Nobel italiani per la Letteratura: Eugenio Montale

Quinto appuntamento con la rubrica Nobel italiani per la letteratura. Parliamo di Eugenio Montale, vincitore del premio nel 1975.

Codesto solo oggi possiamo dirti: ciò che non siamo, ciò che non vogliamo.

 

Eugenio Montale

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Eugenio Montale (Genova 1896 – Milano 1981) è stato un poeta e critico letterario italiano, premio Nobel per la letteratura nel 1975. Nato da una famiglia di commercianti, frequentò le scuole tecniche e studiò canto, ma rinunciò alla carriera musicale. Partecipò dal 1917 alla prima guerra mondiale come ufficiale sul fronte della Vallarsa in Trentino. Tornato a Genova, prese contatto con i poeti liguri (primo fra tutti Camillo Sbarbaro) e con l’ambiente torinese: furono anni di intense letture di italiani e stranieri, specie i simbolisti francesi.

Del 1916 è il testo che segna la sua nascita come poeta: Meriggiare pallido e assorto (vedi in fondo all’articolo). Nel 1925 firmò il Manifesto degli intellettuali antifascisti di Benedetto Croce e pubblicò, per le edizioni di Piero Gobetti, il suo primo libro, Ossi di seppia. Con un cliché nuovo e personalissimo, filtrato attraverso Pascoli, D’Annunzio e gli scrittori della ‘Voce’, la raccolta propone un linguaggio scabro ed essenziale, un po’ abbassato verso i modi colloquiali e ironici di Gozzano, vicino alla concretezza delle cose. Il paesaggio ligure (centrato su Monterosso, dove i Montale avevano una villa) che vi domina è il ‘correlativo oggettivo’ di una condizione esistenziale, in cui il senso della vita risulta inafferrabile e le vie di uscita dalla catena delle necessità naturali si possono solo intravedere, e in forma ipotetica. Si tratta di una poesia metafisica che ‘nasce dal cozzo della ragione contro qualcosa che non è ragione’.

Montale aveva anche iniziato un’attività di critico, collaborando a varie riviste, con aperture intellettuali molto ampie. A lui si deve la scoperta di Italo Svevo in Italia (Omaggio a Svevo, 1925). A Trieste, dove era stato invitato da Svevo per l’anno seguente, conobbe Umberto Saba e altri scrittori triestini come Virginio Giotti e Silvio Benco. L’incontro con il poeta americano Ezra Pound nel 1926 lo aprì alla letteratura anglosassone.

Nel 1928 Montale fu nominato direttore del Gabinetto Vieusseux a Firenze, ma ne venne allontanato dopo dieci anni perché non iscritto al partito fascista. Si dedicò allora, oltre all’attività di critico, a quella di traduttore. Nel vivace ambiente fiorentino stabilì stimolanti rapporti intellettuali con Vittorini, Gadda, Landolfi, Pratolini, Contini. Nel 1939 uscirono Le occasioni, poesie in parte già precedentemente pubblicate su riviste. In esse Montale continua l’indagine esistenziale degli Ossi di seppia. Nel modificarsi e svanire di una realtà indecifrata e incupita, acquista forza il tema della memoria (anch’essa gracile), sollecitata da ‘occasioni’ di richiamo, e si delineano le figure salvifiche di alcune donne. Il linguaggio si fa meno penetrabile e i messaggi appaiono più nascosti; Montale però non muove verso l’irrazionale gorgo analogico degli ermetici, ma riafferma la sua tensione razionale e pudicamente sentimentale. Nel 1943 pubblicò in Svizzera, per interessamento di Contini, il volumetto Finisterre.

Dopo la guerra e la breve esperienza politica nelle file del Partito d’azione, divenne per poco tempo condirettore della rivista ‘Il mondo’. Nel 1948 si trasferì a Milano, dove lavorò al ‘Corriere della Sera’ e al ‘Corriere d’informazione’, e pubblicò il Quaderno di traduzioni. Nel 1956 uscì La bufera e altro, che comprende anche le poesie già comparse in Finisterre. La ‘bufera’ è la guerra intesa come catastrofe della storia e della civiltà, e simbolo dunque di una disperata condizione umana e personale. Dalla speranza di un’immaginata salvezza attraverso la donna-angelo e dai lampi di fiducia nella possibilità di un mondo diverso, Montale passa all’angoscia per il presente. Nell’amara esperienza dell’orrore della guerra e degli anni cupi della Guerra Fredda, la poesia diventa il segno di un’estrema umana resistenza e di decenza nel quotidiano ‘mare / infinito di creta e di mondiglia’.

Ho imparato una verità che pochi conoscono: che l’arte largisce le sue consolazioni soprattutto agli artisti falliti.

Nel 1966 Montale pubblicò i saggi Auto da fé, una lucida riflessione sulle trasformazioni culturali in corso. Nel 1967 venne nominato senatore a vita. Nel 1971 uscì Satura, cui seguirono nel 1973 Diario del ’71 e ’72 e nel 1977 Quaderno di quattro anni. A partire da Satura il registro linguistico di Montale subisce una svolta. La sua poesia sceglie uno stile basso e prosastico, in cui la parodia, l’ironia amara, il tono epigrammatico sostituiscono quello lirico. Questo perché il mondo gli appare ora perduto in una civiltà dell’immagine, che ha rinunciato alla ricerca del senso di sé e alla tensione etica. Dalla bufera della guerra si è passati alla palude immobile nel vuoto del presente.

La poetica – in pillole –

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Montale ha scritto relativamente poco: quattro raccolte di brevi liriche, un “quaderno” di traduzioni di poesia e vari libri di traduzioni in prosa, due volumi di critica letteraria e uno di prose di fantasia. A ciò si aggiungono gli articoli della collaborazione al Corriere della sera. Il quadro è perfettamente coerente con l’esperienza del mondo così come si costituisce nel suo animo negli anni di formazione, che sono poi quelli in cui vedono la luce le liriche della raccolta Ossi di seppia. Scrivere è per Montale principalmente strumento e testimonianza dell’indagine sulla condizione esistenziale dell’uomo moderno, in cerca di un assoluto che è però inconoscibile.

La sua poesia, tesa fra realismo e simbolismo, si caratterizza per la varietà e la precisione del lessico, oltre che per l’attenzione alla qualità sonora della parola.

Cronologia delle opere

ANNO TITOLO GENERE
1922 Accordi
1925 Ossi di seppia
1932 La casa dei doganieri e altri versi Raccolta poetica poi confluita nelle Occasioni
1939 Le occasioni
1943 Finisterre
1946 Intenzioni (Intervista immaginaria) Saggi
1948 Quaderno di traduzioni
1956 La bufera e altro
Farfalla di Dinard
Raccolta di racconti apparsi tra il 1946 e il 1950 sul ‘Corriere della Sera’ e sul ‘Corriere d’informazione’
1966 Auto da fé
1969 Fuori di casa Cronache di viaggio
1971 Satura
Diario del ’71
Raccolta di poesie poi confluite in Diario del ’71 e del ’72
1973 Diario del ’71 e del ’72
1976 Sulla poesia Saggi
1977 Quaderno di quattro anni
1980 Altri versi
1981 Prime alla Scala Articoli di critica musicale
1983 Quaderno genovese Postumo
1990 Diario postumo Postumo
 

Curiosità

Onorificenze

Grande ufficiale dell'Ordine al merito della Repubblica italiana - nastrino per uniforme ordinaria Grande ufficiale dell’Ordine al merito della Repubblica italiana
— 27 dicembre 1961
Cavaliere di gran croce dell'Ordine al merito della Repubblica italiana - nastrino per uniforme ordinaria Cavaliere di gran croce dell’Ordine al merito della Repubblica italiana
— 2 giugno 1965
Fonti: Encarta, Wikipedia

 

Alcune poesie

Meriggiare pallido e assorto

Meriggiare pallido e assorto
presso un rovente muro d’orto,
ascoltare tra i pruni e gli sterpi
schiocchi di merli, frusci di serpi.

Nelle crepe dei suolo o su la veccia
spiar le file di rosse formiche
ch’ora si rompono ed ora s’intrecciano
a sommo di minuscole biche.

Osservare tra frondi il palpitare
lontano di scaglie di mare
mentre si levano tremuli scricchi
di cicale dai calvi picchi.

E andando nel sole che abbaglia
sentire con triste meraviglia
com’è tutta la vita e il suo travaglio
in questo seguitare una muraglia
che ha in cima cocci aguzzi di bottiglia.

Portami il girasole

Portami il girasole ch’io lo trapianti
nel mio terreno bruciato dal salino,
e mostri tutto il giorno agli azzurri specchianti
del cielo l’ansietà del suo volto giallino.

Tendono alla chiarità le cose oscure,
si esauriscono i corpi in un fluire
di tinte: queste in musiche.
Svanire è dunque la ventura delle venture.

Sarcofaghi

Ora sia il tuo passo
piú cauto: a un tiro di sasso
di qui ti si prepara
una più rara scena.
La porta corrosa d’un tempietto
è rinchiusa per sempre.
Una grande luce è diffusa
sull’erbosa soglia.
E qui dove peste umane
non suoneranno, o fittizia doglia,
vigila steso al suolo un magro cane.
Mai piú si muoverà
in quest’ora che s’indovina afosa.
Sopra il tetto s’affaccia
una nuvola grandiosa.

Cigola la carrucola del pozzo

Cigola la carrucola del pozzo
l’acqua sale alla luce e vi si fonde.
Trema un ricordo nel ricolmo secchio,
nel puro cerchio un’immagine ride.
Accosto il volto a evanescenti labbri:
si deforma il passato, si fa vecchio,
appartiene ad un altro…

Ah che già stride
la ruota, ti ridona all’atro fondo,
visione, una distanza ci divide.

Non chiederci la parola

Non chiederci la parola che squadri da ogni lato
l’animo nostro informe, e a lettere di fuoco
lo dichiari e risplenda come un croco
perduto in mezzo a un polveroso prato.

Ah l’uomo che se ne va sicuro,
agli altri ed a se stesso amico,
e l’ombra sua non cura che la canicola
stampa sopra uno scalcinato muro!

Non domandarci la formula che mondi possa aprirti,
sì qualche storta sillaba e secca come un ramo.
Codesto solo oggi possiamo dirti,
ciò che non siamo, ciò che non vogliamo.

I limoni

Ascoltami, i poeti laureati
si muovono soltanto fra le piante
dai nomi poco usati: bossi ligustri o acanti.
lo, per me, amo le strade che riescono agli erbosi
fossi dove in pozzanghere
mezzo seccate agguantanoi ragazzi
qualche sparuta anguilla:
le viuzze che seguono i ciglioni,
discendono tra i ciuffi delle canne
e mettono negli orti, tra gli alberi dei limoni.

Meglio se le gazzarre degli uccelli
si spengono inghiottite dall’azzurro:
più chiaro si ascolta il susurro
dei rami amici nell’aria che quasi non si muove,
e i sensi di quest’odore
che non sa staccarsi da terra
e piove in petto una dolcezza inquieta.
Qui delle divertite passioni
per miracolo tace la guerra,
qui tocca anche a noi poveri la nostra parte di ricchezza
ed è l’odore dei limoni.

Vedi, in questi silenzi in cui le cose
s’abbandonano e sembrano vicine
a tradire il loro ultimo segreto,
talora ci si aspetta
di scoprire uno sbaglio di Natura,
il punto morto del mondo, l’anello che non tiene,
il filo da disbrogliare che finalmente ci metta
nel mezzo di una verità.
Lo sguardo fruga d’intorno,
la mente indaga accorda disunisce
nel profumo che dilaga
quando il giorno piú languisce.
Sono i silenzi in cui si vede
in ogni ombra umana che si allontana
qualche disturbata Divinità.

Ma l’illusione manca e ci riporta il tempo
nelle città rurnorose dove l’azzurro si mostra
soltanto a pezzi, in alto, tra le cimase.
La pioggia stanca la terra, di poi; s’affolta
il tedio dell’inverno sulle case,
la luce si fa avara – amara l’anima.
Quando un giorno da un malchiuso portone
tra gli alberi di una corte
ci si mostrano i gialli dei limoni;
e il gelo dei cuore si sfa,
e in petto ci scrosciano
le loro canzoni
le trombe d’oro della solarità.

Spesso il male di vivere ho incontrato

Spesso il male di vivere ho incontrato:
era il rivo strozzato che gorgoglia,
era l’incartocciarsi della foglia
riarsa, era il cavallo stramazzato.

Bene non seppi, fuori del prodigio
che schiude la divina indifferenza:
era la statua nella sonnolenza
del meriggio, e la nuvola, e il falco alto levato.

Borgo Propizio – Loredana Limone

 

Ma quanto sto leggendo in questi giorni… che bellezza.

