Ammaniti e anche stavolta non è andata affatto bene.

Io e te

Niccolò Ammaniti

Einaudi

L’autore

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Niccolò Ammaniti nasce a Roma il 25 settembre 1966. Il suo primo romanzo, “Branchie!”, esce nel 1994 per la casa editrice Ediesse, e verrà poi ripubblicato nel 1997 per Einaudi Stile libero. Assieme al padre Massimo, docente di Psicopatologia generale e dell’età evolutiva presso La Sapienza di Roma, ha pubblicato “Nel nome del figlio”, un saggio sui problemi dell’adolescenza. Nel 1996 pubblica per Mondadori la raccolta di racconti “Fango”; tre anni dopo esce, sempre per Mondadori, “Ti prendo e ti porto via”, ma è il suo romanzo successivo, “Io non ho paura”, Einaudi Stile libero 2001, a farlo conoscere al grande pubblico con il quale ha vinto il Premio Viareggio, Niccolò è l’autore più giovane ad aver vinto questo storico premio. Nel 2006 ha pubblicato per Mondadori il romanzo “Come Dio comanda”, che compone, insieme a “Io non ho paura”, un ideale dittico sul rapporto padre-figlio e vincitore del premio Strega. Nel 2009 pubblica il romanzo “Che la festa cominci” e l’anno successivo “Io e te”, nel 2012 “Il momento è delicato” tutti per Einaudi stile libero.Dai suoi libri sono stati tratti al momento quattro film: “L’ultimo capodanno” (di Marco Risi, 1998); “Branchie” (di Francesco Ranieri Martinotti, 1999); “Io non ho paura” e “Come Dio comanda” (entrambi diretti da Gabriele Salvatores, 2003 e 2008). “Io e te” (di Bernardo Bertolucci, 2012). I suoi libri sono stati tradotti in 44 Paesi.

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Trama

Barricato in cantina per trascorrere di nascosto da tutti la sua settimana bianca, Lorenzo, un quattordicenne introverso e un po’ nevrotico, si prepara a vivere il suo sogno solipsistico di felicità: niente conflitti, niente fastidiosi compagni di scuola, niente commedie e finzioni. Il mondo con le sue regole incomprensibili fuori della porta e lui stravaccato su un divano, circondato di Coca-Cola, scatolette di tonno e romanzi horror. Sarà Olivia, che piomba all’improvviso nel bunker con la sua ruvida e cagionevole vitalità, a far varcare a Lorenzo la linea d’ombra, a fargli gettare la maschera di adolescente difficile e accettare il gioco caotico della vita là fuori. Con questo racconto di formazione Ammaniti aggiunge un nuovo, lancinante scorcio a quel paesaggio dell’adolescenza di cui è impareggiabile ritrattista. E ci dà con Olivia una figura femminile di fugace e struggente bellezza.

Recensione

Mah. Quante volte ho iniziato una recensione così? Mai e vi spiego perché l’ho fatto questa volta. Dov’è “la figura femminile di fugace e struggente bellezza”? Lorenzo “getta la maschera di adolescente difficile e accetta il gioco caotico della vita”? Ma perché caricare di aspettative il lettore quando esse rimangono poi nella quarta di copertina e basta? Questo mi ricorda un po’ la pomposa presentazione di “La mia anima è ovunque tu sia” di Aldo Cazzullo – che ho recensito qui. Io e te mi ha lasciato sospesa, come se avessi cominciato a leggere qualcosa che poi è stato interrotto bruscamente, come se non ci fosse un finale. A dire la verità il finale c’è, ma sembra campato in aria, buttato lì tanto per chiudere qualcosa di cui l’autore si era stancato di scrivere. Non sappiamo che fine fa Lorenzo – a breve termine per “l’avventura” in cantina e a lungo termine per il suo disagio nelle relazioni -, non sappiamo se il rapporto tra lui e Olivia sia effettivamente migliorato nei dieci anni che corrono tra prologo, storia ed epilogo – dieci anni al passato prossimo -, non sappiamo niente di niente. Oltretutto non si tratta di un romanzo, Io e te è un racconto, un’ora è sufficiente per la lettura. E il fatto che abbiano deciso di farci un film mi lascia ancora più perplessa. D’accordo, forse il messaggio di fondo è interessante, ma… mah. C’è davvero da chiedersi a cosa sia dovuto il “successo”…

Lorenzo racconta gli eventi accaduti dieci anni prima usando il passato prossimo, non remoto. Al che mi sono chiesta: mi sono persa qualcosa? All’inizio descrive il proprio aspetto come se fosse davanti allo specchio, in una maniera che fa apparire l’autore come un dilettante. E non giustifichiamo tutti quelli che hanno pubblicato con un grande editore quando peccano in qualcosa dicendo solo che l’hanno fatto apposta, che è una trovata personalissima, che è… ma va’. Così come si criticano brutalmente gli emergenti è giusto che lo si faccia anche con chi pubblica con editori come Einaudi. Non si tratta di invidia – perché sapete bene che lodo chi merita, vedete recensioni precedenti – ma di semplice giustizia. Dunque: come scrive Ammaniti non mi piace per niente.

Ma andiamo avanti. Lo stile è singhiozzante. Mi ha ricordato molto la Mazzantini, autrice che – qualcuno mi odierà per questo ma poco m’importa – io detesto. Evidentemente va di moda.
Se Lorenzo vuole ascoltare una conversazione di cui non è partecipe, Lorenzo ascolterà quella conversazione. Come? Origliando. Ha l’incredibile capacità di riuscire sempre ad ascoltare e sapere tutto ciò che vuole. Il che è un po’ improbabile.
Devo muovere solo un punto a favore del “libro”: la descrizione del disadattamento di Lorenzo è carina nella sua semplicità, anche se piuttosto superficiale, accennata.
Comunque un “libro” che se te lo perdi non perdi niente.

Valutazione:

1

La spada di Allah – Francesca Rossi

Cari followers,

oggi vi parlo di un racconto dall’ambientazione storica e spaziale particolare e affascinante.

LA SPADA DI ALLAH

Francesca Rossi

La mela avvelenata

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Trama

Cosa sarebbe accaduto se l’Impero Ottomano avesse conquistato Vienna, in quel fatidico 11 settembre 1683, quale sarebbe stato il destino del mondo? 9 settembre 1683. L’esercito ottomano tiene sotto assedio Vienna, la “Mela d’Oro”, deciso a conquistarla e a penetrare, attraverso essa, nel cuore dell’Europa. Alla battaglia decisiva, da cui dipenderà il corso della Storia, mancano ormai poche ore. Il sultano, però, non è ancora sicuro di voler scatenare una guerra. Il suo prudente piano politico è in aperto contrasto con quello del suo consigliere Ibrahim, in realtà un jinn mosso dalla sfrenata ambizione e dalla sete di potere. Quest’ultimo riesce, grazie ai suoi poteri e all’alleanza con Sharif, il crudele figlio del sultano, a prendere in mano le sorti della Sublime Porta e della battaglia di Vienna, portando l’Islam a dominare il mondo. Si apre un’epoca di crudeltà ed incertezza, poiché il messaggio della religione musulmana viene traviato e modellato sulla ferocia dei nuovi padroni. Solo un’arma può uccidere il potente jinn Ibrahim: la spada di Allah. Impossessarsene, però, è un’impresa impossibile. Sarà il coraggioso Abdallah a rischiare la vita per salvare la sua amata Noor, vittima degli incantesimi di Ibrahim e liberare il mondo dall’oppressione, ristabilendo la pace ed il vero messaggio dell’Islam. Per riuscirci, però, dovrà fare i conti con la sua coscienza…

L’autrice

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Francesca Rossi è nata a Roma nell’aprile del 1984. Dopo la laurea in Lingue e Civiltà Orientali (curriculum di lingua e letteratura araba) a La Sapienza di Roma, si è trasferita ad Alessandria d’Egitto, per approfondire lo studio della lingua araba e della cultura arabo-islamica. Attualmente sta per specializzarsi nel corso di Lingue e Civiltà Orientali (laurea magistrale) a La Sapienza. Collabora con alcune riviste online tra cui Egittologia.net, Frontiere News e Taus Oriental Magazine, dedicata alla danza del ventre. È membro della Società delle Letterate. Ha creato e gestisce il blog dedicato al mondo arabo-islamico “La Mano di Fatima”, il sito dedicato all’eroina francese Angelica, la Marchesa degli Angeli ed il blog dedicato alle donne che hanno fatto la Storia “Divine Ribelli”.

La mia recensione

La spada di Allah è un racconto appassionante, anzi direi che è proprio un peccato che sia un racconto perché è finito troppo presto. Le atmosfere descritte sono affascinanti, vive, intrise del profumo di terre lontane e calde ricche di veli e magia. È proprio la magia che sta alla base delle vicende, che assieme all’avidità guida il nemico dei protagonisti. La storia, l’amore, la vendetta, il coraggio fanno da padroni. Lo stile è pulito e il registro adeguato all’ambientazione, con l’uso specifico di termini legati alla tradizione musulmana. L’idea di cambiare le sorti di una battaglia che segnò il destino dell’Europa è originale e getta una luce diversa sulla cultura islamica che in generale noi occidentali conosciamo solo superficialmente e con grandi pregiudizi.

Valutazione:

5

Intervista all’autrice

Ciao Francesca, benvenuta.

Grazie a te per avermi invitata.

  • Parliamo un po’ di te. Dalla tua biografia leggiamo che sei laureata in Lingue e Civiltà Orientali e hai addirittura vissuto ad Alessandria d’Egitto. Anch’io ho viaggiato più volte in alcuni Paesi arabi e sono rimasta affascinata da una cultura così vicina eppure diversa dalla nostra. Ma la tua passione va senz’altro oltre questo accostamento superficiale. Ricordi quando è nato l’amore per la cultura araba? È scaturito da qualcosa in particolare?

Non saprei individuare un momento esatto e nemmeno un periodo della mia vita in cui è iniziato questo grande amore per la cultura arabo-islamica. Ce l’ho da quando ho memoria, me lo porto dentro da sempre. Mi ha accompagnato fino a che non ho deciso di renderlo il mio percorso di studi e, dunque, la mia vita. Ricordo che, quando ero molto piccola, mia madre amava vedere film come “Sahara” o “Lawrence d’Arabia”. Può darsi che anche queste pellicole abbiano avuto una certa influenza verso di me, ma la scintilla c’era già, perché rammento che adoravo guardarli anche io e nient’altro esisteva in quei momenti.

  • La Mano di Fatima è il tuo blog dedicato al mondo arabo e islamico. Prendendo in considerazione la tua esperienza di gestione del blog, trovi che l’approccio virtuale possa indirizzare più facilmente le persone verso la conoscenza reale di ciò che è la cultura araba, in modo totalmente slegato da quello pregiudizievole che propinano i mass media?

Penso che gli strumenti in genere, i blog, i giornali di carta oppure online, lo stesso Internet, siano straordinari, ma non possano essere definiti a priori “buoni” o “cattivi”. Dipende dall’uso che se ne fa. Certo, un blog utilizza un linguaggio diverso, per certi versi più immediato e breve rispetto a un saggio, per ragioni tecniche, però se le informazioni contenute sono inesatte, sbagliate e/o tendenziose persino il blog può essere inutile se non addirittura dannoso. Per questo bisogna sempre scrivere dopo aver verificato le fonti, riportando fatti e opinioni senza schierarsi o, almeno, se si vuole rendere pubblico il proprio pensiero, bisogna distaccarlo da ciò che è l’oggetto dello studio. Il lettore deve capire bene dove finiscono i dati, le nozioni, le notizie e comincia il parere personale. Per fare tutto ciò occorre leggere tanto, informarsi, aggiornarsi di continuo.

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  • Un altro tuo blog è dedicato all’eroina francese Angelica, la Marchesa degli Angeli. Confesso di essere assolutamente ignorante a riguardo, ti va di parlarne?

Angelica la Marchesa degli Angeli è la celebre eroina letteraria francese di Anne e Serge Golon, ingiustamente dimenticata dal cinema, dalla televisione e molto spesso osteggiata dalla critica. La serie di romanzi di Angelica, invece, ha tutto: stile accattivante, eccellente ricostruzione storica, personaggi ben delineati, amore, avventura, passione, intrighi, politica. L’ambientazione varia dalla Francia di Luigi XIV al Marocco fino al Nuovo Mondo, sfondi eccezionali per raccontare la vita di una donna bellissima e coraggiosa e del suo amore travagliato per il conte di Peyrac, marito prima imposto e poi, col tempo, perdutamente amato.
Negli anni Sessanta vennero tratti dai romanzi anche dei film di grande successo, diretti da Bernard Borderie. Sarebbe meraviglioso se le case editrici italiane si ricordassero di Angelica e decidessero di ripubblicarne, per intero, la saga. Angelica è, per me, fonte di ispirazione continua, (mi basta anche solo ascoltare un brano della colonna sonora) come anche i romanzi di Emilio Salgari e di tanti altri bravissimi autori.

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  • Infine gestisci il blog Divine Ribelli, dedicato alle donne che hanno cambiato il volto della Storia. Quest’ultimo lo conosco bene poiché ha ospitato una tua recensione su Tregua nell’ambra. Apprezzo molto il tuo amore per la storia e l’amore che metti nel condividerlo con gli altri. Le nuove generazioni hanno assolutamente bisogno di conoscere il passato e i suoi personaggi, ciò che è stato e perché, poiché credo che in questo modo si gettino le basi per costruire un futuro migliore. Secondo te nella formazione scolastica oggi offerta ai giovani si tratta in maniera adeguata un aspetto così importante dell’umanità? Oppure bisognerebbe adottare un approccio più approfondito, magari anche “diverso”, meno accademico e più vissuto? La presa di coscienza del nostro passato secondo te è utile nello sviluppo di menti capaci di pensare da sole e in grado di cambiare il mondo?

Non ci può essere futuro senza la conoscenza del passato. La Storia non è solo ricordare fatti e date. È riviverli con i protagonisti e non solo. Però, per far questo, serve collaborazione da entrambe le parti: gli insegnanti dovrebbero coinvolgere di più gli studenti, far sentire gli uomini del passato non figure irraggiungibili, positive o negative che siano, coperte di polvere e secoli, ma uomini che hanno condizionato, nel bene o nel male, le nostre vite. I giovani dovrebbero capire le cause e le conseguenze degli avvenimenti storici, le relazioni internazionali e la geopolitica. Non è facile, anche per una questione di tempo, per questo andrebbero spinti, invogliati a saperne di più anche da soli.Ci sono moltissimi personaggi storici considerati, ancora oggi, meno importanti, quasi “non degni” dell’attenzione di studiosi e allievi. Molti, purtroppo, sono proprio donne. La Storia, invece, dobbiamo ricordarlo se vogliamo davvero essere obiettivi, è fatta sia di uomini che di donne, intellettuali, guerriere, regine, principesse, maghe e popolane. E non solo: la Storia dell’umanità è passata anche attraverso le alcove, che lo accettiamo o no. Seduzione e potere, spesso, sono andati a braccetto. 

Insomma, la Storia è la nostra identità, non solo il nostro passato.

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  • Parliamo adesso del racconto La spada di Allah. Come è nata l’idea di scrivere un esito alternativo alla battaglia dell’11 settembre 1683?

La casa editrice “La Mela Avvelenata” lanciò il progetto “Sine Tempore”, dedicato proprio alle ucronie e mi invitò a partecipare. Mi venne subito in mente di scrivere qualcosa sull’assedio di Vienna del 1683, perché è un avvenimento quasi dimenticato (non dagli studiosi però), eppure, se avesse vinto l’esercito ottomano, le nostre vite sarebbero cambiate completamente. Non è da sottovalutare e, infatti, la sconfitta dei turchi segnò per sempre l’Islam. Entrambi gli schieramenti erano esausti, decimati dalle malattie e la vittoria per nulla scontata.

  • C’è molta magia nel tuo racconto. Credi che alcuni aneddoti che ci giungono dal passato e che riguardano proprio l’uso delle arti magiche o la presenza di creature spirituali o demoniache abbiano un fondo di verità?

A dire il vero io non credo alla magia, sono un tipo più razionale, ma credo comunque che esista qualcosa che è più grande di noi e che non sappiamo spiegarci. Diciamo che ci sono cose su cui “sospendo il giudizio” e su cui attendo una verità, pur sapendo che, molto probabilmente, non l’avrò mai.

  • Mi sono piaciuti molto i personaggi di Abdallah e Noor. Sono personaggi realmente esistiti?

No, sono frutto di fantasia. I personaggi realmente esistiti sono Kara Mustafa e Mehmed IV. Però, nonostante questo, tutti i miei personaggi traggono ispirazione da persone che conosco, o che incontro, o di cui leggo sui giornali o vedo alla televisione. Basta una scintilla, qualcosa che mi colpisce, un tratto che caratterizza l’essere umano, come l’ambizione, o la generosità.

  • Hai voluto lanciare un messaggio particolare attraverso le righe del tuo racconto?

