Presentazione “Angeli ribelli” di Connie Furnari

Oggi vi segnalo l’uscita del nuovo libro di Connie Furnari, autrice che ho già conosciuto leggendo Stryx – Il marchio della Strega.

ANGELI RIBELLI

Connie Furnari

GDS

1937816_694475210604947_209508633_n

Trama

Inghilterra 1894, epoca vittoriana. Emily è una fragile fanciulla aristocratica di diciotto anni che vive a Southampton, profondamente segnata dall’assassinio della madre avvenuto molti anni prima sul ponte di Tower Bridge, nella capitale inglese.

La ragazza giunge a Londra con il padre, un facoltoso medico, per far visita alla vecchia zia Christine e comunicarle l’imminente matrimonio con Oliver, rampollo di buona famiglia, che li accompagna. Il giorno del loro arrivo, Emily apprende sgomenta che l’assassino della madre è ancora a Londra e continua a uccidere indisturbato ogni donna che osa avventurarsi di notte sul Tower Bridge, in modo inspiegabile e occulto.

Ricercato da Scotland Yard e dal giovane ispettore Albert Thompson, il quale sembra avere un conto in sospeso con lui, l’assassino si rivela: è un ragazzo dalla bellezza angelica, di nome Victor, un essere sovrannaturale dalle fruscianti ali di corvo, capace di dominare le tempeste e di mutare aspetto in animale, per sfuggire agli occhi dei mortali.

L’angelo infernale lega a sé Emily, trascinandola dentro un’incontrollabile spirale di sangue, tentazione e immorali segreti, svegliandola nel corpo e nell’anima, e tramutandola inconsapevolmente in un essere molto più perverso di quanto sia mai stato lui.

L’AUTRICE

1508075_695332663852535_628984488_n

Connie Furnari è nata a Catania, nel 1976. Laureata in lettere, appassionata di pittura e disegno, ha partecipato a numerose antologie e ha vinto diversi premi letterari. Nel 2011 è uscito il suo primo romanzo, Stryx Il Marchio della Strega, edito da Edizioni della Sera: un urban fantasy che ha ricevuto recensioni entusiaste e un’accoglienza calorosa da parte degli amanti del genere. Angeli Ribelli è il suo secondo libro, un paranormal romance gotico con sfumature thriller, ambientato nella Londra vittoriana di fine ‘800: una storia d’amore maledetta, tra Paradiso e Inferno, impregnata di colpi di scena e suggestive atmosfere dark.

UN ESTRATTO DAL LIBRO

Il Tower Bridge aspettava ottenebrato dalla nebbia, la luna cresceva nel cielo stipato di nubi. Nulla avrebbe potuto fermare il corso degli eventi, la fine sarebbe giunta silenziosamente, nella notte.

Nella camera buia che lo nascondeva, Victor presagiva lo sfogo animale che si sarebbe scatenato; le pupille erano diventate verticali, segno che la fame lo stava divorando e le ali d’ebano fremevano agitate.

Avrebbe dovuto uccidere ancora.

La ragazza lo ignorava. Non sapeva cosa lui in realtà fosse.

L’angelo premette i pugni sulle tempie mentre dal cuore del castello giungeva il rumore che più di ogni altro odiava sentire.

Il silenzioso scorrere delle lacrime.

Si pentì di averla portata laggiù e di non averla ammazzata subito, così da non ascoltare quel lamento straziante.

Cercò di tapparsi le orecchie, ma il pianto giunse amplificato, risalendo attraverso i muri e oltrepassando i mattoni di pietra.

Era un pianto di donna il suo Inferno, l’avrebbe udito finché fosse vissuto, finché avesse ricordato. E in quel dolore, non desiderò altro che un solo attimo di pace.

2541408870_721760a938

LA SIMBOLOGIA IN “ANGELI RIBELLI”

La protagonista indiscussa del romanzo è la Londra Vittoriana: città gotica, silenziosa e oscura, perennemente avvolta dalla nebbia. Londra è concepita come un universo a se stante, soggetta a regole sovrannaturali che i viaggiatori non riescono a comprendere. La città è spaccata in due: la società medio alto-borghese e i bassifondi, ma entrambe le parti vengono trascinate nel turbine di perversione e ribellione.

La rosa è il fiore che viene più volte citato, come simbolo di giovinezza effimera, delicato e per questo destinato a essere corrotto, a morire precocemente, al culmine della bellezza. I colori predominanti nel romanzo sono il bianco e l’oro (Emily) come simbolo di innocenza, e il rosso e il nero (Victor) simbolo di peccato, perdizione, Inferno.

319235

Emily e Victor rappresentano le due facce dell’io: Yin e Yang, la luce e il buio, il bianco e il nero, la vita e la morte. Sono agli antipodi ma complementari, finché ognuno di loro non diventa l’opposto di ciò che crede di essere, invertendo il proprio significato nel contesto generale della storia.

I nomi racchiudono il succo della caratterizzazione: Emily, come la poetessa Emily Dickinson, la solitudine e l’emotività. Victor invece l’impulsività e la sessualità, seguendo la forma arcaica del suo cognome Wilde, nel senso di selvaggio; un omaggio allo scrittore Oscar Wilde e alla sua opera Il ritratto di Dorian Gray, alla quale il romanzo si ispira. I tratti somatici che distinguono Victor sono quelli dell’attore e modello Ian Somerhalder, quelli di Emily invece sono ispirati all’attrice Gwyneth Paltrow.

ff

Il giovane ispettore Albert Thompson di Scotland Yard e Oliver, il fidanzato di Emily, rappresentano i due diversi modelli di uomo vittoriano, due modi di vivere in una società bigotta e ipocrita: Albert esprime la ribellione, l’insofferenza alle regole, l’individualità e l’indipendenza, il rifiuto di un mondo fittizio in cui predomina l’apparenza. Cosciente del potere nascosto nelle donne tende a non sottovalutarle, trasformando la sua diffidenza in vera e propria misoginia. Oliver, essendo cresciuto in una famiglia aristocratica, crede che tutto gli sia dovuto e che le donne si dividano in solo due categorie: virtuose e peccatrici. Si sottomette alle regole imposte dalla società e cerca di non porsi domande. Affezionato a Emily, non riesce a vederla come un’amante bensì come una bambola: essendo stata scelta per la sua virtù, viene trattata come un oggetto asessuato da lui, destinata a essere soltanto la tipica moglie bella e silenziosa alto-borghese, da esibire ai ricevimenti.

Uno degli elementi fondamentali e trascendentali del romanzo è la virtù, per la quale si lotta, intesa non solo come perdita della verginità ma come perdita di innocenza, di ingenuità, di purezza e di luce. In Victor esprime la privazione dell’anima e dell’amore, in Emily l’abbandono della vita precedente: due mancanze che vengono temute fino a quando l’uno e l’altra non ne accettano la perdita, per compiere la trasformazione decisiva.

Angeli Ribelli riprende il tema del suicidio de I dolori del giovane Werther di Goethe, ovvero il manifesto dello sturm und drang, un anticipo del romanticismo ottocentesco. Victor, giovane angelo ribelle, è come Werther: colto, educato, ingenuo e onesto ma schiavo delle passioni e delle tentazioni. Scopre un amore che non è terreno ma sovrannaturale, istintivo e totale. Il suicidio è l’estremo atto di ribellione contro Dio e soprattutto contro la società: l’unica soluzione per liberarsi dalla sofferenza, dall’amore che porta più dolore che gioia, l’atto di sublimazione per legarsi alla persona amata.