 

BORGO PROPIZIO

Loredana Limone

Guanda

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Trama

Quasi tutte le fiabe cominciano con C’era una volta, ma questa è diversa. Questa comincia con C’è una volta… Perché è oggi che Belinda ha intenzione di ripartire e Borgo Propizio, un paese in collina, in un’Italia che può sembrare un po’ fuori dal tempo, le pare il luogo ideale per realizzare il suo sogno: aprire una latteria. Il borgo è decaduto e si dice addirittura che vi aleggi un fantasma… ma che importa! A eseguire i lavori nel negozio, un tempo bottega di ciabattino, è Ruggero, un volenteroso operaio che potrebbe costruire grattacieli se glieli commissionassero (o fare il poeta se sapesse coniugare i verbi). Le sue giornate sono piene di affanni, tra attempati e tirannici genitori, smarrimenti di piastrelle e ritrovamenti di anelli… Ma c’è anche una grande felicità: l’amore, sbocciato all’improvviso, per Mariolina, che al borgo temeva di invecchiare zitella con la sorella Marietta, maga dell’uncinetto. Un amore che riaccende i pettegolezzi: dalla ciarliera Elvira alla strabica Gemma, non si parla d’altro, mentre in casa di Belinda la onnipresente zia Letizia ordisce piani, ascoltando le eterne canzoni del Gran Musicante. Intanto i lavori nella latteria continuano, generando sorprese nella vita di tutti…

L’autrice

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Loredana Limone ha composto la prima poesia a nove anni, ma è passata molta acqua sotto i ponti prima che i suoi scritti uscissero dal cassetto. Ha al suo attivo alcuni libri gastronomici e per bambini. Se non abitasse sulla sponda del Naviglio Martesana, dove si è trasferita per amore, Borgo Propizio è il luogo dove le piacerebbe vivere. Perché? Lo scoprirete leggendo questa favola moderna, intelligente e piena di humour, ambientata in questo curioso Borgo (Guanda, 2012). “E se le stelle” è il secondo romanzo sulle avventure del Borgo e i suoi straordinari personaggi che sarà pubblicato da Salani.

Il 17 novembre 2012, a Villa Grumello (Como), Loredana ha ricevuto la targa straordinaria per la categoria “esordienti” della Prima edizione del Premio di Narrativa “Federico Fellini” per il romanzo “Borgo Propizio”.

La mia opinione

Una lettura piacevole, fresca, allegra, che con sottile e benevola ironia mette in luce gli aspetti quotidiani della vita. E direi che proprio attorno alle piccole cose ruota l’intero libro. Senza tralasciare i sentimenti positivi e briosi espressi dai personaggi, ciò che mi è piaciuto di più è stata proprio la rivalutazione di ciò che abbiamo sotto gli occhi ogni giorno e a cui, in genere, non diamo molta importanza. Borgo Propizio potrebbe essere una qualsiasi delle tante piccole città italiane, ancora dolcemente legate al passato e proiettate già verso il futuro.

Valutazione:

4

Premio Strega 1999: Buio – Dacia Maraini

Parliamo oggi di un’opera vincitrice del Premio Strega (vedi approfondimento in fondo all’articolo) nel 1999.

BUIO

Dacia Maraini

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Trama

Cos’è il buio per un bambino se non l’immagine dell’altro che si insinua nel suo sguardo infantile quando la fiducia si trasforma drammaticamente in timore e paura? Cos’è il buio se non l’afasia di un corpo ancora non sviluppato nel momento in cui esso incontra quel qualcosa di incomprensibile e misterioso che costituisce il comportamento sessuale dell’adulto? E’ possibile cancellare questo buio senza uccidere il bambino che è in ciascuno di noi? Dodici storie che raccontano della violenza sull’infanzia e sull’adolescenza.

L’autrice

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Dacia Maraini (Fiesole, 13 novembre 1936) è una scrittrice, poetessa, saggista, drammaturga e sceneggiatrice italiana.

Primogenita dello scrittore ed etnologo toscano di antiche origini ticinesi Fosco Maraini e della principessa siciliana e pittrice Topazia Alliata, appartenente all’antico casato siciliano di origini pisane degli Alliata di Salaparuta. La nonna materna si chiamava Sonia Ortúzar Ovalle, cantante lirica che non poté debuttare, era la figlia di un diplomatico cileno. La nonna paterna di Dacia era la scrittrice Yoï Pawloska Crosse, per metà polacca e per metà inglese.
Dacia trascorse la sua infanzia in Giappone dove la sua famiglia si stabilì dal 1939 al 1946. Lì, dal 1943 al 1946, la famiglia fu internata in un campo di concentramento giapponese, dove patirono una fame estrema. Al ritorno in Italia, si trasferirono in Sicilia, presso i nonni materni, nella Villa Valguarnera di Bagheria, e in seguito, si trasferirono a Roma. Quindi, il padre Fosco tornò a Firenze. Questi anni sono raccontati dalla stessa Maraini nel suo romanzo Bagheria.
Dopo la separazione dei genitori, a 18 anni Dacia raggiunse il padre, che nel frattempo si era trasferito a Roma, e nella capitale riscosse il suo primo successo con il romanzo La vacanza (1962). Seguono L’età del malessere (1963), A memoria (1967), Memorie di una ladra (1972), Donna in guerra (1975), Il treno per Helsinki (1984), Isolina (1985, Premio Fregene 1985), La lunga vita di Marianna Ucrìa (1990, Premio Campiello; Libro dell’Anno 1990), Bagheria (1993), Voci (1994), Un clandestino a bordo (1996), Dolce per sé (1997) e la raccolta di racconti Buio (1999) che ha vinto il Premio Strega. Nel 2001 ha pubblicato La nave per Kobe, in cui rievoca l’esperienza infantile della prigionia in Giappone, e Amata scrittura. Laboratorio di analisi letture proposte conversazioni. Nel 2004 è la volta di Colomba. Nel 2007 pubblica Il gioco dell’universo (Mondadori) con il quale vince il Premio Cimitile nella sezione di narrativa. Nel 2008 pubblica Il treno dell’ultima notte. Nel 2010 “La seduzione dell’altrove”. Nel 2011 “La grande festa”.
Si è occupata molto anche di teatro; nel 1973 ha fondato a Roma con Maricla Boggio, il Teatro della Maddalena, gestito e diretto soltanto da donne. Ha scritto più di sessanta testi teatrali rappresentati in Italia e all’estero, tra cui ricordiamo Manifesto dal carcere e Dialogo di una prostituta con un suo cliente.
Fu a lungo compagna di Alberto Moravia, con cui visse dal 1962 al 1978. Tra i premi vinti, oltre al Premio Cimitile, Campiello e Strega, c’è anche il Premio Pinuccio Tatarella.
È vegetariana e si è espressa pubblicamente in favore dei diritti animali.
Nel 2007 riceve il Premio leopardiano La Ginestra.
Il 18 novembre 2010, l’Università degli Studi di Foggia le ha conferito la laurea magistrale honoris causa in Progettista e dirigente dei servizi educativi e formativi.
Nel 2012 le viene assegnato il premio Alabarda d’oro per la letteratura.

Fonte: Wikipedia

La mia opinione

Non sono solita leggere raccolte di racconti e non saprei dire cosa mi abbia spinta a prendere in mano Buio, però è stata davvero una lettura intensa. Non solo piacevole, grazie allo stile particolare e scorrevole dell’autrice, ma appunto intensa: si tratta di storie di sofferenza, solitudine, violenza. Chi tiene il filo conduttore dei diversi racconti è la commissaria Adele Sofia, un personaggio per certi versi curioso e accattivante, realistico. I protagonisti dei diversi racconti condividono condizioni di disagio che, già dal principio, li rendono vittime. Brillante è il modo in cui l’autrice scava, attraverso le vicende, nella parte più oscura dell’animo umano senza il clamore tipico della cronaca nera e senza sentimentalismi, semplicemente mettendo a nudo la verità. Una perla della letteratura che esplica benissimo la tragicità insita nella nostra epoca.

Valutazione:

5

Approfondimenti

Premio Strega

Il Premio Strega è un riconoscimento che viene assegnato annualmente a un libro pubblicato in Italia tra il 1º aprile dell’anno precedente ed il 31 marzo dell’anno in corso. Dal 1986 è organizzato e gestito dalla Fondazione Bellonci. È universalmente riconosciuto come il premio letterario più prestigioso d’Italia, oltre a godere di una consolidata fama in Europa e nel resto del mondo.

Origini ed evoluzione

Il Premio è stato istituito nel 1947, all’interno del salotto letterario di Maria e Goffredo Bellonci, con il contributo di Guido Alberti, proprietario della casa produttrice del Liquore Strega, che dà il nome al Premio e continua a finanziare la manifestazione.
Nel dopoguerra, il Premio diventa un traino per il mondo della cultura italiana, logorato da oltre vent’anni di dittatura fascista e dal recente conflitto. “Cominciarono, nell’inverno e nella primavera 1944, a radunarsi amici, giornalisti, scrittori, artisti, letterati, gente di ogni partito unita nella partecipazione di un tema doloroso nel presente e incerto nel futuro. Poi, dopo il 4 giugno, finito l’incubo, gli amici continuarono a venire: è proprio un tentativo di ritrovarsi uniti per far fronte alla disperazione e alla dispersione”, ha scritto Maria Bellonci, ideatrice del Premio.
Il primo scrittore a ricevere il Premio Strega, nel 1947, è stato Ennio Flaiano, con il libro Tempo di uccidere. Ad oltre sessant’anni dall’istituzione, dieci donne hanno vinto il Premio: per prima, nel 1957, Elsa Morante, seguita da Natalia Ginzburg, Anna Maria Ortese, Lalla Romano, Fausta Cialente, la stessa Maria Bellonci, Mariateresa Di Lascia, Dacia Maraini, Margaret Mazzantini e Melania G. Mazzucco.
Fino all’edizione del 2012, soltanto lo scrittore Paolo Volponi ha vinto più di una volta il Premio Strega, due per l’esattezza: nel 1965, con La macchina mondiale; nel 1991, con La strada per Roma.
Alcune delle opere premiate con il Premio Strega sono divenute colonne portanti della letteratura contemporanea: da Il nome della rosa di Umberto Eco, che ha venduto cinquanta milioni di copie in tutto il mondo, grazie alla traduzione in decine di lingue, a Il gattopardo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, un classico della letteratura italiana.
All’edizione del 2012, il Premio Strega è stato assegnato ogni anno ad un solo scrittore, poiché non si sono mai verificate condizioni di parità nel computo finale dei voti. Nel 2006, tuttavia, accanto a Caos Calmo di Sandro Veronesi, anche la Costituzione italiana ha ricevuto un Premio Strega onorario, al di fuori della classica competizione.

Modalità di premiazione

Il meccanismo del Premio prevede che la scelta del vincitore sia affidata ad un gruppo di quattrocento uomini e donne di cultura, tra cui gli ex vincitori. Coloro che compongono la giuria sono tuttora chiamati Amici della domenica, dal giorno prescelto per le loro prime riunioni. I quattrocento giurati possono proporre dei titoli a loro graditi, purché ogni candidatura sia supportata almeno da due di loro; un’ulteriore selezione (tipicamente nel mese di giugno) designa la cinquina delle opere finaliste. In ultimo, il primo giovedì del mese di luglio, nel ninfeo di Villa Giulia a Roma, è scelta l’opera vincitrice, con votazione finale degli Amici della domenica. La designazione del vincitore ha suscitato talvolta polemiche nel mondo della cultura e dell’editoria, alimentando l’attenzione dell’opinione pubblica per il Premio.