L’ambizione sfrenata non ci fa stare meglio, ma ci trascina in una spirale da cui, poi, è difficile uscire. Allo stesso modo i fondamentalismi, che sono nocivi, ci imprigionano, impedendoci di pensare e agire liberamente.
Dobbiamo sempre sforzarci di pensare con la nostra testa, di sfidare noi stessi per diventare, giorno dopo giorno, persone migliori, proprio come fa Abdallah quando, per rendersi degno della Spada di Allah e salvare Noor e il mondo, decidere di “scavarsi dentro”, tra le cose che fino a quel momento aveva taciuto perfino a se stesso.

  • So che presto potremo leggere qualcos’altro di tuo. Puoi anticiparci qualcosa?

In ottobre uscirà un romance storico, per La Mela Avvelenata, ambientato durante la Rivoluzione russa. La storia di un amore impossibile e di una donna che cerca l’indipendenza. Verrà pubblicato prima uno spin off, dal titolo “La Presa del Potere” e poi il romanzo, “Il Palazzo d’Inverno”.
Inoltre sono in fase di ricerca storica per il prossimo che ho in mente e sto scrivendo una nuova storia. Incrocio le dita e speriamo bene.

Grazie per essere stata con noi e buona scrittura.

Grazie a te!

“La ricamatrice di segreti” di Kate Alcott e la tragedia del Titanic

Ecco un articolo a cui mi è particolarmente piaciuto lavorare per le ricerche storiche che mi ha costretta – con grande gioia – a fare. Partiamo da un romanzo per poi approfondire la tragedia del Titanic e la storia di alcune persone coinvolte.

La ricamatrice di segreti

Kate Alcott

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L’autrice

 

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Kate Alcott è lo pseudonimo utilizzato per firmare le sue opere da Patricia O’Brien. Si è laureata presso la University of Oregon e per anni ha lavorato come giornalista a Chicago, per poi diventare inviata di politica a Washington D.C., dove vive col marito e quattro figlie.
Il suo romanzo The Dressmaker (La ricamatrice di segreti) che racconta la storia di una giovane donna sopravvissuta al naufragio del Titanic, è stato scelto per inaugurare nel 2012 un nuovo marchio editoriale italiano, Tre60.

La ricamatrice di segreti

 

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Oceano Atlantico, 14 aprile 1912. È stata una bugia il biglietto che ha permesso a Tess di salire sulla nave più lussuosa del mondo, diretta in America: stanca di passare le giornate a cucire per pochi spiccioli e dotata di uno straordinario talento come ricamatrice, la ragazza ha trovato il coraggio di avvicinare Lady Lucile Duff Gordon e, mentendo sulla propria identità e sul proprio passato, ha convinto la celebre stilista ad assumerla come cameriera personale. Adesso, davanti a lei, si apre un mondo che sembra uscito da una fiaba: saloni maestosi, tavole imbandite, cabine sfarzose e, soprattutto, sontuosi abiti di velluto cangiante, pizzi raffinati, sete pregiate… Eppure, in quei pochi giorni di viaggio, non sono soltanto la magnificenza e la ricchezza a stupire Tess; ben più sconvolgenti, infatti, sono gli sguardi e le parole di Jim, l’umile mozzo che ha fatto breccia nel suo cuore. Proprio come, di lì a poco, un iceberg farà breccia nell'”inaffondabile” Titanic… New York, 18 aprile 1912. Giunti negli Stati Uniti, i sopravvissuti al naufragio del Titanic vengono accolti come eroi. Presto, però, l’ombra del sospetto oscura proprio la stella di Lady Duff Gordon, accusata da un giornale scandalistico di aver corrotto gli ufficiali di bordo pur di salire su una delle poche scialuppe di salvataggio. E, quando scoprirà chi è la fonte di quella notizia, Tess sarà costretta a una scelta drammatica.

La mia recensione

 

Un bel romanzo con precisi riferimenti storici. Gli scenari del Titanic sono ricostruiti con vivida realisticità e i momenti dell’affondamento sono descritti con una concretezza struggente ma non melodrammatica, adeguata a ciò che è stato. Le vicende della protagonista a New York sono meno avventurose di quanto ci si aspetterebbe, ma l’autrice ha la grande abilità di raccontare in modo avvincente le udienze del processo riguardanti l’affondamento del transatlantico. Ho trovato molto interessante lo sviluppo in questo senso giacché pochi sono i romanzi che affrontano le conseguenze legali e le responsabilità delle grandi tragedie storiche. La New York del 1912 è descritta con grande maestria, vividezza di particolari, in una maniera che gli appassionati di storia troveranno succulenta. E poi ci sono i sentimenti che guidano le vicende private dei personaggi, dipinte con tratti brevi ma non superficiali, anzi veri e crudeli. Ho apprezzato molto il personaggio di Pinky e la sua volontà di affermare l’indipendenza della donna in un mondo che sta rapidamente cambiando, così come la lealtà e i tentennamenti di Tess, mai banali e appassionati nella perfetta descrizione di un’eroina moderna d’inizio Novecento. Come non lodare poi l’imponente presenza di personaggi realmente esistiti quali la stilista Lucile Duff Gordon e suo marito Cosmo Duff Gordon, il senatore William Alden Smith che guidò la serie di udienze, Bruce Ismay, amministratore delegato della White Star Line e la signora Brown, definita in seguito l’inaffondabile Molly Brown. Un romanzo in cui si intrecciano tragedia, amore, amicizia e le paure e le reazioni più vere degli esseri umani di fronte a situazioni pericolose e improvvise. Assolutamente da leggere.

Valutazione:

5

 

Approfondimenti

 

 

Il Titanic

 

Foto d'archivio del Titanic che lascia il porto di Southampton il 10 aprile 1912. Durante il naufragio, di cui ricorre il centenario, morirono 549 cittadini di Southampton (Afp)

Foto d’archivio del Titanic che lascia il porto di Southampton il 10 aprile 1912. Durante il naufragio, di cui ricorre il centenario, morirono 549 cittadini di Southampton (Afp)

 

L’RMS Titanic è stato un transatlantico britannico della classe Olympic, diventato famoso per la collisione con un iceberg nella notte tra il 14 ed il 15 aprile 1912 e il conseguente drammatico affondamento avvenuto nelle prime ore del 15 aprile 1912.
Secondo di un trio di transatlantici, il Titanic, assieme ai suoi due gemelli Olympic e Britannic, fu progettato per offrire un collegamento settimanale di linea con l’America e garantire il dominio delle rotte oceaniche alla White Star Line.
Costruito presso i cantieri Harland and Wolff di Belfast, il Titanic rappresentava la massima espressione della tecnologia navale di quei tempi ed era il più grande e lussuoso transatlantico del mondo. Durante il suo viaggio inaugurale (da Southampton a New York, via Cherbourg e Queenstown), entrò in collisione con un iceberg alle 23:40 (ora della nave) di domenica 14 aprile 1912. L’impatto provocò l’apertura di alcune falle lungo la fiancata destra del transatlantico che affondò 2 ore e 40 minuti più tardi (alle 2:20 del 15 aprile) spezzandosi in due tronconi.
Nel naufragio persero la vita 1518 dei 2223 passeggeri imbarcati compresi gli 800 uomini dell’equipaggio; solo 705 persone riuscirono a salvarsi (alcuni dei quali morirono subito dopo essere salvati dal Carpathia), 6 delle quali salvate fra la gente finita in acqua. L’evento suscitò un’enorme pressione sull’opinione pubblica e portò alla convocazione della prima conferenza sulla sicurezza della vita umana in mare.

Immagine d'archivio (autografata) che ritrae il capitano del Titanic Edward Smith con il suo levriero (Afp)

Immagine d’archivio (autografata) che ritrae il capitano del Titanic Edward Smith con il suo levriero (Afp)

 

 

Un migrante a bordo del Titanic (LaPresse)

Un migrante a bordo del Titanic (LaPresse)

Caratteristiche

Il Titanic, come le gemelle RMS Olympic e Britannic, era stato progettato per competere con il Lusitania e il Mauretania (transatlantici della compagnia rivale Cunard Line), che erano all’epoca le navi più lussuose, veloci e imponenti impegnate sulle rotte transatlantiche. Poiché svolgeva anche il servizio postale, le fu assegnato il prefisso RMS (Royal Mail Ship) oltre a SS (Steam ship, nave a vapore). La nave era stata disegnata da William Pirrie, presidente della Harland and Wolff, e dall’architetto navale Thomas Andrews, che era il capo progettista.
La costruzione del Titanic, finanziata dall’armatore americano John Pierpont Morgan con la sua società International Mercantile Marine Co., iniziò il 31 marzo 1909; lo scafo fu varato il 31 maggio 1911 e le sovrastrutture furono completate il 31 marzo dell’anno seguente. Venne registrato nel registro navale del porto di Liverpool col numero ufficiale di vascello 131428 e sigla telegrafica “MGY”.
Il costo finale del transatlantico fu di 7.5 milioni di dollari del 1912, equivalenti a 180 milioni di dollari del 2012.

Il Titanic in costruzione nei cantieri navali «Harland and Wolff» a Belfast. La costruzione della colossale nave da crociera richiese due anni (1910-1911) (LaPresse)

Il Titanic in costruzione nei cantieri navali «Harland and Wolff» a Belfast. La costruzione della colossale nave da crociera richiese due anni (1910-1911) (LaPresse)

 

 

Il Titanic era lungo 269 metri e largo 28, aveva una stazza di 46.328 tonnellate e l’altezza del ponte sulla linea di galleggiamento era di 18 metri (53 metri l’altezza totale). Sebbene avesse la stessa lunghezza dell’Olympic, aveva un tonnellaggio lordo maggiore per via del maggiore spazio interno, dovuto principalmente alla chiusura di parte della passeggiata sul ponte A con finestre parzialmente apribili.

La sala di lettura e di scrittura.

La sala di lettura e di scrittura.

 

Il Titanic era un gioiello di tecnologia ed era ritenuto «praticamente inaffondabile». La sua stazione radio era considerata (con l’Olympic) la più moderna e potente mai installata su un bastimento: la portata raggiungeva una distanza di 400 miglia (650 km) e le antenne erano collocate sui due alberi maestri ad un’altezza di 60 metri e distanti tra loro 180 metri (in caso di emergenza, il generatore elettrico poteva essere sostituito da un generatore diesel). Il ponte lance era dotato delle nuovissime gru “Welin”, in grado di sostenere complessivamente 32 scialuppe di salvataggio e ammainarne 64 (alla fine furono montate soltanto 16 scialuppe). La chiglia della nave aveva un doppio fondo cellulare e lo scafo era suddiviso in 16 compartimenti stagni, le cui porte a ghigliottina si potevano chiudere automaticamente dal ponte di comando (in mancanza di energia elettrica si potevano chiudere sfruttando la forza di gravità). Questi comparti, però, non attraversavano tutta l’altezza dello scafo ma si fermavano al ponte E (più o meno a metà dello scafo, per dare più spazio alla disposizione delle sale). Il Titanic avrebbe potuto galleggiare anche con due dei compartimenti intermedi allagati oppure con tutti i primi quattro compartimenti di prua allagati. Lo scontro con l’iceberg causò però l’allagamento dei primi cinque compartimenti prodieri.

Lo scalone di prima classe.

Lo scalone di prima classe.

 

Le cabine di prima classe erano le più eleganti di qualsiasi altro transatlantico. Erano arredate in vari stili (Reggenza, Olandese moderno, Olandese Antico, Impero, Luigi XV, Luigi XVI, Regina Anna, Georgiano e Rinascimento Italiano). Per i passeggeri più abbienti erano disponibili le suite: 2 presidential suites e 2 royal suites. Le royal suites erano decorate in stile Luigi XVI e comprendevano un soggiorno, tre camere da letto (due singole e una matrimoniale), due bagni privati, due guardaroba e un ponte di passeggiata privata.

Le cause del naufragio

 

Messaggio telegrafico originale che riporta il segnale di emergenza lanciato dal Titanic prima dell'affondamento (Reuters)

Messaggio telegrafico originale che riporta il segnale di emergenza lanciato dal Titanic prima dell’affondamento (Reuters)

 

Quando il lussuoso transatlantico britannico Titanic cozzò contro un iceberg il 14 aprile 1912, la maggior parte degli esperti pensò che il vascello si fosse inabissato a causa di un’ampia falla prodottasi nello scafo d’acciaio. Ma una recente spedizione ha dimostrato che è stato il luogo più che l’entità del danno a far sprofondare il transatlantico, provocando la morte di più di 1500 persone. Oltre a esaminare il relitto per determinare i danni reali allo scafo, la spedizione ha cercato anche le risposte a diverse altre questioni: se la nave si fosse spezzata quando era ancora in superficie, fino a che punto le imperfezioni dell’acciaio usato per costruire lo scafo del Titanic potessero aver contribuito al disastro e quanto a lungo il relitto avrebbe potuto conservarsi nelle profondità dell’oceano. La spedizione ha tentato anche di sollevare una sezione di 28 metri quadri dello scafo, ma una tempesta ha spezzato le cime d’ormeggio e il troncone si è inabissato nuovamente nell’oceano.

L'unica fotografia disponibile dell' iceberg che affondò il Titanic, immortalato pochi giorni dopo il disastro dal marinaio ceco Stephan Rehorek.

L’unica fotografia disponibile dell’ iceberg che affondò il Titanic, immortalato pochi giorni dopo il disastro dal marinaio ceco Stephan Rehorek.

 

Ingegneri navali (tra cui uno dello stesso cantiere navale che costruì il Titanic), un microbiologo e degli studiosi del relitto erano tra gli esperti che accompagnavano la spedizione, tenutasi nell’agosto del 1996. L’impresa fu organizzata dalla TV via cavo Discovery Channel, dalla sua controparte francese Ellipse e dalla RMS Titanic Inc., custode del sito su cui si trova il relitto del transatlantico. I risultati vennero resi noti il 13 aprile 1997 in un documentario intitolato ‘Titanic’: anatomia di un disastro. La spedizione congiunta franco-statunitense scoprì il relitto del Titanic nel 1985, a circa 150 chilometri a sud di Grand Banks of Newfoundland, a una profondità di 3800 metri. Da allora sono state tentate sette spedizioni, che hanno recuperato fotografie e oggetti vari, ma che non sono mai riuscite a verificare con certezza che genere di danni avesse prodotto la collisione del Titanic con l’iceberg. Secondo gli esperti della spedizione del 1996, la prua del transatlantico colpì il fondale di spigolo e poi scivolò sollevando sedimenti che hanno coperto l’area di scafo danneggiata. Per superare questo ostacolo la spedizione del ’96 usò sofisticati sonar per determinare l’entità e la natura della falla.

Prima pagina del «The New York Times» del 16 aprile 1912 che riporta la notizia del tragico naufragio del Titanic. Il titolo dice: Il Titanic affonda quattro ore dopo l'urto con un iceberg; 866 soccorsi dal Carpathia, 1250 vittime probabili; Ismay salvo, forse anche la signora Astor, molti vip tra i dispersi (Ap)

Prima pagina del «The New York Times» del 16 aprile 1912 che riporta la notizia del tragico naufragio del Titanic. Il titolo dice: Il Titanic affonda quattro ore dopo l’urto con un iceberg; 866 soccorsi dal Carpathia, 1250 vittime probabili; Ismay salvo, forse anche la signora Astor, molti vip tra i dispersi (Ap)

 

Il Titanic fu considerato pressoché inaffondabile perché il suo scafo era diviso in 16 compartimenti stagni. La nave era progettata per stare a galla anche se due compartimenti adiacenti o i quattro anteriori (che erano leggermente più piccoli) avessero imbarcato acqua. Di conseguenza gli autori di molti libri sull’argomento pensarono che solo un lungo squarcio di almeno 90 metri avrebbe potuto far affondare una nave lunga 269 metri. Ma Edward Wilding, ingegnere navale, appena dopo il disastro affermò che l’area danneggiata dall’impatto con l’iceberg non era molto grande e che forse non arrivava nemmeno al metro quadro. Altri, invece, non erano disposti a credere che un transatlantico di quelle dimensioni potesse affondare in seguito a una falla così piccola e così si creò il mito dell’enorme squarcio. Spedizioni precedenti non avevano trovato traccia di grandi falle e l’ultimo test effettuato con il sonar confermò l’ipotesi di Wilding che ci fossero solo danni limitati: lungo un troncone di scafo lungo 35 metri vennero rilevate sei sottili fessure che in totale coprivano la superficie di un metro quadro circa. Le incisioni riguardavano sei compartimenti stagni ed erano però diffuse in punti chiave, lungo le giunture dei ribattini. Se il danno fosse stato leggermente minore forse si sarebbe potuto evitare il disastro. Una spedizione, nel 1991 recuperò alcuni frammenti dello scafo del Titanic per sottoporli ad analisi. I test di laboratorio dimostrarono che la scarsa resistenza alle basse temperature dell’acciaio, che era considerato in realtà molto resistente agli urti, e la sua consistenza chimica avevano reso fragile il metallo. Tale supposizione era confortata dal fatto che il Titanic stava navigando in acque insolitamente fredde per quel periodo dell’anno. I test dimostrarono che esponendo i frammenti a temperature prossime allo zero, l’acciaio di cui erano fatti diventava estremamente fragile. La spedizione dell’agosto 1996 confermò queste scoperte e le usò per approfondire i motivi per cui il Titanic si era spezzato in due prima di affondare.