La tipologia d’angelo a cui appartiene Victor, i Ribelli, è da ricercarsi nel poema Paradiso Perduto di John Milton; il romanzo segue gli assiomi che Milton illustra nella sua opera, ma aggiunge particolari poco adoperati nel paranormal romance, creando una figura angelica inedita.

La storia si delinea prendendo spunto dal romanticismo gotico de La Bella e La Bestia (la fanciulla illibata tentata dalla passione selvaggia, soprattutto nelle scene al castello), dalle atmosfere cupe e cruente di Jack Lo Squartatore (la perversione e i delitti nei bassifondi della Londra vittoriana, l’East End, Whitechapel), e dall’attrazione esplicitamente sessuale di Dracula.

img14

Le vicende sanguinose che si intrecciano, tra il fantastico e il reale, sono il grido d’aiuto delle persone dell’epoca che riescono a ribellarsi alla repressione bigotta, trovando ognuno a modo proprio lo sfogo dei naturali istinti primordiali di odio e d’amore. Ogni personaggio cerca la realizzazione del proprio essere, con egoismo, fino a giungere alla conclusione che il bene e il male, la Luce e il Buio, possono convivere indistintamente dentro lo stesso animo.

LINK UTILI

 

 

 

 

Approfondimenti

 

Cos’è il romanzo gotico

Genere letterario in cui prevalgono il mistero e il terrore, molto diffuso in Gran Bretagna fra la seconda metà del Settecento e i primi dell’Ottocento. Sviluppatosi nell’ambito del romanticismo inglese, il romanzo gotico o “romanzo nero” dominò la scena della letteratura popolare britannica anche grazie all’enorme successo che riscontrò presso il pubblico femminile.

Il genere è costituito da romanzi e racconti prevalentemente ambientati in lugubri abbazie e castelli medievali diroccati, popolati di fantasmi e dotati di passaggi segreti. Concepito, soprattutto in origine, per suscitare spavento nel lettore, il genere è strutturato secondo schemi narrativi fissi in cui si muovono tenebrosi o demoniaci personaggi maschili che attentano al pudore di inermi ragazze virtuose. L’intrigo, infarcito di elementi legati al misterioso e al sovrannaturale, assicura invariabilmente una punizione finale dei cattivi e il trionfo della morale imperante.

Fra i suoi esponenti più noti figurano Horace Walpole, considerato il padre del romanzo gotico e dei suoi canoni fondanti (Il castello di Otranto, 1764), William Beckford (Vathek, 1782), Ann Radcliffe (I misteri di Udolpho, 1794), Matthew Gregory Lewis (Il monaco, 1796) e Charles Robert Maturin (Melmoth l’errante, 1820). Un posto a parte spetta a Mary Wollstonecraft Shelley, il cui Frankenstein ovvero il Prometeo moderno (1818) si colloca al crocevia tra gotico e fantascienza. Echi gotici si trovano nella narrativa di Walter Scott e in Charles Dickens, e alcuni critici ne individuano tracce anche nella vicenda di Lucia e dell’Innominato nei Promessi Sposi di Alessandro Manzoni.

La narratrice inglese Mary Wollstonecraft, moglie del poeta Percy Bysshe Shelley, è nota soprattutto come autrice di Frankenstein (1818), opera che diede vita al mito moderno di una creatura artificiale forgiata dalle mani di uno scienziato.

La narratrice inglese Mary Wollstonecraft, moglie del poeta Percy Bysshe Shelley, è nota soprattutto come autrice di Frankenstein (1818), opera che diede vita al mito moderno di una creatura artificiale forgiata dalle mani di uno scienziato.

Il genere, che condivide diversi elementi tematici con la ghost story, ha conosciuto nel corso del XIX secolo numerosi intrecci con altri generi letterari, dal fantastico al romanzo d’appendice. Per i suoi aspetti misteriosi e la presenza di personaggi fatali, il romanzo gotico è considerato il precursore del moderno romanzo a enigma. Nell’uso più estensivo, il termine “gotico” definisce un’opera letteraria i cui ingredienti principali siano l’orrore e il sovrannaturale.

Fonte: Encarta

La poesia del bianco e nero, l’impatto dei colori #4 – Andersen

Ecco oggi la foto ricolorata di uno scrittore che ha lasciato il segno, un autore capace di farci tornare bambini.

Hans Christian Andersen

hans_christian_andersen_8165-600x335

Fonte: Wired

Hans Christian Andersen (Odense 1805 – Copenaghen 1875) fu uno scrittore danese, uno dei massimi autori europei di letteratura per l’infanzia. Di famiglia umile, orfano a undici anni, a quattordici fuggì a Copenaghen, dove ebbe l’opportunità di studiare grazie all’aiuto di Jonas Collin, direttore del Teatro reale. Fin dal 1822 cominciò a pubblicare volumi di prosa e poesia e a comporre opere teatrali, ma il successo gli arrise soltanto con il romanzo L’improvvisatore (1835). Compì lunghi viaggi in Europa, Asia e Africa e fu autore fecondo, anche di resoconti di viaggio, come Il bazar di un poeta (1842).

La sua fama si fonda però sugli oltre 150 racconti per l’infanzia, che appartengono ormai ai classici della letteratura mondiale. Ben lontano dall’imitare i suoi immediati predecessori nel genere del racconto, quali Charles Perrault, Antoine Galland ed E.T.A. Hoffmann, o i fratelli Grimm, Andersen seppe esprimere mirabilmente le emozioni più sottili e le idee più fini attraverso un uso equilibrato del linguaggio corrente e delle espressioni popolari, passando senza difficoltà dalla poesia all’ironia, dalla farsa alla tragedia, dal quotidiano al meraviglioso.

Lo scrittore Hans Christian Andersen, qui ritratto in una fotografia del 1863.

Lo scrittore Hans Christian Andersen, qui ritratto in una fotografia del 1863.

La sua opera appare innovativa non solo nello stile ma anche nei contenuti: Andersen usò infatti un linguaggio quotidiano ed espresse nelle fiabe pensieri e sentimenti fino ad allora ritenuti estranei alla comprensione di un bambino, attraverso le vicende di re e regine storici o leggendari, ma anche di animali, piante, creature magiche e persino di oggetti. Alcuni fra i suoi titoli più noti sono Il brutto anatroccolo, I vestiti nuovi dell’imperatore, La regina delle nevi, Scarpette rosse e La sirenetta. Le fiabe di Andersen sono state tradotte in tutte le lingue e hanno ispirato innumerevoli opere teatrali, balletti, film, nonché opere d’arte figurativa.

Una delle fiabe più note di Hans Christian Andersen è I vestiti nuovi dell'imperatore, pubblicata nel 1837. La scena qui illustrata è quella del sovrano che si presenta in pubblico convinto di indossare una veste speciale, mentre in realtà è nudo; l'unico che ha il coraggio di rivelare la verità è un bambino.