Vincitori

1947 – Ennio Flaiano – Tempo di uccidere
1948 – Vincenzo Cardarelli – Villa Tarantola
1949 – Giovanni Battista Angioletti – La memoria
1950 – Cesare Pavese – La bella estate
1951 – Corrado Alvaro – Quasi una vita
1952 – Alberto Moravia – I racconti
1953 – Massimo Bontempelli – L’amante fedele
1954 – Mario Soldati – Lettere da Capri
1955 – Giovanni Comisso – Un gatto attraversa la strada
1956 – Giorgio Bassani – Cinque storie ferraresi
1957 – Elsa Morante – L’isola di Arturo
1958 – Dino Buzzati – Sessanta racconti
1959 – Giuseppe Tomasi di Lampedusa – Il gattopardo
1960 – Carlo Cassola – La ragazza di Bube
1961 – Raffaele La Capria – Ferito a morte
1962 – Mario Tobino – Il clandestino
1963 – Natalia Ginzburg – Lessico famigliare
1964 – Giovanni Arpino – L’ombra delle colline
1965 – Paolo Volponi – La macchina mondiale
1966 – Michele Prisco – Una spirale di nebbia
1967 – Anna Maria Ortese – Poveri e semplici
1968 – Alberto Bevilacqua – L’occhio del gatto
1969 – Lalla Romano – Le parole tra noi leggere
1970 – Guido Piovene – Le stelle fredde
1971 – Raffaello Brignetti – La spiaggia d’oro
1972 – Giuseppe Dessì – Paese d’ombre
1973 – Manlio Cancogni – Allegri, gioventù
1974 – Guglielmo Petroni – La morte del fiume
1975 – Tommaso Landolfi – A caso
1976 – Fausta Cialente – Le quattro ragazze Wieselberger
1977 – Fulvio Tomizza – La miglior vita
1978 – Ferdinando Camon – Un altare per la madre
1979 – Primo Levi – La chiave a stella
1980 – Vittorio Gorresio – La vita ingenua
1981 – Umberto Eco – Il nome della rosa
1982 – Goffredo Parise – Sillabario n.2
1983 – Mario Pomilio – Il Natale del 1833
1984 – Pietro Citati – Tolstoj
1985 – Carlo Sgorlon – L’armata dei fiumi perduti
1986 – Maria Bellonci – Rinascimento privato
1987 – Stanislao Nievo – Le isole del paradiso
1988 – Gesualdo Bufalino – Le menzogne della notte
1989 – Giuseppe Pontiggia – La grande sera
1990 – Sebastiano Vassalli – La chimera
1991 – Paolo Volponi – La strada per Roma
1992 – Vincenzo Consolo – Nottetempo, casa per casa
1993 – Domenico Rea – Ninfa plebea
1994 – Giorgio Montefoschi – La casa del padre
1995 – Mariateresa Di Lascia – Passaggio in ombra
1996 – Alessandro Barbero – Bella vita e guerre altrui di Mr. Pyle, gentiluomo
1997 – Claudio Magris – Microcosmi
1998 – Enzo Siciliano – I bei momenti
1999 – Dacia Maraini – Buio
2000 – Ernesto Ferrero – N.
2001 – Domenico Starnone – Via Gemito
2002 – Margaret Mazzantini – Non ti muovere
2003 – Melania G. Mazzucco – Vita
2004 – Ugo Riccarelli – Il dolore perfetto
2005 – Maurizio Maggiani – Il viaggiatore notturno
2006 – Sandro Veronesi – Caos Calmo
2007 – Niccolò Ammaniti – Come Dio comanda
2008- Paolo Giordano – La solitudine dei numeri primi
2009 – Tiziano Scarpa – Stabat Mater
2010 – Antonio Pennacchi – Canale Mussolini
2011 – Edoardo Nesi – Storia della mia gente
2012 – Alessandro Piperno – Inseparabili. Il fuoco amico dei ricordi
2013 – Walter Siti – Resistere non serve a niente
Fonte: Wikipedia, Encarta

L’isola dell’amore proibito – Tracey Garvis Graves

L’isola dell’amore proibito. Dal titolo sembra un Harmony, ma non lo è.

 

 

L’ISOLA DELL’AMORE PROIBITO

Tracey Garvis Graves

Garzanti

 

 

9788811684176

 

 

Trama

L’acqua cristallina lambisce dolcemente i suoi piedi nudi. Anna apre gli occhi all’improvviso e davanti le si apre la distesa sconfinata di un mare dalle mille sfumature, dal turchese allo smeraldo più intenso. Intorno, una spiaggia di un bianco accecante, ombreggiata da palme frondose. Le dita della ragazza stringono ancora spasmodicamente la mano di TJ, disteso accanto a lei, esausto dopo averla trascinata fino alla riva. Anna non ricorda niente di quello che è successo, solo il viaggio in aereo, il fondale blu che si avvicina troppo velocemente e gli occhi impauriti di TJ, il ragazzo di sedici anni a cui dovrebbe dare ripetizioni per tutta l’estate. Un lavoro inaspettato, ma chi rifiuterebbe una vacanza retribuita alle Maldive? E poi Anna, insegnante trentenne, è partita per un disperato bisogno di fuga da una relazione che non sembra andare da nessuna parte. Ma adesso la loro vita passata non è più importante. Anna e TJ sono naufraghi e l’isola è deserta. La priorità è quella di sopravvivere fino ai soccorsi. I giorni diventano settimane, poi mesi e infine anni. L’isola sembra un paradiso, eppure è anche piena di pericoli. I due devono imparare a lottare insieme per la vita. Ma per Anna la sfida più grande è quella di vivere accanto a un ragazzo che sta diventando un uomo. Perché quella che all’inizio era solo un’amicizia innocente, attimo dopo attimo si trasforma in un’attrazione potente che li lega sempre più indissolubilmente.

La mia recensione

Ora, sapete bene che sono molto critica nei confronti dei libri che leggo, se vi dico dunque che questo libro è uno di quelli che mi è rimasto nel cuore e che non dimenticherò mai, che ne dite?

Innanzitutto la trama è originale e le vicende si incastrano alla perfezione con uno dei più grandi disastri degli ultimi anni: lo tsunami del 2004.

L’isola dell’amore proibito non è una semplice storia d’amore, ma una storia di vita, di rinascita, di speranza. È di una tenerezza struggente, ma non melensa, una tenerezza che non riguarda semplicemente il rapporto tra i personaggi ma la vita del protagonista maschile, T.J.

Il ragazzino infatti, a sedici anni, ha appena vinto la propria battaglia contro il cancro; non è al pieno delle forze ma è assetato di vita, invece si ritrova naufrago su un’isola deserta. All’inizio è Anna, da donna matura, che lo sostiene, lo guida, lo incoraggia. Ma poi nel corso degli anni, senza nemmeno che il lettore si renda conto del momento in cui il cambiamento è avvenuto, i ruoli si invertono: perché T.J., costretto dalle esigenze di sopravvivenza, diventa un uomo nel fisico e nello spirito e tocca a lui proteggere Anna dalle insidie dell’isola. Uno dei grandi meriti dell’autrice secondo me è proprio la capacità di rendere reale e vivida la trasformazione di T.J. da adolescente impacciato a uomo che considera l’isola ormai come il proprio territorio. Il legame che si instaura lentamente tra i due protagonisti provoca non pochi sensi di colpa in Anna, che comprende bene quali conseguenze potrebbero esserci in un’eventuale ritorno nel mondo.

La narrazione procede a punti di vista alterni di capitolo in capitolo, Anna e T.J., così che si comprendono profondamente i sentimenti di ognuno. La prima parte, quella ambientata sull’isola, è magica, intrisa del fascino della natura selvaggia ma anche crudele per la quotidiana lotta per la sopravvivenza.

Non sono solita sciogliermi in lacrime quando leggo, anche se i libri sono toccanti, ma questo romanzo – dopo anni – è stato capace di farmi commuovere quando la vita sull’isola finisce – non vi dico se in bene o in male altrimenti vi rovino la sorpresa. Un libro che cattura: l’ho letto in un giorno e ho già voglia di rileggerlo.

5+

Easy – Tammara Webber

 

Eccomi a parlarvi di un libro decantato a destra e a manca per diversi mesi.

 

EASY

Tammara Webber

Leggereditore

 

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Trama

Quando Jacqueline segue il fidanzato di lunga data al college di sua scelta, l’ultima cosa che si aspetta è di venire lasciata all’inizio del secondo anno, e di ritrovarsi single a frequentare un’università statale invece di un conservatorio di musica, ignorata da quelli che credeva essere suoi amici.Una sera, un membro della confraternita del suo ex la aggredisce, ma un misterioso sconosciuto si trova proprio al posto giusto nel momento giusto. Jacqueline vorrebbe solo dimenticare quella notte, ma il suo salvatore, Lucas, si siede il giorno dopo nell’ultima fila della classe di economia, e quando non è impegnato a disegnare la rapisce in un gioco di sguardi. Attratta da Lucas ma spaventata dalle proprie paure, Jacqueline non sa se può fidarsi di lui: vuole solo proteggerla e incoraggiarla? Lucas sembra nascondere molti segreti… eppure solo insieme potranno combattere il dolore e il senso di colpa, affrontare la verità e sperimentare l’inatteso potere dell’amore.

Recensione

Dunque. Alle volte mi lascio trasportare dalla curiosità e leggo libri che sono diventati successi internazionali. E molte di quelle volte si rivela una pessima idea. Questo è anche il caso di Easy. Ne ho sentito parlare tanto e bene ma… mah. Cos’è che piace di questo libro? Si tratta di un romanzo rosa che ha la pretesa di parlare della violenza sulle donne. Dico “pretesa” perché l’argomento è trattato in modo davvero superficiale, quasi ridicolo. E poi il libro è noioso. Un susseguirsi continuo di eventi casuali e poco collegati tra loro, di sentimenti non bene identificati che non riescono a emozionare. Non c’è un culmine, non c’è un punto critico, non c’è niente. E poi mi domando se alcuni errori e obbrobri siano imputabili alla traduzione dall’inglese o se sia proprio farina del sacco della Webber.

Valutazione:

1

194 anni fa nasceva Léon Foucault

Diversamente dal solito, in questo articolo non trattiamo di libri ma di scienza. 194 anni fa nasceva Léon Foucalt, anniversario di cui mi fa molto piacere parlare vista la mia passione – più o meno segreta – per l’astronomia.

Léon Foucault

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Léon Jean-Bernard Foucault (Parigi 1819-1868), fu un fisico francese. Il suo nome è legato alla misura della velocità della luce (vedi approfondimento in fondo all’articolo) e alla prima prova fornita a dimostrazione della rotazione terrestre.

Foucault misurò la velocità della luce con un esperimento analogo a quello della ruota dentata, effettuato poco tempo prima da Armand Fizeau. Dimostrò inoltre che la velocità della luce dipende dal mezzo in cui si propaga e, in particolare, che è maggiore nell’aria di quanto non sia nell’acqua.

Nel 1851 fornì la sua spettacolare dimostrazione della rotazione della Terra mediante un pendolo nella cupola del Panthéon di Parigi. Il pendolo era costituito da un grosso peso sospeso a un filo molto lungo (Foucault utilizzò un peso di 28 kg attaccato a un filo lungo 67 m). Posto il pendolo in oscillazione in un piano verticale ma libero di ruotare, a causa del moto di rotazione della Terra il piano di oscillazione ruota leggermente rispetto al terreno sottostante. L’effetto è più pronunciato al Polo Nord e al Polo Sud, dove il pendolo compie una rotazione completa ogni 24 ore, e diminuisce con la latitudine: all’equatore, infatti, non si osserva alcuna rotazione. Il peso del pendolo recava all’estremità inferiore uno stilo che segnava la traccia delle oscillazioni su un fondo di sabbia; nell’arco di una giornata, Foucault mostrò che la traccia non rimaneva sempre nella stessa posizione, ma compiva una rotazione completa; poiché in assenza di forze esterne il piano di oscillazione del pendolo deve rimanere sempre uguale a se stesso, la rotazione della traccia rappresentava una dimostrazione incontestabile della rotazione della Terra.

Il pendolo di Foucault al Pantheon di Parigi.

Il pendolo di Foucault al Pantheon di Parigi.

Nel campo dell’elettromagnetismo (vedi approfondimento in fondo all’articolo), Foucault fu uno dei primi scienziati a dimostrare l’esistenza delle correnti parassite (vedi approfondimento in fondo all’articolo) generate dai campi magnetici. Sviluppò inoltre un metodo di misurazione della curvatura degli specchi dei telescopi e ideò strumenti di vario genere, tra i quali un prisma polarizzante e il giroscopio (vedi approfondimento in fondo all’articolo), che è la base della moderna bussola giroscopica.

Nel 1866 lo scienziato fu colpito da quello che allora era un morbo misterioso che gli tolse l’uso delle gambe e poi anche quello della parola: non è chiaro se si trattasse di sclerosi laterale amiotrofica – malattia all’epoca non conosciuta – o di una sclerosi multipla primariamente progressiva. Si fece posizionare lo specchio che aveva inventato e che inseguiva il moto degli astri, in modo da vedere la volta stellata anche se paralizzato nel letto. Morì nel febbraio 1868 a Parigi e fu sepolto nel cimitero di Montmartre.

Approfondimenti

 

Velocità della luce

Grandezza fisica considerata una delle costanti naturali fondamentali. Essa è pari a 299.792.458 m/s e viene indicata con la lettera c. È la velocità con cui la radiazione elettromagnetica, e quindi la luce, si propaga nello spazio vuoto.

Il suo valore fu determinato sperimentalmente per la prima volta, quasi contemporaneamente, dall’astronomo Armand Fizeau (1819-1869) e dal fisico Jean-Bernard-Léon Foucault nel XIX secolo, che bene approssimarono il valore misurato in seguito. In un mezzo rifrangente, caratterizzato da un indice di rifrazione n, la velocità di propagazione della luce viene ridotta di un fattore 1/n, e risulta pari a c/n.

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La luce del sole impiega 8 minuti per raggiungere la Terra.

 

Elettromagnetismo

Teoria che studia le connessioni e l’interdipendenza fra fenomeni elettrici e magnetici, derivandoli da un unico sistema di equazioni. Tali equazioni sono le cosiddette “equazioni di Maxwell”, che descrivono la propagazione del campo elettromagnetico e costituiscono il nucleo della teoria dell’elettromagnetismo, formulata nel 1873 dal fisico britannico James Clerk Maxwell.

Le equazioni di Maxwell mostrano che il campo elettromagnetico si propaga in forma di onde, le onde elettromagnetiche appunto, con velocità pari a 1/√eµ. Nel vuoto, tale velocità corrisponde a quella di propagazione della luce: è partendo da questa osservazione che Maxwell riuscì a interpretare la luce come una delle manifestazioni del campo elettromagnetico. Per confermare la teoria di Maxwell si dovette attendere circa vent’anni, quando il fisico tedesco Heinrich Rudolf Hertz riuscì a mostrare la reale esistenza delle onde elettromagnetiche, generandole con oscillatori elettronici (dipoli metallici lineari alimentati da corrente di altissima frequenza) e rivelandoli con circuiti elettrici risonanti.