Al tempo del disastro erano state raccolte testimonianze discordanti sul momento in cui il transatlantico si era spezzato: taluni sostenevano che fosse successo in superficie, altri che la nave si era inabissata intatta. Molti passeggeri, però, affermarono che l’imbarcazione si era spezzata quando era ancora in superficie. Le prime spedizioni sul luogo del disastro accertarono che il transatlantico giaceva sul fondale dell’oceano diviso in due tronconi, ma alcuni esperti ipotizzarono che la nave si fosse spezzata mentre andava a fondo, e che ci potesse essere un terzo pezzo. In base alle nuove scoperte sulla natura del danno riportato dal Titanic e sul materiale usato per lo scafo, gli ingegneri navali hanno simulato al computer lo stress subito dallo scafo, in modo da determinare che genere di sollecitazioni fossero state predominanti al momento del disastro. La simulazione ha dimostrato che il peso della prua a tenuta stagna avrebbe esercitato sollecitazioni capaci di provocare danni importanti alle paratie d’acciaio del transatlantico mentre l’imbarcazione affondava, confermando così l’ipotesi che la nave si sia spezzata appena dopo essersi inabissata. Inoltre la spedizione del 1996 ha localizzato un terzo troncone della nave, dimostrando così che l’imbarcazione si era spezzata in due punti. Grandi furono le forze che cospirarono per affondare il Titanic, ma gli scienziati hanno scoperto che sono state delle piccolezze a farla spezzare e scomparire nelle acque. ‘Negli 85 anni da quando il Titanic è affondato, dei microrganismi che si nutrono di metallo hanno probabilmente indebolito ulteriormente la struttura del transatlantico’ ha detto uno degli esperti della spedizione ‘e alla fine il relitto non riuscirà più a sostenere il suo stesso peso’.

Uno strillone annuncia la tragedia del Titanic davanti alla sede della compagnia navale «White Star Line» di Southampton (Afp)

Uno strillone annuncia la tragedia del Titanic davanti alla sede della compagnia navale «White Star Line» di Southampton (Afp)

 

 

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Una folla di gente davanti alla sede della compagnia navale «White Star Line» di Southampton legge i nomi dei dispersi nel naufragio del Titanic (Afp)

 

Lady Duff Gordon

 

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Lucy Christiana Duff Gordon, detta Lady Duff Gordon e nata Lucy Christiana Sutherland (Londra, 13 giugno 1863 – Londra, 20 aprile 1935), è stata una costumista e sarta britannica. Sorella della celebre scrittrice Elinor Glyn, lavorò come costumista per il teatro e, a Hollywood, per il cinema. La sua casa di mode era la famosa Lucile, costituita nel 1894, nome con cui firmava i suoi modelli: abiti da sera, abiti per le occasioni eleganti e lingerie di gran classe. Costumista teatrale e cinematografica, dopo il matrimonio nel 1900 con Sir Cosmo Duff-Gordon, usò il nome di Lady Duff Gordon per firmare i suoi lavori. Insieme al marito Cosmo Duff-Gordon e alla segretaria, Laura Francatelli, fu una dei sopravvissuti al naufragio del RMS Titanic.

Sir Duff Gordon

 

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Sir Cosmo Edmund Duff Gordon, 5° baronetto di Halkin, era figlio di Cosmo Lewis Duff Gordon edi Anna Maria Antrobus. Fu un proprietario terriero scozzese e noto sportivo. Rappresentò la Gran Bretagna ai Giochi Olimpici del 1906, dove vinse la medaglia d’argento nella spada a squadre, e ai Giochi Olimpici del 1908.
Duff Gordon fu uno dei fondatori della “London Fencing League”, membro del “Bath Club” e del “Royal Automobile Club”.
Quinto baronetto di Halkin, il titolo gli derivava da una licenza reale conferita a un suo prozio nel 1813 come riconoscimento del suo aiuto alla Corona durante la guerra guerra d’indipendenza spagnola. Nel 1772, la sua famiglia aveva fondato in Spagna le cantine di sherry Duff Gordon.
Nel 1900, Cosmo Duff Gordon sposò una nota stilista di moda, nota come “Lucile”, nata Lucy Christiana Sutherland che, da quel momento, firmerà i suoi lavori di costumista teatrale (e poi cinematografica) come Lady Duff Gordon. Il matrimonio mise in subbuglio l’alta società londinese, perché la moglie era una divorziata.

I due, insieme alla loro segretaria Laura Francatelli, furono nel 1912 tra i sopravvissuti al naufragio del RMS Titanic. Moltissime tra le donne che viaggiavano in terza classe non riuscirono a raggiungere il ponte dove si trovavano le scialuppe e perirono nel naufragio. Il fatto che Duff Gordon fosse uno degli uomini che viaggiavano in prima classe che si salvarono, nonostante il capitano Smith avesse ordinato di seguire il “Prima donne e bambini”, provocò – al rientro dei superstiti – una serie di voci e pettegolezzi sul fatto che Duff Gordon avesse corrotto l’equipaggio della sua scialuppa. La commissione che doveva indagare sul disastro lo liberò da ogni accusa.

William Alden Smith

 

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William Alden Smith (12 maggio 1859 – 11 ottobre 1932) è stato un rappresentante degli Stati Uniti e senatore dal stato del Michigan . Dopo che la nave di lusso Titanic affondò nell’Atlantico il 15 aprile 1912, con più di 1.500 vite perse, Smith presiedette le udienze del Senato presso il Waldorf-Astoria Hotel di New York. Smith pubblicò un rapporto il 28 maggio che portò a riforme significative in materia di sicurezza marittima internazionale. Smith raggiunse una certa notorietà per le sue domande sempliciotte, rivolte agli imputati, sulle attrezzature dell nave. Nel libro The Other Side of the Night Daniel Allen Butler osserva che Smith sapeva bene ciò che chiedeva ma l’aveva fatto per aiutare il pubblico che altrimenti non avrebbe compreso. Altre domande avevano lo scopo di costringere gli ufficiali e l’equipaggio a rispondere in termini semplici e non tentare di celarsi dietro il gergo tecnico.

Bruce Ismay

 

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Joseph Bruce Ismay (Crosby, 1 dicembre 1862 – Mayfair, 15 ottobre 1937) è stato un imprenditore britannico.
Come amministratore delegato della White Star Line, partecipò al viaggio inaugurale del Titanic, nave alla quale egli stesso diede il nome.

Dopo il disastro, Ismay fu attaccato con ferocia dalla stampa statunitense e britannica, per aver abbandonato la nave con ancora donne e bambini a bordo. Alcuni giornali lo chiamarono “J. Brute Ismay” (“J. Bestia Ismay”). Alcuni funzionari espressero opinioni negative sul suo conto, in quanto abbandonò la nave. La società londinese lo bollò come “uno dei più grandi codardi della storia”. La stampa negativa diventò sempre più forte nei suoi confronti, soprattutto dai giornali di William Randolph Hearst. Ismay si dimise, come presidente, dalla International Mercantile Marine Company, nel 1913 e fu rimpiazzato da Harold Sanderson. Tuttavia continuò a essere attivo in affari marittimi.

Molly Brown

 

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Margaret “Molly” Brown (Hannibal, 18 luglio 1867 – New York, 26 ottobre 1932) è stata una filantropa e attivista statunitense.
Nata col nome di Margaret Tobin ebbe diversi soprannomi e dopo la morte le fu attribuito quello di l’inaffondabile Molly, anche se non è mai stata chiamata, o quasi, Molly in vita. Fu un personaggio piuttosto mondano, filantropo ed attivista. La sua fama come superstite del Titanic aiutò a promuovere vari problemi comuni, come: il diritto del lavoro delle donne, l’istruzione, l’alfabetismo per i bambini e la conservazione storica. Durante la prima guerra mondiale, in Francia, lavorò col Comitato americano per la ricostruzione della Francia devastata, aiutando soldati francesi e statunitensi. Ricevette la Legion d’Onore francese, poco prima della morte, esprimendo la sua buona “cittadinanza complessiva”, incluso il lavoro assistenziale in Francia, i suoi sforzi per i superstiti del Titanic ed il suo attivismo negli Stati Uniti. Negli ultimi anni della sua vita si dedicò al teatro come attrice.

Fonti: Encarta, Wikipedia, Corriere della Sera

Il ballo – Irène Némirovsky

Salve followers, parliamo oggi di uno dei volumetti a 0,99 cent editi da Newton Compton. Sono sicura che la maggior parte di voi ha sentito parlare di questa iniziativa, io l’ho particolarmente apprezzata. Perché? Oltre al motivo che salta subito all’occhio e cioè il basso costo dei libricini, c’è anche un altro aspetto scaturito proprio dal primo: grazie infatti ai 0,99 cent c’è stata una buona accoglienza nel pubblico e, trattandosi perlopiù di classici, si è aumentata la diffusione di questo genere che per esempio le giovani generazioni scansano a priori. Ma ora veniamo a noi.

Il ballo

Irène Némirovsky

Newton Compton

 

L’autrice

 

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Irène (vero nome Irma Irina) Némirovsky, figlia di un ricco banchiere ebreo ucraino – Leonid Borisovitch Némirovsky (1868-1932) e di Anna Margoulis (1887-1989) -, venne allevata dalla sua governante francese Zezelle, che fece del francese quasi la sua seconda lingua madre, dal momento che la madre di Irene non fu mai interessata alla sua educazione. Imparerà poi sia il russo che l’inglese. Nel 1913 la famiglia ottenne il permesso di trasferirsi a San Pietroburgo, che diventerà poi Pietrogrado. Nel gennaio del 1918, i Soviet misero una taglia sulla testa del padre e la famiglia fu costretta a scappare (si travestirono da contadini) evitando la Rivoluzione Russa. Trascorse poi un anno in Finlandia e un anno in Svezia. Nel luglio del 1919 i Némirovsky si trasferirono in Francia dopo un avventuroso viaggio su di una nave. A Parigi, Irène Némirovsky andò a vivere in un quartiere chic, nel XVI arrondissement. Una governante inglese si occupò della sua educazione. Superò l’esame di maturità nel 1919, nel 1921 si iscrisse alla Facoltà di Lettere della Sorbonne. Conosceva sette lingue. Aveva iniziato a scrivere in francese sin da quando aveva 18 anni e, nell’agosto del 1921, pubblicò il suo primo testo sul bisettimanale Fantasio. Nel 1923, la Némirovsky scrisse la sua prima novella, l’Enfant génial (ripubblicata con il nome di Un enfant prodige nel 1992), che sarà pubblicata nel 1927. Riprese quindi i suoi studi ottenendo nel 1924 la laurea in lettere alla Sorbonne. Nel 1926 pubblicò il suo primo romanzo, Le Malentendu.
Nel 1926, nel municipio del XVI arrondissement prima e poi alla sinagoga di Rue de Montevideo, Irène Némirovsky sposò Michel Epstein, un ingegnere russo emigrato, divenuto poi banchiere, da cui avrà due figlie: Denise nel 1929 ed Élisabeth nel 1937. Il contratto matrimoniale stipulato le permetterà di ottenere i diritti d’autore fin dalla pubblicazione delle sue opere.
Irène Némirovsky divenne celebre nel 1929 con il suo romanzo David Golder. Il suo editore, Bernard Grasset, la introdusse subito nei salotti e negli ambienti letterari francesi. Lì incontrò Paul Morand, che pubblicherà presso Gallimard quattro delle sue novelle con il titolo Films parlés. David Golder fu adattato nel 1930 per il teatro ed il cinema (David Golder fu interpretato da Harry Baur).
Ne Le Bal, 1930, descrisse il passaggio difficile di un’adolescente all’età adulta. L’adattamento al cinema di Julien Duvivier rivelerà Danielle Darrieux. Di successo in successo, Irène Némirovsky diventò una promessa della letteratura, amica di Tristan Bernard e di Henri de Régnier.
Nel 1933, abbandonò la casa editrice Grasset per Albin Michel e cominciò a pubblicare alcune novelle sul Gringoire.
Sebbene fosse una scrittrice francofona riconosciuta, membro totalmente integrato della società francese, il governo francese le rifiuterà la nazionalità richiesta per la prima volta nel 1935.
Si convertì al cattolicesimo il 2 febbraio 1939 nella cappella dell’Abbazia di Sainte-Marie a Paris. Scrisse poi per il settimanale di destra Candide, con il quale interromperà la collaborazione quando venne pubblicato il primo Statuto degli ebrei, nell’ottobre del 1940, mentre Gringoire, divenuto apertamente antisemita, continuerà a pubblicarla, ma sotto pseudonimo.
Vittime delle leggi antisemite varate nell’ottobre del 1940 dal governo Vichy, Michel Epstein non poté più continuare a lavorare in banca e a Irène Némirovsky fu proibito pubblicare. Dopo la primavera i coniugi Epstein si trasferirono a Issy-l’Évêque, nel Morvan, dove avevano messo al riparo nel settembre del 1939, le loro figlie. Némirovsky scrisse ancora diversi manoscritti. Fu considerata un’ebrea per la legge e dovette applicare la stella gialla sui suoi abiti. Solo Carbuccia, sfidando la censura, pubblicò le sue novelle fino al 1942. Il 13 luglio 1942, Irène fu arrestata dalla guardia nazionale francese. Michel Epstein mandò un telegramma il 13 luglio del 1942 a Robert Esménard e André Sabatier presso Albin Michel per chiedere aiuto.
Fu trasferita a Toulon-sur-Arroux, dove rimase imprigionata due notti. Il 15 luglio, fu trasportata al campo d’internamento di Pithiviers. Némirovsky fu autorizzata a scrivere e spedì una cartolina a suo marito, in cui non si lamenta delle condizioni difficili. Fu deportata il giorno dopo a Auschwitz, dove venne trasferita nel Rivier (l’infermeria di Auschwitz in cui venivano confinati i prigionieri troppo ammalati per lavorare) per essere poi uccisa il 17 agosto 1942. Suo marito (così come André Sabatier e Robert Esménard) intraprese numerosi procedimenti per farla liberare, ma fu arrestato lui stesso nell’ottobre del 1942, deportato ad Auschwitz assieme alla sorella e gasato al suo arrivo, il 6 novembre 1942.

Fonte: Wikipedia

Il ballo

 

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Trama

 

Per i Kampf l’organizzazione del ricevimento, a cui sono invitati i maggiorenti della città, è un’occupazione serissima.
Tutto deve funzionare alla perfezione, come il meccanismo di un prezioso orologio. Proprio per questo, il ballo, che dovrebbe segnare l’ingresso della famiglia nell’alta società parigina, è un sogno tanto per la madre, volgare e arcigna parvenue, quanto per la quattordicenne Antoinette, che però ne rimane esclusa. Con una scrittura precisa e senza fronzoli, Irène Némirovsky racconta la vendetta che Antoinette saprà prendersi.

La mia opinione

 

Un racconto piuttosto breve ma non per questo privo di contenuti. Ricco di tagliente ironia, Il ballo ci mostra ancora una volta ciò che la Némirovsky ha cercato di comunicare in quasi tutti i suoi scritti: le assurde regole imposte dall’etichetta; la volontà ostinata di apparire ciò che non si è e il pensiero di meritarlo per diritto di nascita; la frivolezza degli adulti vista, in questo caso, tramite gli occhi di una ragazza di quattordici anni. Antoniette alla fine si rende conto che gli adulti che tanto la intimorivano non sono meglio di lei, anzi forse peggio. L’autrice non smentisce la sua capacità di tramandare nei dettagli e in modo affascinante le atmosfere parigine dei primi decenni del Novecento, soprattutto degli anni a cavallo tra le due guerre che per alcuni furono anni di ricchezza facile, di illusione, di sogni realizzati con fatica e poco dopo infranti nell’ultimo conflitto mondiale.

Valutazione:

4

E l’eco rispose – Khaled Hosseini

Eccomi qui oggi con la recensione dell’ultimo libro di un autore che adoro.

E l’eco rispose

Khaled Hosseini

Piemme

 

L’autore

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Khaled Hosseini, in dari خالد حسینی (Kabul, 4 marzo 1965), è uno scrittore e medico statunitense. Di origine afgana, pashtun, è nato a Kabul, dove ha vissuto la sua infanzia. Dal 1980 vive negli Stati Uniti. È l’autore del libro campione di vendite Il cacciatore di aquiloni. Nel 2007 ha pubblicato il suo secondo libro intitolato Mille splendidi soli che, solo in Italia, ha venduto più di un milione di copie. La casa di produzione di Steven Spielberg, DreamWorks, ha acquistato i diritti di entrambi i romanzi, per trarne dei film.

La vita

Khaled Kidrauhl Hosseini è nato a Kabul, in Afghanistan, ultimo di cinque fratelli. Suo padre era un diplomatico in servizio presso il Ministero degli Esteri afghano e sua madre insegnava persiano e storia in un liceo femminile di Kabul. Nel 1970 il Ministero degli Esteri mandò la sua famiglia a Teheran, in Iran, dove il padre lavorò presso l’ambasciata dell’Afghanistan. Nel 1973 tornarono a Kabul. Nel luglio 1973 il re afghano, Zahir Shah, fu spodestato in un colpo di stato dal cugino, Mohammed Daoud Khan.