Una delle fiabe più note di Hans Christian Andersen è I vestiti nuovi dell’imperatore, pubblicata nel 1837. La scena qui illustrata è quella del sovrano che si presenta in pubblico convinto di indossare una veste speciale, mentre in realtà è nudo; l’unico che ha il coraggio di rivelare la verità è un bambino.

 

 

La celebre scultura in bronzo che si trova all'ingresso del porto di Copenaghen è il simbolo della città danese. Raffigura la protagonista di una delle più celebri fiabe di Hans Christian Andersen, La Sirenetta.

La celebre scultura in bronzo che si trova all’ingresso del porto di Copenaghen è il simbolo della città danese. Raffigura la protagonista di una delle più celebri fiabe di Hans Christian Andersen, La Sirenetta.

 

Fonte: Encarta

 

 

Approfondimenti

 

Ho scelto una fiaba di Andersen che ho amato molto da piccola e a cui si è ispirato il film d’animazione Disney Frozen: il regno di ghiaccio.

La regina delle nevi

Tanto, tanto tempo fa, c’erano un bambino chiamato Kai e una bambina chiamata Gerda. Vivevano porta a porta e si volevano molto bene.
Fra le due case c’era un giardino nel quale i due ragazzi giocavano tutta l’estate tra i fiori. Il fiore preferito di Gerda era la rosa e lei aveva perfino inventato una poesia dedicata a Kai:
«Le rose non perdono il profumo mai e amici per sempre saran Gerda e Kai.» Durante l’inverno, sedevano accanto alla stufa ad ascoltare le storie che la nonna di Kai narrava sulla perfida Regina delle Nevi:
«Vola nella grandine e ricopre i campi di neve. Paralizza i fiori con la brina e ghiaccia i fiumi. Il suo cuore è di ghiaccio e vorrebbe che anche quello degli altri fosse come il suo.»
Una sera, mentre la nonna parlava, il vento fischiava intorno alla casa e una finestra si spalancò. Una folata di grandine colpì Kai al viso e una scheggia di ghiaccio gli entrò in un occhio e gli arrivò fino al cuore.
Lì per lì Kai dette un grido di dolore. Ma pochi momenti dopo stava ridendo di nuovo. E Gerda non ci pensò più.
Il giorno dopo, Kai stava andando a giocare nella piazza del paese con gli altri ragazzi.
«Posso venire anch’io?» gli chiese Gerda. Ma Kai si rivoltò con uno scatto: «No davvero. Sei solo una ragazzina stupida.»
Gerda rimase molto ferita da queste parole. Ma come poteva sapere che la scheggia penetrata nel cuore di Kai glielo aveva reso di ghiaccio?
Uno dei giochi favoriti dai ragazzi era quello di legare gli slittini ai carri dei contadini e farsi così trascinare sulla neve. Ma quel giorno, sulla piazza, c’era una grossa slitta bianca, col conducente avvolto in una bianca pelliccia.
«Questo è meglio del carro dei contadini», pensò Kai e legò il suo slittino alla parte posteriore della slitta bianca.
La slitta si mosse, sempre più veloce finché Kai cominciò a spaventarsi.Voleva slegarla, ma non poteva sciogliere il nodo. Correvano sempre più lontano,oltre i confini del paese, volando nel vento.
«Aiuto! Aiuto!» gridava Kai, ma nessuno lo sentiva. Filarono via per ore, poi all’improvviso la slitta si fermò e il conducente si alzò in piedi. Era una donna alta e sottile vestita tutta di neve. Kai la riconobbe subito. Era la Regina delle Nevi! Mise Kai sulla slitta vicino a lei e lo avviluppò nel suo mantello. «Tu hai freddo», disse e lo baciò in fronte.
Il suo bacio era come il ghiaccio, ma lui non sentì più freddo.
La guardava e pensava che nessuna al mondo fosse più bella della Regina delle Nevi.
Infatti era stata proprio lei a mandare il vento che aveva fatto entrare il ghiacciolo nel cuore di Kai, che ora era un blocco di ghiaccio. Kai aveva già dimenticato Gerda, la nonna e la sua casa.
Gerda pianse amaramente quando Kai non tornò a casa. Tutti dicevano che era sicuramente morto, sepolto chissà dove nella neve.
Gerda aspettò tutto l’inverno, ma Kai non tornò. Alla fine, arrivò la primavera e Gerda ricevette in dono un paio di scarpette rosse. Se le mise e andò fino al grande fiume.
«Avete visto il mio amico Kai?» chiese alle onde. «Vi darò le mie scarpette rosse se mi dite dov’è.»

oo

Le onde annuirono con le loro creste spumeggianti. Essa allora montò su una piccola barca attraccata fra le canne, e lanciò le scarpe nell’acqua, più lontano che poté.
In quel mentre, la barca si allontanò dalla riva e cominciò a correre lungo il fiume. Gerda aveva paura, ma non osava saltar giù.
«Forse la barca mi porterà da Kai», pensò.
La barca trascinò Gerda giù lungo il fiume, fino a una casetta dal tetto di paglia circondata da un giardino di ciliegi.
Una strana vecchia signora, con un gran cappello in testa, uscì dalla casetta e con il suo lungo bastone ricurvo agganciò la barchetta e la tirò in secco.
«Povera bambina», disse a Gerda.
«Come mai stavi navigando tutta sola per il mondo?»
Gerda raccontò la sua storia alla vecchia signora e le chiese se per caso avesse visto Kai.
«Ancora non l’ho visto, cara, ma sono sicura che verrà molto presto.» La portò in casa e le offrì delle ciliege. E mentre Gerda mangiava, la vecchia signora le pettinava i capelli.
Ora, dovete sapere che in verità la vecchia signora era una maga, che si sentiva molto sola, e perciò desiderava tenere Gerda con sé. E con il suo pettine magico aveva cancellato tutti i suoi ricordi, perfino quello di Kai!
I giorni passavano e Gerda giocava nel giardino dei ciliegi.Ma, una mattina di sole, mentre girellava tra i fiori del giardino, vide un cespuglio pieno di boccioli di rose. Gerda baciò le rose con trasporto e si ricordò immediatamente di Kai.
«Sono rimasta qui troppo a lungo!» gridò e la sua voce disturbò una grossa cornacchia nera che gracchiò:
«Che succede ragazzina?»
«Devo trovare il mio amico Kai. L’hai forse visto?»
«Un ragazzo è passato di qui la settimana scorsa. Ha fatto innamorare di sé una principessa e ora è principe anche lui. Vivono in un bel palazzo non lontano da qui.»
«Oh, sarei proprio felice per Kai se fosse diventato un principe», rise Gerda. «Puoi mostrarmi la strada per raggiungerlo?»
E la cornacchia accompagnò Gerda fino al palazzo. Poi si appollaiò sulla sua spalla e insieme salirono su una lunga scala buia e arrivarono nella camera del principe.
Gerda guardò il principe addormentato e scoppiò in lacrime: «Ma non è Kai! Dovrò continuare a cercarlo e sono così stanca!»
Il suo pianto svegliò il giovane principe e la principessa che si stupirono moltissimo alla vista di una fanciulla in lacrime ai piedi del loro letto e con una cornacchia sulla spalla, per di più. Ma ascoltata la sua storia furono molto comprensivi.
«Ti darò il mio vestito più bello per rallegrarti» disse la principessa.
«E io ti darò il mio cocchio d’oro» disse il principe, «così potrai viaggiare più velocemente e trovare al più presto il tuo amico.»
Con la carrozza del principe, Gerda si avventurò in una cupa foresta, ma la vettura dorata riluceva troppo fra gli alberi e dei banditi la videro.
«È oro, oro!» gridavano, e al primo crocicchio la circondarono.
Tirarono giù Gerda dalla carrozza e la portarono nel loro covo. Sulla soglia c’era una bambina dagli occhi neri che era la figlia del capo dei banditi.
Quando si resero conto che Gerda non era una ricca principessa e che non c’era niente da rubarle, decisero di ucciderla.