Secondo la teoria di Maxwell, le onde elettromagnetiche si propagavano in un mezzo, l’etere, che permeava tutto lo spazio: lo stesso dunque avrebbe dovuto essere vero per la luce. Ma gli esperimenti di fine secolo mostrarono che l’etere non esisteva: partendo da queste considerazioni, Albert Einstein formulò la sua teoria della relatività ristretta, che, partendo da una revisione dei concetti di spazio e tempo, conteneva anche le equazioni di propagazione e trasformazione dei campi elettromagnetici dinamici. Oggi questa teoria, inquadrata nella relatività, è definita elettrodinamica, mentre alla teoria che spiega i fenomeni elettrodinamici in relazione al mondo microscopico, sviluppata successivamente, viene dato il nome di elettrodinamica quantistica.

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Correnti parassite o correnti di Foucault

Effetto elettromagnetico che si osserva in un corpo conduttore massiccio attraversato da un campo magnetico variabile. Il fenomeno consiste nell’insorgenza di correnti elettriche parassite, che circolano su circuiti chiusi all’interno del corpo conduttore, dissipando energia. Tali correnti sono alimentate dalla forza elettromotrice indotta che insorge per induzione elettromagnetica: secondo la legge di Faraday-Neumann, se il conduttore è investito da un campo magnetico il cui flusso attraverso la sua superficie varia nel tempo, si produce una forza elettromotrice indotta, pari appunto alla variazione di flusso nell’unità di tempo; il verso delle correnti parassite, così come prescrive la legge di Lenz, è tale da opporsi al campo magnetico che le ha generate. Poiché, come risulta dalla seconda legge di Ohm, la resistenza elettrica diminuisce all’aumentare della sezione del conduttore, in un corpo massiccio è relativamente piccola, ed è quindi piuttosto intensa la corrente che vi può circolare. Questo spiega il motivo per cui le correnti di Foucault, che nei comuni fili elettrici sono di intensità pressoché trascurabile, si rilevano soprattutto all’interno di conduttori di grosse dimensioni.

La presenza di correnti parassite all’interno di un conduttore si può rivelare facilmente osservando che il corpo in questione a poco a poco si riscalda. Come è noto, infatti, l’attraversamento di un conduttore da parte di una corrente elettrica avviene con dispendio di energia, che viene dissipata sotto forma di calore – un fenomeno noto con il nome di effetto Joule.

Il fenomeno delle correnti parassite trova un impiego nei freni elettrodinamici, utilizzati soprattutto per mezzi pesanti come i treni. Il principio di funzionamento di questo tipo di freni sfrutta essenzialmente la legge di Lenz, vale a dire, il fatto che il campo magnetico generato dalle correnti di Foucault si opponga al campo magnetico che le ha generate. Durante la frenata, le ruote metalliche del treno vengono investite dal campo magnetico di un apposito elettromagnete, e quindi interessate dal fenomeno delle correnti parassite. Queste correnti generano a loro volta un campo magnetico opposto a quello che le ha prodotte, causando il rallentamento delle ruote, tanto più efficientemente quanto maggiore è la velocità di rotazione. Poiché l’efficienza della frenata diminuisce al diminuire della velocità, i freni elettrodinamici hanno la caratteristica di produrre un rallentamento non brusco, ma graduale.

 

Giroscopio

Qualunque sistema fisico dotato di una simmetria di rotazione intorno a un asse. Con il termine giroscopio si indica comunemente un corpo di forma sferica o di ruota o di disco, montato su sospensione cardanica in modo da poter ruotare in qualunque direzione.

Le caratteristiche fondamentali di un sistema di questo tipo sono l’elevata inerzia, ovvero la permanenza dell’asse di rotazione, e la precessione, ovvero la tendenza dell’asse di rotazione a disporsi ad angolo retto rispetto al piano individuato dall’asse stesso e da una qualsiasi forza a esso applicata, e che consiste sostanzialmente in un lento moto conico dell’asse. Queste due proprietà sono comuni a qualunque corpo in rotazione intorno a un asse di simmetria, compresa la Terra.

Un giroscopio vincolato a mantenere costante la direzione del proprio asse di rotazione viene detto talvolta girostato: in quasi tutte le applicazioni pratiche, il giroscopio funziona appunto in questo modo. Il prefisso ‘giro’ viene d’abitudine aggiunto al nome dell’applicazione come, ad esempio, ‘girobussola’, ‘girostabilizzatore’ e ‘giropilota’.

L’elevata inerzia dell’asse di rotazione e la forza di gravità vengono sfruttate per utilizzare un giroscopio come indicatore di direzione o bussola. Brevemente, se immaginiamo di porre un giroscopio sull’equatore, montato con l’asse orizzontale di rotazione in direzione est-ovest, esso continuerà a indicare l’equatore, mantenendo la medesima direzione nello spazio, mentre la Terra ruota da ovest verso est: di conseguenza, l’estremo est dell’asse si muoverà verso l’alto rispetto al suolo. Se alla struttura portante del giroscopio si applica un tubo, parzialmente riempito di mercurio, in modo che subisca la stessa deflessione dell’asse del giroscopio rispetto al suolo, il peso del mercurio, che si accumula verso l’estremo più basso (ovest), applica una forza verticale all’asse del giroscopio. Il giroscopio tende a resistere a questa forza, e precede intorno al suo asse verticale, verso il meridiano. Nella girobussola le forze di controllo sono applicate automaticamente con intensità e direzione opportune, in modo che l’asse del giroscopio mantenga la direzione del meridiano, vale a dire punti fra nord e sud.

Le girobussole sono ormai montate su tutte le navi del mondo. Esse sono esenti dalle anomalie delle bussole magnetiche; indicano il nord geografico invece del nord magnetico e hanno abbastanza stabilità da rendere possibile il governo di apparecchi ausiliari come registratori di rotta, giropiloti e bussole ripetitrici. Il giropilota da marina non ha un proprio giroscopio, ma acquisisce elettricamente qualunque scostamento dalla rotta prestabilita rilevata dalla girobussola; questi segnali elettrici sono amplificati e applicati a un servomeccanismo che controlla il timone in modo che la nave riprenda la giusta rotta.

Orizzonte giroscopico artificiale. Per guidare un aereo è indispensabile una strumentazione che fornisca le informazioni necessarie per l’orientamento anche in caso di scarsa visibilità. L’orizzonte artificiale, costituito da una coppia di giroscopi, indica l’inclinazione del velivolo rispetto all’orizzonte. In caso di volo cieco, esso diventa lo strumento di bordo più importante; perciò si trova al centro del cruscotto.

Orizzonte giroscopico artificiale. Per guidare un aereo è indispensabile una strumentazione che fornisca le informazioni necessarie per l’orientamento anche in caso di scarsa visibilità. L’orizzonte artificiale, costituito da una coppia di giroscopi, indica l’inclinazione del velivolo rispetto all’orizzonte. In caso di volo cieco, esso diventa lo strumento di bordo più importante; perciò si trova al centro del cruscotto.

Fonti: Encarta, Wikipedia

 

Shopping con Jane Austen – Laurie Viera Rigler

Chi mi segue su Facebook avrà forse letto delle mie disavventure con il chick lit. Nonostante sia un genere molto in voga in questo periodo, a me risulta avverso, difficile da leggere poiché lo trovo quasi insignificante, ripetitivo, inverosimile e a volte melenso. Tuttavia, giacché non sono contenta se non sfido continuamente le mie convinzioni, ho cercato di portare a termine la lettura di qualcosa – oltre a diversi chick lit “puri” che proprio non mi sono andati giù e ho abbandonato senza troppi sensi di colpa – sulla stessa linea, ma con delle varianti più o meno significative.

SHOPPING CON JANE AUSTEN

Laurie Viera Rigler

Sperling & Kupfer

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Trama

Courtney Stone vive a Los Angeles, ha un fidanzato con cui sta finalmente per convolare a nozze ed è un’incallita lettrice di Jane Austen. Quando sorprende il suo promesso sposo con un’altra, l’unica cura al suo dolore sono la vodka ghiacciata e una copia di “Orgoglio e pregiudizio”, che inizia a rileggere prima di sprofondare in un sonno consolatore. Al risveglio è a dir poco disorientata: non si trova più nel suo appartamento del Ventunesimo secolo, e neppure nel suo corpo, ma nella sontuosa stanza di una magione inglese e nei panni di una signorina dell’era della Reggenza. A dispetto di ogni spiegazione logica, Courtney non solo è intrappolata nella vita di un’altra donna, ma è costretta a fingere di essere davvero lei, e a fare i conti con una realtà ben diversa da quella cui è abituata. Neppure il folle amore per Jane Austen l’ha preparata ai vasi da notte e alle luride locande dell’Inghilterra del Diciannovesimo secolo, per non parlare della realtà di essere una single alle prese con accompagnatori soffocanti, seduttori sprovvisti di preservativo e commenti malevoli sulla sua condizione di zitella. Ma Courtney scopre però che la nuova identità ha anche dei vantaggi e incomincia ad apprezzare le “passeggiate nel boschetto” e le sale da tè, le feste da ballo e i pomeriggi di “shopping” dal sarto. Quando poi entra in scena l’enigmatico Mr. Edgeworth, tanto simile al Mr. Darcy della sua eroina Elizabeth, le cose si fanno proprio interessanti…

L’autrice

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Laurie Viera Rigler, quando non è impegnata nella rilettura di uno dei sei romanzi di Jane Austen, è un’editor freelance e insegna scrittura creativa, tenendo cicli di lezioni anche da Vroman’s, la più grande e antica libreria indipendente della California meridionale. Vive a Los Angeles ed è membro della Jane Austen Society of North America.

La mia opinione

Ribadendo le premesse dell’introduzione all’articolo, questo genere di romanzi non mi è proprio congeniale. Ciò che mi ha incuriosita e indotta a dare una possibilità a Shopping con Jane Austen è stato il viaggio nel tempo della protagonista che si ritrova nell’epoca di Jane Austen. In alcuni passaggi è stato divertente leggere i pensieri di una donna moderna di fronte a una società così diversa dalla nostra, tuttavia la ricostruzione storica – prerogativa che come avrete capito influisce molto sull’opinione che mi faccio di un romanzo – risulta assai superficiale e distratta, appena accennata, del tipo che non richiede nessuna consultazione storica ma ispirata semplicemente a qualche scena di film. La storia presenta numerose analogie con i romanzi della Austen e, anche se la cosa è certamente voluta, si dimostra a volte ridicola e a mio avviso tradisce la poca originalità dell’autrice. Si tratta in definitiva di un libricino leggero, che si legge in un pomeriggio. Un romanzo senza pretese, non orribile ma nemmeno bello, con un finale che da l’impressione di aver letto un libro scritto a metà. Che poi sia diventato un super bestseller secondo me è legato certamente al fascino che il collegamento con la Austen esercita sui suoi ammiratori e, per dirla tutta, la trovo proprio una subdola manovra commerciale.

Valutazione:

3

Un nuovo anno scolastico

Quanto è sottovalutato da noi il valore dell’istruzione… ragazzi che non vogliono andare a scuola, che la abbandonano o si lamentano come se fossero in carcere. Mi piange il cuore al ricordo dei giovani che ho conosciuto in Africa che, avidi di conoscenza e consapevoli che la scuola avrebbe dato loro la possibilità di imparare un mestiere onesto ed evitare delinquenza e prostituzione, non volevano mai terminare le lezioni e anche fuori dall’orario scolastico continuavano a fare domande, prendere appunti. Apprezzate ciò che vi sembra così scontato o addirittura una rottura di scatole, non per i vostri genitori, né per gli insegnanti, ma per voi stessi. Una società giusta e capace di creare un futuro migliore non può basarsi su ignoranti o lavativi, ma su persone che conoscono la cultura, passata e presente, e che per questo possono pensare e giudicare con la propria testa. Buon anno scolastico a tutti gli studenti.

La ragazza dei fiordalisi – Simona Ahrnstedt

Secondo libro che leggo e recensisco di Simona Ahrnstedt.

LA RAGAZZA DEI FIORDALISI

Simona Ahrnstedt

Sperling & Kupfer

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Trama

Svezia, 1349. In un’epoca in cui niente è sicuro e l’onore di una donna è tutto, la giovane e bella Illiana, figlia di un ricco proprietario terriero molto vicino al re, viene rapita per errore poche ore prima del suo fidanzamento ufficiale. Un equivoco tragico quanto provvidenziale. La colpa, o il merito, è di un giovane soldato che – per esaudire il desiderio del suo signore Markus, leggendario cavaliere, di passare la notte in compagnia di una donna – gli ha portato la dolce Illiana. Ma, non appena Markus si trova di fronte a quella ragazza dalle forme delicate, si rende subito conto dell’enorme sbaglio del suo attendente e si offre di riaccompagnarla a casa. Affascinante e rude, dallo sguardo profondo e dal passato oscuro, Markus non gode però di ottima fama a corte. Per fortuna il cuore sa andare oltre alle apparenze. E proprio quel viaggio segnerà l’inizio di un amore, travolgente e inaspettato, fra intrighi, giochi di potere e vecchi rancori mai sopiti.