Nel 1976 il Ministero trasferì ancora una volta la famiglia Hosseini, questa volta a Parigi. Nel 1980 sarebbero dovuti tornare a Kabul, ma nel frattempo (1979) in Afghanistan il potere era nelle mani di un’amministrazione filo-comunista, appoggiata dall’Armata Rossa. Temendo l’impatto della guerra sovietica in Afghanistan, la famiglia Hosseini chiese e ottenne l’asilo politico negli Stati Uniti e, nel settembre 1980, si trasferirono a San José, in California. Dato che avevano lasciato tutte le loro proprietà in Afghanistan, per un breve periodo vissero di sussidi statali, fino a che il padre riuscì a risollevare le sorti della famiglia intraprendendo numerosi lavori. Khaled Hosseini è tornato in Afghanistan come inviato per l’UNHCR, l’agenzia delle Nazioni Unite per i Rifugiati. Attualmente vive nel nord della California con la moglie Roya, da cui ha avuto due figli: Haris e Farah.

Curiosità

Da bambino, Hosseini lesse molti libri di letteratura persiana, insieme a traduzioni di romanzi occidentali. I ricordi di Hosseini del pacifico periodo pre-Sovietico dell’Afghanistan, come le sue esperienze con gli hazara afghani, lo hanno portato a scrivere il suo primo romanzo, Il cacciatore di Aquiloni. Un hazara, Hossein Khan, aveva lavorato per la famiglia dello scrittore quando vivevano in Iran. Quando era in terza elementare Hosseini gli insegnò a leggere e scrivere. Nonostante la sua amicizia con Hossein Khan fosse stata breve e piuttosto formale, i ricordi che lasciò ad Hosseini gli furono di ispirazione per la descrizione del rapporto tra Hassan e Amir.

Fonte: Wikipedia

 

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E l’eco rispose

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Mi dicono che devo guadare acque dove presto annegherò. Prima di immergermi, lascio questo sulla spiaggia per te. Prego che tu lo possa trovare, sorella, perché tu sappia cosa c’era nel mio cuore quando sono finito sott’acqua.

Trama

Sulla strada che dal piccolo villaggio di Shadbagh porta a Kabul, viaggiano un padre e due bambini. Sono a piedi e il loro unico mezzo di trasporto è un carretto rosso, su cui Sabur, il padre, ha caricato la figlia di tre anni, Pari. Sabur ha cercato in molti modi di rimandare a casa il figlio, Abdullah, senza riuscirci. Il legame tra i due fratelli è troppo forte perché il ragazzino si lasci scoraggiare. Ha deciso che li accompagnerà a Kabul e niente potrà fargli cambiare idea, anche perché c’è qualcosa che lo turba in quel viaggio, qualcosa di non detto e di vagamente minaccioso di cui non sa darsi ragione. Ciò che avviene al loro arrivo è una lacerazione che segnerà le loro vite per sempre. Attraverso generazioni e continenti, in un percorso che ci porta da Kabul a Parigi, da San Francisco all’isola greca di Tinos, Khaled Hosseini esplora con grande profondità i molti modi in cui le persone amano, si feriscono, si tradiscono e si sacrificano l’una per l’altra.

Recensione

Ho preso il nuovo libro di Hosseini poco dopo l’uscita e, tra un impegno e l’altro, sono riuscita a leggerlo solo in questi giorni. Non c’è niente da fare, la scrittura di Hosseini incanta. Mi è piaciuto molto, all’inizio, il punto di vista di Abdullah bambino che deve gestire l’immenso affetto per la sorella e il dolore della perdita: una nuova prova superata egregiamente dall’autore, dopo i punti di vista sperimentati abilmente ne Il cacciatore di aquiloni e Mille splendidi soli.
I romanzi di Hosseini sono tutti velati di una malinconia dolce, struggente. Le emozioni si susseguono a ritmo serrato, non si fa in tempo a metabolizzarne una che ne arriva un’altra. Come sempre l’autore sfrutta le vicende narrate per dipingere un vivido ritratto dell’Afghanistan, mostrando il Paese “reale”: non quello che conosciamo in modo distorto tramite i mass media ma quello vero, vissuto, quello degli abitanti. I personaggi sono numerosissimi, profondamente complessi, mai scontati, combattuti, veri nella loro codardia o nel loro egoismo.
A questo proposito però devo muovere qualche critica. Di fatto si tratta di un romanzo corale, cosa che in genere non mi piace. Nella prima parte del libro le vicende di Pari, Abdullah, Sabur, Nabi, Parwana sono appassionanti, ci si affeziona a loro perché sono tutti profondamente legati. Ma poi cominciano a subentrare personaggi come Amra, Roshi, Thaila, Markos, Idris, Timur, Adel che in realtà hanno solo un labile legame con quelli principali – no, non me la sento di parlare di protagonisti veri e propri. Pare servano solo a farci volare in una diversa parte del mondo – descritta alle volte in maniera così rapida da apparire insulsa, vedi l’India raccontata in poche righe – o a introdurre in maniera del tutto indifferente per il loro vissuto – ma che ammetto colpisce al cuore il lettore che era rimasto in sospeso – dettagli sulla vita di personaggi precedenti di cui non si è saputo più nulla. Il che è un’abile mossa letteraria, tra l’altro il modo di descrivere i sentimenti di così tante persone diverse è una grande dote dell’autore, ma non contribuisce alla creazione di un sentimento d’attaccamento verso questi nuovi personaggi. Forse la mia spiegazione è un po’ contorta, ma leggendo il libro sarà facile capire a cosa mi riferisco.
Non al livello de Il Cacciatore di aquiloni e Mille splendidi soli, in ogni caso una lettura scorrevole, capace di emozionare.

Valutazione:

4

Nobel italiani per la Letteratura: Giosuè Carducci

Cari followers,

metto un attimo in pausa la rubrica sugli autori italiani tra Ottocento e Novecento – di cui potete leggere i primi due articoli qui. Con la nuova, breve rubrica rimango comunque in tema: in sei appuntamenti vi parlerò dei Nobel italiani per la Letteratura. Le motivazioni che mi hanno spinta a dedicare tempo e spazio a questo argomento sono pressoché le medesime che mi hanno pungolata per la rubrica sugli autori italiani. Da sempre la letteratura alimenta l’animo e pone le basi per il rinnovamento delle idee, dunque in un tumultuoso periodo come quello che stiamo vivendo credo possa essere corroborante e anche ispiratore conoscere le personalità che nel nostro Paese si sono distinte in questo campo artistico.

Ma cos’è il Premio Nobel?

 

Il premio Nobel è un’onorificenza di valore mondiale, attribuita annualmente a persone che si sono distinte nei diversi campi dello scibile, «apportando considerevoli benefici all’umanità», per le loro ricerche, scoperte ed invenzioni, per l’opera letteraria, per l’impegno in favore della pace mondiale.
Il premio fu istituito in seguito alle ultime volontà di Alfred Nobel (1833-1896), chimico e industriale svedese, inventore della dinamite, firmate al Club Svedese-Norvegese di Parigi il 27 novembre 1895. La prima assegnazione dei premi risale al 1901, quando furono consegnati il premio per la pace, per la letteratura, per la chimica, per la medicina e per la fisica. Dal 1969 si assegna anche il premio per l’economia in memoria di Alfred Nobel. La cerimonia di consegna dei premi si tiene a Stoccolma il 10 dicembre, anniversario della morte del fondatore, ad esclusione del premio per la pace che si assegna anch’esso il 10 dicembre, ma ad Oslo.
I premi Nobel nelle specifiche discipline (fisica, chimica, medicina, letteratura, economia) sono comunemente ritenuti i più prestigiosi assegnabili in tali campi. Anche il premio Nobel per la pace conferisce grande prestigio ma, tuttavia, per l’opinabilità delle valutazioni politiche la sua assegnazione è stata qualche volta accompagnata da accese polemiche.

I premi Nobel italiani per la letteratura

 

Il Nobel per la letteratura è stato finora assegnato a sei italiani, tra i quali figurano tre poeti (Carducci, Montale e Quasimodo), due autori di teatro (Pirandello e Fo) e un narratore, unica donna del gruppo, Grazia Deledda. La recente assegnazione del premio a Dario Fo è stata accompagnata, soprattutto in Italia, da pareri discordanti sui meriti letterari del grande attore, che all’estero è molto stimato soprattutto per la sua produzione come autore teatrale.

Seguiamo l’ordine cronologico e parliamo di Giosuè Carducci, che vinse il premio Nobel nel 1906.

La vita

 

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Giosuè Carducci (Valdicastello, Lucca 1835 – Bologna 1907) era figlio di un medico affiliato alla Carboneria. Trascorse la fanciullezza in Maremma, il cui paesaggio farà rivivere in tante sue poesie. Dopo essersi laureato alla Scuola Normale Superiore di Pisa con una tesi sulla poesia cavalleresca (1856), insegnò in un ginnasio, esperienza, questa, che sarebbe confluita nelle autobiografiche Risorse di San Miniato (1863). Il suo interesse per la filologia lo indusse a fondare, nel 1859, la rivista “Il Poliziano”, che tuttavia ebbe vita breve.

All’insegnamento, dal quale era stato sospeso per tre anni a causa delle sue idee filorepubblicane, tornò a dedicarsi tra il 1860 e il 1904, quando, su nomina del ministro Terenzio Mamiani, fu titolare della cattedra di eloquenza dell’Università di Bologna. In politica combatté il papato e la monarchia, ma a questa si riavvicinò verso la fine degli anni Settanta e, in seguito, nominato senatore nel 1890, si schierò con il governo conservatore di Francesco Crispi. Vinse il premio Nobel nel 1906.

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La poesia

 

Carducci fu ostile al sentimentalismo romantico e allo spiritualismo che caratterizzavano la poesia italiana di quegli anni, e fu acceso sostenitore di un ritorno alle forme classiche e al naturalismo pagano. L’antiromanticismo carducciano – che fu, da subito, antimanzonismo – non si tradusse, tuttavia, nella fredda ripresa di moduli e motivi classici. L’opera poetica di Carducci presenta invece un convivere di elementi tra loro diversi, sicché a una sensibilità romantica si ascrivono l’attenzione a una resa lirica di paesaggi interiori (si pensi alla memoria dell’infanzia che impronta poesie come Davanti San Guido o San Martino, al raccoglimento di Nevicata, contenuta nelle Odi barbare, al luminoso fantasticare di Sogno d’estate) e l’idea di una missione civile del poeta. Se questi è il supremo “artiere” (evidente la suggestione dantesca di “miglior fabbro”) nell’arte di forgiare versi, egli è altresì il rapsodo, il vate la cui parola non si esaurisce nel cerchio della letteratura: si pensi a poesie dal contenuto tra loro diversissimo, ma tutte “impegnate”, come il famoso Inno a Satana (1863), che suscitò scandalo per il suo radicale laicismo, l’ode Alla Regina d’Italia (1878) e la rima A Vittore Hugo (1881).
All’anima classica va riferita invece la struggente nostalgia per le età eroiche del passato che permea, ad esempio, le poesie “romane” delle Odi barbare o quelle che ricreano in pochi tratti il mondo di un Medioevo comunale.

Giosuè Carducci in Mugello.

Giosuè Carducci in Mugello.

 

 

Le raccolte

 

Le raccolte giovanili (Juvenilia, 1850-1857; Levia Gravia, 1857-1870) esprimono le concezioni laiche e repubblicane di Carducci, e costituiscono un complesso apprendistato poetico, in cui egli sperimentò molte forme della tradizione lirica italiana. In Giambi ed epodi (1882), che comprendeva componimenti già pubblicati nella raccolta Poesie (1871), prevalsero i toni polemici.
Le Rime nuove (1861-1887) sono probabilmente la raccolta migliore, quella in cui Carducci seppe alternare con maggiore ricchezza l’ispirazione intima e privata alla poesia storica e politica. Questo doppio registro caratterizza anche, sia pure con minore felicità espressiva, l’ultima raccolta di versi, Rime e ritmi (1898). Grande importanza hanno le Odi barbare (1877-1893), che cercano di riprodurre in versi italiani i metri della lirica greco-latina.
Grande influenza ebbe il magistero carducciano nel campo della critica. Suoi allievi furono Giovanni Pascoli, Severino Ferrari, Renato Serra, Manara Valgimigli e, se la sua lezione si iscrive entro i confini storici del positivismo, l’attenzione ai valori testuali evidente negli studi su Petrarca, Poliziano, Parini fa di Carducci un precursore della critica stilistica. A rendere meno paludata la figura di un poeta stretto nella propria ufficialità contribuisce lo sterminato, vivace ed estroso epistolario.

Cronologia delle opere

 

  • 1850-60 – Juvenilia, Raccolta di poesie
  • 1863 – Inno a Satana
  • 1861-71 –Levia gravia, Raccolta di poesie; con lo pseudonimo di Enotrio Romano
  • 1871 – Poesie, Raccolta di poesie
  • 1872 – Primavere elleniche, Raccolta poetica poi confluita nelle Rime nuove
  • 1873 – Nuove poesie di Enotrio Romano, Raccolta di poesie
  • 1874 – Studi letterari, Raccolta di saggi
  • 1877 – Odi barbare, Raccolta di poesie
  • 1882 – Giambi ed epodi, Raccolta di poesie – Nuove odi barbare, Raccolta di poesie – Le risorse di San Miniato al Tedesco e la prima edizione delle mie rime, Scritto autobiografico poi confluito in Confessioni e battaglie – Confessioni e battaglie, Raccolta di scritti polemici e autobiografici, vol. I; vol. II 1883; vol. III 1884
  • 1887 – Rime nuove, Raccolta di poesie
  • 1889 – Terze odi barbare, Raccolta di poesie
  • 1893 – Odi barbare, Raccolta poetica comprendente le Odi barbare del 1877, le Nuove odi barbare e le Terze odi barbare
  • 1899 – Rime e ritmi, Raccolta di poesie
  • 1903 – Parini minore, Saggio di critica letteraria
  • 1907 – Parini maggiore, Saggio di critica letteraria

 

 

Riporto alcuni degli scritti più significativi.

 

 

Traversando la Maremma toscana

 

Tratto dalla più ricca e varia raccolta di liriche di Giosuè Carducci – le Rime nuove, composte tra il 1861 e il 1887 – questo sonetto rievoca la mattinata del 10 aprile 1885, quando il poeta, in viaggio da Livorno a Roma, attraversò la Maremma e rivide i luoghi della sua infanzia: Castagneto, oggi Castagneto Carducci, e Bolgheri, celebrata in un’altra famosa poesia di Carducci, Davanti a San Guido.

 

Dolce paese, onde portai conforme
l’abito fiero e lo sdegnoso canto
e il petto ov’odio e amor mai non s’addorme,
pur ti riveggo, e il cuor mi balza in tanto. 

Ben riconosco in te le usate forme
con gli occhi incerti tra l’sorriso e il pianto,
e in quelle seguo de’ miei sogni l’orme
erranti dietro il giovenile incanto.

Oh, quel che amai, quel che sognai, fu in vano;
e sempre corsi, e mai non giunsi il fine;
e dimani cadrò. Ma di lontano
pace dicono al cuor le tue colline
con le nebbie sfumanti e il verde piano
ridente ne le pioggie mattutine.

21 aprile 1885

Giosuè Carducci con gli amici di Maremma.

Il comune rustico

 

Questa lirica fa parte della raccolta Rime nuove e fu composta da Giosuè Carducci tra il 10 e il 12 agosto 1885, dopo una vacanza estiva in Friuli. Il poeta, affascinato dalla bellezza del paesaggio e attratto dalla semplicità e dalla laboriosità degli abitanti, immaginò il passato medievale della regione e rievocò nella poesia un momento della vita di una piccola comunità attorno all’anno Mille: il comune rustico appunto, animato dai valori che Carducci – in aperta polemica con il Medioevo popolato di diavoli e di streghe caro al Romanticismo – attribuiva all’età medievale, ossia la libertà, la giustizia, il senso del dovere, l’amor di patria.

O che tra faggi e abeti erma su i campi
smeraldini la fredda orma si stampi
al sole del mattin puro e leggero,
o che foscheggi immobile nel giorno
morente su le sparse ville intorno
a la chiesa che prega o al cimitero

che tace, o noci de la Carnia, addio!
Erra tra i vostri rami il pensier mio
sognando l’ombre d’un tempo che fu.
Non paure di morti ed in congreghe
diavoli goffi con bizzarre streghe,
ma del comun la rustica virtù

accampata a l’opaca ampia frescura
veggo ne la stagion de la pastura
dopo la messa il giorno de la festa.
Il consol dice, e poste ha pria le mani
sopra i santi segnacoli cristiani:
– Ecco, io parto fra voi quella foresta

d’abeti e di pini ove al confin nereggia.
E voi trarrete la mugghiante greggia
e la belante a quelle cime là.
E voi, se l’unno o se lo slavo invade,
eccovi, figli, l’aste, ecco le spade,
morrete per la nostra libertà. –

Un fremito d’orgoglio empieva i petti,
ergea le bionde teste; e de gli eletti
in su le fronti il sol grande feriva.
Ma le donne piangenti sotto i veli
invocavan la Madre alma de’ cieli.
Con la mano tesa il console seguiva:

– Questo, al nome di Cristo e di Maria,
ordino e voglio che nel popol sia. –
A man levata il popol dicea Sì.
E le rosse giovenche di su ’l prato
vedean passare il piccolo senato,
brillando sugli abeti il mezzodì.