«Oh no, non lo fate!» gridò la figlia del bandito. «Giocherà con me e io potrò indossare i suoi bei vestiti!»
Il capo dei banditi si accigliò. «Va bene, ma la terrò sotto chiave perché non scappi e non denunci il nostro nascondiglio.»
Quella sera Gerda raccontò alla sua nuova amica la storia di Kai. Mentre parlava, le colombe che stavano appollaiate sulle travi e una vecchia renna, sentirono tutto.
Dopo un po’ una delle colombe disse: «Cuu, cuu, noi abbiamo visto il piccolo Kai. Era sulla slitta della Regina delle Nevi e andava verso la Lapponia.»
«È vero», disse la renna. «Io ci sono nata in Lapponia, dove tutto scintilla di neve e di ghiaccio e la Regina ha il suo palazzo estivo.»
«Devo andarci subito!» esclamò Gerda. «Ora capisco perché Kai è stato così duro quel giorno. Il suo cuore era già di ghiaccio.»
I ladroni dormivano; la figlia del capo scivolò furtivamente vicino al padre che russava e gli rubò la chiave della porta.
«Porta Gerda in Lapponia» disse alla renna «E aiutala a ritrovare Kai.»
La renna era felicissima di tornare a casa sua e corse via per brughiere e paludi. Viaggiarono per diversi giorni e infine arrivarono nella gelida Lapponia.Faceva un freddo terribile e dappertutto c’era ghiaccio e neve.
«Guarda laggiù!» gridò Gerda. In lontananza, il palazzo estivo della Regina delle Nevi scintillava come una montagna di diamanti.
Intanto, nel Palazzo, la Regina aveva fatto di Kai il suo schiavo. Era una donna fredda e dispettosa e lo costringeva a lucidare continuamente i grandi pavimenti gelati.
Kai avrebbe pianto, se il suo cuore non fosse stato di ghiaccio. Poi un giorno la Regina delle Nevi dette a Kai dei ghiaccioli e gli disse:
«Se con questi riesci a formare la parola ETERNITÀ, può anche darsi che ti lasci libero.» Poi volò via. Kai venne lasciato solo con i ghiaccioli. Le sue mani erano livide dal gelo ma lui non sentiva freddo. Stava ancora tentando di formare la parola ETERNITÀ quando Gerda trovò la strada che conduceva al palazzo e alla grande sala ghiacciata.
«Kai» gridò. «Finalmente ti ho trovato!» E gli gettò le braccia al collo. Ma Kai rimase impassibile.
«Chi sei? Che ci fai qui? Vattene e non mi toccare.»
Gerda non gli diede retta. Malgrado gli sguardi ostili continuò a stringerlo a sé e pianse lacrime di gioia. E mentre piangeva, le sue lacrime calde caddero negli occhi di Kai… e sciolsero il ghiaccio del suo cuore.
Kai si ricordò subito di lei. «Gerda! Sei tu!» e finalmente rideva.
Si abbracciarono e si baciarono e danzarono di gioia. Anche i pezzettini di ghiaccio danzavano e composero da soli la parola ETERNITÀ sul pavimento.
«Ora sono libero!» gridò Kai. «La Regina delle Nevi non ha più potere su di me. Il mio cuore è di nuovo mio!»
Gerda guidò Kai dove la renna stava aspettando. Sulla sua groppa fecero il viaggio di ritorno e quando arrivarono a casa era di nuovo estate.
E le rose del giardino erano in piena fioritura.

Fonte: letturegiovani.it

I peccati della geisha di Kyoto – Eric Le Nabour

Cosa leggerete questo weekend?

I PECCATI DELLA GEISHA DI KYOTO

Eric Le Nabour

Newton Compton

 

978-88-541-5585-5_IPeccatiDellaGeishaDiKyoto

Trama

Kyoto, 1904. Dopo il misterioso assassinio dei suoi genitori, ricchi industriali della seta, la giovanissima Myako Matsuka viene posta sotto la tutela di suo fratello Naoki. Ma quando scoppia la guerra contro i russi e Naoki parte per il fronte, spetta a lei prendere le redini dell’impresa di famiglia. È allora che Myako scopre le orribili condizioni di lavoro degli operai e non esita a mettersi dalla loro parte, disobbedendo alle raccomandazioni di suo fratello. Fiera e indipendente, Myako dovrà però presto fare i conti con l’amore: quello torbido e incontrollabile che prova per Allan Pearson, un diplomatico inglese, e quello tenero e inconfessato che invece nutre per lei Martin Fallières, un giovane esiliato francese appassionato di stampe. Torturata dal desiderio di scoprire la verità sulla morte dei genitori, lacerata da passioni d’amore contrastanti e dall’impossibilità di conciliare il dovere che ha verso la famiglia con le aspirazioni di giustizia e libertà, Myako sarà costretta a compiere scelte dolorose che, inaspettatamente, riporteranno a galla gli spettri del passato.

 

Recensione

In quasi tutti i libri c’è il personaggio “cattivo”, ma in pochi libri ho trovato un individuo detestabile alla stregua di Allan Pearson, diplomatico inglese di cui Myako, la protagonista, si invaghisce. Ho trovato pregevole l’accostamento senza pregiudizi alle tradizioni giapponesi e agli usi degli abitanti. Il fine è mostrare una cultura molto diversa dalla nostra, soprattutto all’epoca delle vicende: pochi decenni dopo l’apertura del Giappone all’ Occidente – sull’argomento ho recensito L’ultima concubina, clicca qui.

La storia è lontanissima dal titolo: la protagonista non è una geisha ma un’artista. Il titolo originale è difatti La dame de Kyoto, ossia la signora, la donna di Kyoto. Un libro carino, non straordinario.

Un libro sulla vita delle geishe è Memorie di una geisha, che ho recensito qui.

Valutazione:

3

Approfondimenti

Geisha

In Giappone, donna che esercita le arti della danza, del canto, della musica e della conversazione a scopo di intrattenimento nelle case da tè o in ricevimenti pubblici e privati. Il termine, di origine cinese, indica una persona dotata di qualità artistiche.

gg

Tradizionalmente, e fino a tempi relativamente recenti, la geisha iniziava la propria formazione in apposite scuole all’età di sette anni, e una volta ritenuta abile nelle diverse arti veniva ceduta dai genitori a un proprietario di locale da tè presso il quale prestava la propria opera. Qui la ragazza serviva il tè secondo l’antico cerimoniale giapponese e intratteneva gli ospiti con canzoni, danze, recitazione di poesie e conversazione gradevole. Anticamente, la prassi voleva che le ragazze fossero vendute e che non potessero mai sciogliere il vincolo che le legava al proprietario se non contraendo matrimonio. Dopo la seconda guerra mondiale, la vendita delle figlie divenne illegale e la pratica scomparve; la professione di geisha esiste ancora oggi, ed è stata riconosciuta a livello sindacale.