Recensione

Di questa autrice ho letto poco tempo fa Ritratto di donna in cremisi – che ho recensito qui, dove potete leggere anche la biografia della Ahrnstedt. Dato che il primo libro mi è piaciuto, ho deciso di leggere anche il suo secondo, La ragazza dei fiordalisi. Be’, avevo grandi aspettative che sono state deluse. Il libro non è proprio male ma manca di qualcosa che non so definire ed eccede invece in vicende secondarie appena accennate mentre alcune di quelle principali non reggono; per non parlare delle scene melense che non si adattano per niente alla natura del protagonista maschile, decantata più volte come crudele e spaventosa. Poiché Markus, a dispetto di tutte le storie che circolano su di lui – storie con cui addirittura si spaventano i bambini nella versione medievale svedese del lupo nero, è da subito gentile e protettivo nei confronti della moglie sconosciuta. Risulta molto più spietato e severo Seth di Ritratto di donna in cremisi che non è un guerriero sanguinario ma un semplice uomo d’affari. Il rapporto tra Illiana e Markus non è poi così complicato né impossibile come viene fatto intendere all’inizio, anzi. Il libro avrebbe potuto essere catalogato come un Harmony se non ci fosse stata di mezzo una diatriba familiare che regala nella penultima scena un po’ di brivido – la cui risoluzione è piuttosto improbabile, ma va be’. Il resto del libro mi è parso un po’ noioso. Non ho trovato nemmeno eccellente la ricostruzione storica, ma sarà che sono io a essere troppo pretenziosa, soprattutto dopo aver ancora nella mente vivido il ricordo della splendida recente lettura de L’ultima concubina – che ho recensito qui. In definitiva una storia d’amore carina stile cappa e spada.

Valutazione:

3

L’età dell’innocenza – Edith Wharton

 

 

Eccomi con una nuova recensione.

L’ETÀ DELL’INNOCENZA

Edith Wharton

 

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Trama

Nel ricco mondo dell’alta società newyorkese di fine Ottocento un uomo e una donna si incontrano, si amano, si consumano di passione, si lasciano. E’ la storia di un amore distrutto dalle regole di una società ipocrita, dalle sue rigide convenzioni e dai pettegolezzi spietati. E’ la storia di una donna che per amore sarebbe andata contro tutto e tutti, e di un uomo che a quel mondo falso e pettegolo non ha saputo sottrarsi.

L’autrice

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Edith Wharton (New York 1862 – Saint-Brice-sous-Forêt, Val d’Oise 1937), scrittrice statunitense. Nel 1885, Edith Newbold Jones sposò il banchiere Edward Wharton, dal quale divorziò nel 1913. Nel 1902 pubblicò un romanzo storico, La valle della decisione, ma la sua fama letteraria si deve alla Casa della gioia (1905), popolata, come gran parte della sua narrativa successiva, da figure attinte al chiuso e rigido mondo sociale cui la scrittrice stessa apparteneva. Nel 1907 si stabilì definitivamente in Francia; nel 1911 diede alle stampe il romanzo breve Ethan Frome, tragica vicenda d’amore fra gente semplice ambientata in un gelido New England. Seguì una serie di altri romanzi, resoconti di viaggio, racconti (fra cui alcune memorabili ghost stories) e poesie. I romanzi comprendono L’usanza del paese (1913) e L’età dell’innocenza (1920), da cui nel 1993 il regista Martin Scorsese trasse un film di successo, che ridestò l’interesse per la scrittrice.

Edith Wharton ritrasse la società vittoriana con distacco ironico. Come il suo amico romanziere Henry James, che esercitò una profonda influenza sulla sua opera, l’interesse della scrittrice fu rivolto soprattutto al sottile intreccio delle emozioni in una società che censurava la libera espressione delle passioni. L’intensità tragica dei suoi racconti derivava dall’aver colto le contraddizioni di questo ambiente artificioso.

La mia opinione

L’età dell’innocenza è uno di quei libri che, da bravo classico, presenta uno stile elegante e discorsivo, tipico degli autori dell’epoca. Le descrizioni della vita newyorkese di quel periodo sono condite di pungente ironia e di acute osservazioni sui sentimenti umani. Tuttavia devo dire che la storia è un po’ piatta e non mi è piaciuta particolarmente. Dopo la lettura ho visto il film e, ancor più del libro, l’ho trovato di una noia quasi mortale. Peccato.

Valutazione:

2

Quattro stelle cadenti e una lucciola – Tamara Vittoria Musso

Premetto che non sono solita recensire raccolte di poesie, dunque non me ne vogliate se non doveste trovare professionali le mie opinioni seguenti. D’altro canto però se ho deciso di condividere con voi le mie impressioni su questa silloge poetica significa che l’ho trovata piacevole.

QUATTRO STELLE CADENTI E UNA LUCCIOLA

Tamara Vittoria Mussio

Lulu.com

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L’autrice

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Tamara Vittoria Mussio è nata il 26 aprile 1990. Ha iniziato a raccogliere i suoi scritti nel 2005. Ha partecipato al concorso di poesie Giuseppe Linetti nel 2008. Maturità scientifica nel 2009, nel 2012 si è laureata in Storia della Lingua Italiana all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Brescia. Nel 2010 ha pubblicato il primo articolo su Brescia7giorni sull’evento mercatini dell’antiquariato ad Azzano Mella. Nell’ottobre 2012 ha aperto il suo primo canale di recensioni Severille743, poco dopo ha cominciato una collaborazione ancora in atto con il gruppo Cretaure della Notte nel quale gestisce una rubrica di recensioni di classici greci e latini “Il classico è moderno”. A marzo 2013 ha aperto il canale e gruppo Gli Spaccia Lezioni dedicato a lezioni online, recensione di giovani esordienti, reportage su eventi e contesti e interviste ad artisti. Il 21 luglio 2013 ha organizzato il primo evento de Gli Spaccia Lezioni “sosta artistica” presentando 4 scrittori e 2 artisti.

La mia opinione

Si dice spesso che la poesia contemporanea vive un momento di crisi. Penso invece che, nel sovraffollato mondo editoriale italiano, non si sa bene dove guardare. Perché di giovani poeti talentuosi ce ne sono tanti e questo è il caso di Tamara Vittoria Musso. Le sue poesie, semplici e dirette, afferrano il lettore e lo lanciano nel vuoto: non perché lo spazio diventi vacuo ma perché si ha la sensazione di essere in caduta libera tra pensieri ed emozioni, liberi di interpretare ciò che si legge nel modo più personale possibile. Molte poesie hanno come tema portante la rinascita, lo sbocciare di vita nuova dopo il buio dell’anima; altre invece sono intrise di un intenso e appassionato desiderio, di una fisicità che va oltre il solo piacere dei sensi. Alcuni componimenti – ad esempio “Per dimenticarti” – emanano una dolce e struggente malinconia. Riporto alcuni versi da “Orchestra”, la poesia che assieme a “Rami d’anima” mi ha colpito di più.

Basta alla malinconia!

Ormai ho già toccato il fondo.

Ora sono risalita.

Io non voglio più cadere.

Ormai sono ripartita,

solo per ricominciare

e amare un’altra vita.

Ricomincio a dirigere

 

L’Orchestra della mia vita.

Accordo il silenzio e il suono,

me, solista, con il coro;

ogni pausa è tra le dita.

Ogni nota più gradita.

Opere da leggere e apprezzare, una poetessa da seguire anche in futuro.

Valutazione:

4

11 settembre 2001 – 11 settembre 1973

Ricordiamo con rispetto i morti del famoso 11 settembre 2001. Anche se sono convinta che il miglior modo per onorarne la memoria è parlare della verità di ciò che è accaduto e non di ciò che ci hanno propinato i media. Ciò a cui mi riferisco è disponibile sul web in tutte le forme e le salse e credo che quasi tutti ne abbiano sentito parlare – vi invito a leggere un articolo particolarmente esaustivo qui. Personalmente, dopo tutte le informazioni che ho raccolto e i libri dedicati che ho letto, non credo affatto alla leggenda dell’attentato terroristico contro gli Stati Uniti. In ogni caso, vorrei oggi riportare alla mente un altro 11 settembre, quello del 1973, ben più esoso in termini di vite umane ingiustamente cancellate, senza contare tutte le conseguenze. Vi lascio a tal proposito il link di qualche interessante articolo da leggere.

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Salvador Allende, il presidente cileno deposto dal colpo di Stato in data 11 settembre 1973.

 

 

Informare per resistere

Wikipedia

Huffington post

L’ultima concubina – Lesley Downer

Ah, che bello. Mi sento sempre così dopo aver terminato la lettura di un bel libro. Appagata e un po’ malinconica, come se fossi ritornata a casa dopo un lungo viaggio. E, nel caso di questo libro, si tratta davvero di un lungo viaggio.

L’ULTIMA CONCUBINA

Lesley Downer

Piemme

 

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Trama

Giappone, 1861. Il giorno in cui il corteo reale era passato attraverso il villaggio per scortare la futura sposa dello shogun verso il castello di Edo, la strada, di solito affollata di carri e viaggiatori, era deserta. Nella vallata non si udiva un solo rumore e tutti erano immobili, in attesa. Solo la piccola Sachi aveva infranto le regole e aveva alzato la testa verso la portantina che avanzava lungo la via. L’aveva fissata solo per un attimo, ma era stato abbastanza perché quel gesto cambiasse il corso della sua vita. Quattro anni dopo, Sachi vive ormai stabilmente a Edo. Ha seguito la principessa Kazu fin dal giorno in cui è passata nel suo villaggio e i loro occhi si sono incrociati, scambiandosi una muta promessa. Da allora è stata educata secondo le ferree regole di palazzo e adesso, compiuti i quindici anni, è pronta per essere introdotta al cospetto dello shogun. Così impone la tradizione e così deve essere: la principessa deve offrire in dono al marito una concubina, e Sachi è la prescelta.

L’autrice

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Lesley Downer nata a Londra, da madre cinese e padre canadese. Ma è il Giappone, non la Cina, il paese che ha conquistato il suo cuore: dopo averlo visitato per la prima volta nel 1978, vi si è fermata per quindici anni.Scrive regolarmente recensioni per The New York Times Book Review.Per Piemme ha già pubblicato Geisha: storia di un mondo segreto (2002), considerato uno dei libri più autorevoli sull’argomento, L’ultima concubina (2008) e Il kimono rosso (2011). Attualmente vive tra Londra e New York con il marito Arthur I. Miller.Torna spesso in Giappone.

La mia recensione

La trama del libro è, già a una prima occhiata, affascinante. Ebbene, il libro contiene molto di più . È una storia di guerra, di indipendenza, di morte, di riscatto, di onore e sopportazione. Ma più di tutto è l’ammaliante e vivido ritratto di una società antica prima dell’apertura all’Occidente. Gli usi e i costumi sono particolari per noi che siamo abituati a leggere dell’Ottocento europeo, e per certi versi sorprendenti e quasi incomprensibili. Il libro focalizza l’attenzione sull’importanza del dovere, difatti le persone agivano in base a ciò che si doveva fare, senza pensare se fosse giusto o sbagliato, senza cercare un’alternativa; e sulla condizione delle donne, costrette a essere sottomesse agli uomini e non avere opinioni, a tenere segrete le proprie emozioni quando queste non fossero state del tutto piegate alla rigida imperturbabilità imposta dall’etichetta. Le donne rappresentavano sovente merce di scambio, un modo per gli uomini di famiglia di giungere a particolari privilegi – e questo l’ho trovato anche in Ritratto di donna in cremisi, che ho recensito qui, forse unico elemento di collegamento tra le due lontanissime società. A quei tempi il Giappone era un mondo chiuso, a sé stante, tant’è che la popolazione non aveva neanche idea dell’esistenza dei barbari – europei – e, quando ne vedeva uno, data l’alta statura e i tratti del viso più marcati rispetto agli orientali, lo scambiava per demone. Basti pensare che la protagonista, avendo a che fare con un inglese, rimane sbigottita dalle maniere cortesi di lui che secondo lei si comporta con le donne come un servo, privo della caratteristica indifferenza o durezza dei samurai. Da non dimenticare che le donne qui sono esperte di combattimento, non certo le delicate gentildonne vittoriane.

Le intricate vicende che riguardano i natali di Sachi, ci rivelano con accuratezza la vita della povera gente di montagna ma anche quella, rigida e per certi versi tiranna, delle dame di alto rango. Gli straordinari scenari in cui la storia si esplica mostrano un mondo magico, incontaminato, con il sapore vero della natura popolata tra l’altro da piante e alberi cui non siamo abituati per esempio nelle zone con clima mediterraneo. In un romanzo dal sapore esotico si avvicendano personaggi diversi abilmente tratteggiati in poche pennellate, tra i quali inevitabilmente spiccano l’indipendente Sachi e lo sfuggente Shinzaemon. Il loro legame è ben lontano da quello fisico e vissuto di cui siamo abituati a leggere nei romanzi con ambientazione occidentale: si tratta di un rapporto innocente che non ha bisogno di essere espresso a parole, che conta solo sulla memoria di qualche stretta di mano e forse per questo più vero, legato profondamente all’anima. Un romanzo epico, avventuroso, dall’ambientazione grandiosa. Una lettura che non può mancare nella libreria degli amanti della storia o delle culture orientali.