Piano d’Arta, 10-12 agosto 1885

 

Piemonte

 

Fa parte della raccolta Rime e ritmi ed è forse la più celebre delle poesie epiche di Carducci, gonfia di patriottismo e di ammirazione per i Savoia. Fu composta nell’estate del 1890 a Ceresole Reale, una località di villeggiatura montana dominata dal Gran Paradiso. Nella fantasia di Carducci il panorama si amplia fino a comprendere tutte le Alpi piemontesi, da dove scendono i fiumi che bagnano Aosta, Ivrea, Biella, Cuneo, Mondovì, Torino, e Asti, patria di Vittorio Alfieri, il cui patriottismo evoca in Carducci il ricordo della prima guerra d’indipendenza e di Carlo Alberto di Savoia. La seconda parte della poesia è tutta dedicata al re sabaudo, del quale è sottolineata l’incertezza politica poi riscattata dalla partecipazione alla guerra contro l’Austria: perciò il re viene accolto tra gli eroi piemontesi della libertà d’Italia che, guidati da Santorre di Santarosa, ne accompagnano l’anima davanti Dio, al quale chiedono di rendere “l’Italia a gl’italiani”.


Su le dentate scintillanti vette
salta il camoscio, tuona la valanga
da’ ghiacci immani rotolando per le
selve croscianti:

ma da i silenzi de l’effuso azzurro
esce nel sole l’aquila, e distende
in tarde ruote digradanti il nero
volo solenne.

Salve, Piemonte! A te con melodia
mesta da lungi risonante, come
gli epici canti del tuo popol bravo,
scendono i fiumi.

Scendon pieni, rapidi, gagliardi,
come i tuoi cento battaglioni, e a valle
cercan le deste a ragionar di gloria
ville e cittadi:

la vecchia Aosta di cesaree mura
ammantellata, che nel varco alpino
èleva sopra i barbari manieri
l’arco d’Augusto:

Ivrea la bella che le rosse torri
specchia sognando a la cerulea Dora
nel largo seno, fosca intorno è l’ombra
di re Arduino:

Biella tra ‘l monte e il verdeggiar de’ piani
lieta guardante l’ubere convalle,
ch’armi ed aratri e a l’opera fumanti
camini ostenta:

Cuneo possente e pazïente, e al vago
declivio il dolce Mondovì ridente,
e l’esultante di castella e vigne
suol d’Aleramo;

e da Superga nel festante coro
de le grandi Alpi la regal Torino
incoronata di vittoria, ed Asti
repubblicana.

Fiere di strage gotica e de l’ira
di Federico, dal sonante fiume
ella, o Piemonte, ti donava il carme
novo d’Alfieri.

Venne quel grande, come il grande augello
ond’ebbe nome; e a l’umile paese
sopra volando, fulvo, irrequïeto,
– Italia, Italia –

egli gridava a’ dissueti orecchi,
a i pigri cuori, a gli animi giacenti:
– Italia, Italia – rispondeano l’urne
d’Arquà e Ravenna:

e sotto il volo scricchiolaron l’ossa
sé ricercanti lungo il cimitero
de la fatal penisola a vestirsi
d’ira e di ferro.

– Italia, Italia! – E il popolo de’ morti
surse cantando a chiedere la guerra;
e un re a la morte nel pallor del viso
sacro e nel cuore

trasse la spada. Oh anno de’ portenti,
oh primavera de la patria, oh giorni,
ultimi giorni del fiorente maggio,
oh trionfante

suon de la prima italica vittoria
che mi percosse il cuor fanciullo! Ond’io
vate d’Italia a la stagion piú bella,
in grige chiome

oggi ti canto, o re de’ miei verd’anni,
re per tant’anni bestemmiato e pianto,
che via passasti con la spada in pugno
ed il cilicio

al cristian petto, italo Amleto. Sotto
il ferro e il fuoco del Piemonte, sotto
di Cuneo ‘l nerbo e l’impeto d’Aosta
sparve il nemico.

Languido il tuon de l’ultimo cannone
dietro la fuga austriaca morìa:
il re a cavallo discendeva contra
il sol cadente:

a gli accorrenti cavalieri in mezzo,
di fumo e polve e di vittoria allegri,
trasse, ed, un foglio dispiegato, disse
resa Peschiera.

Oh qual da i petti, memori de gli avi,
alte ondeggiando le sabaude insegne,
surse fremente un solo grido: Viva
il re d’Italia!

Arse di gloria, rossa nel tramonto,
l’ampia distesa del lombardo piano;
palpitò il lago di Virgilio, come
velo di sposa

che s’apre al bacio del promesso amore:
pallido, dritto su l’arcione, immoto,
gli occhi fissava il re: vedeva l’ombra
del Trocadero.

E lo aspettava la brumal Novara
e a’ tristi errori mèta ultima Oporto.
Oh sola e cheta in mezzo de’ castagni
villa del Douro,

che in faccia il grande Atlantico sonante
a i lati ha il fiume fresco di camelie,
e albergò ne la indifferente calma
tanto dolore!

Sfaceasi; e nel crepuscolo de i sensi
tra le due vite al re davanti corse
una miranda visïon: di Nizza
il marinaro

biondo che dal Gianicolo spronava
contro l’oltraggio gallico: d’intorno
splendeagli, fiamma di piropo al sole,
l’italo sangue.

Su gli occhi spenti scese al re una stilla,
lenta errò l’ombra d’un sorriso. Allora
venne da l’alto un vol di spirti, e cinse
del re la morte.

Innanzi a tutti, o nobile Piemonte,
quei che a Sfacteria dorme e in Alessandria
diè a l’aure primo il tricolor, Santorre
di Santarosa.

E tutti insieme a Dio scortaron l’alma
di Carl’Alberto. – Eccoti il re, Signore,
che ne disperse, il re che ne percosse.
Ora, o Signore,

anch’egli è morto, come noi morimmo,
Dio, per l’Italia. Rendine la patria.
A i morti, a i vivi, pe ‘l fumante sangue
da tutt’i campi,

per il dolore che le regge agguaglia
a le capanne, per la gloria, Dio,
che fu ne gli anni, pe ‘l martirio, Dio,
che è ne l’ora,

a quella polve eroïca fremente,
a quella luce angelica esultante,
rendi la patria, Dio; rendi l’Italia
a gl’italiani.

carducci

 

 

 

Nella piazza di San Petronio

 

Composta tra il 6 e il 7 febbraio 1877, Nella piazza di San Petronio è un omaggio che Giosuè Carducci offrì a Bologna, la città nella quale visse dal 1860 fino alla morte. La piazza bolognese è rappresentata al tramonto, quando il sole, illuminando le torri, i palazzi e la cattedrale che vi si affacciano, sembra risvegliare il ricordo del glorioso passato medievale della città. Nell’aria fredda di febbraio si diffonde allora la nostalgia di tramonti primaverili e dei balli che si tenevano sulla piazza nelle serate tiepide e profumate.

 

Surge nel chiaro inverno la fosca turrita Bologna,
e il colle sopra bianco di neve ride.

È l’ora soave che il sol morituro saluta
le torri e ‘l tempio, divo Petronio, tuo;

le torri i cui merli tant’ala di secolo lambe,
e del solenne tempio la solitaria cima.

Il cielo in freddo fulgore adamàntino brilla;
e l’aër come velo d’argento giace

su ‘l fòro, lieve sfumando a torno le moli
che levò cupe il braccio clipeato de gli avi.

Su gli alti fastigi s’indugia il sole guardando
con un sorriso languido di viola,

che ne la bigia pietra nel fosco vermiglio mattone
par che risvegli l’anima de i secoli,

e un desio mesto pe ‘l rigido aëre sveglia
di rossi maggi, di calde aulenti sere,

quando le donne gentili danzavano in piazza
e co’ i re vinti i consoli tornavano.

Tale la musa ride fuggente al verso in cui trema
un desiderio vano de la bellezza antica.

Alla stazione una mattina d’autunno

 

L’importanza delle Odi barbare risiede, più che nei contenuti, negli aspetti metrici e formali. Nelle poesie della raccolta, infatti, Carducci sperimenta versi non tradizionali e non legati dalla rima, cercando di riprodurre i metri della lirica greca e latina. Le variazioni metriche obbligano a una lettura più attenta e scandita dei versi, con il risultato di conferire forte rilievo alla parola singola. Per quanto riguarda il linguaggio, invece, Carducci rimane legato a un lessico aulico e ricco di latinismi, con l’importante eccezione della poesia Alla stazione una mattina d’autunno, dove il poeta utilizza, sorprendentemente, termini moderni come “fanali”, “tessera”, “sportelli sbattuti”, che acquistano maggiore risalto proprio perché inseriti in un contesto metrico e linguistico classicheggiante.

Oh quei fanali come s’inseguono
accidïosi là dietro gli alberi,
tra i rami stillanti di pioggia
sbadigliando la luce su ‘l fango!

Flebile, acuta, stridula fischia
la vaporiera da presso. Plumbeo
il cielo e il mattino d’autunno
come un grande fantasma n’è intorno.

Dove e a che move questa, che affrettasi
a’ carri fóschi, ravvolta e tacita
gente? a che ignoti dolori
o tormenti di speme lontana?

Tu pur pensosa, Lidia, la tessera
al secco taglio dài de la guardia,
e al tempo incalzante i begli anni
dài, gl’istanti gioiti e i ricordi.

Van lungo il nero convoglio e vengono
incappucciati di nero i vigili,
com’ombre; una fioca lanterna
hanno, e mazze di ferro: ed i ferrei

freni tentati rendono un lugubre
rintócco lungo: di fondo a l’anima
un’eco di tedio risponde
doloroso, che spasimo pare.

E gli sportelli sbattuti al chiudere
paion oltraggi: scherno par l’ultimo
appello che rapido suona:
grossa scroscia su’ vetri la pioggia.

Già il mostro, conscio di sua metallica
anima, sbuffa, crolla, ansa, i fiammei
occhi sbarra; immane pe ‘l buio
gitta il fischio che sfida lo spazio.

Va l’empio mostro; con traino orribile
sbattendo l’ale gli amor miei portasi.
Ahi, la bianca faccia e ‘l bel velo
salutando scompar ne la tenebra.

O viso dolce di pallor roseo,
o stellanti occhi di pace, o candida
tra’ floridi ricci inchinata
pura fronte con atto soave!

Fremea la vita nel tepid’aere,
fremea l’estate quando mi arrisero;
e il giovine sole di giugno
si piacea di baciar luminoso

in tra i riflessi del crin castanei
la molle guancia: come un’aureola
più belli del sole i miei sogni
ricingean la persona gentile.

Sotto la pioggia, tra la caligine
torno ora, e ad esse vorrei confondermi;
barcollo com’ebro, e mi tócco,
non anch’io fossi dunque un fantasma.

Oh qual caduta di foglie, gelida,
continua, muta, greve, su l’anima!
io credo che solo, che eterno,
che per tutto nel mondo è novembre.

Meglio a chi ‘l senso smarrì de l’essere,
meglio quest’ombra, questa caligine:
io voglio io voglio adagiarmi
in un tedio che duri infinito.

Fonti: Encarta, Wikipedia

Il veleno del cuore – Barbara Risoli

Eccomi qui con un libro di genere storico come piace me e spero anche a voi.

 

IL VELENO DEL CUORE

Barbara Risoli

Amazon Kindle

 

risoli

 

 

Trama

 

Siamo nell’estate del 1788, nella Francia pre-rivoluzionaria messa a dura prova da un rigido inverno e in attesa del giorno dell’assemblea degli Stati Generali che precederanno la presa della Bastiglia. I protagonisti sono Eufrasia, figlia del conte Xavier des Fleuves facente parte dei fisiocratici sostenitori del cambiamento, e Venanzio, un assassino prezzolato dal torbido passato. A seguito del mancato matrimonio della ragazza, i due s’incontrano e tra loro viene a crearsi un saldo legame dai risvolti inquietanti che mette in luce i loro animi senza scrupoli e disposti a tutto, per se stessi a scapito degli altri. La richiesta di Eufrasia di inscenare il proprio omicidio, per evitare il convento, e l’esecuzione del servizio da parte del bandito, porta entrambi a cambiare identità celandosi nel cupo scenario della Francia in fermento, in ginocchio sotto la neve incessante dell’inverno 1788. A questo punto la storia si articola tra Nanterre, piccolo borgo vicino a Versailles, e la Bretagna, terra d’origine dei protagonisti. Eufrasia diviene la Vedova, donna sempre celata in un lutto stretto, abile giocatrice d’azzardo e contrabbandiera che arma la rivoluzione incombente. Venanzio si spaccia per il duca Stolfo Rues di un casato inesistente. Una serie di coincidenze li fanno incontrare nuovamente, mentre l’amore di entrambi viene svelato lentamente in un timore reciproco del rifiuto. Ma le promesse sono promesse e…

L’autrice

 

Nata l’8 giugno 1969 a Monfalcone (GO), vive nella provincia di Udine con il marito Enes, il figlio Edwin e il suo piccolo zoo. Amante degli animali e del mistero, scrive da sempre. Pubblica il suo primo romanzo L’ERRORE DI CRONOS nel 2006 senza avere troppa fortuna. Nel 2008 arriva finalista al Premio Zenone e vede pubblicato il romanzo breve di fantascienza LA STIRPE (Runde Taarn Edizioni). Segue la seconda edizione de L’ERRORE DI CRONOS (Runde Taarn Edizioni) che questa volta ottiene un buon riscontro dal pubblico amate del fantasy, anche se la narrazione è insolita e fuori dai canoni standard. Nel 2009 esce il seguito LA GRAZIA DEL FATO (0111 Edizioni) che ancora una volta appassiona i lettori con le avventure del re greco Dunamis e della figlia del futuro Zaira. Tuttavia, un altro genere trattato dall’autrice è il sentimentale storico ed esce nel 2009 con IL VELENO DEL CUORE, romance ambientato della Francia pre-rivoluzionaria del 1788, con protagonisti ancora una volta fuori dalle righe. Vince con questo romanzo il CONCORSO IL CLUB DEI LETTORI 2009 e lo presenta alla FIERA DEL LIBRO DI TORINO 2009. Ultima fatica è il sequel LA GIUSTIZIA DEL SANGUE, dove i protagonisti si ritrovano in piena Rivoluzione Francese nel tentativo impossibile di salvare la vita del piccolo Luigi XVII, il bambino martire della Rivoluzione, figlio del decapitato Luigi XVI e di Maria Antonietta. Documentato e frutto di accurate ricerche storiche, l’autrice mischia la realtà con la fantasia intessendo una trama neppure tanto impossibile.

A causa di due lutti familiari nel 2010, dopo tre anni di fermo pubblica in Formato Kindle su Amazon L’ONDA SCARLATTA di genere volutamente romance in ambientazione ancora un volta franco rivoluzionaria. Attualmente è una scrittrice indipendente che si appoggia alla piattaforma Amazon con la ripubblicazione di tutti i suoi romanzi in seconda edizione. Ha pubblicato recentemente LA STELLA D’ORO, che trova la sua trama tra il Friuli della Prima Guerra Mondiale e la Rivoluzione Russa.

Visitate il blog principale dell’autrice, qui.

La mia recensione

 

Eufrasia è una giovane nobile, intelligente e capace; la vita agiata l’ha portata a essere severa ed egoista, pretenziosa. Ne prende coscienza improvvisamente quando abbandona all’altare Aldo, l’uomo per cui ha lottato per molti anni. Venanzio è un assassino, un ladro, un truffatore, ma non di quelli rozzi e banali: egli ha in sé qualcosa di elegante, di attraente, di “oscuro” e sa come sfruttarlo. L’incontro tra i due protagonisti, il primissimo fortuito, il secondo un po’ meno, li attrae inevitabilmente l’uno verso l’altra, così diversi, così simili in una Francia che si prepara alla rivoluzione.

Ho trovato interessante il fatto che i protagonisti non sono i soliti eroi buoni, ma anzi persone i cui comportamenti possono anche suscitare indignazione. In questo il libro mi ha un po’ ricordato Catherine e Heathcliff di Cime tempestose. Le atmosfere sono affascinanti, adatte all’epoca. Il periodo storico è trattato dal punto di vista limitato – ma ben esposto – dei singoli individui nel fermento del popolo. Lo stile è ricco di aggettivi; i dialoghi sono adatti all’ambientazione.

Valutazione:

4

Intervista all’autrice

 

Ciao Barbara, benvenuta.