Fonte: Encarta

La principessa indiana – Indu Sundaresan

Ultimamente sto apprezzando parecchio i libri di ambientazione indiana. A voi piacciono?

LA PRINCIPESSA INDIANA

Indu Sundaresan

Sperling & Kupfer

 

41t0htFTcTL._SY300_

Trama

India, 1632. Alla morte della moglie prediletta, l’imperatore moghul Shah Jahan decide di erigere in suo onore un mausoleo senza pari al mondo: il Taj Mahal. Ma mentre il progetto del “Tempio della luce”, simbolo eterno dell’amore, prende lentamente forma, a palazzo e tra il popolo serpeggia il malcontento. Shah Jahan, inconsolabile, non si cura degli affari di governo e i suoi figli maschi complottano per usurpargli il trono. Sarà la sua primogenita Jahanara a salvare le sorti dell’Impero. Indomita, coraggiosa e determinata, dovrà rinunciare alla propria spensierata giovinezza e nascondere a tutti la bruciante passione per un uomo giudicato non adatto a lei, pur di restare fedele ai propri obblighi e al proprio ruolo.

Recensione

La principessa indiana racconta la storia romanzata di una principessa dell’impero moghul (vedi approfondimento in fondo all’articolo),e tuttavia parla di tutte le generazioni dell’impero a partire dalla sua nascita. Un viaggio affascinante tra la storia, gli usi, i costumi, le tradizioni, gli odori e i sapori di una civiltà tramontata, dell’India del Diciassettesimo secolo. Alcuni passaggi, come la descrizione di tombe e architettura varia, risultano un po’ lenti e appesantiti dalla straordinaria quantità di dettagli, ma la narrazione recupera benissimo quando racconta le emozioni e i sentimenti di ogni personaggio, le tribolazioni, le speranze lungo diversi decenni. Davvero un bel libro, di quelli che arricchiscono.

Il Taj Mahal, protagonista inanimato de "La principessa indiana".

Il Taj Mahal, protagonista inanimato de “La principessa indiana”.

Valutazione:

4

 

 

Approfondimenti

 

Impero Moghul

Impero turco-musulmano che regnò in India per oltre trecento anni, dal 1526 al 1857, con la sola interruzione del breve interregno dei sultani Sur (1540-1555).

LA FORMAZIONE DELL’IMPERO

Babur, discendente di Tamerlano, fondò l’impero nel 1526, dopo aver conquistato il sultanato di Delhi; alla sua morte, nel 1530, l’impero Moghul si era imposto su tutti i regni circostanti e aveva sottomesso gli afghani. Il figlio di Babur, Humayun, fu destituito dal capo afghano Sher Khan Sur ed esiliato prima in Persia e in seguito a Kabul, da dove, quindici anni dopo, partì alla riconquista dell’Indostan (1556). L’opera di ricostruzione dell’impero venne portata a termine dal figlio di Humayun, Akbar, che si impossessò dell’intera regione settentrionale del subcontinente indiano, con le eccezioni dell’Assam e di alcuni territori tribali.

IL DECLINO DELL’IMPERO

Con Aurangzeb l’impero raggiunse la massima estensione territoriale, comprendendo (1707) quasi tutto il subcontinente indiano. Tuttavia, già agli inizi del XVIII secolo si manifestarono i sintomi della crisi destinata a determinare il crollo dell’impero. Le sconfitte subite nel Deccan a opera dei marathi, le numerose ribellioni contro l’autorità centrale scoppiate nell’India settentrionale, le rivendicazioni nazionalistiche nel Punjab e le ribellioni dei gruppi sikh furono i primi segnali di decadenza.

L’intransigenza religiosa di Aurangzeb, che diversamente dai suoi predecessori si fece solerte promotore dell’Islam, accentuò questi fattori di crisi: diviso all’interno e minacciato dall’aggressivo colonialismo inglese, l’impero crollò definitivamente nel 1858, quando gli inglesi destituirono l’ultimo Gran Mogol, Bahadur Shah II.

L’epoca dei Moghul fu un’età di grande fioritura dell’arte indiana; le maggiori realizzazioni si ebbero nell’architettura, nella decorazione dei manoscritti e nella pittura. Il più prestigioso esempio dell’architettura Moghul è rappresentato dal Taj Mahal, fatto costruire da Shah Jahan; vanno menzionati anche i Forti di Agra e di Delhi, la Grande Moschea di Fatehpur Sikri e le tombe di Akbar e Humayun.

 

 

Fonte: Encarta

La poesia del bianco e nero, l’impatto dei colori #3 – Einstein

Oggi diamo un tocco di colore al fisico più famoso di tutti i tempi.

Albert Einstein

albert_einstein_1056-600x335

Albert Einstein (Ulma 1879 – Princeton, New Jersey 1955) fu un fisico tedesco naturalizzato statunitense. Trascorse gli anni giovanili a Monaco, città nella quale la famiglia, di origine ebraica, possedeva una piccola azienda che produceva macchinari elettrici, e già da ragazzo mostrò una notevole predisposizione per la matematica.

Quando ripetuti dissesti finanziari costrinsero la famiglia a lasciare la Germania e a trasferirsi in Italia, a Milano, decise di interrompere gli studi. Trasferitosi in Svizzera, concluse le scuole superiori ad Arrau e si iscrisse al Politecnico di Zurigo, dove si laureò nel 1900. Lavorò quindi come supplente fino al 1902, anno in cui trovò un impiego presso l’Ufficio Brevetti di Berna.

LE PRIME PUBBLICAZIONI SCIENTIFICHE

Nel 1905 Einstein conseguì il dottorato con una dissertazione teorica sulle dimensioni delle molecole; pubblicò inoltre tre studi teorici di fondamentale importanza per lo sviluppo della fisica del XX secolo. Nel primo di essi, relativo al moto browniano, fece importanti previsioni, successivamente confermate per via sperimentale, sul moto di agitazione termica delle particelle distribuite casualmente in un fluido.

Il secondo studio, sull’interpretazione dell’effetto fotoelettrico, conteneva un’ipotesi rivoluzionaria sulla natura della luce; egli affermò che in determinate circostanze la radiazione elettromagnetica ha natura corpuscolare, ipotizzando che l’energia trasportata da ogni particella che costituiva il raggio luminoso, denominata fotone, fosse proporzionale alla frequenza della radiazione, secondo la formula E = hu, dove E rappresenta l’energia della radiazione, h è una costante universale nota come costante di Planck (vedi Max Planck), e u è la frequenza. L’affermazione, in base alla quale l’energia contenuta in un fascio luminoso è trasferita in unità individuali o “quanti”, fu confermata sperimentalmente dieci anni dopo da Robert Andrews Millikan.