Valutazione:

5+

La pace sui social network per la pace nella realtà

Amici, inutile dire che la situazione in questi giorni è critica ed è inutile anche spiegare che i fatti non riguardano solo Stati Uniti e Siria poiché, in un eventuale conflitto, grazie ai giochi d’alleanze, verrebbero coinvolte tante nazioni del mondo. E sappiamo che chi paga le conseguenze della guerra è sempre chi non c’entra nulla, gli innocenti, la popolazione.
E se i grandi della Terra non si curano dell’opinione dei propri concittadini, per una volta usiamo i social network in maniera intelligente e dimostriamo al mondo il nostro rifiuto per la guerra, sperando che la cosa si espanda a macchia d’olio. Seppur non si potranno fermare le armi, cerchiamo di far sentire la nostra voce.
Mettiamo come foto del profilo immagini riguardanti la pace. E poi condividiamo e invitiamo gli amici, sperando che non vi sia mai la terza guerra mondiale.

Cliccate qui per partecipare all’evento su facebook.

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Settant’anni fa l’armistizio con gli Alleati: una pace che portò purtroppo alla guerra civile e al martirio del suolo italiano

8 settembre 1943, ore 19.42. Il maresciallo Pietro Badoglio parla dai microfoni di Radio EIAR:

Il governo italiano, riconosciuta la impossibilità di continuare la impari lotta contro la soverchiante potenza avversaria, nell’intento di risparmiare ulteriori e più gravi sciagure alla Nazione ha chiesto un armistizio al generale Eisenhower, comandante in capo delle forze alleate anglo-americane. La richiesta è stata accolta. Conseguentemente, ogni atto di ostilità contro le forze anglo-americane deve cessare da parte delle forze italiane in ogni luogo. Esse però reagiranno ad eventuali attacchi da qualsiasi altra provenienza.

L’armistizio di Cassibile

Il generale Castellano (in borghese) ed il generale Eisenhower si stringono la mano dopo la firma dell'armistizio a Cassibile, il 3 settembre 1943.

Il generale Castellano (in borghese) ed il generale Eisenhower si stringono la mano dopo la firma dell’armistizio a Cassibile, il 3 settembre 1943.

Accordo che stabiliva le condizioni dell’armistizio chiesto dall’Italia agli Alleati dopo la caduta del regime fascista. Fu firmato a Cassibile, in provincia di Siracusa, il 3 settembre 1943 alla presenza del comandante delle forze alleate Eisenhower dai generali Giuseppe Castellano, per l’Italia, e Walter Bedell Smith, per gli Alleati. L’armistizio, articolato in 12 punti, prevedeva che l’Italia si ritirasse dalla guerra e dall’alleanza con la Germania e consegnasse la flotta e gli aerei nelle basi meridionali agli Alleati. L’Italia si impegnava inoltre ad accettare le direttive di ordine politico ed economico che sarebbero state comunicate in un secondo tempo. Secondo gli accordi l’armistizio doveva essere divulgato sei ore prima dell’imminente sbarco angloamericano sulle coste italiane, ma una serie di fraintendimenti tra le parti costrinse a rinviare l’operazione. La notizia dell’armistizio fu diffusa in tutto il mondo l’8 settembre 1943.

Le conseguenze

La scelta

L’annuncio dell’armistizio prese parecchi italiani alla sprovvista: le circostanze in cui esso venne reso pubblico determinarono la sensazione tra militari e civili di essere stati abbandonati e lasciati a sé stessi, rispettivamente i primi dagli ufficiali ed i secondi dall’autorità pubblica, e vi è stato chi ha visto nell’8 settembre e nelle sue conseguenze il momento della venuta meno del tessuto connettivo nazionale.
Nei giorni immediatamente successivi all’armistizio, con l’eclissi del potere dello Stato regio, iniziarono a delinearsi i due schieramenti della guerra civile, i partigiani e i fascisti, entrambi convinti di rappresentare legittimamente l’Italia. Molti di coloro che imbracciarono le armi si trovarono, colti di sorpresa dall’armistizio, da una parte o dall’altra quasi casualmente e dovettero compiere la propria scelta di campo sulla base delle circostanze. La decisione fu resa maggiormente drammatica per la solitudine in cui avvenne, in quanto di fronte al crollo dello Stato non esisteva più la possibilità di rifarsi ad un’autorità, ma solo ai propri valori. Naturalmente le scelte non furono tutte istantanee e basate su certezze assolute.
La scelta fu particolarmente gravosa per i militari, vincolati da una parte al giuramento al re e dall’altra al rispetto dell’alleanza con i tedeschi, pena in entrambi i casi il proprio onore di soldati; risolsero il problema facendo appello alla propria coscienza: alcuni, considerando sciolto il giuramento al Re per via del suo comportamento, si presentarono ai comandi tedeschi chiedendo d’essere arruolati, ricevendo come distintivo una fascia da braccio con un tricolore e la scritta Im Dienst der Deutschen Wehrmacht (al servizio della Wehrmacht germanica); altri, pur essendo del medesimo avviso, scelsero comunque di non parteggiare per l’Asse.
Disordini e scontri a fuoco avvennero durante i giorni dell’armistizio, ma raramente coinvolsero italiani di entrambi gli schieramenti. Lo stato maggiore del Regio Esercito provvide in alcuni casi a modificare i comandi con elementi di sicura fede monarchica, come accadde alla 1ª Divisione corazzata “M”, che divenne 136ª Divisione corazzata “Centauro II” e fu assegnata al generale Giorgio Carlo Calvi di Bergolo, genero del re; tuttavia il Comando Supremo non giudicava affidabile la divisione, che infatti durante gli eventi dell’8 settembre non si mosse a difesa di Roma. Ciò non di meno, vi furono alcuni episodi in cui italiani delle due parti si scontrarono.

Rilevanti fatti di sangue si registrarono in Sardegna, dove il contingente italiano, godendo di una netta superiorità numerica e di una buona qualità dei reparti a disposizione, tra i quali la 184ª Divisione paracadutisti “Nembo”, obbligò i tedeschi ad una veloce ritirata dall’isola. Di conseguenza, diversamente che dal resto d’Italia, non vi fu margine di manovra per quegli italiani che non avessero voluto obbedire alle disposizioni armistiziali e che pertanto dovettero compiere la scelta di campo immediatamente. La Sardegna fu quindi teatro di uno dei primi episodi di guerra civile, quando all’annuncio dell’armistizio il XII battaglione della “Nembo”, al comando del maggiore Mario Rizzatti, si ammutinò per seguire i tedeschi della 90ª Divisione Panzergrenadier e continuare quindi la lotta contro gli angloamericani. A sedare questa sedizione venne inviato il tenente colonnello Alberto Bechi Luserna, che fu ucciso dagli ammutinati. Cinque giorni dopo veniva ucciso da un ignoto il maresciallo ordinario Pierino Vascelli, che, sebbene non si fosse unito agli ammutinati, non aveva nascosto i propri sentimenti fascisti.
Si schierarono con i tedeschi anche il 63º battaglione della legione Camicie Nere Tagliamento, un centinaio di paracadutisti della scuola di Viterbo, una parte del 10º reparto Arditi presso Civitavecchia, nonché i militari della Xª Flottiglia MAS di stanza a La Spezia, al comando del principe Junio Valerio Borghese, che ricostituì il corpo mantenendo lo stesso nome, principalmente come fanteria di marina. In altre parti d’Italia i fascisti non presero posizione contro i reparti fedeli alla monarchia, ma si limitarono a non opporre resistenza ai tedeschi.
Nel clima generale in cui tutti erano come posseduti da un “bisogno di grandi tradimenti” contro i quali rivalersi, entrambe le parti (sebbene tra i partigiani non mancasse una minoranza di convinti monarchici) erano accomunate dalla condanna del re e di Badoglio: i fascisti li accusavano di aver tradito l’alleanza con i tedeschi e di aver così compromesso l’onore dell’Italia agli occhi del mondo, mentre i resistenti di aver impedito all’8 settembre di «trasformarsi in una trionfale e redentrice giornata di resurrezione» (Silvio Trentin).
I primi gruppi di fascisti ripresero l’iniziativa; contemporaneamente a Roma – perduranti ancora i combattimenti fra Regio Esercito e Wehrmacht – veniva fondato dagli esponenti dell’antifascismo politico il primo Comitato di Liberazione Nazionale, mentre, specialmente in Piemonte e in Abruzzo, si formarono i primi gruppi partigiani. In quei giorni furono gettate le basi sia della “resistenza attiva” sia della “resistenza passiva”, con la popolazione civile che offriva solidarietà ed aiuto ai soldati che si davano alla macchia o che sceglieva “di non scegliere”, mettendosi nella “zona grigia” o fra gli “attendisti”.

La Repubblica Sociale Italiana

Organismo statale sorto in Italia dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943 nei territori centrosettentrionali del paese occupati dai nazisti (a esclusione di quelli annessi di fatto al Terzo Reich, come il Trentino, l’Alto Adige e il Friuli). Detta anche Repubblica di Salò (dal nome del comune sul lago di Garda, in provincia di Brescia, che fu sede del governo), fu presieduta da Benito Mussolini, che ne ufficializzò la costituzione in un discorso trasmesso da radio Monaco il 18 settembre 1943. Il governo, i cui ministeri furono dislocati in diverse città dell’Italia settentrionale, si costituì il 23 settembre al rientro di Mussolini in Italia e fu riconosciuto soltanto dalle nazioni dell’Asse e dagli stati satelliti.

La Repubblica di Salò fu nei fatti uno strumento al servizio dell’occupazione tedesca, sebbene Mussolini tentasse di rilanciare un’autonoma proposta politica riprendendo i toni sociali e repubblicani tipici delle origini del fascismo. Più che da Mussolini la RSI fu orientata dagli esponenti oltranzisti del regime, tra i quali Alessandro Pavolini, segretario del neocostituito Partito fascista repubblicano, e il maresciallo Rodolfo Graziani, responsabile della Difesa.

Un tribunale della RSI processò a Verona i gerarchi del Gran consiglio del fascismo, che, nella seduta del 25 luglio 1943, avevano votato un ordine del giorno contro Mussolini, provocandone la caduta. Il processo si concluse il 10 gennaio 1944 con cinque condanne a morte, che colpirono tra gli altri il genero di Mussolini, Galeazzo Ciano, e il generale Emilio De Bono, quadrumviro della marcia su Roma del 1922.

In mancanza di una partecipazione alle operazioni contro le forze degli Alleati, anche per la diffidenza con la quale i tedeschi guardavano alle formazioni “repubblichine”, compito principale della RSI diventò la repressione antipartigiana, nella quale si distinse per spietatezza la X MAS di Junio Valerio Borghese. Fu inoltre costituito un esercito della RSI, al quale molti giovani si sottrassero non rispondendo alla leva o disertando, e una milizia fascista, autonoma struttura militare ricostituita da Mussolini. Non mancò peraltro l’apporto all’esercito della RSI e alla milizia di gruppi di giovani che in buona fede avevano vissuto l’armistizio dell’8 settembre come una grave onta inferta all’onore nazionale e un tradimento nei confronti dell’alleato tedesco.

Le rare iniziative di carattere politico, come la manifestazione fascista al teatro Lirico di Milano (16 dicembre 1944), non ottennero risonanza e dimostrarono l’isolamento sostanziale, rispetto alla maggioranza della popolazione, in cui agiva la RSI. I suoi destini furono perciò intrecciati alle sorti delle forze di occupazione tedesche, così che la RSI crollò con l’avanzata degli Alleati e con il successo della Resistenza. La morte di Mussolini, giustiziato dai partigiani il 28 aprile 1945, e quella dei principali capi fascisti (Pavolini, Starace, Farinacci) suggellò la fine della RSI.

La Resistenza

La Resistenza armata al nazifascismo si organizzò dopo l’armistizio dell’8 settembre, quando dalle fila dell’esercito lasciato allo sbando uscirono i primi gruppi di volontari combattenti, reclutati dalle nascenti formazioni partigiane. Queste furono costituite dai rappresentanti dell’antifascismo, che crearono il Comitato di liberazione nazionale (CLN), al quale si collegarono successivamente organismi analoghi nati su base regionale: Il CLN fu lo strumento politico della guerra partigiana, le cui prime azioni furono messe a segno nell’inverno 1943-44 nel territorio alle spalle delle linee tedesche.

La Resistenza fu espressione di una volontà di riscatto dal fascismo e di difesa dell’Italia dall’aggressione tedesca e coinvolse complessivamente circa 300.000 uomini armati, che svolsero attività di guerriglia e di controllo, dove possibile, del territorio liberato dai nazifascisti. Fu dunque guerra patriottica di liberazione dall’occupazione tedesca, ma fu anche guerra civile contro la Repubblica sociale italiana, nel cui esercito pure militarono gruppi di giovani che in buona fede considerarono l’armistizio con gli Alleati un tradimento nei confronti dell’alleato tedesco.