  • Dalla tua biografia leggiamo che scrivi fantasy, fantascienza o sentimentale storico. Credi che il tuo stile sia più adatto a questi generi? Cosa ti spinge a preferirli nonostante ad esempio la grande differenza tra fantascienza e romance?

Alla luce delle mie pubblicazioni e dei riscontri ottenuti in quello che io definisco ‘microcosmo degli emergenti’, adesso posso affermare di avere percorso una strada che alla fine ha smussato il mio modo di scrivere, i miei generi, il mio stile. Ho iniziato con un piccolo fantascienza e sono giunta a preferire il genere storico sentimentale, anche se sempre e comunque fuori dalle righe, discordante rispetto ai clichè. Ma io sono fatta così, cerco sempre di differenziarmi ed evito come la peste l’emulazione. Il mio stile è certamente più consono ai romanzi storici, vengo spesso e volentieri ‘tacciata’ di scrittura aulica, scrivere un contemporaneo con il mio stile credo creerebbe qualche critica e io aggiungo, pure giusta.

In conclusione, la linea che accomuna ogni mio romanzo sono i sentimenti, tormentati o sognanti, ma pur sempre sentimenti. È più forte di me.

  • Sei appassionata di storia. Di quali epoche storiche in particolare? Cosa ti affascina di più?

Chi mi conosce, lo sa: il mio periodo preferito è quello della Rivoluzione Francese. Vi ho ambientato due romanzi (tre, per l’esattezza, visto che uno è il seguito dell’altro). Ho sempre amato la Francia, come se fosse una seconda patria e quindi l’ho studiata, sezionata, ‘ravanata’. Ma dove c’è una rivoluzione, ci sono io! Mi affascina quella Russa e anche lì ho voluto introdurci una mia storia. Sono interessata ai grandi fenomeni storici che hanno cambiato il mondo, che lo hanno minacciato, che potrebbero tornare. Studio anche il Nazismo che mi sconvolge e del quale ogni giorno scopro una nefandezza. Tuttavia, della Storia mi affascinano i punti oscuri, quelli che danno adito a interpretazioni diverse ed è lì che io infilo le mie trame e diventano così credibili, visto che tutto è sospeso, misterioso, non ufficiale. Una menzione la devo riservare anche al periodo antico acheo­miceneo dove il mio fantasy mitologico ha dato vita a uno dei miei personaggi più riusciti.

  • Raccontaci qualcosa dei numerosi romanzi che hai pubblicato.

Appunto… sono numerosi, rischio un romanzo pure qui! Vabbè, un accenno per tutti lo faccio volentieri, così ripasso!

LA STIRPE, genere fantascientifico dove ipotizzo che il vero essere umano sia colui che è affetto da Trisomia 21. È più un romanzo breve per ragazzi.

L’ERRORE DI CRONOS e LA GRAZIA DEL FATO sono inquadrati nel genere fantasy, ma è un errore, in effetti è una grande storia d’amore tra un re acheo, Dunamis, e una donna giunta dai nostri tempi, Zaira,con tutte le difficoltà del caso. Il fattore fantasy sta nella traslazione temporale e nella presenza degli dei che ho voluto fedeli al mito (visto che io amo la mitologia greca).

IL VELENO DEL CUORE e LA GIUSTIZIA DEL SANGUE, i primi romance, se vogliamo… che romance non sono, considerando la coppia proposta che io definisco la ‘meno probabile del romance italiano emergente’. Il primo l’ho scritto per gioco, il seguito mi ha impegnata molto ed è, come tutti i miei sequel, migliore.

L’ONDA SCARLATTA è nato volutamente romance per essere sottoposto al giudizio di case editrici specializzate nel genere. Di risposte non ne ho avute ed è disponibile solo in Formato Kindle (come tutti gli altri, vistala mia scelta di essere indipendente). Pur nel tentativo di seguire i clichè, non sono riuscita nell’intento e la protagonista è imperfetta, il coprotagonista è un affascinante uomo che tuttavia fa saltare i nervi e il protagonista è un uomo fuori dal tempo e dalle righe, imperfetto pure lui. La passione è alta, ma resta il mio stile che proprio non riesce a rientrare nei seminati.

LA STELLA D’ORO (Zolotaja Zviezda) è l’ultimo nato, il mio preferito, dedicato a mia madre, scritto dopo la tragedia che ha scosso la mia vita, una sorta di riscatto interiore, una metafora del mio vissuto. Il periodo che tocco è azzardato,viaggio dalla Grande Guerra in Friuli e la Rivoluzione Russa di Pietrogrado. I protagonisti sono tragici eppure forti, determinati e fragili, il protagonista credo sia il migliore che io abbia creato, viste alcune reazioni da parte dei lettori.

  • De Il veleno del cuore mi è piaciuto molto il fatto che i protagonisti non sono i soliti eroi buoni, tutt’altro. Come mai hai deciso di dare loro una connotazione piuttosto negativa?

Ho sempre letto un po’ di tutto, ma nel rosa ho sempre trovato personaggi buoni, giusti, retti. Ho voluto cambiare le regole e ho delineato una donna disposta a qualsiasi cosa per difendere se stessa e un compagno di ventura che le somigliasse, evitando così tentennamenti nella trama. Eufrasia e Venanzio sono due delinquenti, la prima nobile e quindi ingiustificabile, il secondo figlio del popolo, senza arte né parte ma intelligente e astuto. Si incontrano… ed è un putiferio! Mi sono divertita molto a scriverlo, ogni volta che volevo far fare loro qualcosa di buono… scrivevo l’opposto. Mi è stata contestata questa loro freddezza, ma piacciono, almeno a chi è disposto a uscire ancora una volta dalle righe.

  • Il veleno del cuore ha un seguito, La giustizia del sangue. Ci anticipi qualcosa senza svelare troppo la trama?

Beh, LA GIUSTIZIA DEL SANGUE è stato un po’ il riscatto dei due ‘tagliagola’ e, già l’ho detto una volta, l’ho voluto scrivere per il mio lettore numero uno, Paolo Federici, che questa Eufrasia così algida proprio non riusciva ad accettarla sino in fondo. Poi l’idea e l’ho sviluppata forte delle conoscenze che avevo di base. La storia verte sulla presunta liberazione del piccolo Luigi XVII, vittima della rivoluzione che la Storia vuole morto, ma che alcuni ipotizzano invece sopravvissuto e io avevo chi poteva liberarlo, Venanzio ed Eufrasia.

  • Stai lavorando a qualcosa di nuovo?

Di proprio nuovo no, quello più avanti. Sto rieditando L’ERRORE DI CRONOS che pubblicherò sempre in Formato Kindle su Amazon. Lo sto ‘adultizzando’ e affermo con orgoglio che l’editor altro non è che… il lettore. Sì. Ho ricevuto una marea di commenti per l’ultima edizione: positivi e negativi, dettagliati e secchi. Ho fatto la media, ho individuato cosa è piaciuto e cosa no e adesso lo sto mettendo a posto. Nessuno come il lettore sa darti la giusta dritta per tentare di perfezionare un tuo scritto. Sono sicura che verrà bene… con un tale collaboratore! LA GRAZIA DEL FATO, il sequel, diciamo che è già pronto… usciranno in contemporanea o quasi.

 Bene, ti ringrazio molto per la chiacchierata, mi ha fatto molto piacere ospitare un’appassionata di storia come me.

“Parlate della mafia. Parlatene alla radio, in televisione, sui giornali. Però parlatene.” Paolo Borsellino

Politica e mafia sono due poteri che vivono sul controllo dello stesso territorio: o si fanno la guerra o si mettono d’accordo.

Paolo Borsellino

 

paolo-borsellino

 

 

A ventun anni dall’attentato che uccise Paolo Borsellino ricordiamo la sua vita e il suo pensiero lucido, tagliente e ispiratore.

Se la gioventù le negherà il consenso, anche l’onnipotente e misteriosa mafia svanirà come un incubo.

Paolo Borsellino

 

La vita

 

A fine mese, quando ricevo lo stipendio, faccio l’esame di coscienza e mi chiedo se me lo sono guadagnato.

Paolo Borsellino

 

Paolo Borsellino (Palermo 1940-1992), magistrato italiano. Giudice istruttore, fu membro del pool antimafia, gruppo di magistrati nato per affrontare in maniera organica i procedimenti relativi alla mafia, di cui facevano parte anche Giovanni Falcone e Antonino Caponnetto. Con questi, durante il maxiprocesso contro la mafia del 1986, sostenne la tesi che Cosa nostra fosse un’organizzazione unitaria, guidata da una direzione di tipo piramidale, la cupola, responsabile di tutti i delitti commessi dall’organizzazione. In seguito procuratore aggiunto alla procura di Palermo, il 19 luglio 1992 venne ucciso con la sua scorta in un attentato mafioso.

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È normale che esista la paura, in ogni uomo, l’importante è che sia accompagnata dal coraggio. Non bisogna lasciarsi sopraffare dalla paura, altrimenti diventa un ostacolo che impedisce di andare avanti.

Paolo Borsellino

 

L’attentato

 

Mi uccideranno, ma non sarà una vendetta della mafia, la mafia non si vendica. Forse saranno mafiosi quelli che materialmente mi uccideranno, ma quelli che avranno voluto la mia morte saranno altri.

Paolo Borsellino

 

Il 19 luglio 1992, dopo aver pranzato a Villagrazia con la moglie Agnese e i figli Manfredi e Lucia, Paolo Borsellino si recò insieme alla sua scorta in via D’Amelio, dove viveva sua madre.
Una Fiat 126 parcheggiata nei pressi dell’abitazione della madre con circa 100 kg di esplosivo a bordo detonò al passaggio del giudice, uccidendo oltre a Paolo Borsellino anche i cinque agenti di scorta Emanuela Loi (prima donna della Polizia di Stato caduta in servizio), Agostino Catalano, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina. L’unico sopravvissuto fu Antonino Vullo, scampato perché al momento della deflagrazione stava parcheggiando uno dei veicoli della scorta.

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La lotta alla mafia, il primo problema da risolvere nella nostra terra bellissima e disgraziata, non doveva essere soltanto una distaccata opera di repressione, ma un movimento culturale e morale che coinvolgesse tutti e specialmente le giovani generazioni, le più adatte a sentire subito la bellezza del fresco profumo di libertà che fa rifiutare il puzzo del compromesso morale, dell’indifferenza, della contiguità e quindi della complicità.

Paolo Borsellino

 

Grazie a Paolo Borsellino per ciò che ha fatto. La sua morte violenta ha reso la sua voce immortale.

Approfondimenti

 

Cosa nostra

 

L’espressione Cosa nostra (più comunemente e genericamente mafia siciliana) viene utilizzata per indicare un’organizzazione criminale di stampo mafioso-terroristico presente in Sicilia dagli inizi del XIX secolo e trasformatasi nella prima metà del XX secolo in una organizzazione internazionale.
Con il termine “Cosa nostra” oggi ci si riferisce esclusivamente alla mafia siciliana (anche per indicare le sue ramificazioni internazionali, specie negli Stati Uniti d’America), per distinguerla dalle altre, internazionali, genericamente indicate col termine di “mafie”.
Gli interventi dello Stato, che in passato aveva trascurato anche volutamente il problema, si sono fatti più decisi a partire dagli anni ottanta. In ciò grande merito ha avuto il Pool antimafia, creato dal giudice Rocco Chinnici e dopo la sua morte subentrò Antonino Caponnetto di cui facevano parte i magistrati Giuseppe Di Lello, Leonardo Guarnotta, Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Costoro, anche a costo della loro vita, hanno distrutto il cuore di Cosa nostra, dimostrandone la reale esistenza e garantendo la possibilità di punirne gli adepti. Fino ad allora l’impunità dei suoi membri era pressoché garantita attraverso infiltrazioni politiche e nei palazzi di giustizia.
Negli anni novanta la Sicilia venne militarizzata allo scopo di liberare gli organi di Polizia dalle attività di piantonamento, lasciandoli liberi di dedicarsi in pieno alle indagini e alla ricerca dei latitanti.
Nel 2006, l’arresto dopo una latitanza record di 43 anni del superlatitante Bernardo Provenzano ad opera della Procura Antimafia di Palermo ha inflitto un ulteriore duro colpo all’organizzazione, che ora sta probabilmente subendo l’evoluzione in Stidda (sempre di stampo mafioso ma meno potente e pericolosa).
Anche economicamente Cosa nostra ha subito un ridimensionamento, ciò anche a causa dell’applicazione della legge sul sequestro dei beni e il contestuale aumento di potere della ‘Ndrangheta, che ha assunto il controllo e il predominio del traffico internazionale di droga.

Fonti: Encarta, Wikipedia

La Stella di Giada – Da non perdere

Ci sono libri che appena cominci a leggerli ti risucchiano nelle pagine, ti fanno innamorare. E quello di cui vi parlo oggi è proprio uno di quelli.

LA STELLA DI GIADA

Stefania  Bernardo

Youcanprint

Collana: Narrativa

Data di Pubblicazione: Marzo  2013

ISBN: 9788891105233

Pagine: 502

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Trama

Giamaica, 1720. Johnny Shiver, capitano della Stella di Giada, è così crudele da essere considerato il diavolo in persona. Saccheggia, tortura, ammazza. Nessuno è in grado di contrastare la sua ciurma assetata di sangue e i suoi piani infallibili. David Jacobson, ammiraglio e comandante in capo della flotta britannica nei Caraibi, da anni tenta di fermarlo, senza successo. Ma quando Shiver decide di mettere le mani sullo Smeraldo di Venere, il tesoro protetto da Jacobson, si apre una guerra sanguinaria fatta di arrembaggi, impiccagioni e tradimenti. Uno scenario infernale in cui viene coinvolta, suo malgrado, Scarlett Baker, giovane domestica di Fort Law, dal carattere ribelle e testardo, con l’unica intenzione di trasferirsi a Londra per ricominciare tutto da capo e vivere una vita finalmente tranquilla e pacifica. Ma il destino sembra avere per Scarlett piani decisamente differenti…

L’autrice

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Stefania Bernardo avrebbe tanto voluto nascere nell’epoca d’oro della pirateria, d’altronde la sua pettinatura è perfetta per il diciottesimo secolo. Dato che è nata nel ventunesimo però, si è accontenta di essere pirata nello spirito e di scrivere il suo primo romanzo proprio su una bella storia di pirati… Ah, già perché la sua ambizione è quella di diventare scrittrice ma si sa, fra il dire e il fare c’è sempre di mezzo il mare… e per ora il suo veliero è impegnato a solcarlo.
Ama i libri in maniera esagerata, i suoi risparmi generalmente finiscono sempre spesi in libreria… è impegnata a collazionare i libri di Alexandre Dumas, suo mito. Il suo carattere è molto allegro e solare con, purtroppo, frequenti momenti di burrascosa ira che, per fortuna di tutti, si placano in fretta.

È iscritta all’università degli studi di Torino alla facoltà di giurisprudenza, indirizzo di Diritto ed Economia per le imprese. Ha frequentato l’istituto tecnico G. Jervis di Ivrea conseguendo il diploma in tecnico della gestione aziendale. Prima dell’università, ha lavorato per tre anni presso un’azienda di Ivrea come segretaria amministrativa.

Per visitare il sito dell’autrice, clicca qui.

La mia recensione

Bello, bello, bello. Uno dei più bei libri che io abbia mai letto e, come sapete, ne leggo tantissimi. Avventura, amore, odio, amicizia, vendetta, intrighi. In questo libro non manca proprio nulla e la cosa più bella è che tutto è trattato in maniera ben equilibrata. Lo stile dell’autrice è abbastanza pulito e adatto alla storia, sia nella narrazione che nei dialoghi. Il linguaggio è usato con padronanza, anche per ciò che riguarda i termini specifici della navigazione. I personaggi sono numerosi e tutti di grande spessore. Le atmosfere descritte sono varie e affascinanti, “romantiche” nel senso più ampio del termine. Azione e ragionamento si alternano in maniera ben dosata. I personaggi che ho amato di più, i più carismatici, sono Shiver, Scarlett e Alvaro. Alcune scene, soprattutto nel finale, – non dico quali per non svelare punti cruciali della trama – sono molto cinematografiche. C’è del genio nel modo in cui si intrecciano intrighi e inganni. Le uniche “pecche” a mio avviso sono il fatto che le città citate sono frutto di fantasia – ma la ragione di questa scelta viene spiegata dall’autrice alla fine del libro – e un’imprecisione storica riguardo alle infezioni, mi spiego: in seguito ad alcune ferite i personaggi dialogano sulle infezioni potenzialmente in atto ma ciò è pressoché impossibile giacché la storia è ambientata nella prima metà del 1700, quando ancora non si avevano sufficienti conoscenze mediche a riguardo.

In definitiva un libro da non perdere, ripeto: bello, bello, bello.

Valutazione:

5

Le cronache di Ériu – La faida

Vi stupirete del genere di libro che recensisco per voi oggi, ma l’idea di partenza è così originale che la lettura mi ha catturata sin dall’inizio. In fondo, quanti scrittori sognano – o temono – di poter incontrare i propri personaggi in carne e ossa?