 

LA TEORIA DELLA RELATIVITÀ RISTRETTA

Il terzo e più importante studio del 1905, dal titolo Elettrodinamica dei corpi in movimento, conteneva la prima esposizione completa della teoria della relatività ristretta, frutto di un lungo e attento studio della meccanica classica di Isaac Newton, delle modalità dell’interazione fra radiazione e materia, e delle caratteristiche dei fenomeni fisici osservati in sistemi in moto relativo l’uno rispetto all’altro.

La base della teoria della relatività ristretta, che comporta la crisi del concetto di contemporaneità, risiede su due postulati fondamentali: il principio della relatività, che afferma che le leggi fisiche hanno la stessa forma in tutti i sistemi di riferimento inerziale, ossia in moto rettilineo uniforme l’uno rispetto all’altro, estendendo il precedente principio di relatività galileiano, e il principio di invarianza della velocità della luce, secondo cui la velocità di propagazione della radiazione elettromagnetica nel vuoto è una costante universale, che sostituisce il concetto newtoniano di tempo assoluto.

 

CRITICHE ALLA TEORIA DI EINSTEIN

La teoria della relatività ristretta non fu immediatamente accolta dalla comunità scientifica. Il punto d’attrito risiedeva nelle convinzioni epistemologiche di Einstein in merito alla natura delle teorie scientifiche e sul rapporto tra esperimento e teoria. Sebbene affermasse che l’unica fonte di conoscenza è l’esperienza, egli era anche convinto che le teorie scientifiche fossero libera creazione dell’uomo e che le premesse sulle quali esse sono fondate non potessero essere derivate in modo logico dalla sperimentazione. Una “buona” teoria, per Einstein, è una teoria nella quale è richiesto un numero minimo di postulati per ogni dimostrazione.

Il valore dell’attività scientifica di Einstein venne comunque riconosciuto e nel 1909 lo scienziato ricevette il primo incarico di docenza presso l’Università di Zurigo. Nel 1911 si trasferì all’Università tedesca di Praga e l’anno successivo tornò al Politecnico di Zurigo. Nel 1913 assunse la direzione del Kaiser Wilhelm Institut di Berlino.

 

LA TEORIA DELLA RELATIVITÀ GENERALE

A partire dal 1907, anno in cui fu pubblicata la memoria contenente la celebre equazione che afferma l’equivalenza fra massa ed energia, Einstein iniziò a lavorare a una teoria più generale, che potesse essere estesa ai sistemi non inerziali, cioè in moto accelerato l’uno rispetto all’altro.

Il primo passo fu l’enunciazione del principio di equivalenza, in base al quale il campo gravitazionale è equivalente a una accelerazione costante che si manifesti nel sistema di coordinate, e pertanto indistinguibile da essa, anche sul piano teorico. In altre parole, un gruppo di persone che si trovino su un ascensore in moto accelerato verso l’alto non possono, per principio, distinguere se la forza che avvertono è dovuta alla gravitazione o all’accelerazione costante dell’ascensore.

La teoria della relatività generale, presentata a partire dal novembre 1915, fu pubblicata nel 1916, nell’opera intitolata I fondamenti della relatività generale. In essa le interazioni dei corpi, che prima di allora erano state descritte in termini di forze gravitazionali, vengono spiegate come l’azione e la perturbazione esercitata dai corpi sulla geometria dello spazio-tempo, uno spazio quadridimensionale che oltre alle tre dimensioni dello spazio euclideo prevede una coordinata temporale.

Einstein, alla luce della sua teoria generale, fornì la spiegazione delle variazioni del moto orbitale dei pianeti, dando conto in modo soddisfacente del moto di precessione del perielio di Mercurio, fenomeno fino ad allora non pienamente compreso, e previde che i raggi luminosi emessi dalle stelle si incurvassero in prossimità di un corpo di massa elevata quale, ad esempio, il Sole. La conferma osservativa di quest’ultimo fenomeno, realizzata in occasione dell’eclissi solare del 1919, fu un evento di enorme rilevanza.

Per il resto della sua vita Einstein si dedicò alla ricerca di un’ulteriore generalizzazione della teoria in una teoria dei campi che fornisse una descrizione unitaria per i diversi tipi di interazioni che governano i fenomeni fisici, incluse le interazioni elettromagnetiche e le interazioni nucleari deboli e forti.

Tra il 1915 e il 1930 si stava sviluppando la teoria quantistica, che presentava come concetti fondamentali il dualismo onda-particella, postulato da Einstein fin dal 1905, nonché il principio di indeterminazione di Heisenberg, che fornisce un limite intrinseco alla precisione di un processo di misurazione. Einstein mosse diverse e significative critiche alla nuova teoria e partecipò attivamente al lungo e tuttora aperto dibattito sulla sua completezza. Commentando l’impostazione intrinsecamente probabilistica della meccanica quantistica, egli affermò che “Dio non gioca a dadi con il mondo”.

albert_einstein_4111-600x335

 

 

CITTADINO DEL MONDO

Dopo il 1919 Einstein divenne famoso a livello internazionale; ricevette riconoscimenti e premi, tra i quali il premio Nobel per la fisica, che gli fu assegnato nel 1921. Lo scienziato approfittò della fama acquisita per affermare le sue opinioni pacifiste in campo politico e sociale.

Durante la prima guerra mondiale fu tra i pochi accademici tedeschi a criticare pubblicamente il coinvolgimento della Germania nella guerra. Tale presa di posizione lo rese vittima di gravi attacchi da parte di gruppi di destra; persino le sue teorie scientifiche vennero messe in ridicolo, in particolare la teoria della relatività.

Con l’avvento al potere di Hitler, Einstein fu costretto a emigrare negli Stati Uniti, dove gli venne offerta una cattedra presso l’Institute for Advanced Study di Princeton, nel New Jersey. Di fronte alla minaccia rappresentata dal regime nazista egli rinunciò alle posizioni pacifiste e nel 1939 scrisse assieme a molti altri fisici una famosa lettera indirizzata al presidente Franklin D. Roosevelt, nella quale veniva sottolineata la possibilità di realizzare una bomba atomica. La lettera segnò l’inizio dei piani per la costruzione dell’arma nucleare.

Al termine della seconda guerra mondiale, Einstein si impegnò attivamente nella causa per il disarmo internazionale e più volte ribadì la necessità che gli intellettuali di ogni paese dovessero essere disposti a tutti i sacrifici necessari per preservare la libertà politica e per impiegare le conoscenze scientifiche a scopi pacifici.

Approfondimenti

 

Lettera di Einstein a Franklin D. Roosevelt

 

Einstein fu tra i fisici che collaborarono alla stesura di questa lettera al presidente Roosevelt, che così veniva informato della possibilità di una nuova arma molto potente e pericolosa: la bomba atomica. Nei primi giorni della seconda guerra mondiale questi fisici erano convinti che i tedeschi fossero già al lavoro sulla bomba atomica, sulla base dei risultati della ricerca francese e americana. La lettera di Einstein sicuramente contribuì a convincere il presidente Roosevelt che anche gli Stati Uniti dovevano presto sviluppare il loro programma atomico.

Albert Einstein
Old Grove Rd.
Nassau Point
Peconic, Long Island

2 agosto 1939

F.D. Roosevelt,
Presidente degli Stati Uniti,
Casa Bianca
Washington, D.C.