Il movimento della Resistenza si sviluppò sostanzialmente nell’Italia del Nord e, in secondo luogo, nell’Italia centrale. I raggruppamenti più numerosi furono quelli organizzati dai comunisti nelle Brigate Garibaldi; gli uomini del Partito d’azione formarono le brigate di Giustizia e Libertà, i socialisti le Matteotti. Operarono inoltre altre formazioni di diversa impronta ideologica: cattolica, liberale, nazionalista e monarchica. Quasi assente fu la Resistenza nell’Italia meridionale, che peraltro al 12 ottobre 1943 era già stata occupata dalle forze angloamericane fino alla linea Gustav, il fronte difensivo tedesco che tagliava la penisola dalle foci del Volturno, sul Tirreno, fino a Termoli, sul litorale Adriatico. Fece eccezione l’insurrezione di Napoli, dove il popolo nelle quattro giornate liberò la città dall’occupazione tedesca.

L’unità operativa che i diversi gruppi della Resistenza italiana riuscirono, seppure imperfettamente, a conseguire sul piano militare non ebbe riscontro in un’analoga unità d’azione politica. Gli obiettivi finali per i quali era giustificata la lotta di liberazione apparivano assai divergenti a seconda delle appartenenze partitiche: tali divergenze erano presenti tra le stesse forze di sinistra. Il Partito d’azione, il Partito comunista e il Partito socialista rifiutavano l’idea che lo scopo della guerra partigiana fosse quello di ripristinare lo stato liberale prefascista; sulla base di questa comune premessa, tuttavia, anche questi partiti differivano tra di loro su contenuti e modalità della struttura del nuovo stato democratico per il quale si battevano. Gli azionisti ritenevano che fosse necessario attribuire alle organizzazioni partigiane un ruolo rilevante nella costruzione di una nuova democrazia, dai contenuti sociali più avanzati di quelli del vecchio stato monarchico; per i comunisti e i socialisti, invece, i CLN dovevano esaurire la loro funzione in ambito militare, lasciando ai partiti il compito di promuovere le future forme politiche e istituzionali.

Altrettanto differenti erano le motivazioni ideologiche che circolavano tra i partigiani. Molti di quelli che militavano nelle formazioni di sinistra, spinti da una forte carica ideologica, pensavano che la guerra di liberazione dovesse sfociare in un cambiamento radicale della società. Tale cambiamento per i comunisti coincideva con la rivoluzione sociale, per gli azionisti con l’instaurazione di una democrazia avanzata, libera dai compromessi e dalle debolezze che nel 1922 avevano portato alla vittoria del fascismo. La caduta della monarchia avrebbe dovuto rappresentare la premessa obbligata di qualsiasi rinnovamento futuro. La monarchia continuava invece a riscuotere consensi tra i partigiani democratico-cristiani, liberali e autonomi, oltre che tra i soldati e gli ufficiali delle forze dell’esercito che, non avendo aderito alla Repubblica di Salò, avevano scelto di partecipare alla Resistenza. Inoltre il modello dello stato prefascista appariva tutt’altro che accantonato.

I partigiani del Nord operarono prevalentemente nelle montagne e nelle campagne, ma la loro azione si saldò anche agli imponenti scioperi operai che nel marzo del 1944 paralizzarono le maggiori città industriali (Torino, Milano, Genova). Nelle fabbriche e nelle città, soprattutto per opera dei militanti comunisti clandestini, si organizzarono nuclei partigiani denominati GAP (Gruppi d’azione patriottica), formati ciascuno da tre o quattro militanti, che svolgevano operazioni di sabotaggio, atti di guerriglia e opera di propaganda politica.

Via via che cresceva il ruolo combattente della Resistenza, si poneva il problema del rapporto con gli interlocutori politici e militari italiani e Alleati. Frequenti attriti si manifestarono anche dopo che i partigiani furono ufficialmente militarizzati nel Corpo volontari della libertà (giugno 1944), comandato dal generale Raffaele Cadorna, con vicecomandanti il comunista Luigi Longo e l’azionista Ferruccio Parri, e riconosciuto sia dai comandi militari alleati che dal governo nazionale. Causa dei contrasti con il governo italiano che operava nei territori liberati erano le strategie politiche da assumere per il futuro, mentre tra le forze militari angloamericane correva il timore che a guerra conclusa i partigiani divenissero protagonisti di azioni insurrezionali. Confermava tale timore l’esperienza, peraltro di breve durata, delle repubbliche partigiane che si formarono in alcune zone del Nord, liberate dall’occupazione nazifascista tra l’estate e l’autunno del 1944.

La Resistenza culminò nell’insurrezione generale, proclamata dal Comitato di liberazione nazionale per l’Alta Italia il 25 aprile 1945 e conclusasi con la liberazione delle principali città del Nord prima dell’arrivo delle forze alleate; la resa incondizionata dei tedeschi si ebbe il 29 aprile.

Fonti: Encarta, Wikipedia

 

Per approfondire gli accadimenti legati alla Resistenza, di cui qui ho riportato una sintesi, visitate la pagina Wikipedia dedicata.

Vi lascio con due estratti dal seguito di Tregua nell’ambra: il primo tratto dalla campagna d’Italia cui partecipa anche Alec, il secondo dalle attività della Resistenza ad Asti cui partecipa Elisa. E non chiedetemi cosa ci fa lì perché al momento non posso dirvelo 😉

 

Estratto 1

Alec si risistemò lo zaino sulla spalla gocciante, sistemò le armi e corse verso la boscaglia che gli stava dinanzi, i suoi uomini disposti in formazione come ordinato, pronti a fare fuoco. Si portò davanti a loro e fu il primo ad addentrarsi nella vegetazione, i sensi tesi al massimo nel buio, preparati a cogliere anche il minimo infido stormire di fronde. Avanzò velocemente ma con cautela con le armi puntate verso un nemico invisibile. I piedi che calpestavano un tappeto di bossoli. Dopo pochi metri alla luce lunare filtrata dai fogliami degli alberi, scorse uno sbarramento di legno e filo spinato. Attorno a lui altri soldati, altre vite intrecciate alla morte. Il fumo che si levava dai tronchi bruciati e dal terreno violentato cominciò a ottenebrargli la visuale. Socchiuse gli occhi e seguitò ad avanzare. Lo sbarramento c’era, ma era praticamente distrutto, travi e detriti di ferro sparsi ovunque. Lo valicò con facilità, affiancato dal sergente Wilson e da un paio di reclute. Oltre quello, il nulla. Soltanto frammenti indefinibili e macerie. Nessuna tenda, nessun nazista.

Gli uomini cominciarono a tranquillizzarsi ma lui intimò di non abbassare la guardia. Si chiese se i tedeschi fossero fuggiti. Che fosse invece una trappola? Considerato il numero dei soldati britannici e quello dei tedeschi non credeva potesse trattarsi di un’imboscata. I nemici erano in netta inferiorità; se erano riusciti a resistere fino a quel momento era stato solo grazie alla conformazione morfologica del territorio. Continuarono ad addentrarsi nei boschi e trovarono una cinquantina di cadaveri. Tutti sottoufficiali e soldati semplici. Alec diede ordine ai suoi uomini di raccogliere armi ed equipaggiamento.

Si chinò sul corpo senza vita di un tedesco. Gli occhi ancora aperti in un’espressione di terrore, la divisa bruciata, gli arti inferiori atrocemente mutilati dal fosforo, le ossa dell’avambraccio in bella vista. Non gli fece alcuna impressione, aveva visto cose ben peggiori. Sfilò con attenzione un Gewehr 98 dalla spalla ustionata del cadavere.

Continuarono ad avanzare. Per diverse centinaia di metri non trovarono anima viva, soltanto altri cadaveri dilaniati dalle granate e arsi dal fosforo, sguardi vacui che parevano seguirli a ogni passo e ossa fuori dalle membra. Raggiunsero con facilità l’area retrostante, quella che non era stata percossa dai fuochi dell’artiglieria. Ciò voleva dire che il resto dei crucchi aveva battuto in ritirata. Alec si fermò e gli uomini attorno a lui fecero altrettanto. In quel momento udì una voce familiare.

«Alec!»

Russell gli correva incontro dalla vegetazione alla sua destra. Anch’egli era bagnato fradicio come tutti gli altri.

«Russ, al momento giusto. Uomini a posto?», gli chiese Alec non appena l’amico si fu avvicinato.

«Sì, griglia 5001B sicura. Anche qui sembra tutto tranquillo.»

«Prima di accamparci dobbiamo scoprire dove sono. Andiamo in avanscoperta», disse Alec guardandosi attorno.

«Era quello che pensavo anch’io. Aspettami. Vado a dare nuovi ordini ai miei.» Si mosse nella direzione dalla quale era giunto.

Alec si voltò verso il suo plotone, i cinque sergenti erano proprio dietro di lui. «Sullivan, Adams, scegliete tre caporali e venite con me.»

«Sissignore», risposero quelli allontanandosi tra gli alberi alla ricerca dei loro uomini migliori.

Estratto 2

L’Osteria dei santi – appellativo nient’affatto adatto ai suoi avventori – si trovava subito dopo il ponte sul fiume. Era costruita in travi di legno scuro e pesante, con un’insegna anch’essa lignea che dondolava allegramente a ogni refolo di brezza. Sul lato ovest, nascoste alla via e alla cima della china su cui erano i miei compagni, erano parcheggiate diverse camionette militari.
Varcai la soglia del locale quasi fosse quella di casa mia. Indossai una maschera civettuola e mi mossi ancheggiando fino al bancone. Il posto era zeppo di nazisti. Non solo ufficiali, come potei notare in una rapida scorsa sulle loro spalline, ma pure soldati semplici. Dall’uniforme parevano tutti membri dell’Heer, niente SS. Una bruma di fumo aleggiava nel punto più alto del soffitto spiovente, mentre l’aria ad altezza d’uomo puzzava dannatamente di alcol. Risa maschili ed esclamazioni in tedesco infastidivano i timpani.
Mi sedetti rapidamente su uno sgabello. Un uomo mi venne incontro dall’altra parte. Con un gesto del palmo gettò dietro di sé un moccolo di candela che si esibiva squallido sul bancone bisunto, quindi mi concesse un’occhiata curiosa.
«Mia cara, non vi ho mai vista da queste parti, qualche problema?», mi chiese in un italiano dalla forte inflessione piemontese. Aveva il viso rincagnato e il capo privo di capelli, a parte qualche ciuffo sale e pepe ai lati.
Risposi con un sorriso suadente. «È gentile da parte vostra prendervi pena per me. Tuttavia credo sappiate bene perché giovani donne astigiane decidano di frequentare questo posto, non è vero?» Pronunciai il tutto con un tono di voce basso, nel tentativo di apparire sicura del fatto mio e al contempo mascherare quanto più possibile l’inevitabile strascico della mia parlata meridionale.
«Oh, bene, capisco benissimo», rispose poggiando i gomiti sul bancone e sporgendosi verso di me. Un tanfo di sudore rancido mi raggiunse senza pietà. «Mi piange il cuore nel vedere una così bella italiana vendersi», asserì rivolgendo un’impudica occhiata all’apertura del mio cappotto.
Afferrai al volo l’occasione per portarlo fuori da lì. Non potevo certo dirgli che i partigiani stavano per distruggere la sua osteria; oltretutto era probabile che fosse in buoni rapporti con i nazisti. «Magari potremmo approfondire la questione. Diciamo… in privato?», incalzai ammiccando.
Dio, pensai. Se mi vedesse Enea scoppierebbe a ridere.
Un rossore improvviso e visibile nonostante la luce poco intensa dei lampadari si fece strada attraverso il collo tarchiato per approdare infine alle orecchie leggermente a punta dell’oste.
Annuì fingendosi sicuro di sé, come se si fosse trovato decine di volte in situazioni come quella.

Ritratto di donna in cremisi – Simona Ahrnstedt

Eccomi qui con una nuova recensione.

RITRATTO DI DONNA IN CREMISI

Simona Ahrnstedt

Sperling & Kupfer

 

 

 

Ritratto di donna cremisi

 

 

Trama

 

Stoccolma, 1880. È una sera di dicembre e la città è come incantata sotto una coltre di neve bianchissima. Nel foyer luccicante del Teatro dell’Opera, gremito di dame in abiti eleganti e gentiluomini dell’alta società, tra il profumo delle ciprie e l’aroma dei sigari, un uomo e una donna si incontrano. Lei è Beatrice Löwenström, dai meravigliosi capelli rosso fuoco e il viso spruzzato di lentiggini, una ragazza volitiva e ribelle che mal sopporta le rigide convenzioni borghesi degli zii con cui vive. Lui è Seth Hammerstaal, lo scapolo più discusso della città, con un debole per le belle donne e per le regole da infrangere. Un incontro fuggevole, eppure destinato a cambiare per sempre due vite. Perché quella sera nasce la più travolgente passione che la fredda Stoccolma abbia conosciuto: da allora le strade di Seth e Beatrice si incrociano più volte, per caso, nelle mille occasioni mondane dei salotti buoni della città. Seth è incantato dall’intelligenza di Beatrice, una donna che non assomiglia a nessun’altra, e Beatrice spaventata e insieme sedotta da quest’uomo affascinante e inaffidabile, che non ha mai vissuto secondo gli schemi. Lungo le vie scivolose per la brina, dinanzi alla baia ghiacciata scintillante di luci, tra convegni notturni e passeggiate in carrozza, si consuma così un amore segreto, e per questo ancor più bruciante. Ma su Beatrice sono già stati fatti progetti e conclusi accordi che non includono né la libertà, né la felicità e tantomeno Seth.