 

LE CRONACHE DI ÉRIU – LA FAIDA

Maddalena Cioce

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Trama

Sara è una giovane scrittrice squattrinata, presa dalla stesura del suo nuovo romanzo. Una mattina, al risveglio nel suo monolocale, si ritrova misteriosamente davanti Cal, il protagonista della sua storia, che, spaesato, dopo aver scoperto di essere parte del suo manoscritto, cerca di strangolarla in quanto fonte di tutti i suoi guai.
Cos’è dunque uno scrittore? Un creatore, divinità di un mondo parallelo scaturito dalla sua penna, o un semplice visionario, capace di gettare un fugace sguardo in altri mondi?

L’autrice

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Maddalena Cioce ha ventinove anni, è sposata e ha un figlio di sette anni. Diplomata in Lingue, era anche laureanda in Scienze dell’educazione e della Formazione, con borsa di studio per merito, ma ha dovuto abbandonare gli studi a causa della nascita di suo figlio e del trasferimento da Bari, dove è nata e cresciuta, in Sardegna, dove attualmente vive con la famiglia. Scrittrice e lettrice incallita di Fantasy di ogni genere, attualmente il suo sogno è fare dello scrivere, il lavoro che ama, la sua fonte di sostentamento. È, inoltre, un’appassionata di psicologia, è una dote naturale che non ha potuto coltivare per le ragioni di cui sopra ma, prima o poi, con la sua profonda testardaggine riuscirà a scavalcare anche questo ostacolo.

La mia recensione

Sara è una ragazza intraprendente, sicura di sé, decisa a cavarsela da sola. Ha la passione per la scrittura e proprio quella le apre le porte di un mondo nuovo. D’improvviso si ritrova davanti Cal, il giovane protagonista del suo romanzo. Cal, spaesato e confuso per il suo arrivo a casa di Sara e incline alla vendetta e alla violenza, non è affatto felice della sua nuova condizione e tenta di uccidere Sara. Inizia un periodo di conoscenza burrascosa dei due protagonisti e di un’esilarante – sì, esilarante, ho infatti riso più volte leggendo – adattamento al nuovo mondo popolato da oggetti sconosciuti e quasi magici per Cal. L’atmosfera divertente è puntellata dallo stile brillante – e abbastanza pulito – dell’autrice che descrive in maniera precisa ogni scena e situazione anche quelle che Cal, suo malgrado, si ritrova a fronteggiare. La stanza dei bisogni, la scatola del freddo o ertubbo sono solo degli esempi. Le vicende prendono poi una piega prevedibile per il lettore ma inaspettata per i protagonisti e non mancano scene d’amore sdolcinato o di violenza. L’intermezzo di cui è quasi protagonista Lorenzo, l’avvocato presso cui Sara lavora come segretaria, è forse un po’ abbozzato e veloce. Quando l’ambientazione si sposta nel mondo di Cal si assiste a scene d’azione benaccette dopo la leggera staticità in casa di Sara. Cal e Sara litigano in continuazione, il che da un tocco di pepe alla loro relazione. Apprezzati sono i dettagli ispirati all’antica cultura irlandese. Sara scopre pian piano che la sua passione per la scrittura e la capacità di inventare mondi e personaggi altro non è che una sorta di veggenza su ciò che accade in universi paralleli, cosa che ho trovato molto affascinante e originale. Tralasciando qualche spiegazione di troppo sui comportamenti dei personaggi che il lettore è in grado di cogliere da sé, la narrazione risulta accattivante, scorrevole, piacevole da leggere. Avrei apprezzato un’analisi più approfondita della storia di Cal, del suo legame con il trono, ma forse, trattandosi del primo capitolo di una trilogia, queste informazioni giungeranno in seguito. In definitiva una lettura consigliata per chi ama il fantasy e le storie d’amore.

Valutazione:

5

Intervista all’autrice

 

 

Ciao Maddalena, benvenuta.

  • Rompiamo subito il ghiaccio: trovi difficile dividerti tra la vita “reale” di donna di casa e madre e quella “parallela” di scrittrice?

Ciao, allora ti rispondo subito senza preamboli! Non ho grossi problemi a dividermi tra la vita reale, in cui devo badare a casa e figli, e quella di scrittrice, a parte quando sono così persa nella mia “realtà parallela” da dimenticare che quelli che volano sul pavimento sono batuffoli di polvere, non covoni di paglia del far west!

  • La passione per la lettura e quella per la scrittura sono sempre andate di pari passo oppure no? Ricordi il momento in cui per la prima volta ti sei seduta a scrivere un romanzo?

La mia passione per lettura e scrittura (indovina un po’ il genere? Fantasy) risale a quando andavo alle medie. Intorno agli undici anni ho letto circa quattro volte “Il mondo perduto” di A.C. Doyle, esercitava su di me un fascino irresistibile. Un’altra volta, invece, svolsi un compito per casa in cui bisognava scrivere una conclusione per un brano del libro di testo, tratto da un romanzo fantascientifico. Quando lo lessi a voce alta in classe, tutti, compresa la maestra, strabuzzarono gli occhi e i miei genitori furono contattati perché, secondo la maestra, non era possibile che lo avessi scritto io, a quell’età… infine, a sedici anni ho cominciato a pubblicare fanfiction su internet (e, no, non dirò mai sotto che pseudonimo, porterò il segreto nella tomba!), ma l’usare personaggi altrui ha cominciato ad annoiarmi, sono passata ai romanzi ed eccomi qui!

  • Condivido il tuo interesse per la psicologia, avendola studiata durante il corso di laurea. Quando avrai occasione di approfondirne lo studio, pensi di utilizzarla come “arma” per scrivere romanzi di maggior spessore psicologico?

In realtà la uso già come “arma”, in quanto ne ho fatto largo uso sia in Forgotten Times che ne Le Cronache di Ériu, anche se in quest’ultimo, essendo una trilogia, la parte psicologica sarà maggiormente delineata nel secondo e nel terzo volume. Io ho il “brutto vizio” di assegnare sempre una patologia, più o meno grave, ai miei personaggi. Purtroppo, non avendo potuto terminare gli studi, posso basarmi solo sulla mia sensibilità e sulla passione per la materia.

  • Raccontaci qualcosa di Forgotten Times.

Forgotten Times è il mio primo romanzo ed è il titolo della serie di due volumi di cui fa parte La Redenzione dei Dannati. In linea generale narra di come le vicende legate a un dampiro abbiano portato all’estinzione dei vampiri durante la fine del medioevo, basandosi sulle leggende che indicano Caino come progenitore della razza. Tutto comincia con la semplice ricerca del potere da parte del dampiro: il potere ancestrale di uno spirito diviso in quattro parti, il cui ricongiungimento potrebbe sovvertire l’ordine del mondo dei vampiri; una leggenda che nasconde molto più di quello che il dampiro potrebbe mai immaginare e che ha a che fare proprio con il suo oscuro passato. In realtà in Forgotten Times c’è di tutto: psicologia, storia, religione, misteri, vendetta, tragedie familiari… e la redenzione, duramente conquistata grazie all’amicizia e un amore sofferto.

  • Parliamo adesso di Le cronache di Ériu. L’idea o forse meglio dire la teoria che sta alla base, ossia la possibilità che ogni scrittore in realtà si affacci in altri mondi, è originale e mi ha da subito attirata, forse perché scrivo anch’io. Da dove è scaturita?

Quale scrittore non ha mai sognato di incontrare i propri personaggi? (Diciamocelo sinceramente: soprattutto quelli di sesso opposto!) Chi di noi non ha mai segretamente sperato che i propri personaggi vivessero in una realtà parallela? Nella nostra mente sono così vivi, reali, a volte sono persino loro stessi a decidere cosa faranno, sfuggendo al nostro controllo. Se “penso dunque sono” è un concetto valido, allora non c’è da escludere che i nostri personaggi possano vivere davvero, chissà dove, e magari noi siamo i loro creatori, che hanno infuso in loro quel pensiero, dandogli vita… oppure siamo semplicemente in grado di “vedere oltre” e sbirciare attraverso il velo tra le dimensioni, in cui loro vivono davvero. Le Cronache di Ériu nasce da queste riflessioni, piccoli deliri di una scrittrice speranzosa. Scherzi a parte, non è un concetto in cui la mia parte razionale crede davvero, ma è qualcosa in cui mi piace sperare!

  • Il carattere passionale e infervorato di Sara prende ispirazione dal tuo?

La prima cosa che la mia migliore amica ha detto dopo aver letto la primissima bozza che scrissi circa tre anni fa, fu: «Ho capito che Sara sei tu». Ora ti rispondo quello che risposi a lei tre anni fa: «No, Sara non sono io, anche se ho usato il mio carattere come base per crearla». In realtà, Sara è l’esagerazione del mio carattere, soprattutto del lato negativo: non si sa controllare e spesso risulta una gran scassa… ehm, come dicevo, spesso è lunatica fino all’esasperazione, violenta e irascibile, sospettosa, distratta e paranoica, come in fondo lo sono anch’io, solo che mi so controllare… quasi sempre.

Proprio il giorno dell’uscita del romanzo, mio padre ha cominciato a leggerlo ed è scoppiato a ridere quando ha capito che alcune delle vicende narrate erano autobiografiche, in questo caso quando ha letto questa frase: “Mio padre diceva sempre, non a torto, che le mie urla erano in grado di sfondare i timpani, perché generavano più decibel di un martello pneumatico.” Qua e là, quindi, ho inserito cose che riguardano me personalmente, in chiave prettamente auto-ironica, nella speranza che il lettore le trovasse divertenti.

  • Ho trovato fantastica la parte in cui Cal conosce progressivamente il nuovo mondo in cui si ritrova, il nostro mondo. L’approccio di un uomo come lui, appartenente a un passato molto diverso dalla nostra epoca anche in senso morale, con le novità e le disinibizioni, è pienamente riuscito e getta luce sul modo di vivere attuale. Condividi la visione un po’ aspra di Cal? Se sì, perché?

Io condivido appieno la visione del mondo moderno di Cal, in quanto morale, valori fondamentali e pudore sono andati quasi completamente persi insieme al lavaggio del cervello che quotidianamente ci propinano i mass media. Io non penso che sia una visione aspra, più che altro una visione realistica di qualcosa che la gente, oggi, considera normale, spacciandola per modernità e progresso, quando, a pensarci bene, si tratta di regressione a uno stadio prettamente animalesco. Chiamatemi pure bigotta e moralista, ma sono una madre e tremo al pensiero di quello che impareranno i miei figli dal mondo moderno.

  • Accennaci qualcosa sul seguito.

Accennare qualcosa sul seguito… è un’impresa, senza fare spoiler! Il secondo e il terzo volume si basano sul cliffhanger finale, quindi quello che dirò adesso sarà probabilmente comprensibile solo dopo aver letto il romanzo: sono passati alcuni mesi dalla conclusione del primo volume, e Sara e Cal si stanno impegnando a vivere appieno la loro vita nel mondo moderno. Insieme sono felici e Sara finalmente ha deciso di accettare la proposta di matrimonio di Cal, ma c’è ancora qualcosa che la preoccupa e si fa ogni giorno più pressante: non gli ha detto nulla della sua visione e il senso di colpa è sempre più insostenibile. Cal non prenderà affatto bene la notizia, e per la rabbia la lascerà e tornerà a Ériu, per scoprire la verità, proprio come Sara temeva… questo è, bene o male, ciò che scriverò nella sinossi del secondo volume e che accadrà nei primi capitoli.

Grazie per la disponibilità, bella chiacchierata.

Vi lascio con il booktrailer dell’altro romanzo di Maddalena Cioce, Forgotten Times.

In viaggio con te – Nadia Boccacci

Con il libro di cui vi parlo oggi tocchiamo tematiche importanti quali la vita, la morte, l’amicizia.

IN VIAGGIO CON TE

Nadia Boccacci

Butterfly Edizioni

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Trama

In viaggio con te è la storia di un’amicizia straordinaria, nata sui banchi di scuola e viva per sempre nel cuore e nello spirito di due ragazze solari e piene di entusiasmo.
E quando la morte invidiosa ruberà Linda alla vita, catapultandola in un viaggio senza fine, il loro legame saprà non sgretolarsi, anche quando il dolore della perdita sarà per Vale un male profondo e oscuro.
Nei momenti bui la luce in fondo al tunnel sarà un misero punto invisibile, per poi prendere forma e raggiungere dimensioni maggiori, tali da riuscire a dipingere con pennellate radiose un’esistenza cupa. E la loro amicizia sarà per sempre.

L’autrice

Nadia con In viaggio con te

Nadia Boccacci è nata a Colle di Val d’Elsa (Si) dove vive tuttora. Laureata in Lingue e Letterature straniere moderne, insegna italiano e inglese in una scuola primaria. Scrive soprattutto narrativa. “Uno sguardo perso nel vuoto” ed. Albatros è il suo romanzo d’esordio. “In viaggio con te ” Butterfly ed. è il suo secondo romanzo. Il suo terzo romanzo, dal titolo “I colori che ho dentro” uscirà a settembre per la Butterfly edizioni. Ha pubblicato, inoltre, racconti e poesie in antologie diverse.

La mia opinione

Tra passato e presente è narrata quasi tutta la vita di Linda vista con gli occhi della sua migliore amica Vale. Un libro intriso di vita. Dico di “vita” perché le pagine trasudano la vita che c’è nell’affetto che Vale prova per la sua migliore amica, la sofferenza estrema per la sua perdita. E cos’è la vita senza l’amore, il dolore? Il viaggio attraverso cui l’autrice ci conduce per mano ha il tepore e la delicatezza della malinconia dell’infanzia e la durezza di una realtà che non si può combattere ma solo tentare di superare. Un viaggio alla scoperta dell’amicizia, alla scoperta di sé. L’autrice si dimostra un’ottima guida.

Valutazione:

3

Intervista all’autrice

Ciao Nadia, benvenuta.

Ciao, Ilaria… Grazie di avermi invitato.

  • Cominciamo tagliando la testa al toro. Ricordi il momento in cui è nata la passione per la scrittura? È stata un elemento costante nella tua vita oppure no?

La mia passione per la scrittura è nata sui banchi di scuola e mi ha tenuto compagnia fino ad oggi.
È stata sicuramente un elemento costante della mia vita, ho sempre avuto voglia e bisogno di scrivere… dapprima riflessioni, stati d’animo, emozioni, poi storie vere e proprie, romanzi, poesie.

  • Parlaci un po’ del tuo primo romanzo.

“Uno sguardo perso nel vuoto” è il primo romanzo che ho pubblicato, due anni fa. Narra la storia di una coppia investita da una crisi coniugale, mostrando come si possono infrangere i sogni, destabilizzare le abitudini e le certezze. Offre il punto di vista di ogni membro della famiglia, per evidenziare l’inesistenza della verità assoluta e il modo individuale di vivere una difficoltà, benché la protagonista vera e propria sia Nora, moglie e madre, travolta da una realtà inaspettata.

  • Il tema di In viaggio con te è senz’altro molto delicato. Sembra inopportuno chiedertelo ma credo che a quasi tutti i lettori verrà in mente la stessa domanda: le vicende del libro sono ispirate a una storia vera? Se sì, perché hai deciso di raccontarla?

Le vicende narrate nel libro sono ispirate a eventi dolorosi vissuti in prima persona più di vent’anni fa: nell’arco di un anno e mezzo persi una cugina e due compagne di scuola, tutte e tre giovanissime. Non ho propriamente deciso io di scrivere un romanzo sulla morte e sulla fuggevolezza della vita… semplicemente non ho saputo impedirmelo. La storia di Linda e Vale è venuta a cercarmi con insistenza, di giorno e di notte, ha bussato alla mia porta con vigore e con dolcezza ed io, infine, ho ceduto.

  • A livello emotivo ti è costato molto scavare nell’animo per scrivere questo romanzo?

Devo dire che è stato doloroso, ma anche terapeutico per me, ripercorrere sul filo della memoria fatti accaduti in un passato remoto, ma mai dimenticati, mai allontanati…
Benché “In viaggio con te” non sia un romanzo autobiografico, infatti si arricchisce di una sua propria storia, costituita di personaggi e di legami che sono frutto di fantasia, mi ha dato la possibilità di ricordare profondamente e in qualche modo elaborare il lutto.

  • Linda e Vale amiche per sempre. Cos’è per te l’amicizia? Secondo te può davvero durare in eterno?

L’ amicizia è un valore profondo, che come l’amore, in certi rari casi, può trascendere la vita.

  • Hai nuovi progetti? Vuoi parlarcene?

Sì, ho nuovi progetti…
Al momento è in corso la traduzione in francese e in inglese di “In viaggio con te”, che permetterà al mio libro di volare all’estero.
Inoltre a settembre uscirà il mio nuovo romanzo, sempre per la Butterfly Edizioni, dal titolo “I colori che ho dentro”.

Grazie infinite per l’ospitalità.

Grazie a te e in bocca al lupo per i tuoi scritti.