Signore,
i risultati di alcuni recenti lavori di E. Fermi e L. Szilard, a me pervenuti in forma di manoscritto, mi portano a ritenere che l’elemento uranio possa essere trasformato, nell’immediato futuro, in un’importante fonte di energia. Alcuni aspetti della situazione che si è creata inducono alla vigilanza e potrebbe essere necessario un pronto intervento da parte dell’amministrazione. Credo sia mio dovere portare alla sua attenzione i seguenti fatti e farle delle raccomandazioni. Durante gli ultimi quattro mesi – grazie al lavoro di Joliot in Francia e Fermi e Szilard in America – sembra sia stato possibile creare una reazione nucleare a catena in una grande massa di uranio, in cui si genererebbero un’enorme forza e grosse quantità di elementi simili al radio. Pare dunque che questo risultato sarà conseguito nell’immediato futuro.

Questo nuovo fenomeno potrebbe anche portare alla costruzione di bombe, ed è immaginabile – anche se non certo – che siano bombe estremamente potenti di un genere mai costruito. Un singolo ordigno di questo tipo, trasportato via mare e fatto esplodere in un porto, sarebbe in grado di distruggere l’intero porto e parte del territorio circostante. Tuttavia queste bombe sarebbero troppo pesanti per il trasporto aereo.

Gli Stati Uniti possiedono minerali di uranio in modeste quantità. Un certo quantitativo si trova in Canada e nella ex Cecoslovacchia, mentre le più importanti risorse sono nel Congo Belga.

In questa situazione lei potrebbe ritenere utile mantenere contatti stabili tra l’amministrazione e il gruppo di fisici che in America lavorano alla reazione a catena. Potrebbe incaricare a questo fine una persona di sua fiducia in veste non ufficiale i cui compiti sarebbero:

  1. essere vicino ai dipartimenti governativi e tenerli informati dei nuovi sviluppi, fornire suggerimenti per l’azione governativa, prestando particolare attenzione al problema di assicurare una fornitura di uranio agli Stati Uniti;
  2. dare impulso al lavoro sperimentale, ora portato avanti nei limiti del budget dei laboratori universitari, fornendo, nel caso, finanziamenti offerti da privati di sua conoscenza interessati a contribuire a questa causa, e cercando anche la collaborazione di laboratori industriali che abbiano le apparecchiature necessarie.

Sono a conoscenza che la Germania ha fermato la vendita di uranio delle miniere cecoslovacche, di cui ha oggi il controllo, e che forse la ragione di questa tempestiva decisione è la presenza del figlio del sottosegretario di stato, von Weizsäcker, al Kaiser-Wilhelm-Institut di Berlino, in cui vengono replicati alcuni degli esperimenti americani sull’uranio.

Sinceramente Suo
Albert Einstein

 

 

Fonti: Wired, Encarta, Libreria del Congresso

La bestia dagli occhi di ghiaccio – Davide Simoncini

Cari amici,

vi segnalo l’uscita di un romanzo particolarmente interessante: La bestia dagli occhi di ghiaccio di Davide Simoncini.

Copertina Facciata Anteriore

Trama

1993, Garfagnana. Santo è alla ricerca di un tesoro, un tesoro che i suoi avi hanno nascosto per paura che qualche brigante lo potesse sottrarre agli abitanti di Col di Favilla. Sospetta che qualcuno sia sulle sue tracce e sia risoluto nel proprio scopo, tanto da poter commettere uno dei più atroci massacri ricordati nella storia delle montagne… 

Oggi, 2014, Garfagnana. Ottavio e Linda sono due semplici amici con la passione per la montagna, entrambi decisi a non impegnarsi. Almeno fino a quando si ritrovano dentro una spirale di morte, un incubo che prende forma da un ricordo lontano, ciò che è accaduto tanti anni prima. 
E che adesso è tornato, pronto a riportare il tormento sulle montagne… 

Qualcosa ha minato la quiete della foresta. Quel qualcosa ha provocato una reazione a catena, una serie di eventi temuti perfino dagli abitanti della montagna. La cosa si è risvegliata, decisa a vendicare le offese del passato, determinata a ristabilire un equilibrio ormai perduto. Niente può sbarrargli la strada, nessuno può scampare al destino scritto nel momento stesso in cui gli ingranaggi della vendetta hanno cominciato a girare di nuovo. 
Dopo anni di letargo, ora la pace sta per finire. 
Perché dopo anni di riposo la bestia ha riaperto gli occhi.

La mia opinione

Il libro è diviso in capitoli brevi che, grazie anche all’alternanza tra passato e presente, suscitano curiosità e mantengono viva l’attenzione. Una buona analisi interiore dei personaggi puntella la storia in maniera convincente. Inoltre mi è molto piaciuto il rapporto che alcuni personaggi hanno con la montagna, come se essa fosse un’entità viva, a sé stante.

Valutazione:

4

Link utili

Ecco alcuni link utili da cui si può dare un’occhiata ravvicinata al libro e conoscere meglio l’autore.

 

Non mi stancherò mai di dirlo: sostenere la letteratura nostrana, soprattutto quella di qualità e i cui autori sono giovani promesse, fa bene a tutti. Buona lettura 😉

L’indovina di Istanbul – Michael David Lukas

Vi auguro buon weekend con una nuova recensione.

L’INDOVINA DI ISTANBUL

Michael David Lukas

Longanesi

istan

 

Trama

1877, Costanza, sulle sponde del Mar Nero: è una notte di guerra e di razzia, ma anche di speranza. Mentre una divisione di cavalleria dello zar semina il terrore in città, nella casa di un venditore di tappeti ebreo viene alla luce una bambina. Si chiama Eleonora, e un’antica profezia prefigura per lei un destino straordinario. Eleonora cresce senza la madre e con un padre amorevole ma spesso assente, che la affida a una matrigna rigida e repressiva. Niente però può impedirle di mostrare il suo talento: a soli sei anni Eleonora ha una memoria prodigiosa e una grande abilità nel far di conto, ma soprattutto vive per i libri. È nei libri, e nelle diverse lingue in cui sono scritti e che lei impara senza alcuna difficoltà, che Eleonora trova il suo destino. Un percorso avventuroso, costellato di entusiasmi ma anche di tragedie, la porterà fino a Istanbul, maestosa capitale di un impero ormai in disfacimento, e quando inizierà a spargersi la voce dei suoi talenti, la ragazzina varcherà la soglia del palazzo del sultano, legando così indissolubilmente il suo destino a quello di un impero.

Recensione

Ho cominciato la lettura carica di tutte quelle aspettative suscitate dalla quarta di copertina. Esse, ahimè, per la maggior parte del libro sono state disattese. La storia è lenta, così come la descrizione delle scene. Mancano ritmo ed emozione, difatti i pochi passaggi turbolenti vengono saltati e raccontati postumi sotto forma di brevi ricordi. Il finale è uno degli elementi peggiori: estremamente deludente, lascia il lettore sospeso e con l’impressione che l’intera lettura sia stata inutile. Dato che il personaggio di Eleonora è totalmente immaginario, l’autore poteva prendersi la libertà di scrivere un altro finale, anche senza scontrarsi con i fatti realmente accaduti. L’unico aspetto positivo, l’unico che giustifica la lettura è l’ambientazione: una Istanbul di fine Ottocento, affascinante, viva, variopinta, odorosa e brulicante.