L’autrice

 

Simona-Ahrnstedt

Simona Ahrnstedt è nata a Stoccolma nel 1967. Laureata in psicologia, lavora come terapista. Collabora con diverse riviste scrivendo articoli sulle relazioni tra uomini e donne. Ritratto di donna in cremisi è il suo primo romanzo, che ha ottenuto un enorme successo di pubblico e di critica in Svezia.

 Recensione

 

Ritratto di donna in cremisi è un romanzo romantico, fortemente malinconico e struggente. Ambientato nella Svezia di fine ‘800, restituisce al lettore vivide immagini dell’ambiente e della società, con una varietà di particolari certamente ghiotta agli appassionati del periodo storico. La riservatezza su questioni personali e i modi di comportarsi imposti dall’etichetta limitano i discorsi nelle relazioni sociali al punto da provocare dolorosissimi malintesi. Le scene sono numerosissime e scorrono veloci, con frequenti sbalzi temporali; qualche passaggio iniziale risulta un po’ melenso ma considerando la capacità trascinante della narrazione e il coinvolgimento emotivo nelle vicende dei protagonisti, direi che è un difetto trascurabile. Ho apprezzato particolarmente diversi personaggi secondari, quali Vivienne, Jacques e Joan, nonché “l’ultima versione” della protagonista. Da non perdere per chi ha amato le atmosfere di Orgoglio e pregiudizio e Via col vento, ripeto, le atmosfere, poiché anche se Ritratto di donna in cremisi è un bel libro non può certo essere paragonato ai due capolavori sopra citati.

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Nobel italiani per la Letteratura: Salvatore Quasimodo

Eccoci al quarto appuntamento della rubrica Nobel italiani per la Letteratura. Sotto i riflettori: Salvatore Quasimodo, vincitore del premio nel 1959.

La poesia è la rivelazione di un sentimento che il poeta crede che sia personale e interiore, che il lettore riconosce come proprio.

Salvatore Quasimodo

 

 

S Quasimodo

 

 

Salvatore Quasimodo (Modica, Ragusa 1901 – Napoli 1968) fu poeta, traduttore e critico italiano, esponente di spicco del movimento ermetico (vedi approfondimento in fondo all’articolo). Cominciò a scrivere versi giovanissimo, all’età di quindici anni. Dopo il conseguimento, nel 1919, del diploma di maturità tecnica a Messina, si trasferì a Roma per continuare gli studi, che fu costretto ad abbandonare per problemi economici. Figura importante della giovinezza fu monsignor Rampolla del Tindaro, che gli insegnò il greco e il latino.

Negli anni Trenta si stabilì a Firenze, presso il cognato Elio Vittorini. Qui conobbe Eugenio Montale, Arturo Loria, Alessandro Bonsanti e il gruppo di scrittori legato a ‘Solaria’, rivista sulla quale pubblicò altre poesie. La prima raccolta, Acque e terre, è del 1930; nel 1932 uscì Oboe sommerso. Trasferitosi a Milano, fu assunto dal settimanale ‘Tempo’ e insegnò al Conservatorio.

Con Erato e Apollion (1936), Nuove poesie 1936-1942 (1942; confluite nello stesso anno nel volume Ed è subito sera), La vita non è sogno (1949), Falso e vero verde (1949-1955), la sua fama di poeta crebbe progressivamente, e i premi letterari si moltiplicarono, fino al conferimento del Nobel per la letteratura nel 1959.

Molto importanti sono le traduzioni raccolte nel volume Lirici greci (1940), in cui la sua vocazione alla semplicità e all’eleganza trova nei testi antichi il luogo ideale in cui esercitarsi. A queste sarebbero poi seguite, tra le altre, le traduzioni di Omero, Virgilio e Catullo, ma anche di Shakespeare e Neruda, e la pubblicazione delle antologie Lirica d’amore italiana dalle origini ai nostri giorni (1957) e Poesia italiana del dopoguerra (1958). La produzione critica include un saggio sulla funzione politica del poeta (Il poeta e il politico, 1960, discorso di accettazione del premio Nobel) e una serie di scritti sul teatro apparsi originariamente in ‘Omnibus’ e ‘Il Tempo’ e poi parzialmente raccolti in volume nel 1961.

Mentre nella prima fase della sua evoluzione il poeta aveva mostrato predilezione per le immagini rarefatte e per l’ambientazione in una Sicilia dal sapore mitico, che lo avvicinò all’ermetismo, in seguito la sua opera cominciò a riflettere in modo più diretto l’opposizione al regime fascista e l’orrore della guerra, particolarmente in Giorno dopo giorno (1947). In seguito prevalse un andamento di carattere narrativo, non di rado legato a temi di cronaca.

Cronologia delle opere

 

ANNO TITOLO GENERE
1930 Acque e terre Raccolta poetica; alcune poesie confluirono poi in Erato e Apollion
1932 Oboe sommerso Raccolta poetica poi confluita in
Ed è subito sera
1936 Erato e Apollion Raccolta poetica poi confluita in
Ed è subito sera
1938 Poesie Raccolta antologica
1942 Nuove poesie 1936-1942

Ed è subito sera

Raccolta poetica poi confluita in Ed è subito sera
Raccolta di poesie
1946 Con il piede straniero sopra il cuore Raccolta di poesie
1947 Giorno dopo giorno Raccolta di poesie
1949 La vita non è sogno Raccolta di poesie
1954 Falso e vero verde Raccolta di poesie
1958 La terra impareggiabile Raccolta di poesie
1960 Il poeta e il politico e altri saggi Raccolta di saggi e articoli;
comprende il discorso di accettazione del premio Nobel
1961 Scritti sul teatro Raccolta di articoli sul teatro
1964 L’amore di Galatea Mito in tre atti musicato da Michele Lizzi
1966 Dare e avere Raccolta di poesie
1971 Poesie e discorsi sulla poesia Raccolta postuma di saggi e articoli
1977 A colpo omicida e altri scritti Raccolta postuma di saggi e articoli
 

Curiosità

 

  • A Quasimodo, il poeta leccese Carlo Infante, ha dedicato nel 2011 l’Ode a Salvatore Quasimodo, pubblicata nella settima edizione dell’antologia poetica nazionale La Poesia nel Cassetto, Pubbligrafica Romana, Roma, 2011.
  • Appare in un piccolo cameo nel film La notte (film 1961) di Michelangelo Antonioni.
  • Quasimodo, lui stesso traduttore di classici dell’antichità, ha avuto traduzioni delle sue opere in diverse decine di lingue. Anche in sardo è stata tradotta da ultimo tutta la sua opera poetica: Salvatore Quasimodo, Edd est subitu sero. Tottu sas poesias, tradotte da Gian Gavino Irde, Cagliari, Aipsa, 2007, con introduzione di Alessandro Quasimodo e prefazione di Giulio Angioni.

 

 

Fonte: Encarta, Wikipedia

 

Alcune poesie

 

Autunno

Autunno mansueto, io mi posseggo
e piego alle tue acque a bermi il cielo,
fuga soave d’alberi e d’abissi.

Aspra pena del nascere
mi trova a te congiunto;
e in te mi schianto e risano:

povera cosa caduta
che la terra raccoglie.

Specchio

Ed ecco sul tronco
si rompono le gemme:
un verde più nuovo dell’erba
che il cuore riposa:
il tronco pareva già morto,
piegato sul fosso.
E tutto sa di miracolo;
e sono quell’acqua di nube
che oggi rispecchia nei fossi
più azzurro il suo pezzo di cielo,
quel verde che spacca la scorza
che pure stanotte non c’era.


Lamento per il Sud

La luna rossa, il vento, il tuo colore
di donna del Nord, la distesa di neve…
Il mio cuore è ormai su queste praterie,
in queste acque annuvolate dalle nebbie.
Ho dimenticato il mare, la grave
conchiglia soffiata dai pastori siciliani,
le cantilene dei carri lungo le strade
dove il carrubo trema nel fumo delle stoppie,
ho dimenticato il passo degli aironi e delle gru
nell’aria dei verdi altipiani
per le terre e i fiumi della Lombardia.
Ma l’uomo grida dovunque la sorte d’una patria.
Più nessuno mi porterà nel Sud.
Oh, il Sud è stanco di trascinare morti
in riva alle paludi di malaria,
è stanco di solitudine, stanco di catene,
è stanco nella sua bocca
delle bestemmie di tutte le razze
che hanno urlato morte con l’eco dei suoi pozzi,
che hanno bevuto il sangue del suo cuore.
Per questo i suoi fanciulli tornano sui monti,
costringono i cavalli sotto coltri di stelle,
mangiano fiori d’acacia lungo le piste
nuovamente rosse, ancora rosse, ancora rosse.
Più nessuno mi porterà nel Sud.
E questa sera carica d’inverno
è ancora nostra, e qui ripeto a te
il mio assurdo contrappunto
di dolcezze e di furori,
un lamento d’amore senza amore.

 

 

Uomo del mio tempo

Sei ancora quello della pietra e della fionda,
uomo del mio tempo. Eri nella carlinga,
con le ali maligne, le meridiane di morte,
t’ho visto – dentro il carro di fuoco, alle forche,
alle ruote di tortura. T’ho visto: eri tu,
con la tua scienza esatta persuasa allo sterminio,
senza amore, senza Cristo. Hai ucciso ancora,
come sempre, come uccisero i padri, come uccisero
gli animali che ti videro per la prima volta.
E questo sangue odora come nel giorno
Quando il fratello disse all’altro fratello:
«Andiamo ai campi». E quell’eco fredda, tenace,
è giunta fino a te, dentro la tua giornata.
Dimenticate, o figli, le nuvole di sangue
Salite dalla terra, dimenticate i padri:
le loro tombe affondano nella cenere,
gli uccelli neri, il vento, coprono il loro cuore.

 

 

Approfondimenti

 

Ermetismo

Corrente poetica italiana sviluppatasi negli anni Venti e in modo più consistente negli anni Trenta del XX secolo. Il gruppo degli ermetici si raccolse soprattutto attorno a due riviste fiorentine, ‘Il frontespizio’ e ‘Campo di Marte’, ed ebbe come interlocutori critici privilegiati il cattolico Carlo Bo e Oreste Macrì (1913-1998). Fortemente contrari all’enfasi retorica dannunziana come pure agli aspetti più flebili e convenzionali della lirica di Giovanni Pascoli, gli ermetici si rifacevano invece alle esperienze del simbolismo, in particolare quello di autori come Stéphane Mallarmé e Paul Valéry, cercando di riconsegnare alla parola poetica una carica espressiva assoluta e rifiutando gli aspetti comunicativi del linguaggio così come l’effusione sentimentale diretta. Cercarono invece di fare della parola poetica un momento ‘puro’ e ‘assoluto’, in cui si risolvessero e culminassero le tensioni esistenziali e conoscitive di ciascuno e, ancora di più, il senso della vita, con valenze religiose più o meno accentuate.

IL VALORE EVOCATIVO DELLA PAROLA

La parola degli ermetici dilata il suo valore evocativo e si muove in uno spazio atemporale in cui le linee di forza sono rintracciabili lungo i solchi intricati e allusivi delle metafore e delle analogie, che sembrano aprire a un linguaggio esoterico.

La concentrazione linguistica e la protettiva ambiguità delle parole spiegano come l’etichetta di ‘ermetismo’ abbia avuto successo. Il termine, che sottolinea la chiusura quasi iniziatica del testo poetico, risale all’uso fattone nel 1935 dal critico crociano Francesco Flora. In seguito passò a indicare tutta la nuova poesia italiana con l’eccezione di Umberto Saba, ed è stato quindi applicato anche a Giuseppe Ungaretti e a Eugenio Montale. Oggi si preferisce impiegarlo per indicare poeti quali Salvatore Quasimodo, Alfonso Gatto, Leonardo Sinisgalli, Mario Luzi, Piero Bigongiari.

L’ermetismo contribuì ad avvicinare la poesia italiana alla cultura europea e, nonostante la sua tendenza a un’aristocratica autoreferenzialità, ha lasciato i segni anche in giovani che poi hanno battuto altre strade e che hanno maturato posizioni antifasciste quali, oltre al già citato Alfonso Gatto, Romano Bilenchi, Elio Vittorini e Vasco Pratolini. Il superamento e la liquidazione dell’ermetismo avvennero, non senza qualche ingenerosità nei confronti di questa corrente, al tempo del neorealismo e dell’impegno sociale e politico nel secondo dopoguerra.