L’ipotesi del male – Donato Carrisi

Cari followers, oggi vi parlo di un libro del famoso Donato Carrisi, mio compaesano. Ho avuto modo di conoscere Carrisi durante la presentazione de L’ipotesi del male proprio nella nostra città natale, Martina Franca, e vi assicuro che è stata la più bella, più interessante presentazione cui ho partecipato. Non si è infatti parlato troppo del libro, ma dell’ipotesi del male, l’idea che sta alla base. Ho ritrovato nel romanzo tre-quattro frasi chiave che l’autore aveva sapientemente esposto e dato in pasto al pubblico durante la presentazione sotto forma di dubbi, riflessioni. Un grande oratore e, dalla recensione del libro che leggerete nelle prossime righe, un grande autore.

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Con Donato Carrisi alla presentazione de “L’ipotesi del male”.

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Copia autografata de “L’ipotesi del male”.

L’autore

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foto © ph. Emiliano Narcisi (FREM)

Donato Carrisi è nato nel 1973 a Martina Franca (in provincia di Taranto) e vive a Roma. Dopo la laurea in Giurisprudenza, ha studiato criminologia e scienza del comportamento. Dal 1999 è sceneggiatore per il cinema e la televisione. È una firma del Corriere della Sera ed è l’autore del romanzo – bestseller in Italia e in Europa – Il Suggeritore.
Bel 2011 ha pubblicato il suo secondo grande successo: Il tribunale delle anime. Nel 2012 ha consolidato il suo status di scrittore affermato anche in campo internazionale con il libro La donna dei fiori di carta.

Bibliografia

  • L’ipotesi del male, Longanesi 2013
  • La donna dei fiori di carta, Longanesi 2012
  • Il Tribunale delle Anime, Longanesi 2011
  • Il Suggeritore, Longanesi 2009 e TEA 2011

Filmografia (come autore e sceneggiatore)

  • Casa famiglia, serie televisiva 2001
  • Casa famiglia 2, serie televisiva 2003
  • Era mio fratello, film tv 2007
  • Nassiryia – Per non dimenticare, film tv 2007
  • Squadra antimafia – Palermo oggi, serie tv 2009
  • Moana, fiction TV 2009

Riconoscimenti

  • Vincitore de le Prix SNCF du Polar 2011, categoria Europea
  • Vincitore del XXIV Premio Letterario Massarosa
  • Vincitore della sesta edizione del Premio Camaiore di Letteratura Gialla
  • Vincitore della 57esima edizione delPremio Bancarella
  • Vincitore della seconda edizione del Premio Belgioioso Giallo
  • Vincitore della terza edizione del Festival Mediterraneo del Giallo e del Noir
  • Vincitore con Il Croupier Nero dell’edizione 2004 del Premio Solinas, sezione Storie per il Cinema

Il libro

ii

Trama

C’è una sensazione che tutti, prima o poi, abbiamo provato nella nostra vita: il desiderio di sparire. Di fuggire da tutto. Di lasciarci ogni cosa alle spalle.
Ma per alcuni non è solo un pensiero passeggero.
Diviene un’ossessione che li divora e li inghiotte.

Queste persone spariscono nel buio. Nessuno sa perché. Nessuno sa che fine fanno. E quasi tutti presto se ne dimenticano.
Mila Vasquez invece è circondata dai loro sguardi. Ogni volta che mette piede nell’ufficio persone scomparse – il Limbo – centinaia di occhi la fissano dalle pareti della stanza dei passi perduti, ricoperte di fotografie. Per lei, è impossibile dimenticare chi è svanito nel nulla.
Anche perché la poliziotta ha i segni del buio sulla propria pelle, come fiori rossi che hanno radici nella sua anima.
Forse per questo, Mila è la migliore in ciò che fa: dare la caccia a quelli che il mondo ha scordato.
Ma se d’improvviso gli scomparsi tornassero con intenzioni oscure?
Come una risacca, il buio restituisce prima gli oggetti di un’esistenza passata. E poi le persone. Sembrano identici a prima, ma il male li ha cambiati.
Alla domanda su chi li ha presi, se ne aggiungono altre. Dove sono stati tutto questo tempo? E perché sono tornati?
Mila capisce che per fermare l’armata delle ombre non servono gli indizi, non bastano le indagini. Deve dare all’oscurità una forma, deve attribuirle un senso, deve formulare un’ipotesi convincente, solida, razionale… Un’ipotesi del male.
Ma per verificarla non c’è che una soluzione: consegnarsi al buio.

La mia recensione

Partiamo dal fatto che i thriller e i gialli non sono i miei generi preferiti. Se vi dico dunque che a fatica riuscivo – quando necessario – a staccarmi dalle pagine di questo libro, il valore dell’affermazione aumenta esponenzialmente. Mila Vasquez è un personaggio di grande spessore: non la solita eroina buona ma una donna con tendenze all’autolesionismo. Mila è attratta dal “buio”, da ciò che nasconde, che ingoia, che – solo a volte – rimanda indietro. È una poliziotta attenta e dall’intelligenza sottile, forse proprio il suo legame con l’oscurità le rende più facile comprenderne i meccanismi. Tutti i personaggi che animano la storia risultano vividi, dipinti ad arte in poche pennellate, soprattutto Simon Berish. La storia è assolutamente originale ed estremamente affascinante. Donato Carrisi, tra i tanti quesiti, ci pone davanti a questo: vi siete mai chiesti che fine fanno coloro che spariscono? Non amo particolarmente i fatti di cronaca ma ammetto che sono affascinata dalle infinite possibilità di risposta che, come l’autore ci fa notare attraverso L’ipotesi del male, non si riducono a rapimenti, omicidi o suicidi. Le vicende del libro scorrono severe e implacabili sotto gli occhi del lettore, attirandolo, blandendolo con i meccanismi del “buio”, tenendo viva l’attenzione e rimescolando le carte in tavola ogni qual volta si credeva di aver capito qualcosa. La combinazione di così tanti intrecci, personaggi, particolari, mi fa venire in mente soltanto una parola: geniale. È geniale l’idea di fondo, geniale lo sviluppo della storia nella successione cronologica altalenante tra passato e presente, geniale il modo in cui il tutto viene presentato. Un libro capace di scatenare inattese riflessioni. Da leggere anche per chi non ha letto Il suggeritore. Assolutamente da non perdere.

Valutazione:

5

Il gioco dei ricordi – Laura Bellini

Amici, eccomi di nuovo qui a parlarvi di libri di autori emergenti. Quest’oggi vi presento Il gioco dei ricordi di Laura Bellini, autrice di cui ho letto anche Il mondo dopo te recensito per Itodei, qui.

 

IL GIOCO DEI RICORDI

Laura Bellini

Butterfly Edizioni

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Trama

Dopo il dolore causato dalla fine della sua storia con Gabriel, Ayleen ha finalmente ricominciato ad amare: si tratta di un ragazzo misterioso del quale non conosce neppure il nome, ma le è bastato sedere al suo fianco sulla riva del lago per capire che il suo posto è dov’è lui. Ma perché ha la sensazione di potersi fidare ciecamente di un uomo del quale non sa nulla mentre Tamara, la sua migliore amica, le intima di stare alla larga da lui? E se di giorno i dubbi la tormentano, la notte porta con sé incubi dai quali si risveglia immemore con un solo nome a fior di labbra: Nathan. Gabriel e Nathan, il Bene e il Male e, nel mezzo, una maledizione che attraversa i secoli.
Dalla Roma degli intrighi al naufragio del Titanic passando attraverso il Quattrocento di Caterina Sforza, Ayleen viaggerà nella Storia per compiere la scelta più dolorosa, e capirà che il segreto dell’amore riposa nel tempo che scorre sulle cose, travolgendole. Perché l’amore, esattamente come il tempo, non può essere misurato che da un metro soltanto: l’eterno.

L’autrice

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Laura Bellini vive e lavora a San Piero in Bagno, un bellissimo paese dell’appenino Tosco-Romagnolo e qui, fra il verde della natura e un po’ di tempo libero, tesse le sue storie. Legge circa quaranta libri all’anno, spaziando fra i vari generi letterari e la stessa passione la mette nelle opere che scrive. Il gioco dei ricordi, che esce con Butterfly Edizioni, si è classificato semifinalista al torneo letterario Ioscrittore indetto dal gruppo GEMS. Le sue precedenti pubblicazioni sono: “Il coraggio dell’amore” (2009), disponibile anche in ebook su Amazon, “Lontano da te” (2010), Ancora tu” (2010), “I disegni imprevedibili del destino” (2011) e “Il mondo dopo te” (2012).

La mia recensione

Ayleen è una ragazza che crede di avere una vita normale condivisa con la migliore amica Tamara e fino a poco tempo prima anche con il fidanzato Gabriel. Ma la vita di Ayleen non è affatto normale e presto scopre che nessuno attorno a lei è chi credeva realmente e che l’esistenza che sta vivendo non è stata l’unica.

Il lettore viene catapultato nella vita di Ayleen giusto pochi istanti prima che essa venga sconvolta, non favorendo in questo senso un immediato attaccamento con la protagonista che si conosce un po’ troppo poco. I personaggi che ruotano attorno a lei sono interessanti, soprattutto Nathan. Il suo aspetto e i suoi comportamenti iniziali ben si prestano al ruolo di principe del male. Il viaggio a spasso per il tempo in cui accompagna Ayleen risulta intrigante anche se a volte le scene sono un po’ rapide per poterne apprezzare pienamente l’ambientazione, le notizie storiche non sempre ben disciolte nella narrazione. Il viaggio nel tempo nelle vite passate della protagonista al fine di comprendere la scelta che è chiamata a fare riporta un po’ alla trama di Passion, terzo libro della saga Fallen di Lauren Kate. La parte migliore è, secondo me, l’incontro con Cavallo Pazzo nel villaggio indiano, descritta in maniera palpabile e affascinante.

Il rapporto tra i protagonisti è definito all’inizio e rimane lo stesso almeno fino a metà libro: Nathan soffre per l’impossibilità di toccare Ayleen mentre Gabriel “sfrutta” il suo vantaggio sul fratello in questo senso, facendo l’amore con lei ogni volta che può. È carina l’idea dell’amore di due fratelli (bene e male) verso la stessa mortale anche se un po’ confuse appaiono le diverse profezie a riguardo e le conseguenze della scelta che in realtà sono i fratelli a dover fare e non Ayleen. Davide è un intermezzo piacevole e adeguato al ruolo che andrà a svolgere.

La seconda parte del libro invece si incentra sul rapporto di Ayleen e Nathan che da principe del male diventa buono. Il personaggio di Damon, così importante negli eventi, avrebbe forse dovuto essere sviluppato un po’ più a fondo.

L’insegnamento ultimo che si evince dal libro è pregevole: il sacrificio del singolo per il bene dell’umanità. In definitiva una lettura leggera, scorrevole, consigliata agli amanti del paranormal romance.

Valutazione:

4

Intervista all’autrice

  • Ciao Laura, benvenuta. Ti va di parlarci un po’ delle tue passioni? Lettura e scrittura sono sempre andate di pari passo? Quando è scaturita la scintilla che ti ha spinta a scrivere?

Ciao Ilaria! Innanzitutto voglio ringraziarti per lo spazio che mi hai dedicato. Vivo di tre grandi passioni: la cucina, grazie alla quale lavoro, la lettura e la scrittura. Per quanto riguarda le ultime due devo ammettere che sono state separate per gran parte della mia vita. Molti scrittori sostengono di aver iniziato a scrivere da piccolissimi, io faccio eccezione. Ho scritto il mio primo romanzo a vent’anni. È vero che ho sempre inventato storie. I miei giochi da bambini consistevano proprio nel creare altri mondi, immaginare altre vite, ma non avevo mai pensato di poterle mettere su carta! In compenso ho sempre letto molto anche se mai come negli ultimi anni. Da ragazzina amavo Stephen King e difficilmente leggevo altro. Ora leggo di tutto, dal fantasy ai romanzi storici, dalla narrativa ai classici che non ho apprezzato al liceo. È come se, dopo aver scoperto la scrittura, io abbia sentito il bisogno di allargare i miei confini letterari. Ora divoro una quarantina di libri all’anno e fra questi non conto mai i romanzi che recensisco. Sarò rimasta indietro, ma continuo a vedere il libro come un oggetto da sfogliare e annusare!

  • Prima di parlare de Il gioco dei ricordi, raccontaci qualcosa sui tuoi libri precedenti.

Il gioco dei ricordi è il sesto libro che pubblico anche se sento di aver iniziato a far parte davvero di questo mondo solo dall’anno scorso, dopo aver iniziato il mio percorso con la Butterfly. Il primissimo romanzo che ho scritto Il coraggio dell’amore è disponibile su Amazon. Era la mia prima creatura e mi dispiaceva che, a contratto scaduto, fosse divenuto irreperibile. Parlare di questi vecchi lavori mi riesce difficile. Ammetto di aver sempre pubblicato a pagamento e la differenza purtroppo è tangibile rispetto a quello che può essere, per esempio, Il mondo dopo te. È come se sentissi di aver sprecato le mie storie…e forse è proprio così perché di certo quei romanzi meritavano più cura. Comunque c’è sempre tempo per imparare e adesso so che mai più brucerò un romanzo con una casa editrice che mi chiede denaro!

  • Ho letto qualche mese fa Il mondo dopo te. Leggendo ora Il gioco dei ricordi ho trovato dei temi ricorrenti: il mondo divino che in qualche modo influenza quello mortale e l’importanza del destino. Perché senti il bisogno – o hai il desiderio – di parlarne nei tuoi scritti?

È vero, sono temi che ricorrono spesso nei miei romanzi. Il divino e il destino, due aspetti della nostra esistenza su cui non possiamo fare a meno di porci domande. Io credo che le due cose siano legate fra loro. C’è un passo ne Il gioco dei ricordi in cui Cicerone ricorda ad Ayleen che avrà sempre una scelta. Ecco, questo è il punto. Ognuno di noi compie delle scelte che inevitabilmente cambieranno la rotta della nostra vita. È libero arbitrio? Fato? Chi può dirlo? Mi affascina questo argomento, forse è questo il motivo per cui ne parlo spesso. E il destino non è sempre benevolo…

  • Qual è il romanzo a cui sei più affezionata e perché?

Di solito rispondo a questa domanda citando la mia piccola saga, Lontano da te e Ancora tu, ma oggi mi sento di dire che in realtà la creatura alla quale sono più affezionata è di sicuro quella che scriverò in futuro! Perché ogni romanzo mi conduce verso una nuova strada che devo imparare ad amare!

  • Ne Il gioco dei ricordi ci sono degli angeli. Hai mai letto romanzi su questo tema tipo Fallen o Hush, hush? Se sì, cosa ne pensi?

Ho letto Fallen alcuni mesi dopo aver terminato Il gioco dei ricordi. Ero attratta proprio dal fatto che trattasse di angeli dopo tanti vampiri. Confesso che per me è stata una lettura deludente. Non ho amato questa saga e la prevedibilità con cui è stata sviluppata. Questa è la sensazione che ha dato a me… Gli angeli sono creature affascinanti. Nel mio romanzo sono comunque simili a creature umane con i loro pregi e difetti e infondo, forse, bene e male non sono poi due entità così distinte!

  • Ho trovato molto bello il fatto che Ayleen durante il suo viaggio nel tempo incontra alcuni dei personaggi più importanti della storia umana. Secondo te quelle persone avevano qualcosa di “sovrannaturale”?

L’idea dell’incontro con personaggi storici di indubbia rilevanza è stato il motore di tutta la costruzione del romanzo. Sovrannaturale? No, non credo. Però sono convinta che avessero grandi spiriti e che riuscissero meglio di noi a guardare dentro se stessi per rincorrere i propri ideali. Beh…non mi riferisco a Dracula! Penso a Giulio Cesare che è riuscito a rendere Roma un vero mondo o a Wallace che ha combattuto tutta la vita per un’ideale… Come dice Nathan, noi uomini moderni non saremo ricordati dalla storia per le grandi imprese che abbiamo compiuto o per il nostro coraggio!

  • Il sacrificio del singolo per il bene di tanti. Questo concetto è presente nel tuo libro. So che è difficile scegliere, ma se toccasse a te preferiresti l’amore o il bene dell’umanità?

Che bella domanda! Sono sincera. Io sceglierei egoisticamente l’amore. Non credo di avere un animo così puro da poter sacrificare me stessa per il bene dell’umanità!

  • Leggendo i tuoi post su Facebook mi è sembrato che tu stia lavorando a qualcosa di nuovo. Vuoi parlarcene?

Sì, sto lavorando a un nuovo genere di romanzo. Sai, quando scrivo amo sperimentare e, se è vero che uno scrittore deve scrivere di ciò che conosce, è anche vero il contrario. Per me è essenziale mettersi in gioco, superare i propri limiti e buttarsi in nuove avventure. Il mio amore per la Scozia mi ha spinto a voler scrivere un romanzo storico ambientato durante la seconda rivolta giacobita. L’ultima battaglia per la libertà scozzese. È difficile, molto difficile perché i documenti sono tutti in lingua originale e il mio inglese non è perfetto. Però ho preso il tutto come una sfida e devo ammettere che sono molto soddisfatta. Non sto solo imparando un sacco di storia, ma anche una lingua. Non vedo l’ora di vedere questa nuova creatura finita!

 Grazie Laura per la piacevole chiacchierata.