Valutazione:

2

“Napoli, la città della giovinezza, attendeva Parthenope e Cimone; ricca, ma solitaria, ricca, ma mortale, ricca, ma senza fremiti. Parthenope e Cimone hanno creata Napoli immortale.” Matilde Serao

Eccomi con un nuovo appuntamento della rubrica Letteratura italiana tra Ottocento e Novecento. Oggi protagonista è una donna dal cuore napoletano.

Matilde Serao

matildeserao

 

Matilde Serao (Patrasso, 1857 – Napoli, 1927) fu una scrittrice e giornalista italiana. Il suo primo libro, la raccolta di novelle Opale, è del 1878. Trasferitasi a Roma nel 1882, Matilde Serao consolidò l’attività giornalistica già avviata a Napoli, allargando l’ambito delle collaborazioni a importanti testate come ‘Capitan Fracassa’, la ‘Nuova Antologia’, il ‘Fanfulla della domenica’ e la ‘Cronaca bizantina’. In questo periodo ebbe rapporti di amicizia con scrittori come Giovanni Verga e Giuseppe Giacosa e con giornalisti come Ferdinando Martini ed Edoardo Scarfoglio, che sposò nel 1885. La loro attività giornalistica fu molto intensa e culminò nel 1892 con la fondazione del quotidiano ‘Il Mattino’ (vedi approfondimento in fondo all’articolo).

La scrittrice pubblicò ben venticinque volumi di novelle e sedici romanzi. Questa sua variegata letteratura romanzesca si dispone su due versanti. La produzione sentimentale venne inaugurata da Cuore infermo (1881), ma fu Fantasia (1883) a ottenere un’approvazione quasi unanime. L’indirizzo di scrittura di impronta documentaria ha due titoli emblematici: Il ventre di Napoli (1884) e Il paese di cuccagna (1890), crudi e suggestivi ritratti di Napoli. Il mondo della vita culturale della città è invece raffigurato soprattutto in La conquista di Roma (1885) e in Vita e avventure di Riccardo Johanna (1887). Alcuni racconti sono particolarmente riusciti, come La virtù di Checchina (1884) e O Giovannino, o la morte (1889), molto apprezzato dalla grande scrittrice Anna Maria Ortese.

Romba, romba il Vesuvio, proprio su noi, proprio su tutti noi: alto è l’incendio del cratere, oramai, nella sera che discende; si erge, spaventosa, innanzi a noi, la duplice massa bruna e mostruosa delle due lave immote: ardono, esse, profondamente, le lave; e, intanto, una pazzia è nelle persone, popolani, contadini, signori, indigeni, napoletani, stranieri, come una tragica gazzarra è intorno a quel paesaggio di tragedia, fra il pericolo appena scongiurato di questa notte, e il pericolo imminente di domani!

Opere

  • Canituccia
  • Alla scuola
  • Un’isterica in collegio
  • Caterina tradita
  • Il figlio della giornalista
  • Terno secco
  • L’estrazione del lotto
  • Donna Caterina e Donna Concetta
  • Le tre sorelle
  • Il dichiaramento
  • Due monache nel mondo
  • Cristina
  • Nel paese di Gesù
  • Vicenzella
  • La monaca e la «casa chiusa»
  • Suor Giovanna della croce
  • Chiarastella la fattucchiara
  • Novelle sentimentali
  • Opale (1878)
  • Cuore infermo, racconto (1881)
  • Fantasia, romanzo (1883)
  • Piccole anime (1883)
  • Il ventre di Napoli (1884)
  • La virtù di Checchina (1884)
  • La conquista di Roma (1885)
  • Telegrafi di Stato (1885)
  • Il romanzo della fanciulla (1886)
  • Vita e avventure di Riccardo Johanna (1887)
  • O Giovannino, o la morte (1889)
  • Addio amore (1890)
  • Il paese di cuccagna, Milano, Treves (1891)
  • Leggende napoletane, E. Sarasino (1891)
  • Castigo (1893)
  • Gli amanti pastelli (1894)
  • La ballerina (1899)
  • Dal vero, Milano, Baldini & Castoldi (1905) – Versione digitalizzata
  • Storia di due anime

 

Critiche importanti

 

  • Benedetto Croce in un saggio del 1903: «fantasia mirabilmente limpida e viva».
  • Giosuè Carducci la giudicò «la più forte prosatrice d’Italia».

 

 

 

Approfondimenti

 

 

995

Il Mattino è un quotidiano fondato a Napoli nel marzo 1892 da Edoardo Scarfoglio e Matilde Serao. Negli anni ha mantenuto il primato di primo quotidiano della Campania per numero di copie e diffusione tra i lettori.
Secondo i dati Audipress 2011, con 975.000 lettori, è il quotidiano d’informazione più letto dell’Italia meridionale ed il sesto (dopo il Corriere della Sera, la Repubblica, La Stampa, Il Messaggero e Il Sole 24 ore) più letto dell’intero Paese.
La sede del giornale è dal 1955 in via Chiatamone 65, di fronte all’ingresso occidentale della galleria della Vittoria.

Storia recente

Il Mattino ha vissuto il suo periodo d’oro negli anni ottanta, durante i quali la Società Sportiva Calcio Napoli, trascinata da Diego Armando Maradona, vinse il campionato italiano di calcio due volte, nel 1987 e nel 1990. In quel periodo raggiunse il record di tiratura, pari a 180.000 copie.
Attualmente, la vendita media giornaliera è di circa 82.000 copie. Negli ultimi anni il giornale ha però subito una perdita netta di oltre 30.000 copie vendute, anche a causa della comparsa sul mercato di altri quotidiani che si occupano in maniera approfondita di Napoli e della Campania, da Cronache di Napoli a Il Denaro, da Napolipiù a Metropolis per restare nella sola provincia di Napoli, oltre ovviamente al Corriere del Mezzogiorno e alla versione partenopea di la Repubblica.
Il 23 luglio 2009, dopo sette anni, Mario Orfeo lascia la direzione del giornale per passare a quella del Tg2, e in seguito quella del Il Messaggero e del Tg1.
Dal 5 agosto 2009 al 10 dicembre 2012 l’incarico è di direttore è stato affidato a Virman Cusenza, che di fatto da vicedirettore viene promosso a direttore della testata..
Il 10 dicembre 2012 con il passaggio di Cusenza alla direzione de Il Messaggero verrà nominato Alessandro Barbano come nuovo direttore del giornale partenopeo.

Premio G. Siani

Dal 2004 Il Mattino è l’ente promotore del Premio Giancarlo Siani, intitolato al giovane giornalista partenopeo ucciso dalla camorra nel 1985, proprio a causa dei suoi articoli pubblicati su Il Mattino.

On-line

Dal 24 novembre 2008 Il Mattino ha dato il via alla pubblicazione on-line del quotidiano, con aggiornamenti in tempo reale sulle notizie della regione e su quelle nazionali e mondiali. Un sito internet in grado di raggiungere napoletani e campani sparsi per il mondo. Attualmente, secondo i dati diffusi dall’Audiweb, il sito internet del Mattino è il più letto quotidianamente in Campania ed è uno dei principali canali di comunicazione on-line del Sud Italia.

Fonti: Encarta, Wikipedia